For fear, for love.

di martaparrilla
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Sono le 7 del mattino.

Non ho nemmeno avuto bisogno della sveglia per aprire gli occhi. E' stato un sonno rigenerante e senza incubi come nelle ultime due settimane. Erano mesi che non accadeva. Accoccolata sotto il piumone, mi cullo ancora nell'idea che anche quella sarebbe stata la più bella giornata di sempre.

La tranquillità di avere Henry nella mia vita era qualcosa di inspiegabile, qualcosa che a parole non sarei mai riuscita a descrivere.

Scivolo dal letto per andare a preparare la colazione. Avrei preparato il meglio del meglio per il mio bambino.

Scaldo il solito latte sul fornetto, e accendo la macchinetta del caffè per me. Inizio a tostare delle fette di pane su cui spalmo del burro, della confettura di mele e nutella. Prendo i cereali dallo sportello della credenza e li sistemo accanto alla tazza di Henry, con cucchiaino e fazzoletto.

Il latte è caldo, così, mi dirigo a passo svelto nella sua camera.

Apro lentamente la porta, non voglio si spaventi.

«Amore...»

Il letto è sfatto, il pigiama sopra il cuscino e lui non c'è.

«Henry? Sei in bagno per caso?» spalanco quella porta, in preda all'agitazione.

«Henry se questo è uno scherzo non è per niente divertente!» dico iniziando a cercarlo sotto il suo letto, nell'armadio, nello studio...dietro le tende.

Henry non c'è.

Lui non c'è.

L'hanno rapito o se n'è andato.

Torno nella sua camera alla ricerca di qualche indizio, mettendo sotto sopra qualunque cosa trovi sotto mano. Una bruttissima sensazione si fa strada nella mia mente, se avessi chiamato la polizia di certo avrebbero chiamato gli assistenti sociali...di nuovo giudici, di nuovo udienze.

Tiro le lenzuola, fino a che non toccano terra. Controllo sotto il letto, i cassetti. Dentro l'astuccio.

C'è l'astuccio ma non la borsa. Ha preso il suo zaino, ma per metterci cosa?

Sulla scrivania i suoi quaderni perfettamente allineati. Li sfoglio compulsivamente, cercando qualcosa che possa essermi d'aiuto. Lancio un urlo scaraventando tutto a terra.

La stanza è soqquadro e le prime lacrime scendono sul viso. Sono dolorose, come ustionanti.

«Henry...» continuo a ripetere il suo nome come se possa comparire dal nulla.

Mi siedo disperata sul suo letto. Con le mani tra i capelli, cerco di pensare a dove possa essere andato. Mi metto di nuovo in piedi, facendo il giro della casa e sperando che abbia lasciato qualche traccia, un biglietto, nei film succede sempre, i bambini scappano ma lasciano qualcosa per strada per cui vengono sempre rintracciati. Ah, ma quando torna lo punirò fino alla fine dei tempi. Perché lui deve tornare.

Passo a setaccio in tutte le camere, alla ricerca di qualunque cosa potesse essermi utile. Ha preso giubbino e cuffia...almeno non avrebbe preso freddo. Controllo sotto l'albero di Natale, magari ha lasciato qualche lettera che non avrei dovuto leggere. E proprio di fronte all'enorme albero che ho comprato per lui, noto qualcosa di bianco sul portoncino.

Mi avvicino. Un foglietto attaccato con lo scotch.

“Per mamma” . Lo apro nervosamente, tanto che strappo un pezzo e devo mantenere la calma e non bagnarlo con le lacrime prima di riuscire a leggerlo.

“Ciao mamma. So che ora stai piangendo e mi dispiace tanto che ti sia preoccupata così, ma se ti avessi chiesto questa cosa non mi avresti ascoltato, e ho fatto di testa mia. Voglio dirti di non preoccuparti, farò ritorno entro stasera, vai a lavoro di mattina, così il tempo passerà più velocemente...davvero io sto bene. Non chiamare la polizia, non è necessario..ho aspettato che quella donna non potesse più prendermi prima di fare questa cosa, non volevo metterti nei guai. Sono sicuro che appena torno a casa capirai perchè l'ho fatto.

Ti voglio bene, Henry.

P.S: rimetti in ordine la mia stanza, so che l'hai distrutta”.

Rileggo il biglietto un paio di volte, per essere sicura di avere capito bene. Lui scappa di casa per fare chissà cosa e io devo stare tranquilla? Tornerà entro stasera. Lo voglio ben vedere!

Ok Regina rimani calma...Henry è un bambino cresciuto troppo in fretta forse e non si metterebbe mai nei guai, ma è comunque scappato di casa o è andato a fare qualcosa che mi ha tenuto nascosto e la cosa mi fa diventare pazza.

Ok, cosa devo fare? Superare la giornata, devo riempirla, ma non sarei riuscita ad andare a lavoro. No forse ha ragione, sarei dovuta andare...Dio mio stavo impazzendo letteralmente.

Forse è meglio evitare il caffè.

E sistemo la camera di Henry. Armata di pazienza riordino il caos che avevo creato solo mezz'ora prima...sembrava fosse passato un tornado, anzi un uragano. Le coperte dismesse, i cassetti tutti da riordinare. No è meglio andare a lavoro dopo una bella doccia, a quello avrei pensato dopo.

 

Quelle sei ore in ufficio mi sono sembrate eterne. Scorgevo l'orario sul mio orologio da polso ogni minuto, sembrava fosse il mio sguardo a scandire il tempo e non le lancette. Avevo evitato il caffè che non avrebbe fatto altro che agitarmi ulteriormente.

In tutta la mattina avevo bevuto solo dell'acqua naturale. Avevo sperato di trovare Henry fuori dalla porta al mio rientro ma alle tre del pomeriggio era tutto silenzioso, e vuoto.

Sfilo le scarpe accanto al bagno prima di mettere le mani sul disastro che è la camera di Henry. Partendo dal letto, in successione ritrovano un po' di armonia i cassetti della scrivania, comodino e armadio. I quaderni sono sgualciti, ma per punizione avrei potuto fargli copiare tutto.

Annuisco alle risposte che la mia testa sforna per le mie domande.

La cucina è ancora imbandita per la colazione e forse è il caso di sistemare anche quello. Il latte sembra buono, lo stesso non si può dire delle fette di pane tostato, ormai molli e immangiabili.

DIN DON.

Oddio il campanello, oddio Henry.

Lascio lo sportello della cucina aperto e mi precipito all'ingresso, rischiando anche di scivolare sul pavimento troppo liscio. Spalanco con poca dolcezza la porta e quello che vedo è assolutamente assurdo.

Henry che tiene per mano Emma che a sua volta tiene in braccio un bambino. Dietro di loro una carrozzina e Isabella, l'amica che mi odia.

Henry stava bene, su questo non c'è ombra di dubbio. Ma con lui c' Emma. E un bambino. Emma e un bambino, Emma più paffuta e più bella che mai che apre bocca solo per dire:

«Mi sento male, prendete la bambina».

Il suo braccio attorno alla stretta del fagottino si fa morbido, le gambe si piegano. Con un passo afferro il bambino prima che possa toccare terra mentre Isabella da dietro la sostiene.

«O mio dio, Emma!».

Mi faccio spazio tra Henry e la porta. Adagio quella che a quanto pare è una bambina sulla carrozzina e mi inginocchio accanto a Emma, schiaffeggiandola.

«Emma! Emma sono io!!!»

Henry è a casa e io devo pensare a rianimarla!

«Henry porta un po' d'acqua» è visibilmente spaventato.

«Andrà tutto bene vedrai!» scavalca le mie gambe che impediscono il passaggio e supera l'ingresso.

«Falla sdraiare per bene, le sollevo le gambe» dico a Isabella. Seguendo i miei consigli, adagia lentamente quel disastro di capelli biondi sul pavimento mentre cerco di sollevarle le gambe.

«Vieni da questa parte e tienile così» che diavolo le è successo?

Mi sposto dalla parte della testa e le prendo la mano. E' calda ma sudata. Le tasto il polso: debole e veloce, ha avuto un drastico calo di pressione.

Le accarezzo il viso continuando a chiamarla per nome. Fa freddo la fuori e lei non accenna a riprendersi. Il volto è pallido, le labbra quasi viola.

«Ho portato l'acqua, si sta svegliando?» dice Henry. Io faccio segno di no con la testa.

Stringo la sua mano mentre aspetto che i suoi occhi si aprano di nuovo. Sento un po' di forza nella sua presa, forse si sta riprendendo.

«Umhhh». Un piccolo lamento fuoriesce dalla sua bocca.

«Emma?».

Sotto le palpebre vedo gli occhi muoversi in modo caotico. Le pizzico la guancia.

«Ahia»dice lei.

«Allora sei sveglia» dico tirando un sospiro di sollievo. «Forza apri gli occhi ora».

Leggeri movimenti delle palpebre si accompagnano a respiri più profondi.

Poggio il mio braccio accanto alla sua testa, per poterla vedere meglio una volta sollevate le palpebre. Ed eccole li, alzarsi e richiudersi lentamente e meccanicamente, posso vedere le sue pupille dilatate...e posso sentire anche il suo polso impazzire quasi, sotto il mio sguardo.

«Ciao....come ti senti?».

«Non lo so...la bambina?» è davvero sua allora.

«Lei dorme, l'ho presa al volo, stai tranquilla».

Stringe le labbra, mordendole, mentre gli occhi le si riempiono di lacrime.

«No, perché piangi adesso?» le sfioro il viso con il dorso della mano, per poi poggiarla sul suo petto. E' agitata e tachicardica.

«Isabella puoi lasciarle i piedi ora. Porti la carrozzina dentro e ci lasci un attimo sole, per favore?» mi volto verso di lei e anche se un po' contrariata, con l'aiuto di Henry apre l'altra parte del portoncino d'ingresso per permettere il passaggio delle ruote. Henry mi lascia il bicchiere e poi sparisce, dietro Isabella.

Torno su di lei che ancora piange.

«Ce la fai ad alzarti? A sederti anzi?».

«Credo di si» con l'aiuto delle mie braccia, lentamente la aiuto a mettersi seduta, facendole poggiare poi la schiena sul muro. Poi prendo il bicchiere.

«Tieni, bevi qualche sorso».

Lo afferra con mani tremanti e dopo essersi a mala pena inumidita le labbra lo posa di fianco a lei.

Continua a fissarmi quasi terrorizzata, con gli occhi pieni di lacrime e io non riesco a capire perché non riesca a smettere.

«Sono contenta di vederti» confessa alla fine.

Anche io sono contenta di vederla. Tanto, troppo. Le ho detto addio e ora lei è qui di fronte a me.

«Vieni qui avanti» allungo le mani verso di lei prima di stringerla in un abbraccio.

«Anche io sono contenta di vederti...non pensavo potesse accadere di nuovo» sussurro tra i suoi capelli. Quei capelli, il profumo che emanano...

Sento le sue mani stringersi forte dietro la mia schiena, ma quella posizione, inginocchiata sul freddo marmo, non è l'ideale per le mie ginocchia.

«Mi fanno male le gambe, che ne dici se andiamo dentro a parlare?».

Allenta la presa, ma non lascia il mio corpo. Stringe le mani sui fianchi.

Quella presa. So cosa significava.

«Emma....» inclino un po' la testa, quasi supplicandola, e un calore a cui non sono più abituata si insinua dentro di me. Quello sguardo è devastante per i miei sensi.

«E' sempre difficile stare a guardarti e basta» dice poi lei, con voce bassa.

Abbasso lo sguardo, imbarazzata. Facendo leva sulle mani, mi raddrizzo, con le ginocchia doloranti. Allungo il braccio verso di lei e facendo un po' di forza si mette in piedi in pochi secondi.

Ora finalmente posso notare alcuni cambiamenti. Il giubbino slacciato espone un seno molto più grande rispetto all'ultima volta...il ventre non è piatto e i fianchi sono un po' più larghi e morbidi.

H paura.

Paura di come ha avuto quella bambina, paura di sentirmi dire che è sposata o qualunque altra cosa che mi confermi che l'ho persa. Al dito non ha nessuna fede, e nessun altro anello.

«Ti gira ancora la testa?» le sistemo una ciocca di capelli dietro le orecchie.

«Non mi sembra...».

«Bene, possiamo entrare allora».

Mi volto e le lascio spazio per entrare, cosa che lei fa con due passi incerti, massaggiandosi la tempia. Chiudo poi la porta alle nostre spalle.

Di fronte a noi, un Henry e una Isabella con occhi avidi di curiosità aspettano un nostro segno.

Emma si avvicina alla carrozzina e tira un sospiro di sollievo. Io poggio il bicchiere d'acqua sul tavolo.

«Dorme ancora per fortuna....».

«Deve aver preso da te» dice Isabella che intanto si era accomodata sul divano.

Silenzio.

Io me ne sto in disparte mentre lei ammira quella creaturina dentro la carrozzina.

Henry rompe il silenzio.

«Forse voi dovreste parlare».

Emma alza lo sguardo trovando il mio, poi si siede sul divano.

«Io e Isabella andiamo in camera mia, devo fargli vedere un sacco di cose, vero?».

«Oh, sicuro, me ne stavi parlando proprio prima» si alza, prendendo per mano mio figlio, e sorridenti spariscono dietro il muro del corridoio, fino alla camera di Henry.

Di nuovo silenzio. Gli unici rumori sono quelli dei nostri respiri e del battere dei cuori. Sono certa che il mio si sente la fuori. Infila la mano nella sua tasca e estrae un foglio.

Ha un che di familiare. Poi inizia a leggere.

«“Amore mio,

Scrivo su questo foglio parole che non avrò mai il coraggio e l'opportunità di pronunciare a voce guardando i tuoi occhi, toccando le tue mani, baciando le tue labbra».

E' la mia lettera.

«Come fai ad averla tu?».

«Me l'ha portata Henry».

«Sei una presenza costante, quasi un'ombra che segue ogni mio passo. Henry riempie costantemente le mie giornate ma bastano cinque minuti senza di lui che tu mi piombi addosso come un camion, e rialzarmi è ogni volta più difficile».

«Ti prego smetti di leggere...» sta rileggendo quella lettera. Non posso riascoltare le parole che con tanta fatica ero riuscita a buttare giù, su quel foglio, senza che il cuore mi si spezzi letteralmente dentro il petto.

«Ho usato Henry per allontanarti da me quando proprio lui mi ha fatto capire quanto avresti solo migliorato la mia esistenza, e anche la sua. Questo pomeriggio avevo la nostra foto in mano e lui mi ha detto che mi vedeva spesso triste e temeva che non fossi felice con lui. Ti rendi conto? Lui pensava non fossi felice di averlo con me.

Gli ho spiegato quanto fosse la cosa più bella che mi fosse capitata, ma che tu mi mancavi. Allora mi ha chiesto se tu fossi la mia fidanzata. Quanto imbarazzo Emma...mi sono sentita una bambina alle elementari». La sua voce era dolce mentre leggeva. Tremava e prendeva respiro ogni qualvolta leggeva quanto non fosse mai finito nulla per me.

«Avevi ragione...tu non saresti stata un ostacolo. La nostra storia, il nostro amore era agli inizi, ma Henry con noi avrebbe solo rafforzato il nostro amore e il fatto che ti sia ricordata di Henry mi ha solo confermato quanto potessi essere perfetta accanto a me. Tu sei stata quasi mamma, avresti fatto di tutto per salvare tuo figlio vero? Ho pensato di fare la cosa giusta per il mio.

Solo che ho sbagliato con te, la persona che amavo.

Che amo».

Ripiega il foglio sistemandolo nella tasca del giubbotto, che poco dopo decide di togliersi e poggiare sul bracciolo del divano.

Si avvicina lentamente e sento il pavimento sotto di me tremare.

«Quelle cose che hai scritto sono vere?».

Il suo sguardo mi paralizza così come il suo odore e la sua presenza.

«Si...».

«Ok...perché devo raccontarti delle cose allora, e non so se ti piaceranno»

Oh io so ci sarebbe stato qualcosa che mi avrebbe definitivamente distrutta.

Allunga il braccio per chiamarmi. Lentamente rimetto in movimento il mio copro, afferro le sue dita e le intreccio con le sue, sedendomi sul divano accanto a lei e alla carrozzina.

Mi siedo un po' di lato, cercando di mantenere un contegno. La realtà è che sono terrorizzata.

«Allora....» sembra stia organizzando le idee «quel famoso giorno di marzo in cui tu mi dicesti che dovevi badare a Henry...ho deciso di pensare solo a me. Non mi avresti più trovata a piangere o a crearmi più o meno consapevolmente cicatrici nelle mani con frammenti di tazze su cui avevi posato le tue labbra».

Ha una sicurezza negli occhi, che prima non esisteva.

«Per cui, dopo un sonno durato quasi 24 ore grazie a qualche sonnifero, decido di sfruttare al meglio tutte le sere che avevo a disposizione perché la mia vita non doveva finire per un amore sbagliato».

Sentire la parola “sbagliato” dopo “amore” riferita a me...mi fa male.

«Quindi sono uscita per due mesi di fila praticamente tutte le sere, tornavo a casa ubriaca e soprattutto cercavo di riempire quel vuoto con qualcos'altro, con qualcun'altro»

Questo non so se posso sopportarlo.

«Tu non c'eri e le donne...pensare di toccare una donna che non fossi tu mi sembrava a dir poco utopia, per cui lasciavo che i ragazzi credessero che potessero interessarmi. Li usavo e basta...ma erano incapaci e dopo ero più vuota e triste che mai».

«Con quanti maschi hai fatto....sesso?».

Aggrotta le sopracciglia con aria confusa.

«Non credo di ricordarlo...anche perché ero quasi sempre ubriaca...».

«Bel modo per dimenticarmi...».

«Non credo che tu sia nella posizione di giudicare Regina...non puoi giudicare il modo che ho usato per rimettere a posto i pezzi di qualcosa che tu hai distrutto».

Bruciano le sue parole...ma in effetti è vero, l'ho lasciata e senza tornare indietro, mai.

«Poi per qualche tempo sono stata male e gli antiacidi che prendevo non bastavano più, e solo allora mi sono accorta che non avevo il ciclo da quando ero stata con te in campagna...e ho fatto due più due...».

«Che in questi casi fa sempre quattro, vero?».

«Senza margine di errore...e il giorno che ci siamo incontrate, che ti sei avvicinata alla macchina...stavo andando dal medico ed ero terrorizzata, avevo paura che con tutto quell'alcol avrei potuto perdere di nuovo il bambino e non l'avrei sopportato».

Accenna un sorriso, poi si alza e afferra la bambina. Scopre un po' il suo visino e le manine, che si stringono subito attorno al suo dito. E' bellissima. E quel fagottino è così perfetto tra le sue braccia che...

«Ho fatto tutti i controlli necessari, poi ho deciso di andar via da qui. Vederti mi avrebbe destabilizzata e dovevo stare tranquilla per lei...» solleva lo sguardo verso di me.

«La vuoi tenere?» mi chiede timidamente.

Rimango un attimo interdetta prima di rispondere.

«Si, certo che la voglio tenere» allunga la sua bambina tra le mie braccia. Faccio attenzione a reggere bene la testolina piena di capelli neri. Ha decisamente le sue labbra e il suo naso. La forma degli occhi però è diversa. Che piacevole sensazione tenere tra le braccia quella bambina.

«E la mattina di 15 giorni fa, è nata lei...un travaglio lunghissimo, mi facevo le vasche nei corridoi per accelerare il tutto ma non ne voleva sapere di uscire!».

Si avvicina a me, sfiorandole la fronte.

«Chi è il padre?» domando a bruciapelo.

Il sorriso che h muore improvvisamente.

«Che c'è? Posso sapere se conosce l'esistenza di questa bambina, di me, se, non so, lui è innamorato di te...» il volume della mia voce è aumentato di qualche tono. Improvvisamente l'idea che Emma possa avere un uomo/padre della bambina a girarle intorno mi ricorda quanto sia gelosa.

«Ti ho detto che non mi ricordo nemmeno un nome, come puoi pretendere che sappia chi sia il padre?».

«Tesoro una donna lo sa sempre».

«Be io non lo so e sinceramente non mi interessa saperlo. Se avessi voluto cercarlo l'avrei fatto mesi fa e soprattutto non sarei venuta fin qui con tuo figlio che pare l'unico ad aver capito le cose».

Aggrotto le sopracciglia, cercando di capire.

«Si, ha detto che usiamo lei e lui come scusa per non...affrontare...quello che proviamo».

«Con la differenza che ti sei scopata mezza città».

«Con la differenza che io non ti avrei mai lasciata».

«Dovevo pensare a Henry e tu lo sai!».

«Cazzate, io ti sarei solo stata d'aiuto e non avrei mai fatto nulla per metterti nei guai. So bene cosa significa per te!».

Perché anche se non le avevo detto nulla mi conosceva così bene?

Sono arrabbiata con lei. Ha fatto sesso con chissà quanti uomini...non so se sarei riuscita a perdonarla anche se il risultato è qualcosa di meraviglioso. Poggio il palmo della mano sul petto della bimba...lei è così tranquilla e ignara di quanto il mondo sia incasinato.

«Hai una bambina bellissima, di certo il padre non era un nano con gli occhi storti».

«Di solito li prendevo belli e scemi, così non dovevo parlare troppo...».

Erano pure belli.

«Ma non erano belli quanto te. Nessuno lo sarà mai».

«Opportunista» rispondo senza pensarci, molto imbarazzata.

«Vuoi sapere come si chiama?»

Perché mi fa questa domanda? Cosa mai ci può essere di così strano nel nome di una bambina?

«A meno che non sia un segreto...».

«No, non lo è» sorride «Si chiama Mia. Mia Regina Swan».

Mia REGINA Swan. Regina. Le ha dato il mio nome. Continuo a guardare la bambina, poi lei, poi di nuovo la bambina e l'unica cosa che riesco a fare è stare imbambolata con la bocca mezzo aperta.

«Appena me l'hanno messa addosso l'ho guardata dritta negli occhi e poi ho visto quell'ammasso di capelli scuri...mi ricordava te. E volevo che lei avesse un po' di te...ecco perché le ho dato anche il tuo nome. Ho rafforzato quanto lei fosse importante per me...».

Ha dato il mio nome a sua figlia. Non è una cosa che avrei potuto immaginare. Credevo che mi odiasse, che avrebbe cercato di allontanare il più possibile tutto ciò che potesse in qualche modo ricordarle la mia esistenza.

«E stamattina si è presentato tuo figlio e giuro stavo per riportarlo subito da te perché sapevo quanto potevi essere preoccupata, ma mi ha fatto leggere quel foglio e...valeva la pena ascoltare le sue parole...».

«E' un bravo bambino...» dico ancora incredula.

«Ha avuto, ha, una buona madre e una buona educazione...».

Troppe novità, troppe emozioni.

«Avrei voluto averti accanto quando è nata....e mi sarebbe piaciuto che ci fossi anche dopo...».

I suoi occhi brillano. E' triste e felice, bambina e adulta, spaventata e coraggiosa. E prega che la tega con me.

Basta. Non posso più aspettare. Mi alzo e poggio Mia sulla carrozzina. Prendo le mani di sua madre e la tiro verso di me.

«Stai cercando di comprarmi ma non importa...Io ti amo e non voglio che te ne vada. Non voglio che ve ne andiate..possiamo essere una famiglia, io, te, Henry e Mia...saranno i nostri figli, nella nostra casa....».

Non ho minimamente pensato alle conseguenze di quello che dico, perché la frase appena pronunciata è l'unica cosa che ho avuto in testa da quando se n'era andata.

Io lei e Henry.

Ora c'è anche la piccola Mia e non serve altro alle nostre vite se non essere felici.

Qualche minuto per assorbire l'informazione. Guarda Mia, poi guarda me. Sorride. Il sorriso che mi ha fatto innamorare di lei. Mi sfiora le labbra con le dita prima di baciarle...morde il mio labbro e affondo le mie mani nei suoi capelli, per attirarla verso di me. Quello è il mio si.

Si stacca da me, solo per un attimo..nei suoi occhi c'è di nuovo il fuoco.

«Tu non hai la minima idea di quanto ti desideri in questo momento» le sue mani sotto la mia maglia.

«Sono gli ormoni cara» dico ancora intontita dalla situazione e riprendendo a baciarla.

«No, sei tu, sei sempre e solo tu Regina. E lo leggo nei tuoi occhi che anche per te è lo stesso» le sue nuove forme sono assolutamente perfette. Così come la sua bocca sul mio collo. Il suo corpo quasi spalmato sul mio mi ha ricordato una cosa.

«A quanto sei arrivata di reggiseno?».

«Una quinta...» lo dice sulle mie labbra, con voce roca.

Infilo le mie mani nelle tasche posteriori dei suoi jeans facendo aderire il suo corpo col mio.

«Ho questa voglia malsana di spogliarti in questo punto della casa e toccare ogni centimetro del tuo corpo» l'eccitazione è arrivata al limite per me.

«Credo che qualche centimetro dovrai risparmiarlo, non posso far sesso per altri 25 giorni».

«Dimmi che è uno scherzo» dico quasi disperata.

«Mi sa di no...nel post parto funziona così...tu però non hai partorito....».

Le labbra si incurvano in un sorriso diabolico.

«Cosa vorresti fare?» faccio un passo all'indietro, senza respiro. Lei mi segue con un altro passo fino a terminare la mia corsa sul tramezzo che divide ingresso e salotto.

«Credo che tu sia in trappola ora...» inclina un pochino la schiena, insinuando la mano sotto la gonna.

«Emma....c'è la bambina qui e la tua amica con mio figlio nell'altra stanza».

«Le tue parole dicono una cosa, il tuo corpo un'altra» la biancheria...quella zona del mio corpo, in sua presenza, non posso proprio controllarla.

«Vero Regina?» sposta lateralmente lo slip, sfiorandomi.

Mi mordo il labbro tentanto di darmi un po' di contegno. Con un sorriso soddisfatto e la sua bocca sulla mia, soffoca i gemiti dati dalle sue mani tra le mie gambe.

«Mi sei mancata da morire» le dico cercando di tenermi in equilibrio sulle gambe tremanti.

«Non esiste cosa più eccitante dei tuoi occhi quando sei sotto le mie mani e nemmeno tutti gli uomini e le donne del mondo possono rendermi felice come fai tu».

I movimenti delle sue dita e le sue mani sono insieme devastanti per me: affondo le unghie sulla sua schiena alla fine, incapace di resistere un altro minuto.

Col respiro ansimante, appoggio la mia testa sulla sua spalla, su cui lascio dei piccolo baci.

«Ti amo» dice subito dopo. «E non voglio andarmene».

«Non sarà facile lo sai?» dico io circondandole le spalle con le mie braccia.

«Non mi piacciono le cose facili...e poi tra noi non è mai stato facile, ma forse ne vale la pena».

E' così. E' così palese che sia così.

«Non voglio essere da nessun'altra parte se non tra le tue braccia e soprattutto non voglio che tu sia tra le braccia di qualcun altro».

«Allora ci impegneremo affinché ciò accada».

Un lamento di Mia ci fa tornare alla realtà.

«Vado a cambiarla».

«E io vado a chiamare quei due» le lascio un bacio sulle labbra prima di sistemarmi la gonna.

Emma si dirige verso il bagno e io busso nella camera di Henry.

«Siete vivi?». Apro la porta.

«Ci stavamo chiedendo la stessa cosa...».

«Uscite dai...».

Improvvisamente mi ricordo di Henry e che fosse fuggito senza avvertirmi.

Mi sistemo di fronte a lui con aria severa. Strizza forte gli occhi, in attesa della mia sfuriata.

«Non farlo mai più» mi limito a dire abbracciandolo.

«L'ho fatto per te...».

«Non farlo comunque mai più».

«Va bene mamy...Mia è bella vero?».

«E' bellissima Henry, bellissima» mi abbraccia prima di scappare di nuovo da me per tornare da Mia e rimango sola con Isabella.

«Se la fai soffrire di nuovo ti farò passare dei guai» Dice in tono di sfida.

«Non mi conosci nemmeno...».

«Ti conosco quanto basta. Emma ti ama...non fare altri errori con lei. E' una persona fragile, ha bisogno di certezze e di persone stabili».

«Io lo sono anche troppo...».

«Allora siamo d'accordo» allunga la sua mano in segno di pace. Gliela stringo.

«Grazie per non aver ammazzato mio figlio in qualche incidente stradale».

«Emma non me l'avrebbe mai perdonato, e io le voglio bene» annuisco mentre la invito a uscire per raggiungere il salotto.

Sul salotto, Emma allatta la piccola, ed è visibilmente stanca. Ha la testa poggiata sul bordo del divano e tiene gli occhi chiusi. Henry guarda incantato la bambina.

«Credo che debba andare ora» mi dice Isabella a bassa voce.

«Ok, ti accompagno».

«Tornerò domattina per controllare la situazione...».

«Messaggio ricevuto» dico guardandola.

«Ciao Isabella, grazie» biascica Emma dal divano.

«A domani piccola» risponde lei varcando la soglia.

«Ciao Regina».

«Ciao..».

Chiudo la porta e raggiungo gli altri sul divano.

«Vuoi ripassare il post pasto di un neonato? »mi chiede divertita.

Le prendo la bambina dalle braccia mettendola in posizione verticale. Henry segue ogni minimo movimento e si posiziona dietro il divano, per guardarla meglio.

«Ciao sorellina...io sono Henry».

Sgrano gli occhi e volto la testa verso Emma che è stupita almeno quanto me. Le sorrido dolcemente, poi prendo la bambina per guardarla dritta negli occhi.

Ed è in quel momento che ho provato quell'improvviso e inspiegabile amore che si prova solo per un figlio. Amore che non dipende da chi l'ha messo al mondo, ma dalla fatica, dalla sofferenza, dal tempo speso per amarlo, o per amare chi ti lega a lui.

E io amo Emma.

Questo fa di Mia Regina anche mia figlia.

Questo fa di noi una famiglia.

 

 

Note dell'autrice:ed eccoci qui, giunti alla fine di questa avventura. Si perchè all'inizio della scorsa estate non avevo idea che sarei riuscita a finire una storia con la laurea e gli ultimi esami da affrontare. Ma scrivere su di loro mi portava in un mondo talmente bello da non poterne fare a meno: la magia che trasmettono queste donne quando si guardano negli occhi è un qualcosa che probabilmente non riuscirò mai a descrivere, forse perchè per amare come sono riuscita a far amare loro ci vuole tanto coraggio, coraggio che non sempre si ha nella vita reale. Ma visto che gli autori di OUAT non vedono in loro come coppia quello che vediamo noi SQ sfegatate, è giusto regalarci un angolino di fantasia che ci faccia sognare.

Ho terminato di scrivere questa storia un mese prima della mia laurea (avvenuta a ottobre 2013), come se mettere per iscritto la mia idea fosse necessario per avere spazio e concentrazione per il resto...è stato bello vedere come cresceva, ma ancor di più constatare come le persone che la leggevano, ancor prima di pubblicarla, la apprezzassero e la amassero. Ed è per questo che ho deciso, in un momento di pura follia, di metterla su un blog. Su questo blog.

E oggi ero davvero triste perchè sarebbe stata l'ultima volta che avrei letto le vostre appassionate recensioni che miglioravano davvero le mie giornate.
Quindi grazie per i commenti positivi, grazie per essere stati costanti nella lettura e grazie per aver sognato insieme a me.

Spero di poter tornare presto con una nuova storia che per me valga almeno la metà di questa, sarebbe già un bel traguardo.

Vi abbraccio tutti con affetto,

Marta.





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