Prima di tutto: Buona Pasqua! E buona indigestione di
cioccolato!!!
Come anticipato mesi fa, ecco
un’altra delle fic lasciate ad ammuffire nel pc.
Ho diverse bozze in cui i nostri amati sfigati
eroi diventano temporaneamente animali (più o meno senzienti) e prima o poi
creerò una raccolta di tutte le shot.
Dopo l’assaggio di Arthur-aquila
in Linette, per ora, godetevi questa.
Crack!fic fluffosa. Pre-slash
e hints merthur. Arthur è re, ma l’arwen non esiste. ‘What if?’, perché la magia di Merlin è già stata rivelata e
accettata dall’Asino Reale.
Storia
dedicata ai miei preziosi, pazzi lettori, che mi seguono in ogni follia (detto
con tanto amoreh!)
Grazie per il vostro sostegno. Ogni commento che mi lasciate è una botta di
vita che mi dà l’entusiasmo necessario per scrivere ancora, anche se il tempo
manca, anche se i casini sono tanti.
Vi
abbraccio.
ely
<>O<>O<>
Arth-Rat Pendragon
(O
Arthur Ratdragon, che dir si voglia…)
Era quasi mezzodì, quando Arthur fece stancamente ritorno negli
appartamenti reali per pranzare dopo l’ennesima, infinita e noiosissima
Riunione del Concilio.
Ma ovviamente quell’idiota del suo servo era
come sempre in ritardo, considerò, quando fu accolto dal silenzio più
assoluto e dal caos più completo, segno che il suo valletto personale non si
era ancora degnato di riordinare le stanze, come invece avrebbe dovuto fare.
Il re si sedette a tavola e borbottò il proprio malcontento,
decidendo di ingannare l’attesa versandosi qualcosa da bere, perché aveva
discusso a lungo su tasse e dazi, e si sentiva la gola
riarsa e un’emicrania incipiente.
Distrattamente, quindi, prese una delle coppe e impugnò la
caraffa di vino sul tavolo, quando, all’ultimo istante, preferì optare per uno di quegli intrugli ricostituenti che Gaius gli
forniva regolarmente a colazione, e che quel mattino non aveva ancora bevuto. Forse, così, il mal di capo sarebbe stato scongiurato.
Stappò la fiala colorata e trangugiò il miscuglio in un sol
colpo.
Un’improvvisa vertigine lo colse e, mentre il mondo si
faceva tutto nero, Arthur imprecò, realizzando l’errore.
Quella non era una brodaglia
di Gaius. E dannazione a Merlin, e ai suoi esperimenti da fattucchiere bislacco
dimenticati in giro!
***
Fu un urlo tremendo e assordante a destarlo di colpo.
Stordito, Arthur sbatté le palpebre e si guardò attorno, in
cerca del pericolo, dell’allarme, ma non capiva dove
fosse, la sua visuale era confusa e parziale.
“Un topo! Un topo
nelle camere del re!” strillò nuovamente la voce femminile.
Oh, Gwen! Era solo Gwen,
considerò Arthur, riconoscendo l’inflessione familiare. E tutto questo fracasso per un misero sorcio!, valutò poi, mentre lui, il sovrano di Camelot, era
svenuto e vittima di chissà quale avvelenamento magico ad opera di
quell’imbecille di Merlin!
“Gwen, aiutami!” cercò di dire, ancora
ottenebrato, ma la voce non gli uscì. Udì solo uno strano cigolio.
“Vattene, brutto topo, vattene!”
riprese Guinevere, avvicinandosi a lui a passo di
carica.
“Gwen!” ritentò sgomento,
rimanendo ignorato.
Arthur cercò di allungare le braccia per risollevarsi, ma –
con suo sommo orrore – si ritrovò davanti al naso un paio di pelose zampette
artigliate e, toccandosi il viso, si scontrò con un musetto appuntito e dei
lunghi baffetti vibranti.
Inaspettatamente, egli si vide piombare addosso
una fascina di saggina – la scopa con cui Merlin puliva i pavimenti e
che aveva francamente visto tempi migliori –, e riuscì a sfuggire al colpo
ferale solo grazie ai suoi riflessi pronti di abile guerriero.
“Aspetta che ti acchiappi!” si sentì dire, di rimandò, con una cattiveria così estranea alla dolce Gwen che conosceva da lasciarlo tramortito. “Brutto latore
di epidemie!”
Coraggiosamente, Arthur
fuggì da lei.
Poiché quello non era un combattimento ad armi pari e ogni esitazione poteva costargli la vita, il cavaliere prese a
correre zigzagando per la stanza, per confonderla come avrebbe fatto sotto ad
una pioggia di frecce nemiche, e poi finse di nascondersi in prossimità del
canterano, finendo invece per trovare riparo sotto al letto, nei cumuli di
polvere, dove Merlin non puliva mai.
Osservò col cuore in gola l’ancella chinarsi per controllare
la base del cassettone, e poi verso l’armadio, cedendo infine, a malincuore, e
abbandonando la caccia.
Ella si risollevò, spazzolandosi la
gonna sulle ginocchia e ripose la biancheria pulita che era venuta a portare, poi
borbottò qualcosa sulla necessità di disinfestare il luogo e se ne andò.
Rimasto solo, Arthur si accorse che stava ancora tremando,
per lo spavento e lo sconvolgimento di quella che poteva essere la sua morte
prematura.
Successivamente, cercando di
dominarsi, iniziò un’ispezione più razionale del proprio corpo a partire dalle
orecchie che – dannazione! – erano diventate giganti come quelle di Merlin,
finendo con la coda – una lunga, sottile, codina che non poteva ignorare.
Avrebbe spedito Merlin
alla gogna per un secolo almeno!,
giurò fra sé, uscendo dal suo nascondiglio di fortuna e arrampicandosi sul
letto tramite le coperte. Seminascosto dai tendaggi, non avrebbe dato nell’occhio
e, una volta che quell’idiota fosse tornato a cambiare le lenzuola, si sarebbe
fatto riconoscere, sempre che quel mago
da strapazzo non decidesse di ucciderlo prima con la propria idiozia.
***
Doveva essersi appisolato, avvolto fra le lenzuola, perché fu
il fischiettare allegro del suo scudiero a risvegliarlo.
Per un lungo, eterno istante, Arthur sperò ardentemente di
aver fatto solo un sogno bislacco, ma la cruda realtà lo colpì in pieno, completa
di zampe e pelo.
Merlin, intanto, si avvicinò al tavolo
dove posò il vassoio col pranzo per il re e poi si diresse verso il baldacchino
a passo veloce, agganciando le tende sui quattro supporti, pronto a riordinare
il letto del suo padrone, partendo dai cuscini che doveva sprimacciare.
Arthur aveva ipotizzato diversi modi per attirare la sua
attenzione e far sì che quell’idiota trovasse la cura del suo male…
Ma solo quando i loro occhi si incontrarono,
il sovrano di Camelot sentì riecheggiare nella mente le
grida ossesse di Gwen e si rese conto che Merlin
avrebbe potuto avere la stessa reazione e farsi spuntare un insano desiderio di
regicidio.
Nel momento in cui il suo servo effettivamente lo vide,
Arthur fu convinto che lo avrebbe colpito, o lo
avrebbe catturato, oppure gli avrebbe lanciato contro qualche sgradevole
incantesimo, ma il suo valletto non fece
niente di tutto questo.
Merlin lo guardò e gli sorrise
dolcemente, piegando le ginocchia ossute per essere col viso al suo livello.
“Ehi, ciao…” lo salutò, allungando piano una mano. E Arthur si
ritrovò paralizzato dalla sorpresa.
Si era aspettato di
doversi difendere, di dover scappare nuovamente, non
certo questa gentilezza. E perché non
riusciva a fuggire? Dov’era finito il suo istinto di sopravvivenza? Si sentiva
come se fosse stato incantato…
“Ciao…” ritentò il mago, accarezzandogli la testolina con un
dito. “Che ci fai qui?” domandò retorico, e un po’ impensierito. “Se Arthur ti vede, è la volta buona che mi mangia vivo!
Sai, senza offesa, ma è un po’ suscettibile
sull’argomento ‘topi’ dopo la volta dello stufato di rat-”
Merlin si era interrotto, mettendosi una mano sulla bocca e Arthur chinò la testolina,
incuriosito.
“È una brutta faccenda…” gli confidò,
cospiratore. “E spero non ci fosse di mezzo qualche tuo
parente… Beh, no, direi di no. Non ho mai visto un
topo di campagna con questo colore così chiaro, sembri quasi dorato!” si
meravigliò, accarezzandolo di nuovo.
Arthur mosse i baffetti, ma non si sottrasse al suo tocco.
“Sei davvero carino, sai?” lo lusingò Merlin, con quel
sorriso che faceva smuovere ogni volta la pancia del re, anche se lui preferiva
ignorarlo.
“Ma non puoi stare qui…” lo avvertì.
“Oggi pomeriggio devo raccogliere delle erbe per Gaius fuori dalle mura, potrei
liberarti lì, lontano dai gatti del castello… sono dannatamente bravi a
cacciare, ci crederesti?”
Arthur frustò l’aria con la codina, in disaccordo. Quei quattro sacchi di pulci con le vibrisse
non si erano mai resi utili, né in cucina né nelle stalle reali. Erano troppo
grassi e pigri per fare un lavoro decente di sorveglianza, sempre a
sonnecchiare davanti ai camini del castello; i suoi cani, invece… beh, la sua
muta da caccia era completamente un altro discorso, quella sì che sapeva il
fatto suo e – modestia a parte – era il suo orgoglio!
Merlin lo distrasse dai suoi pensieri quando lo raccolse in
mano con gentilezza, per lisciare le coperte del letto con un tocco di magia, e
poi lo ripose giù con altrettanto garbo.
“Hai fame?” domandò il servo. “Beh, sei bello
grassoccio per essere un topo selvatico!” riconobbe, facendo inalberare il
nobile Babbeo, che si indignò gonfiando le guancette
pelose senza sapere che, così facendo, sembrava piuttosto buffo anziché
intimorente. Merlin si limitò ad acuire le labbra arricciate in un’espressione
ancor più sciocca. Salvo poi fermarsi a riflettere, battendosi un palmo della
mano contro la fronte.
“Oh, cielo! Ma forse sei così grande perché sei una signora Topina
e sei incinta!”
Arthur squittì con orrore.
“Io… mi dispiace, capisco che devi trovarti una tana, ma… Non
puoi fare il nido nelle coperte del re! No, no, no! Mi manderà
alla gogna!”
Il giovane Pendragon
sibilò protestando e si levò sulle zampe posteriori per spalancare le braccia
come a dire ‘Guardami, idiota!” ma giusto in quel momento lo stregone deviò lo
sguardo come se, solo ispezionando l’ambiente circostante, avrebbe trovato una
soluzione.
“Oh, ma dov’è il signor Topino?” chiese, sembrando
sinceramente preoccupato.
Arthur roteò gli occhi, seccato.
“Accidenti!, spero che non sia
finito in una delle nostre trappo- ehm…” Il valletto
si morse la lingua, interrompendo il flusso delle sue scomode supposizioni. “Senti,
non… Non ti devi preoccupare”, riprese, cercando di sembrare positivo. “Anche
mia madre mi ha cresciuto senza un padre e guarda come sono venuto su!”
rassicurò, con un sorriso incoraggiante. “I tuoi cuccioli staranno benissimo!”
Arthur avrebbe dovuto essere
dispiaciuto per lui e la sua perdita, se non fosse stato così sconvolto. E irritato.
Com’era possibile che
quell’idiota l’avesse scambiato per una sorcio
incinto?
E, per amor di tutti
gli dei!, in quale mente malsana era normale
conversare con un dannato ratto?
Fu solo dopo tre lunghi respiri, per riprendere dominio di
sé, che Arthur arrivò ad una specie di conclusione.
Forse Merlin era abituato,
tramite la sua magia, a comunicare con gli animali, in qualche modo.
Per questo, pur non aspettandosi una vera e propria risposta,
il suo servo sembrava convinto che lui lo capisse.
Oppure Merlin era solo
un Caso Perso e, tante grazie, bisognava tenerselo così.
“Uhm… e se invece… beh, potrebbe essere che la tua pelliccia
sia solo particolarmente folta?” meditò il
mentecatto, e il re fu sul punto di gettare la dignità alle ortiche e di buttarsi
a pancia all’aria solo per mostrargli i virili attributi – benché
considerevolmente rimpiccioliti, Arthur
era certo che c’erano – e sfatare ogni ulteriore dubbio.
Ma le campane di mezzogiorno
risuonarono nella piazza e Merlin sbuffò, smettendo di arrovellarsi il cervello
con le sue strampalate ipotesi, per avvicinarsi alla finestra e sbirciare l’andirivieni
della gente nel cortile esterno.
“Ecco! È mezzodì e Sua Maestà non si degna ancora di
arrivare! E poi si lamenta con me, perché sono sempre in ritardo!”
Arthur ringhiò oltraggiato, ma uscì solo uno squittio acuto
e assai poco intimorente, per questo si lasciò scivolare giù dal letto e corse lesto ai piedi del suo valletto, pronto a morderlo per
fargli sentire il fatto suo.
“Beh, è un Asino Reale… ma almeno si impegna
in ciò che fa…” aggiunse il mago, inaspettatamente, facendo fermare il re un
istante prima di piantare gli incisivi sul cuoio dei suoi stivali logori.
Merlin non se n’era accorto, perché continuava a fissare
oltre il vetro, assorto. “Ci mette il cuore nell’addestrare ogni cavaliere e
ogni recluta del regno, perché ogni soldato deve proteggere Camelot, ma deve anche salvarsi e poter tornare alla
propria famiglia…
Arthur è un buon re, è legato al suo popolo ed è coraggioso
e giusto, si batte per le cose in cui crede.
È impossibile non amare un sovrano così…”
sussurrò, con lo sguardo perso ben oltre la finestra che dava sulla piazza.
Arthur rimase immobile, sinceramente stupito di
quell’accorata dimostrazione di elogio.
Certo, l’idiota del suo servo – proprio perché era un idiota! – gli aveva ribadito
la sua cieca fedeltà un’infinità di volte da che si erano conosciuti e
generalmente l’aveva fatto sempre nei momenti peggiori, quando una grave
disgrazia aveva colpito il regno, e le cose volgevano al peggio, o quando la
fiducia di Arthur stava per vacillare.
Ma anche adesso, ad uno stupido
topo, Merlin confidava la sua devozione incondizionata e il re sentiva ancora
una volta quella stretta allo stomaco che non aveva nulla a che fare con la
fame.
E c’era anche uno
strano tepore dentro nel petto, tutto nuovo, ma doveva
essere colpa della pelliccia da roditore.
“Oh, sei qui?” si sentì dire, scrutando il suo valletto da
sotto in su. “Per favore, non andare in giro, o
finiremo entrambi nei guai…” lo supplicò il mago, raccogliendolo da terra per
poi appoggiarlo sul tavolo, accanto al vassoio del pranzo.
Merlin allungò una mano e recitò un incanto per mantenere
caldi i cibi. Arthur osservò affascinato come il bagliore d’oro inondò il
piatto, dove delle gigantesche cosce di pollo fumanti erano
grosse il doppio di lui.
Non si era mai accorto
di mangiare così tanto.
Forse Merlin aveva un po’ ragione a dire che stava
ingrassando... e c’era bisogno di un nuovo buco da aggiungere alla cintura…
Ma il re, a discapito dei buoni
propositi, sentì l’acquolina in bocca e la pancia gorgogliare.
“Vuoi un pezzetto di formaggio?” si sentì offrire, come se
lo stregone gli avesse letto nel pensiero.
Assecondando il suo spirito di cavaliere, avrebbe voluto
rifiutare per amor proprio, ma si ritrovò con le zampette allungate prima
ancora di sapere come e, un momento dopo, affondò il musetto nel miglior cacio del mondo.
“Hai tanto appetito, tu, eh?” constatò
il suo servitore, sorridendogli con infinita tenerezza.
Arthur si bloccò a metà di un boccone, con le guancette ancora goffamente piene, osservandolo.
Avrebbe ceduto
miserevolmente altre cento volte, perché era bello vedere Merlin felice semplicemente
perché stava nutrendo in piccolo animaletto indifeso.
Quell’impiastro dal
cuore tenero era fatto così, rifletté il sovrano. Sembrava capace solo di raccattare esseri bisognosi e indigenti e lo
faceva senza mai aspettarsi qualcosa in cambio.
…Anche con lui succedeva
sempre. Non importava che fosse un nobile e il suo padrone, Merlin si prendeva cura
di lui. E lo faceva con dedizione e affetto.
Certo, brontolava continuamente e criticava impunemente ogni
sua regale scelta, ma poi era quello pronto a raccattarlo quando era stanco e
stremato dagli allenamenti, quando erano in battaglia e gli curava le ferite, quando
metteva a repentaglio la propria vita per salvare la sua (magia o non magia), quando con un solo sguardo sapeva capirlo e
anticipare i suoi desideri, o quando con un sorriso rimetteva a posto anche la
più ingarbugliata delle situazioni…
Merlin era così, sì.
Così dannatamente inutile… servitore e amico prezioso.
“Un ultimo pezzetto?” gli chiese lo stregone, porgendoglielo,
e Arthur lo afferrò d’istinto, però lo trattenne a mezz’aria.
Ma perché il suo valletto non mangiava?
Lo sapeva benissimo che l’altro gli sgraffignava
regolarmente dal piatto quello che gli piaceva. A volte, lui lasciava di
proposito degli avanzi puliti per darli al suo servo tutto
pelle e ossa.
Ma fu guardando il vassoio che
comprese. Tutta la parte del formaggio
mancante era considerevole e Merlin si era privato della possibilità di
sfamarsi per darla a lui.
Arthur deglutì a vuoto e allungò indietro il pezzetto ancora
intatto.
“Oh, no. No, grazie”, rifiutò lo scudiero, stiracchiando
amichevolmente le labbra mentre declinava l’offerta.
“Tu ne hai sicuramente più bisogno di me!” motivò. “Cuccioli o non cuccioli, là
fuori non è facile trovare un pasto così buono…”
Stupido, stupido
idiota dal cuore generoso!,
l’insultò re Pendragon, sentendo un peso diverso
nella pancia, lo stesso strano disturbo
che sentiva sempre quando Merlin gli sorrideva.
Sotto al suo sguardo attento, Arthur
fu costretto a consumare il proprio pasto e si rassegnò a constatare che il
mago aveva spiluccato a malapena qualche acino d’uva, prima di riprendere il
proprio dovere e riassettare gli appartamenti reali.
***
“Cerca di non cadere, intesi?”
s’era raccomandato Merlin, accomodandolo fra le pieghe
del suo fazzoletto. “Ora andremo da Gaius a prendere l’elenco delle erbe da
raccogliere e prenderemo le bisacce, poi usciremo dal castello…” lo aveva informato,
spiegandogli le proprie intenzioni. Ma Arthur si era
addormentato quasi subito, tanto era il calore confortevole e l’odore familiare
di Merlin; la stoffa ruvida non era un problema, anzi. Sembrava quasi un nido perfetto per lui, fra le sue pieghe.
Fu solo quando arrivarono ben oltre le
mura esterne che il re venne svegliato e delicatamente appoggiato a terra.
“Adesso che hai riottenuto la tua libertà, penso che sia ora
di salutarci…” incominciò il suo servo, piegato sulle ginocchia
per essergli più vicino. “Buona fortuna!” gli augurò, risollevandosi con
l’intento di dedicarsi al compito affidatogli da Gaius. “E cerca di restare
lontano dai gatti del castel-” Merlin si interruppe quando Arthur, tutt’altro che intenzionato a lasciarlo,
si mise a seguirlo mentre egli s’incamminava.
“No, a-aspetta…” farfugliò, incerto. “Mi piacerebbe tenerti,
davvero, sei intelligente e delizioso…” premise, indorando l’amara pozione. “Ma il mio padrino è un medico, e non è salutare tenere un
topo nel laboratorio dell’archiatra reale”, si rammaricò.
Arthur ignorò l’obiezione ragionevole e accorciò le distanze
fra loro.
“Vuoi restare ancora un po’ con
me?” tirò a indovinare il mago, sorpreso.
Il sovrano fece un ulteriore passo
avanti, per conferma.
“Beh, se non hai niente di meglio da fare, mi fa piacere la tua compagnia!” accordò gioioso, prima di
caricarselo su una spalla per dirigersi dove crescevano le radici medicamentose
di cui aveva bisogno.
***
Arthur avrebbe dovuto fermare quella follia molto prima che
degenerasse in una specie di addio inutile, ma aveva scelto di non farlo.
In realtà, avrebbe dovuto farsi riconoscere fin da subito – o poco dopo.
Quand’era stato posato sul tavolo, nelle proprie stanze, e
aveva ottenuto la piena attenzione di Merlin, mentre lo sfamava, avrebbe potuto rivelarsi.
E se quell’idiota non avesse capito… beh, nel caso peggiore,
lui avrebbe potuto arrampicarsi sulla scrivania e
intingere la codina nell’inchiostro, e usarla come penna d’oca improvvisata per
compilare il proprio nome su una delle pergamene perennemente in disordine
sullo scrittoio.
D’accordo, avrebbe potuto. Ma aveva scelto di non farlo.
Perché… perché sembravano passati secoli da che si era preso
mezza giornata di riposo.
Per una volta, poteva anche concedersi il lusso di lasciare
doveri e problemi a se stessi per un po’. Mezza
giornata di tregua, un momento di egoismo rigenerante.
Ma con Merlin, ovviamente.
Anche concentrandosi, Arthur non riusciva a ricordare quanto
tempo era passato dall’ultima volta che erano stati solo loro due, l’ultima
caccia in cui avevano passato la notte all’addiaccio, stretti per condividere
un po’ di calore. E battute irriverenti e
amicizia, lontani da doveri e ruoli.
Davvero, davvero sembrava trascorsa un’eternità. E (almeno
con se stesso, poteva ammetterlo) gli era mancato tutto questo.
Stare con quel fannullone di Merlin e basta.
Lasciarsi viziare e vezzeggiare senza
fingere di provare fastidio o accondiscendente sopportazione.
***
Arthur era consapevole che Merlin doveva avere la schiena in
pezzi dopo essere rimasto chino, per ore, a raccogliere erbe medicinali e
radici per gli intrugli di Gaius. Eppure non si era mai lamentato.
Di tanto in tanto, il suo servo gli lanciava un’occhiata e
lui simulava disinteresse lisciandosi la codina per passare il tempo, ma non si
perdevano mai di vista, reciprocamente.
Quando l’apprendista dell’archiatra terminò con un sospiro
soddisfatto, il re ne fu quasi deluso. Era
quindi tempo di tornare a casa e tutto sarebbe finito.
E invece il suo scudiero lo stupì una volta di più, perché
richiuse le bisacce e le abbandonò a se stesse. Dopo averlo raccolto e cullato
fra le mani, si diressero ad uno stagno poco lontano –
era davvero solo una pozzanghera, ma l’acqua sembrava limpida –, e Merlin si
dissetò e rinfrescò.
Quel pomeriggio di fine estate non era particolarmente
caldo, tutt’altro, ma il mago era tutto sudato e stanco da quella faticaccia.
Sfilandosi gli stivali scalciando, si lasciò cadere seduto
sulla riva, sospirando di beatitudine nel momento in cui i suoi piedi finirono
in ammollo, trovando l’agognato refrigerio.
Successivamente, confermando la sua
innata premura, lo stregone preparò un nido di erba fresca e morbida,
intrecciato con la magia, dove depositò il topino; e, a sua volta, si lasciò
cadere all’indietro, a braccia spalancate, riposando.
Ma Arthur, dopo aver tastato quel giaciglio,
decise di disertare l’offerta in favore di un posto molto più comodo e,
approfittando del fatto che il suo servo sembrava sul punto di appisolarsi, inforcò
l’entrata di stoffa al lato della sua mano e si arrampicò su per la manica
della sua casacca, facendogli il solletico, sbucando nello scollo,
nascondendosi fra le pieghe di quell’assurdo fazzoletto che non mancava mai.
Merlin reagì agitandosi un po’ e ridendo, impreparato a
quell’assalto, perché effettivamente le sue zampette da roditore dovevano
averlo stuzzicato o forse era stata colpa della sua pelliccia troppo morbida.
“Non dovresti fare dispetti, sai?” lo sgridò, con assai poca
convinzione in verità, senza darsi pena di aprire gli occhi.
Arthur squittì, dimostrando il suo punto e, per rabbonirlo, il
mago gli grattò le orecchie e gli lisciò il pelo.
Anche da topo, il suo servo sapeva benissimo come farlo
capitolare e difatti il re si lasciò coccolare, strofinando il musetto contro
il collo di Merlin con beatitudine, facendosi cullare dal suo respiro regolare,
dal battito del cuore che sentiva pompare nella vena sottopelle contro cui si
era rannicchiato. Era un suono confortante, e Arthur si addormentò.
Poi… poi, a cose
fatte, quando avrebbero fatto ritorno al castello, e tutto sarebbe tornato alla
normalità, lui avrebbe sempre potuto fingere che, come topo, non aveva capito
niente, e non ricordava nulla di ciò che aveva vissuto nelle veglie da
roditore, ma le parole del suo servo – del suo amico, e forse qualcosa di più – gli rimbombavano ancora dentro,
riscaldandolo. E quel tepore non c’entrava niente coi tiepidi raggi di sole di quel pomeriggio di fine estate.
-
Fine -
Disclaimers: I personaggi, citati in questo racconto, non
sono miei; appartengono agli aventi diritto e, nel fruire di
essi, non vi è alcuna forma di lucro da parte mia.
Anche le immagini non sono di mia proprietà, ma le trovo
deliziose ed è così che mi immagino Arty. XD
Ringraziamenti:
Alla mia kohai che subisce le mie paranoie. X°D
A Laura, per il suo entusiasmo! <3
Note: Ho un debole per Arthur
e Merlin trasformati in animali, penso si sia capito. ^^’’
Quando si parla di Arthur
ingrassato e dei buchi alla cintura, credo che i riferimenti al TF siano
chiari.
L’accenno allo stufato di ratto si
rifà all’episodio 1x11 “Il labirinto di Gedref”.
Vorrei spendere due parole sul
comportamento di Gwen. Non era mia intenzione renderla ‘cattiva’ verso Arthur-topo, semplicemente credo che lei abbia più senso
pratico di Merlin. Un topo va cacciato, punto.
Il nostro mago, invece, ha
notoriamente il cuore tenero. So che, messo alle strette, anche lui ha ucciso
animali per sfamarsi, ma lui è contrario alla caccia per hobby e come
dimenticare le sue lacrime di commozione davanti alla piccola Aithusa o per il povero unicorno? Ecco, di
fondo, me lo immagino così. Lui avrebbe dato ospitalità al topino
anziché cacciarlo malamente.
E voi cosa ne dite? Avete
interpretazioni diverse dalla mia?
Avviso di servizio
(per chi segue le altre mie storie):
Waiting for you cap. 8 è stato
aggiornato pochi giorni fa.
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recensioni.
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(Chiunque voglia aderire al messaggio, può copia-incollarlo dove meglio crede)
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Grazie (_ _)
elyxyz