Remembrance
una fanfic di Myranda
Kalis tradotta dall’inglese da Juuhachi
Go
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al testo originale]
Sora era lieto
di essere a casa. Lo era. Era in un totale deliquio di gioia al pensiero di
trovarsi in un posto reale, che fosse insindacabilmente suo, casa sua per tutta
la vita, il luogo dove aveva fatto ritorno dopo aver combattuto coraggiosamente,
a dispetto del suo antico desiderio di allontanarsene il più possibile.
Per i primi due giorni, Sora si era ritrovato a fermarsi a casaccio per baciare
il suolo o un albero o chissà cos’altro, inondato dal sollievo
di un viaggiatore esausto che in viaggio non era più. Tutto questo si
sarebbe infine affievolito, lo sapeva, ma, per il momento, era contento della
sua casa e dei suoi alberi e della sua spiaggia, del suo cielo e del suo mare.
Ci sarebbero stati altri momenti propizi, in futuro, per nuove avventure ai
confini dei mondi.
Sora era anche
più felice di aver riportato indietro Kairi, e del fatto che entrambi
fossero sani e salvi. Amava Kairi, l’amava con tutto il cuore e tutta
l’anima, di un sentimento così puro e vasto che contenerlo a parole
era impossibile. Quell’amore aveva sostenuto entrambi durante la loro
separazione, aveva guidato e plasmato tutto ciò che Sora aveva compiuto.
Anche quando i ricordi che lo tenevano ancorato alla sua anima erano stati manipolati
e ritorti contro di lui. Anche quando Kairi era stata defraudata in massa dei
propri, e tutto ciò che le era rimasto a condurla erano stati un sentimento
senza nome e la propria fiducia in esso. Quell’amore li aveva ricongiunti,
aveva aperto la via verso la luce, dove nulla avrebbe dovuto esistere, l’aveva
salvato dall’oscurità. C’erano giorni in cui se ne sentiva
così pieno – e si sentiva così pieno di Kairi – che
quell’amore rappresentava l’unica cosa in grado di tenerlo con i
piedi piantati a terra.
Sora non aveva
mai desiderio di estrarre nuovamente il Keyblade senza Riku dietro le spalle,
corazzato dalle ombre, Way to the Dawn alla mano. Mai. In un certo senso, la
perdita di Riku era stata più difficile da affrontare di quella di Kairi,
così come era stato più difficile riportare Riku indietro. L’oscurità
si era insinuata fra loro – sentimenti oscuri, pensieri oscuri, incoraggiati
e nutriti da una creatura dell’oscurità – e nell’oscurità
erano quasi sprofondati insieme, scuse e rimpianti sulle labbra. Ogni tanto,
Sora temeva di svegliarsi, un mattino, per scoprire che Riku se n’era
andato, andato a cercare qualche luogo crepuscolare che meglio s’addicesse
a quella sua anima crepuscolare, dove né la luce né l’ombra
avrebbero potuto sommergerlo. Ma, in quei giorni, Riku gli sorrideva, o diceva
qualcosa nel modo giusto, e tutte quelle paure si dissipavano puntualmente.
Sora aveva recuperato
quel che aveva perduto, e anche di più. La sua casa. L’amore della
sua vita. Il suo migliore amico. Non c’era null’altro che desiderasse,
o che avrebbe voluto chiedere.
Nulla.
Certe notti, Sora
si sveglia di primo mattino, addirittura prima che i cieli si stemperino nei
primi accenni d’alba, e, ad occhi sbarrati, fissa le tenebre: sa che quel
che vi legge dentro non sono sogni che gli danzano dietro le palpebre. Durante
queste notti, rotola giù dal letto, si fa strada attraverso la casa silenziosa,
plana verso la spiaggia e trova un posto dove sedersi, in attesa del sorgere
del sole.
Durante queste
notti, ricorda. Ricorda un ragazzo, un uomo – un uomo così brulicante
di sentimento che definirlo Heartless, definirlo Nobody, è un insulto.
Ricorda labbra espressive, perennemente arricciate in un sorriso, un sogghigno,
un cipiglio, che sussurrano parole brucianti contro il suo orecchio, che gli
premono baci ardenti sulla bocca, la gola, le cosce. Ricorda mani rapide ed
abili che richiamano il fuoco, che si chiudono attorno alle traverse dei suoi
chakram fino a far sbiancare le nocche, gli stringono i capelli, scivolano sotto
al suo mantello, che lo tormentano fino all’orlo della pazzia e poco oltre.
Ricorda un corpo sottile al pari di una lama, più caldo di quanto una
persona vuota dentro avrebbe diritto di essere, premuto con forza dietro di
sé, con le braccia allacciate al suo collo con fare possessivo, raggomitolato
nel letto contro di lui, il viso fra i suoi capelli, a fremere impotente sotto
di lui, lucido di sudore, la schiena inarcata a pretendere di più, di
più, ancora di più.
E si ricorda con i polsi inchiodati sopra la testa, le gambe deboli e molli
come spaghetti bagnati mentre il suo amico – il suo amante – gli
restituisce il favore. Ricorda i baci affamati e disordinati, ricorda i preziosi
momenti di passione e conforto rubati fra i tradimenti e il sangue e la violenza.
Ricorda capelli di fuoco e vividi occhi verdi, lacrime dipinte e una voce di
seta che sciorina scherno e minacce e promesse.
Ricorda la disperazione,
in quegli occhi, il dolore e la rabbia, in quella voce, mentre lui se ne andava.
Non mancherei
a nessuno.
Non è vero… A me mancheresti.
Ricorda l’agonia
mortale, la tristezza, il rimpianto, in quegli occhi, in quella voce, mentre
si ritiravano nell’oscurità.
Mi facevi
sentire… come se avessi un cuore.
Durante queste
mattine, Sora si scopre per quel che è: il cuore vivente di un uomo che
ha perso il proprio, il perno della sua vita, la ragione della sua morte, la
prova ultima della sua esistenza. Durante queste mattine, Sora sa che, di tutte
le cose che ha perduto, questa sarà l’unica che non riotterrà
mai, il ricordo che lascia una cicatrice, impresso in eterno nel suo cuore.
Axel non è mai stato reale, dopotutto – era esistito in bilico
sul nulla, e al nulla era tornato, dopo aver utilizzato l’ultima briciola
di sé per salvare Sora, per aprire la via che avrebbe permesso a Sora
di salvare Riku e Kairi e chiunque avesse avuto bisogno di essere salvato.
Eccetto se stesso.
Gli Heartless,
e i Nobody che da essi nascono, non provano sentimenti. Gli Heartless, e i Nobody
che da essi nascono, non conoscono disperazione o rabbia o rimpianto. Cosa ancora
più certa, non sanno nulla dell’amore, o del sacrificio. Durante
queste mattine, Sora se lo ripete, ma non riesce a crederci. Durante queste
mattine, osserva il sole sorgere in un selvaggio fulgore cremisi, e si ripete
che il sale che gli punge le labbra e gli bagna le guance è spuma del
mare, nulla più.
Ma non riesce
a credere nemmeno a questo.
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