nat
Faccio
un respiro profondo, inserisco la chiave nella serratura e giro.
Più semplice di quel che pensassi. Con un enorme valigione fra le gambe – non accetto doppi sensi, gente –, non ho intenzione di fare niente di male.
Sto per scappare di casa.
Apro la porta.
Oh
mio Dio, sto scappando di casa! Spingo di poco la valigia fuori,
attenta a non fare rumore, e mi volto un’ultima volta verso il
postoin cui ho vissuto diciannove, orribili anni della mia vita.
Ciao ciao, mami.
Ciao ciao, papi.
Natalie spicca il volo.
… non intendevo in senso letterale!
La
porta si richiude all’improvviso, spintonandomi dentro come
l’indecente schiaffo di un buttafuori sul mio adorabile sedere.
Cado di faccia a terra e il suono dell’allarme, simile alle
sirene dell’ambulanza, mi invade le orecchie. Spalanco gli occhi
e mi sollevo: raggi infrarossi invadono la stanza come una ragnatela.
Manco fossi in una gioielleria, serrande di cui non ero a conoscenza si
abbassano, rendendo inaccessibili le finestre. L’enorme
televisore di fronte al divano si accende, rivelando il volto di un
poliziotto con una voce robotica.
“Resta fermo. Sei circondato. Non puoi fuggire.”
Piano fallito.
Mi
inventerò una scusa, nel frattempo mi sollevo: trovarmi sdraiata
con il sedere all’aria non è fra i tanti sogni della mia
vita. Alzandomi, sfioro una mensola e il cappello mi si abbassa sul viso.
«Mani in alto!» La voce di mio padre e il rumore del caricatore di una pistola.
Oh Signore Gesù Cristo Santa Maria Benedetta.
«Ba…»
«Mani in alto o sparo! »
Alzo le mani come mi ha chiesto. «Fomo Matalie,» grido, ma il cappello di lana mi copre la bocca.
«Che cosa? »
«Fomo Matalie, babà!»
Mi sfugge un singhiozzo.
Mi
sento toccare la testa, finalmente il cappello cade a terra e
così incontro gli occhi azzurri e furibondi di mio padre, con un
pigiama rosa di spugna e la maschera da notte poggiata sui capelli
grigiastri.
Gli rido in faccia.
«Che cosa volevi fare, signorina?» chiede, agitando la pistola.
Non mi viene più tanto da ridere, adesso.
«Buford!
Buford, l’hanno rapita! L’hanno rapita, nella sua camera
non c’è! » urla mia madre dalle scale.
«È qui.»
Mio padre mi indica con la pistola.
Aiuto.
«Oh
Signore Gesù Cristo Santa Maria Benedetta,» esclama,
correndo ad abbracciarmi con i bigodini fra i capelli e le ciabatte a
forma di orso. «E i ladri? È già arrivata la
polizia?»
Papà
si avvicina al tavolino accanto alla poltrona, solleva il suo premio di
lancio di giavellotto e rivela un pulsante. Non avevo la minima idea
che esistesse! Lo preme e le serrande si alzano. Se solo l’avessi
saputo…
«Il
ladro è Natalie, pare. Mi spieghi, signorina, perché hai
provato a uscire nel bel mezzo della notte? »
«… nel bel mezzo della notte? » gli fa eco mia madre.
«Sono
le tre, Tracy cara, » le risponde papà con dolcezza e poi
si rivolge a me, con gli occhi accesi di rabbia. «Allora,
Natalie? »
Sono davvero le tre di notte?
Sospiro.
E l’unica cosa che viene fuori dalle mie labbra è un gran sbadiglio.
Sdraiata, cerco con tutte le mie forze di rimanere immobile, trattenendo al massimo la mia inquietudine.
«Ferma, Nat, o con lo smalto farò un pasticcio,» mi rimprovera lei, seduta a gambe incrociate di fronte a me.
Sbuffo.
«Nessuno guarda i piedi della gente, Pam.»
«Non
è vero: una volta su Ask un tipo mi ha chiesto la foto dei miei
piedi. Avevo lo smalto fucsia evidenziatore con le stelline.»
Non
riesco a trattenere lo shock a lungo, per questo la guardo di traverso
e non riesco a capire come a Pamela ogni cosa strana del mondo possa
sembrare normale: per questo è la mia migliore amica dalla
seconda media.
«Credevo che facessi la modella per il mascara della profumeria di tua zia, non per i piedi.»
Pamela
mi fissa con i suoi grandi occhi verdi e le ciglia lunghissime, e poi
sorride in quel modo caldo e allegro che la rende bella in modo
imbarazzante, come se l’avere le gambe lunghe e le tette e i
capelli biondi e ricci naturali non fosse sufficiente. «Non si
può mai sapere nella vita. Un altro minuto e la tortura
finirà.» Pamela passa un'altra pennellata di smalto blu.
«Ti hanno mai detto che hai le dita da pianista?»
«È
un modo carino per dire che suono il pianoforte con i piedi? Non
è carino da dire, Pam, sai quanto ci tengo…»
«Io riesco a muovere solo il ditone, ad esempio.» Sono felice che tu sia qui, Pam. «Vedrai che la punizione non durerà molto.»
«Oh,
certo.»Tossicchio e imito la voce di mia madre. «Natalie
Hanna Truman, non uscirai di casa per un mese intero se non per buttare
la spazzatura nel bidone. Così sì che desidererai
scappare, signorina.»
«Sei un’attrice nata!» Ride.
«Oh,
no, solo un’imitatrice. Non ho abbastanza talento per fingere al
meglio di essere qualcun altro.» Scuoto la testa. «Che
sarà mai un mese di ufficiale prigionia? Il mio orario di
ritirata era fissato per le nove… se solo avessi
dato una controllata all’allarme! Come potevo sapere che
funzionava anche dall’interno? Con il pulsante sotto il premio di
lancio di giavellotto di mio padre…» Sono ancora sconvolta
per questo.
Pamela
si passa un ricciolo dietro l’orecchio. «Mi dispiace tanto,
Nat. Vedrai che non sarà così per sempre.» Si viene
a sedere accanto a me. «E se non potrai raggiungere le feste
estive, sarò io a portare le feste estive da te.»
«Oh,
magari! Ellen Darcy organizza sempre spettacoli di spogliarellisti
cubani!» Gli occhi di Pamela assumono la luminosità di una
super nova.
Salto sul mio posto.
«Davvero? »
«Sì! »
Pamela ride e si alza in piedi sul letto.
«Si spogliano e ballano, passano da un tavolo all’altro e muovono il loro fantastico sedere…»
«Così?
» Fa un tentativo a metà fra la danza del ventre e quegli
strani balli russi, la schiena le resta ferma come se avesse una stecca
che la mantiene. Non è mai stata molto agile in queste cose.
«Pam, che cos’è questo? »
«Un ballo di seduzione! E poi si danno anche gli schiaffi… lì! »
Mi
alzo anch’io sul mio posto e cerco di imitarla. Oddio, credevo
fosse più semplice. «Sul davanti o sul di dietro?»
«Da entrambe le parti, credo.»
«E parlano in spagnolo!»
«Dio, sì! »
«Te
gusta, segnorita?» Ondeggio il bacino e mi do uno schiaffo
dietro. «O te gusta mucho altro? Scusa, sono una frana con lo
spagnolo!» Continuo ad ondeggiare, sempre con più ritmo.
«Io mucho caliente.»
Apro il pantalone della tuta sul davanti e continuo a ondeggiare in maniera spropositata.
«Natalie… »
«Pamela, io muy caliente… »
«Nat… »
«…Arrrrrrrrriba!»
«Natalie Hanna Truman, che cos’è questo?»
Mi immobilizzo sul posto.
Con
lo sguardo fisso verso il vuoto, mi sistemo i pantaloni della tuta e mi
volto verso mia madre che mi guarda con un’espressione di
disgusto.
«Pamela Anderson.» Mia madre si rivolge a Pam.
«Jefferson, » la corregge lei.
«Sai dirmi che cos’è questo?»
«Vorrei saperlo anch’io.»
«Diciannove
anni sprecati, » borbotta mamma. «Mettiti qualcosa di
decente addosso, Natalie. Stasera a cena c’è Arthur
Benkison.»
***
«Ahi!»
Pamela mi tira i capelli per legarli.
«Quindi tua madre intendeva quell’Arthur Benkison? »
«Sì, Pam. Conosci qualche altro Arthur Benkison? »
«Non si può mai sapere nella vita. »
«Ma questo è risaputo»
«Intendi il fatto che una volta faceste il bagnetto insieme nella vasca dei tuoi? »
«Oh, Dio.» Mi sento le guance infiammate. «È il sogno erotico di tutta la mia vita.»
Pamela
sistema le forcine fra le mie ciocche ribelli. «Intendi anche il
fatto che è stratosfericamente bellissimo e sette anni
più grande di te?»
Fisso
il mio volto nello specchio. Con i capelli alzati si notano ancora di
più le guance piene, e le lentiggini sul naso sono evidenti
anche se ci ho messo fondotinta e fard.
«Anche quello è risaputo. »
Continuo
a guardarmi: i miei occhi mi piacciono. Di un marrone così scuro
che mi fa sentire protetta da me stessa, da quella che ci può
essere dentro di me. Pamela dà un’altra spazzolata alla
mia coda arancione, ed il fatto che si veda la mia ricrescita castana
è voluto.
«Ed intendi anche il fatto che ti chiama… »
Il rumore di un clacson attira le mie orecchie e mi giro di scatto.
«È qui!»
***
Pamela
è uscita dalla porta sul retro ed io me ne sto nel corridoio del
piano di sopra, appoggiata al muro. Le scarpe alte mi fanno male alle
caviglie, lo smalto si è rovinato ma tanto i piedi non li guarda
nessuno e il vestito è troppo corto e aderente e mi si vedono
troppo le gambe. Le accarezzo affranta. Dio, dovrei dimagrire…
«Oh, Arthur, bello come il sole!» sento mia madre che parla.
Dio… le calze sono rotte.
«Oh,
ma certo che Natalie è qui! » alza ancora di più la
voce. «Natalie cara? C’è Arthur! Sta venendo a
portarti giù!»
Oddiooddiooddio.
Corro
in stanza, mi alzo il vestito, mi abbasso le calze, slaccio i cinturini
di entrambe le scarpe, lancio via le calze, metto una scarpa, allaccio
il cinturino. Yuppi!
Toc toc.
Prendo l’altra scarpa. «Chi è? » La mia voce viene fuori tremante.
La porta si apre ed entra l’essere più meraviglioso presente in quest’universo.
Sorride
scuotendo di poco la testa, in modo che i capelli biondi e ondulati
lunghi fino al mento si spostino per non dargli fastidio. Ha un sorriso
che mi fa sentire sul punto di cadere giù da un burrone.
«Solo Arthur.»
Solo Arthur.
La
sua fossetta sul mento. Il viso abbronzato ma naturale, con le guance
rosee. Gli occhi più verdi che io abbia mai visto.
Ma questo è risaputo.
Intendi il fatto che una volta faceste il bagnetto insieme nel tuo bagno?
Alto più di un metro e novanta, dal corpo slanciato, proporzionato, perfetto, avvolto in uno splendido completo d’Armani grigio, arriva davanti a me e si mette in ginocchio.
Intendi anche il fatto che è stratosfericamente bellissimo e sette anni più grande di te?
«Arthur.» Sospiro. «Ciao. »
Spero di non sembrare la ragazza più tonta sulla faccia della terra.
Mi
sfiora la pelle delle caviglie e mi infila la scarpa e lo guardo e
potrei morire. Spero davvero che non guardi il mio smalto orribile!
«Che è successo alle tue unghie? »
«Oh… niente, è uno smalto sensibile, sai.» Mi mordo le labbra. «Cambia con l’umore… quelle scalanature indicano la felicità.»
«Oh, che strano!»
«Eh già! »
«Solo tu potevi metterti una cosa del genere.»
Evito di guardarlo negli occhi e mi allaccio il cinturino, quando torno a guardarlo lui sta fissando me.
Mi porge la mano.
Ed intendi anche il fatto che ti chiama …
«Trottolina.»
… Ecco.
Arrossisco.
«Dovresti smetterla di chiamarmi così. »
Mi
fa camminare facendomi appoggiare al suo braccio.
«Quand’eri piccola trotterellasti giù dalle scale
come una palla da bowling per venirmi e salutare e cadesti di faccia
terra.» Si vede dove è cominciato tutto… «Ora non lo fai più.»
No, lo faccio ancora, credimi.
«Be’, Arthur.» Mi gonfio un po’. «Sono cresciuta, sai.»
Faccio
per chiudermi la porta della mia stanza alle spalle ma lui mi ferma,
fissando i suoi occhi nei miei; potrebbero cedermi le ginocchia.
«Si
vede che sei cresciuta, Nat,» sussurra. Mi incanto a
guardarlo… quanto può essere sexy. «Per questo
dobbiamo parlare.»
Ohibò.
«Non stiamo già parlando?»
«Intendo da soli.»
Doppio ohibò.
«Vedi qualcuno nei paraggi?»
Ride:
ha una risata che condensa l’aria, mi stordisce, è
incredibilmente solare. «Ma al piano di sotto ci sono i tuoi
genitori e i miei. Sentirebbero le tue urla.»
Ohibò alla decima.
Spalanco
la bocca per replicare quando «Natalie cara?» mi chiama
ancora mia madre, ed io vorrei replicare, e non avere una faccia da
cretina e trovare la mia sensualità repressa.
A
cena Wanda, la nostra cameriera, serve Canapè Primavera, Dartois
agli Champignons e pomodori da Insalata Ripieni al Roquefort.
«E alla fine abbiamo vinto la causa, » dice papà.
«Be’,
non mi sarei aspettato niente di diverso, » constata il signor
Benkison, un Arthur con trent’anni in più, ma pur sempre
affascinante. Accanto a lui sua moglie taglia il carpaccio con una
lentezza esasperante, sembra che la carne desti in lei sospetti da
detective. Da lei Arthur ha preso gli occhi, decisamente, anche se
questa donna ha un’espressione arcigna non solo quando guarda la
carne, ma anche quando guarda me. Sarà per il fatto che sono
fatta di carne anch’io, credo.
«Abbiamo capito, Buford, ma non dovresti parlare di lavoro a cena,» la mamma rimbecca papà sorridendo.
«Signora
Truman, siete sposata con l’avvocato più famoso di
Liverpool, mi sorprenderei se parlasse di sport.» Arthur si
inserisce nella conversazione, disinvolto e sereno. Io vorrei solo
ficcargli la forchetta sulla mano – dalle dita lunghe e agili,
come quelle di un musicista – perché è decisamente
troppo a suo agio, mentre io vado in corto circuito con le sue parole
nella testa.
«Oh, ti sbagli! Parli da economista, ragazzo!» Ride papà. «Io gioco a golf. »
«Ma non riesce mai a centrare la buca. » Mamma scuote la testa.
«Be’,
pare che questo sia un gran problema per un uomo,» afferma il
signor Benkison. «Chi dobbiamo ringraziare per la nascita di
Natalie?»
La mamma fa la sua risata finta, secca e inceppata come un vecchio disco.
«Ringraziare
qualcuno? » La signora Benkison fulmina suo marito. «Se
potessero andrebbero da quel qualcuno e lo prenderebbero a sprangate.
Natalie li delude un giorno sì e l’altro anche. »
Cado
dall’universo di nuvole in cui mi sono rifugiata e mi ritrovo
qui, sulla sedia rossa dell’elegante sala da pranzo di quella che
è sempre stata la mia casa, con la signora Benkison che mi
guarda con disgusto e la vergogna sul volto dei miei genitori.
«Mamma…» la chiama Arthur.
«Che… che cosa? » chiedo, alzando la voce.
«Scherzava.» Arthur mi sorride.
«Scherzare,
io? » La signora Benkison posa il tovagliolo sulla tavola come se
volesse uccidere un insetto. «Scappare di casa in piena notte
dopo tutto quello che ha fatto... è una vergogna. »
Arthur
china il capo, le guance gli diventano rosse e stringe le mani a pugno.
«Non ne ho avuto il tempo, l’avrei fatto senza di voi.
»
«Che cosa? » grido. «Mamma, gliel’hai detto?» mi volto verso mia madre.
«Natalie, tutto il vicinato ha sentito l’allarme, » risponde papà.
«Non
significa niente! » grido e vorrei solo scappare per sempre,
scavare una buca nel pavimento e andare sempre più a fondo e
dare vita ad una civiltà sotterranea: difficile, ma molto
più divertente che stare qui. «Poteva essere stato un
errore! Perché non mi lasciate mai vivere la mia vita senza che
tutti i vostri amici la conoscano e mi giudichino? Mi bastate
già voi! »
«Natalie, non urlare,» mi dice mamma a denti stretti.
«Arthur, » la signora Benkison lo chiama. «Le hai parlato? Avevi detto che l’avresti fatto. »
Arthur mi lancia uno sguardo dolce ed io vorrei che contasse solo questo, il suo sguardo.
«No, » le dice. «Aspettavo che fossimo soli.»
Mi
alzo dal mio posto senza dire niente, per poco vado a sbattere contro
Wanda e il vassoio con il salmone, passo dalla cucina per uscire dalla
porta sul retro, inciampo sulla scopa, la ciotola con le patatine salta
all’aria e mi appoggio alla mensola per non scivolare. Il
contenitore delle mandorle tritate finisce sulla torta alla fragola.
Oddio. Prendo la panna e la ricopro tutta, almeno questo è
rilassante.
Sto per aprire la porta quando sento qualcosa stringermi il braccio: è Arthur.
«Natalie,
mi dispiace,» mi dice, e so che è dispiaciuto davvero.
Forse è l’unica persona che, insieme a Pam, è
sempre stata sincera con me, senza chiedermi qualcosa che non potevo
dare. «Non ne parliamo più, va bene?»
«Non ne parliamo più? Ah, sì? E che cosa mi volevi dire di carino? »
Arthur sbuffa. «Ecco perché volevo che fossimo soli. Quando ti arrabbi gridi sempre. »
Che vergogna. «Quindi… prima parlavi di queste urla? »
Ed io che avevo già immaginato l’orgasmo stratosferico che mi avrebbe fatto vibrare tutta… povera illusa.
«La rabbia ti tappa le orecchie. »
«Mi tappa cosa? »
Arthur
si indica con le mani. «Le orecchie, trottolina. E dopo mi
spiegherai perché hai cercato di fare questa follia.»
«Non
è una follia!» gli urlo contro. «È la cosa
più intelligente che mi sia venuta in mente da quando sono nata!
A diciannove anni mi trattano come una bambina, li deludo anche
respirando… perché non dovrei andarmene? »
«Sei solo arrabbiata. »
«Sono arrabbiata da anni. »
Profuma
di pino e del miele caramellato che aromatizzava il tacchino, fra le
sue braccia tutto diventa intenso, tutto ha un sapore esagerato e
sconvolgente. È Arthur che mi bacia sulla fronte.
Rabbrividisco.
«Si risolverà tutto.»
Come può farmi così male senza rendersene conto?
«Non
si risolverà mai,» gli dico, sicura. «Arthur, tu
uscirai da questa casa, e ti lascerai alle spalle i problemi di Natalie
e dei suoi genitori. Ma io resto qui e, se resto, qui niente
cambierà mai.»
«Troveremo
una soluzione, te lo prometto.» Mi sposta una ciocca di capelli
sfuggita all’elastico dietro l’orecchio. «Wanda sta
servendo il salmone e dopo c’è il dolce, andiamo?»
Non
riesco proprio a godermi la cena, anche se Wanda cucina benissimo.
Spero di rifarmi sul dolce… le mandorle renderanno tutto
più originale. Wanda arriva trafelata.
«Mi spiace, signori,» dice. «Non sono riuscita a decorarla per bene.»
… Che peccato.
«Le fragole sono meravigliose,» dice Arthur, addentando un pezzo di torta.
Sorrido fra me.
«C’è qualcosa di croccante, » dice il signor Benkison.
«Noci?» chiede la mamma.
Mi
volto verso Arthur e mi cade la forchetta di mano. Con il volto rosso
si porta una mano alle labbra, ora gonfie e arrossate, con gli occhi
verdi pieni di lacrime. «Mandorle…» dice tossendo.
«Oh no!» esclama la signor Benkison. «Arthur è allergico!»
Arthur
scivola sul pavimento ed io corro verso di lui, gli stringo la mano
mentre con l’altra mi porto il telefono all’orecchio per
chiamare l’ambulanza. Sono. Un. Completo. Disastro.
«Oh Signore Gesù Cristo Santa Maria Benedetta!» grida mamma.
Attento alla vita del ragazzo che amo da sempre!
Chiudo la telefonata.
«Stanno arrivando,» gli dico, cercando di sorridere. «Mio Dio, mi dispiace…»
«Non è colpa fua… froffolina.»
Quanto mi prenderei a randellate sulle gengive.
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Ciao
a tutti, lettori! :D Per chi non mi conoscesse... sono Ania,
scribacchina a tempo perso e guadagnato :). Seguo sempre l'ispirazione,
ed è per questo che mi sono trovata a scrivere l'inizio di
questa storia. Una ragazza combina guai, un amore impossibile di cui
conoscete ancora troppo poco e una vita che vorrebbe cambiare.
Spero tanto di avervi strappato un sorriso.
Ringrazio tanto cenerella per aver betato questa mia cosina :3 Ed Emi, per la sua benzina sul fuoco :*
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