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Capitolo Quindici
- Un segreto raccolto
dal mare-
Nero e Forgia
erano seduti di fronte al fuoco a conversare quando la porta della stanza si
spalancò. Il vedere Forgia seduto su una sedia, piuttosto che sdraiato a letto,
sorprese Cencio, che si bloccò sull’uscio per un attimo. Poi però corse verso la
parete.
“Quarto
scaffale, terza mensola… Ampolla …” Aveva il viso pallido e le labbra gli
tremavano leggermente. Sorpreso da questo atteggiamento e dall’assenza di parole
nei suoi riguardi, Forgia disse:
“Ma come Cencio,
ti vuoi dare all’alchimia?”
Cencio non
rispose immediatamente, continuando quella che sembrava una ricerca disperata.
“Forse è
questa…ma forse è questa…"
Forgia cercò di alzarsi, ma era ancora troppo debole per farlo e Nero gli pose
una mano sulla spalla per fermarlo.
“Aspetta” gli
disse Nero, volgendo la sua attenzione verso Cencio che pareva agitatissimo,
nell’affannosa ricerca della boccetta misteriosa.
“Che cosa
cerchi?”
“Cedro bianco”
Nero l’aiutò a
cercare e prese un’ampollina con del liquido lattiginoso all’interno “Eccolo, ma
a cosa ti serve?”
Cencio afferrò
la boccetta con foga e corse via.
“Dopo!” fu
l’unica cosa che riuscì a dire, prima di scomparire oltre la porta, lasciando
Nero e Forgia confusi e senza risposte.
Luppolo entrò
poco dopo con un’aria greve in viso.
“Eccovi” disse
semplicemente sedendosi anche lui vicino al fuoco “Volevo vedere come stavi”
Ma in realtà
sembrava perso fra i suoi pensieri.
“Ma che cosa vi
è preso a tutt’e due?” non poté fare a meno di chiedere Forgia che non riusciva
a capire cosa stesse succedendo “Sarà che sono chiuso qua dentro da troppo
tempo, ma non capisco…”
Luppolo si scosse dal suo apparente torpore “Non siete stati avvertiti?” chiese
stupito.
“Di cosa?”
Luppolo sospirò:
“Questa mattina, prima di andare al Monastero Saint George, siamo andati nei
pressi delle miniere di stagno dove Lord Aaron aveva una questione aperta con
tale John Riverwood jr, uno sfruttatore assassino… Non so i fatti nel dettaglio
perché non abbiamo parlato a fondo dell’uomo che stavamo andando a prendere…”
Luppolo sospirò “ Per farla breve, nonostante quest’uomo fosse quasi legato e
circondato da cinque uomini, è riuscito a pugnalare Lord Aaron e…” scrollò la
testa incredulo “è stato troppo veloce persino per me o per Cencio”.
Quelle parole
rimbombarono nelle orecchie di Nero quasi fossero gridate, un brivido così
intenso da farlo tremare gli percorse il corpo e, se non fosse stato seduto, di
sicuro le gambe gli avrebbero ceduto.
Sapeva e non
capiva, ascoltava e non riusciva a mettere ordine fra quelle parole appena
sentite, perché un ordine non ce l’avevano.
Pugnalato era
l’unica cosa che riusciva a ripetersi nella mente, attonito e smarrito di
fronte a quella parola che non aveva senso. Di fronte a quella parola che non
capiva.
Poi nonostante
il rifiuto, il significato di quel termine raggiunse la sua mente e lo
paralizzò: fermò i muscoli e il cuore. Il respiro che ne seguì assomigliava al
sibilo che viene prodotto quando il petto viene schiacciato con forza.
Non disse
niente, le mille domande che avrebbe voluto porre si scontrarono, prima di poter
essere pronunciate e lui rimase lì, senza parole, con gli occhi sgranati e un
grido in gola spento.
“E’ ferito
gravemente?” Chiese Forgia al suo posto, ma prima che Luppolo potesse parlare,
di nuovo Cencio entrò con irruenza nella stanza, col sorriso sulle labbra.
Sorriso al quale Nero si aggrappò irrazionalmente, nella speranza che portasse
belle notizie.
“E’ sveglio!”
disse ridendo “quel Cedro Bianco è davvero miracoloso!”
“Ma cos’è
successo esattamente?”
Nero fu grato che Forgia ponesse le domande che la confusione della sua mente
gli impediva di fare.
“Una cosa mia
vista prima!” rispose Cencio “Quest’uomo, questo John Riverwood jr, sembrava
essere il tipico gradasso, da quel che ho capito, una delle persone che dirigeva
i lavori in miniera” poi corrugò la fronte pensieroso “Non so bene cosa facesse,
ma da quel che Lord Aaron ci ha detto prima, il padre era stato incaricato da
Lord Thurlow di dirigere parte degli scavi e da lì, l’incarico era passato al
figlio. M’era sembrato strano, all’inizio, che Lord Aaron dovesse andare di
persona alle miniere e occuparsi di una cosa di cui si sarebbero potuti occupare
altri funzionari…”
Il suo racconto
fu interrotto da Guardia, Chiaro e Levante che entrarono insieme nella stanza di
Forgia.
“Abbiamo sentito
quel che è successo!” disse Guardia preoccupato.
“Stavo giusto
raccontando l’accaduto” rispose Cencio entusiasta di poter raccontare qualcosa
ed avere l’attenzione di tutti.
“Quando Lord
Aaron ha detto che John sarebbe stato giudicato a St. Ives è come se un lampo di
follia si fosse impossessato di quell’uomo” gesticolò enfatizzando le sue
parole.
“E’ stato
veloce, tanto che nessuno ha potuto reagire in tempo”. Poi ridacchiò fra sé e
sé “Nessuno tranne il falco di Lord Aaron” aggiunse meravigliato.
“Dovevate
esserci, raccontarlo non dà l’idea: è calato su John prima ancora che lui avesse
estratto il pugnale, un volo fantastico su di una preda ignara”
“Sembri
particolarmente colpito…” lo prese in giro Chiaro.
“Ha ragione il
ragazzo” venne in sua difesa Luppolo “Non avevo mai visto niente di simile.
Sembrava che il falco avesse una volontà umana e una dedizione completa. La
rapidità con cui ha afferrato il viso di Riverwood, con cui l’ha artigliato e
ferito è stata… regale” disse senza trovare altri termini per descriverla.
Cencio annuì con
forza “Sì, se non ci fosse stato lui Riverwood avrebbe di certo colpito in pieno
Lord Aaron, invece l’ha solo ferito superficialmente”
“Ma ho sentito”
obiettò Chiaro “Che l’avete portato qui incosciente, come mai?”
”C’era una sostanza, sulla lama del pugnale, una sorta di veleno m’è stato
detto, che fa perdere coscienza immediatamente. Ma qui” ed indicò le
numerosissimi ampolle presenti in quella stanza “c’è il rimedio per tutto”.
“Quindi niente
birra, per oggi” rise Guardia che non voleva lasciarsi scappare l’occasione di
punzecchiare Luppolo, il quale si strinse nelle spalle.
“Non scappa
mica, l’assalto è solo rimandato”
Risero tutti, tranne Nero che non riusciva a scrollarsi di dosso quella
sensazione opprimente provata poco prima.
“Lasciate
riposare Forgia adesso e tu” disse rivolto all’amico “ricordati che m’hai
promesso che stasera cercherai di mangiare”.
E così dicendo
si alzò dalla sedia su cui era seduto e se ne andò, bruscamente, senza dire
altro.
Era l’unica cosa
che poteva fare, l’unico modo che aveva trovato per non mettersi a gridare.
Era
semplicemente scappato. Scappato da delle parole che non avevano senso e
dall’ansia che gli aveva catturato il cuore appena sentito quel che era successo
ad Aaron, scappato dal fluire del suo sangue che lo assordava e dal grido che a
stento riusciva a trattenere.
Ma le parole,
l’ansia, il sangue e le grida andarono con lui, lo seguirono fuori da quella
stanza quando a stento riuscì a trattenersi dal correre; lo seguirono fuori da
quel castello nelle stalle quando slegò il suo cavallo e gli montò sopra; lo
seguirono nell’aria che gli urtava il viso e gli scompigliava i capelli.
Cavalcava da
diverso tempo ormai, quando si fermò di fronte ad una vista stupenda: il mare.
Era sera, le prime stelle si rispecchiavano nell’acqua e Nero, dalla cima della
scogliera, cercava nei flutti che s’infrangevano lì vicino la ragione per cui
era arrivato lì.
La trovò
immediatamente e l’impatto fu di tale violenza che lo fece gridare. Lì
lontano da tutti poteva farlo, il mare avrebbe mantenuto il suo segreto.
Nonostante
l’apparenza, nonostante la freddezza che dimostrava, Nero non era mai stato un
uomo dai sentimenti moderati, non riusciva a modularli quando questi si
trovavano al suo interno. Aveva imparato la pacatezza, il suo acume mentale gli
aveva permesso di avere il controllo della maggior parte delle situazioni in
cui si era trovato, il suo carisma aveva fatto il resto. Ma a volte,
subdolamente, emergeva dal suo subconscio quella forza che l’aveva spinto ad
abbandonare casa, che l’aveva mandato in guerra e che ora l’aveva portato di
fronte al mare, in una notte di dicembre.
Un istinto
irrazionale che prepotentemente prendeva il sopravvento.
Bisbigliò al
cavallo di non muoversi, e cominciò a camminare sulla scogliera, non staccando
mai gli occhi dal riflesso luminoso della luna sul mare.
Aaron. Pensava a
lui, tutto nel suo corpo lo sussurrava. Finalmente, lo aveva ammesso a se
stesso, pensò, sorridendo sarcastico. L’angoscia provata quando aveva sentito
che l’avevano pugnalato si liberò in quel sorriso e nelle lacrime che gli
riempirono gli occhi: lo liberavano dalla tensione che aveva provato.
Avrebbe voluto
vederlo ed assicurarsi personalmente che stesse bene, avrebbe voluto sentire
ancora la voce che ormai era diventata indispensabile.
Si sedette sui
sassi e lasciò che il vento gli accarezzasse la pelle e che sciogliesse la
tensione. Qualche lacrima rigò di nuovo le sue guance. Non riusciva a liberarsi
dell’idea che era stato possibile perderlo. Ripensò al suo viso, al continuò
cambiare dei suoi occhi e di quel turchese inquieto e solo questo pensieri
riuscirono a smaltire gli ultimi residui di paura che ancora provava. Era così
spossato che si sdraiò del tutto a guardare il cielo. Rise di quelle lacrime che
si stavano seccando e con una mano si asciugò gli occhi.
“Voi mi avete
stregato l’anima” bisbigliò e il mare raccolse anche quel segreto e lo custodì
fra le sue onde nascondendolo silenziosamente fra i flutti.
Quando tornò al
castello era ormai notte fonda. Avrebbe voluto avere Cleto lì vicino a sé, ma
l’amico era in viaggio per Londra e sarebbe tornato solo dopo qualche giorno.
Alcuni uomini di guardia lo riconobbero e lo salutarono, lui rispose con un
cenno distratto. La sua attenzione era stata catturata dal fuoco che brillava
sul torrione. In quella notte stellata, le fiamme danzavano alte e ripensò al
conforto che quello steso fuoco gli aveva dato la notte del suo arrivo. E lo
stesso conforto lo percepiva ora, sotto un cielo limpido, bagnato da un’aura
dorata di un uomo che non era neanche consapevole di possederla.
Ancora. Di nuovo
un brivido violento. L’istinto di correre e andare cercarlo e vederlo, togliersi
dalla mente quell’ultimo dubbio riguardante le sue condizioni fisiche,
assecondare i suoi occhi che volevano giocare con quei capelli biondi.
E poi…
E poi non si
poteva perché era notte, perché non si disturba il sonno di nessuno, soprattutto
il suo, perché questa era la follia, la sua solita follia che lo conquistava a
volte e non lo faceva ragionare.
E poi…
E poi ancora,
una necessità irrazionale di sentirlo e di lasciare che quella voce lo
calmasse, lo avvolgesse e lo cullasse.
Di nuovo. Ancora
la necessità di gridare per controllarsi, di trovarlo per quietare il suo animo
e di sussurrare il suo nome:
“Aaron”
E Aaron era lì,
di fronte alla porta delle sue camere, dove Nero era arrivato senza
accorgersene. La luce era poca, la candela illuminava a malapena una parte del
suo viso, ma era lì.
Nero sorrise, un
sorriso liberatorio e fresco, quando lo vide.
L’aveva chiamato
semplicemente col suo nome, in quella quiete ritrovata, ma non trovò scuse per
giustificare il proprio atteggiamento, l’altro non ne chiese.
“Non m’aspettavo
di trovarvi qui” disse Aaron con la voce che non era ferma come al solito.
“Ho sentito
quello che è successo alle cave”
Aaron annuì “Me
lo sarei dovuto aspettare da Riverwood, ma come vi avranno raccontato, sono
stato protetto. Non ho ancora avuto modo di ringraziare Luppolo per quello che
ha fatto”
Nero annuì:
“Sono certo si dispiaccia per non aver fatto di più. Ma…”aggiunse, dopo aver
notato una leggera smorfia di dolore sul viso dell’altro “vi sto trattenendo”
Aaron lo interruppe “No affatto, stavo andando a prendere una parte del
medicamento che ho dimenticato, al piano inferiore. Venite con me?”
La stanza in cui
entrarono non era quella dove riposava Forgia, era più piccola e polverosa.
“Non vengo
spesso qui, ma tengo l’indispensabile per quando l’altra stanza è occupata”
sorrise “Mi sono sempre ripromesso di spostare i medicinali da lì e riporli in
un luogo usufruibile sempre, ma ho sempre rimandato!” si prese in giro.
Nonostante fosse notte inoltrata, il parlare col Nero bisbigliando, per non fare
troppo baccano, gli dava un senso d’intimità e una gioia tale che non c’era
dolore alla ferita a distrarlo. Prese un barattolo da una delle mensole e fece
per andarsene.
“Vi aiuto” disse
Nero tendendo la mano per prendere l’unguento.
Esitò per un
istante e guardò il suo interlocutore.
Il suo braccio
decise prima della sua mente, però, e così appoggiò il barattolo sulla mano di
Nero. Aaron sgranò gli occhi, stupito dal suo stesso gesto e rimase così con la
mano appoggiata su quella di Nero. Tremava di paura, ma non lasciò la presa,
nonostante sapesse di doverlo fare. Cercò qualcosa - una rassicurazione, una
parola, una decisione - dall’altro, ma non arrivò nulla: non si può dare cosa
non si ha e Nero non riuscì a fare altro se non tentare di controllare il suo
respirò ed avvicinarsi.
L’aveva detto e
voleva farlo davvero: aiutarlo e vedere quella ferita che pareva essere stata
inflitta a lui stesso.
Fece un passo
avanti e guardò la spalla di Aaron, cercando la stringa da tirare. La prese, con
la mano libera e la sfilò, lentamente fino a che il nodo non si sciolse, con un
rumore che in quel silenzio, rimbombò. Un lembo di tunica ricadde sulla spalla e
mostrò un’altra stringa e un altro nodo da sciogliere. Anche lui fu disfatto,
ma emise un suono che sembrò più tenue. La tunica si aprì sulla spalla, con un
fruscio leggero che rimase nell’aria per un istante ma sembrò spaventare i due
uomini, che si guardarono.
D’istinto,
entrambi strinsero leggermente la mano, quasi a comprova che tutto questo fosse
reale, che non era importante sapere di chi fosse quel respiro accelerato,
perché era di entrambi. Così come la mano calda, stretta intorno al barattolo o
quell’indugiare su un momento infinito.
Nero guardò poi
la ferita, ancora fresca e fu allora che cedette: l’ansia e la paura provati
quel pomeriggio e la confusione di quella sera si liberarono e lo abbandonarono
in un sospiro, svuotandolo.
Chiuse gli occhi
e appoggiò la fronte su quella spalla nuda. Svuotò il petto dall’aria rimasta lì
per troppo tempo, lasciando posto al profumo di
quella pelle.
***
Devo ringraziare tantissimo
Love_in_idleness, per la sua bellissima recensioni. So che leggere una
long story a capitoli è sfibrante a volte, ma se questo può essere di qualche
consolazione, Liberaci dal Male è conclusa, perciò verrà aggiornata velocemente.
Contenta anche che i dettagli saltino all'occhio, per me sono davvero
importanti. Un bacio. E poi vorrei anche ringraziare emerald_01.
Sono proprio felice che tu "sia uscita dall'ombra" e abbia recensito. Leggere un
feedback dà sempre una certa carica. Sapere poi che si riesce a caratterizzare
bene dei personaggi, la dà ancora di più ^_^ E poi sì, Aaron è tanto tenero *_*
Armelle, non immagini cos'abbiano provocato le tue parole XD Uno
dei "fini" di liberaci dal male era la costruzione di una storia d'amore
"credibile". Pur essendo una che scrive yaoi, non mi piacciono molte delle
storie yaoi (e molte delle storie in generale), perchè narrano di innamoramenti
poco credibile "Lui lo vide, gli sorrise e ne rimase abbagliato per la vita".
Troppo semplicistici. Va bene il colpo di fulmine, ma credo sia importante dare
delle basi solide. Aaron e Nero spero le abbiano ^_^ Stateira XDD
*me porge i sali* Come capisco il giogo, l'incubo, la piaga che costituiscono
"gli esami". °_° Non ti offro un bicchierino di rhum per le serate nefaste
(altrimenti ti addormenti), ma è come se l'avessi fatto. A fine sessione,
si festeggia ^_^
Un bacio grande a tutti quelli che
leggono.
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