Hélene amava
profondamente il teatro, lo amava nello stesso modo in cui un carcerato poteva
amare ogni singola ora d’aria. Era capace di salire con la stessa, disperata
intensità quei pochi gradini che la separavano dal palco: oltrepassava la tenda
o il buio percorso prima dei riflettori, e una volta giunta nel quadrato nero,
finalmente viveva.
Lui la
ricorda così, tremante come una foglia prima di quel singolo passo e spavalda fino
all’inverosimile mentre calcava la scena. I gesti delle mani così aggraziati, eppure così potenti. Sapeva guardare il
pubblico come se in realtà si trattasse di una sola persona: così, dritta negli occhi. Ti trascinava
con lei nella sua lenta ed inesorabile follia, nei suoi annegamenti di parole,
nei suoi drammi borghesi, costringeva l’inconsapevole spettatore ad una morte
dolce e violenta, ad una rinascita inaspettata, sofferta e non voluta.
Hélene era
così: sul palco si riprendeva
finalmente la propria libertà, come un tiranno.
Lui la ricorda così.
Hélene era
così.
A Coral
Room
A e r i a l
[ I hear her laughing
She is standing in the
kitchen
As we come in the back door
See it fall
And what do you
feel? ]
È in un
locale ampio, male illuminato – le luci
troppo sfumate ed evanescenti, come un esercito di fuochi fatui pensa.
Qualcuno canta una canzone di qualche anno fa; qualcuno, una donna. Ha capelli
neri come petrolio – o forse solo la luce, la luce nera, il fuoco fatuo. Ascolto la tua vita, sta dietro di te,
dietro la porta. Che cosa senti? continua a cantare, la donna di petrolio.
Ha una voce bellissima, osserva. Aspira ancora il fumo della sigaretta appena
consumata e non si sforza di ricordare l’ultima volta in cui si è seduto in
questo tavolo. Lo sa benissimo, ricorda benissimo. Un’altra boccata di petrolio.
Ascolto la tua vita.
Quando la
canzone finisce, lui si alza. Si alza mentre ancora il suono degli applausi
piomba su tutti, in maniera quasi intollerabile. Quegli applausi pesano come
litri e litri d’acqua, gli è difficile anche camminare e la vede di sfuggita
mentre si inchina, con i suoi nastri e i suoi guanti, tutta vestita di petrolio,
ad occupare quel posto.
Quel posto
che, lui specifica nel pensiero, non potrà mai più essere di nessuno.
Fuori dal
locale, l’aria gelida gli artiglia i polmoni senza un briciolo di pietà
cristiana. Si ferma e tossisce, pensa che è tardi. Pensa. È come una notte
bianca di Dostoevskij, sai? Dice al barbone che giace semisvenuto nella traversa
a destra. Questa è una notte bianca come il petrolio, e anneghiamo, anneghiamo.
Anneghiamo nei ricordi freddi e fumosi.
Via la
cicca. La scintilla dell’ultima brace sparisce sotto la suola del suo
scarponcino e una lama di luce gli sbarra la strada. È la donna di petrolio col
volto di gabbiano, venuta a strappargli via anche l’ultimo straccio di decenza.
Vieni, dice. Ma lei non capisce, non
capisce che oggi è e s a t t a m e n t e
un anno che lei è scomparsa. Trecentosessantacinque giorni di finzione lei
direbbe, senza nemmeno la possibilità di una recita, piccola piccola, di un
metro quadrato in cui essere noi stessi, in cui vivere al riparo di un copione,
di una maschera, di un vestito fatto su misura solo, esclusivamente per noi.
E lei dice
vieni, ho sentito la tua vita finire.
Vieni.
Nel camerino
in cui tutto è silenzio, tra luci, trucchi, vestiti – e si sente così a suo agio, le rose, dove
sono le rose? – prende posto davanti a lei. Sa cosa vuole, lo sa
benissimo.
Fin troppo
bene.
<< Un
anno, eh? >>
<< Si,
un anno. Un anno cinque minuti fa. >>
<< Un
anno. >>
<< Un
anno, già. >>
Pausa. Lei
disegna una strada immaginaria sulle vene del braccio.
<< Hai
mai scoperto…? >>
<< No
– lui la interrompe – no, e non lo so tutt’ora. >>
<< Non
immagini. >>
<< Non
immagino. >>
<< Non
pensi. >>
Lui la
guarda. Non aveva capito niente e non ne
aveva alcun bisogno.
<< Lei
era brava. >>
<< Si.
>> E non dice, lo era. Come
potrebbe? È passato solo un anno.
<< Mi
piaceva la sua Antigone. >>
<<
Antigone? >>
<< Si
si, Antigone. >>
<< A
lei no. Lei odiava Antigone. Lei era tutta per Ismene. >>
<<
Ismene? Proprio Ismene? >>
<<
Ismene, già. >>
Un’altra
pausa. Quanto durerà questa pantomina? Sono già le due. È tardi, e lui è stanco,
deve dormire, vuole la sua seconda vita segreta, la sua terra promessa, lui
vuole il sogno di libertà, secondo modo per sfuggire a tutto questo orrore. E
lei chiede ancora, la donna di petrolio è più crudele dell’aria gelida che lo
aspetta fuori.
<< E
al cimitero? Ci vai mai, al cimitero? >>
<< No.
>>
<<
Nemmeno per un fiore? >>
<< No.
>>
<< Lei
li avrebbe voluti. >> Non era una
domanda.
<< Lo
so. >>
<< Li
avrebbe voluti, lo sai. >>
<< Si,
lo so. >>
La donna di
petrolio si alza, lo schiaffeggia, cerca nell’occhio una lacrima e vede ad un
tratto la verità, la verità vera
quella che il tipo del libro che giace da secoli sul suo comodino dice essere
simile ad un pozzo senza fondo, da cui non si riemerge. E lei ci sprofonda, si
sente cadere. Poi si salva, distoglie lo sguardo. Gli dice di andare.
<< E
tu, dove andrai adesso? >>
Ha sete di
qualcosa ora. Non alcool. Qualcosa di più puro, di più acuto, di più profondo.
Vorrebbe qualcosa di Hélene, dentro di sè, a colarle giù per la gola, a
risvegliarla come solo la sua voce avrebbe saputo fare. Vorrebbe possedere il
segreto di Hélene; apre la porta del camerino e vede ancora il palco
illuminato.
<< Io
torno a cantare. >>
Ascolto la tua
vita
Sta dietro di te, dietro la
tua porta
Ho sentito la tua vita
finire
Ascolto la sua
vita
Sta dietro di te, dietro il
tuo cuore
Ho sentito la sua vita
finire
Ho sentito la vostra vita
finire.
Cosa senti
adesso?
Cosa senti
adesso?
~
Credits: A Coral Room, Aerial è una
canzone di Kate Bush.
Non è una
bella storia, ma per me è importante. È molto importante, perché qui c’è tutto il mio concetto di
teatro. C’è la mia dottrina, la mia poetica. Questa storia non sarà bella, ma è
importante, come la persona a cui la dedico, la persona che mentre scrivo sta
dormendo o magari pensa ancora a cosa fare o non fare domenica. La dedico alla
mia carissima amica Eleonora, non solo una promettente fanwriter e un’attenta
beta, la dedico alla persona, alla ragazza che ho avuto il grande piacere di
conoscere.
La dedico a
te, Ele. Anche se in ritardo.
Ti auguro
con tutto il cuore di continuare a rincorrere per sempre l’ispirazione, senza
mai raggiungerla pienamente, ti auguro di riuscire a ballare sulla superficie
del mondo, cadendo e rialzandoti, ti auguro di scoprire che non c’è verità a cui
tu possa aggrapparti, perché la fissità è noiosa ed è nel continuo mutare di noi
stessi che viviamo, ti auguro di dondolare al suono del vento nel grano, ti
auguro di perderti e di posticipare il ritrovarti all’infinito. Ti auguro di
vivere ciò che, sai meglio di me, non tornerà mai più.
Ti abbraccio
forte.
Tantissimi auguri per i tuoi 18
anni
Buon Compleanno
Chiara