Piccola premessa: questa è la prima os che scrivo per il
fandom bellarke. E' anche la prima os che scrivo interamente dedicata a
una coppia etero, il che in generale non è una grande cosa,
me ne rendo conto, ma lo è per me perché di
solito mi dedico a coppie slash. Nel caso di questa coppia specifica
però, innamorarsene da subito è stato quasi un
obbligo per me, quindi dovevo scriverne qualcosa.
Non è nulla di pretenzioso. Solo un momento un po' what if?
tra Clark e Bellamy.
Ho dato una mia spiegazione molto fantasiosa su la sparizione delle
altre dodici arche, su chi siano gli umani che stanno sulla montagna, e
su Lincoln e la sua diversità rispetto agli altri terrestri
che si sono visti (intravisti via) fino ad ora. Non ho idea
se sia fattibile anche nel tf, non credo onestamente (mi da l'idea che
qualcuno delle altre dodici arche sia sopravvissuto e abbia cercato
semplicemente di fare guerra ai terrestri), ma più
ci pensavo più mi sembrava possibile e sensata una cosa del
genere, onestamente. Prendete le mie ipotesi come
un'aggiunta del tutto AU. Nel caso però dovesse uscire che
ci ho preso anche in minima parte, gente!! mi aspetto le hole in piazza
per questo eh. XD
BUONA LETTURA!!!
"Prima dell'alba"
Il primo pensiero che lo sfiorò quando aprì gli
occhi fu che doveva proprio smettere di mangiare il cibo che preparava
sua sorella Octavia.
La ragazza era in grado di fare molte cose, molte più di
quanto ci si sarebbe aspettati da qualcuno che aveva vissuto, in
pratica, tutta la sua vita rinchiusa prima sotto terra e poi tra
quattro spesse mura di una cella, ma cucinare o anche solo preparare un
normale panino era una cosa che compariva sicuramente tra quelle per
cui non sarebbe mai stata portata.
Bellamy aveva la bocca acida e impastata come se avesse dato un morso o
due ad un topo morto. E al momento, nonostante la crisi in
cui verteva il settore alimentare per i 100 lì sulla terra,
a quello non c'erano ancora arrivati. Mangiavano cervi con due facce,
pantere modificate che sembravano più mammut per quanto
erano enormi e qualche volta serpenti marini così
notevolmente fuori misura da sembrare quasi squali, ma non
topi. In effetti, di quelli non ne avevano visto ancora uno in giro ma
contando le mutazioni genetiche che il regno animale aveva subito sulla
terra a causa di novantasette anni di radiazioni, Bellamy nemmeno ci
teneva, a dire il vero. Niente topi quindi, ma qualunque cosa fosse
stata doveva essere davvero disgustosa e, a giudicare dal saporaccio,
doveva averlo accompagnato a dosi elevate di alcool.
Oh giusto. Era esattamente quello che aveva fatto. Non mangiare il
cibo/veleno di Octavia. Ma bere. E tanto.
Lui come metà campo del resto. Da quando
con Clarke avevano trovato quelle bottiglie di
liquore nel rifugio, sembrava, in effetti, che i 100- non
più 100 ormai- non facessero altro.
Con grande disappunto di Clarke, che continuava a dire che quel liquore
sarebbe stato molto più utile per disinfettare ferite e
sopportare i lunghi e freddi mesi invernali che stavano arrivando.
Cosa che gli era sembrata anche sensata, come metà
delle cose che uscivano dalla bocca della ragazza, almeno fino a
quando non aveva dato un primo sorso a una cosa chiamata
brandy di cui aveva letto a scuola durante le noiose ore di storia
terrestre.
Esattamente com'era descritto dagli insegnanti sull'Arca, quel liquido
era forte, vagamente dolciastro e molto intenso. Forse visti i novanta
anni di fermentazione ancora di più. Il calore che lo aveva
pervaso dopo il primo sorsetto era stato incredibile. Sì,
come aveva consigliato Clarke sarebbe stato davvero utile nei mesi
invernali.
Se una sola bottiglia si fosse salvata dall'assalto di quella notte,
almeno.
Perché aveva bevuto? Nemmeno lo sapeva. Ricordava solo di
aver pensato come John e Paul e pochi altri che fosse proprio giunto il
momento di smetterla di lavorare per cominciare un po' a festeggiare.
Erano stati scelti per essere sacrificati per via dei loro crimini,
ed invece erano ancora vivi. Le radiazioni che avevano
costretto i loro avi a fuggire dalla Terra l'avevano mutata
irrimediabilmente ma non costituivano più un pericolo per
loro. Essere sopravvissuti a nebbie acide, terrestri decisamente
pericolosi che indossavano maschere orrende e si divertivano a
impalarli con lance, serpenti marini giganteschi e tempeste
davvero molto forti, erano tutte cose per cui valesse la pena fermarsi
un attimo e festeggiare. Presto altri dall'arca sarebbero
giunti, ora che sapevano che la terra era sicura.
Probabilmente ingegneri che avrebbero costruito luoghi sicuri e forse
soldati per tenere a bada i terrestri, e loro non avrebbero
più dovuto lottare da soli per la loro sopravvivenza. E per
lui personalmente, a tutto questo, andava aggiunto
il perdono che Jaha gli aveva concesso non appena aveva saputo il nome
di chi lo aveva ingaggiato per ucciderlo, se non altro. Così
aveva semplicemente cominciato a bere intorno al fuoco con
Elliot e il suo nuovo ragazzo Miguel. E poi erano
arrivati anche Finn e Rosalie e altri si erano presto aggiunti, tanto
per fare qualcosa di diverso dal solito, per spezzare un po' la
monotonia di quei giorni sempre uguali, sempre attenti ai movimenti dei
terrestri, sempre a preparare provviste e scorte per l'inverno sia per
loro sia per i trecento che presto li avrebbero raggiunti dall'Arca.
Lì sulla terra.
Ad un certo punto, la tranquilla serata per festeggiare una ritrovata
libertà, doveva essere diventata altro però, ed
essere del tutto uscita dai binari, e questo era piuttosto
evidente.
E appunto, perché?
Non era solito fare cose come quelle, non era nel suo stile divertirsi
bevendo. Certo, non era nel suo stile neanche torturare o uccidere
qualcuno, e ultimamente era una cosa che si era ritrovato a fare molto
spesso. Troppo per i suoi gusti. Per proteggere dai terrestri sua
sorella, se stesso e gli altri. Bere non era sicuramente la
cosa peggiore che si fosse ritrovato a fare, in effetti, da quando era
lì. Non dopo che aveva in pratica ucciso trecento persone
sull'arca e torturato il terrestre, Lincoln.
Come aveva detto a Clarke una volta però, "quello che si
è e quello che si è costretti a fare per
sopravvivere, sono due cose molto diverse."
E a dirla tutta nel suo vecchio stile c'era eccome la variante "bere
quasi come una spugna". Poiché però sapeva
benissimo come andava a finire quando lo faceva, tendeva a evitarlo
proprio. Sull'arca non era facile, ma era comunque possibile, specie
per un cadetto delle guardie com'era stato lui, riuscire a racimolare
un po' di alcolici e una volta al mese sua madre portava sempre una o
due bottiglie di quel terribile liquido che sull'arca era spacciato per
vino a casa, probabilmente regali di uno dei tanti amanti che teneva
buoni per avere favori e non essere abbandonata a se stessa. E quando
giungevano i loro compleanni, permetteva sempre loro di berne un po'.
Non abbastanza da perdere il controllo- sull'arca nessuno doveva sapere
di Octavia, vista la legge che impediva a una donna di avere
più di un figlio, per cui ci andavano piuttosto piano con le
dimostrazioni di amore verso i liquori in famiglia- ma abbastanza da
diventare piacevolmente euforici.
Quella notte però aveva decisamente esagerato. E questo in
fondo era uno dei regali della libertà che avevano
acquisito, no? Fare quello che volevano, quando volevano. Pagandone a
pieno le conseguenze.
Senza badare al rumore che faceva, certo che nessuno fosse in tenda con
lui, Bellamy si tirò su piano per dirigersi fuori.
Caracollare fuori per l'esattezza, visto il modo in cui
procedeva, lento e piuttosto instabile su gambe che sembravano fatte di
gelatina.
Sentiva male ovunque. I muscoli delle gambe e delle braccia gli
dolevano in modo impressionante e con un'occhiata veloce si rese conto
di essere completamente nudo. Cosa cavolo aveva combinato?
Oh, comunque aveva altro cui pensare ora. Facendo
dietrofront, tornò velocemente in tenda,
afferrò i pantaloni e li indossò.
Avrebbe chiesto delucidazioni a Elliot dopo essersi fatto un bel bagno
nel vicino lago, privo di serpenti marini giganti fortunatamente, e
aver ingollato qualsiasi cosa Clarke avesse per fargli passare il mal
di testa. La ragazza non sembrava molto ferrata nel riconoscerle- non
come lo era stato Wells se non altro- ma era davvero brava a
preparare medicine usando delle semplici erbe e piante. Sembrava averne
una per ogni cosa e forse ne avrebbe avuta una anche per una banale
sbornia.
Quando uscì di nuovo si rese conto subito che il silenzio
era assoluto e che nessuno era sveglio. Dormivano tutti e la cosa aveva
anche un senso, visto il casino che avevano combinato e il
fatto che fosse buio pesto. Doveva essere ancora notte fonda.
Voltandosi verso la sua sinistra controllò che John Murphy,
rientrato nelle grazie del gruppo da poco e dopo essere scampato alla
collera dei terrestri, fosse di guardia come doveva essere e
distinguendo una forma scura davanti alla palizzata di legno, intenta a
camminare su e giù, si tranquillizzò. Il ragazzo
non aveva bevuto come gli altri sapendo di essere di turno quella notte
e volendo fare buona impressione sui compagni giacché la sua
permanenza tra i 100 era ancora un'incognita. Molte erano le cose
che ancora dovevano essergli perdonate. Il motivo
per cui si trovava lì era che anche lui aveva dei genitori
che avrebbero voluto rivederlo vivo quando fossero giunti sulla terra e
Clarke o Bellamy non erano nessuno per decidere se John si meritasse o
meno quest'opportunità. Fino a che si fosse comportato bene
però, loro gli avrebbero concesso il beneficio del dubbio.
In caso contrario sarebbe stato di nuovo bandito e questa volta per
sempre.
La famiglia di Lincoln, in ogni caso, non sarebbe
giunta per vendicarsi questa volta e gli altri terrestri, quelli della
montagna, sarebbero stati tenuti lontani dal corno di Lincoln stesso.
Era lui l'uomo che Bellamy aveva rapito e torturato, l'uomo che aveva
salvato la vita di sua sorella, e quella di tutti loro quando gli aveva
avvertiti dell'arrivo dei suoi compagni per una vendetta, e aveva
promesso che nessuno del suo gruppo avrebbe attuato più
ritorsioni contro di loro purché i 100 collaborassero e
rispettassero certi patti.
Non erano loro i terrestri da cui Bellamy e gli altri avrebbero dovuto
guardarsi le spalle comunque. Lincoln e gli altri, loro erano solo...
abitanti dell'arca, rigettati come loro.
Bellamy ne era rimasto colpito quando lo aveva saputo ma in
fondo nemmeno tanto. Aveva una sua logica. Quando il consiglio aveva
deciso che le donne non potessero partorire più di un figlio
a testa, lo avevano fatto perché le scorte di ossigeno
sull'arca non erano infinite e la postazione spaziale, l'unica rimasta
dopo che le altre dodici erano andate perdute o distrutte,
non riusciva a provvedere per più di un tot di persone alla
volta. Onde evitare malattie inutili e sprechi di aria, era
così stato deciso che le donne partorissero un
solo figlio e che chiunque commettesse un reato, fosse
più o meno grave, sarebbe stato letteralmente sparato fuori
dall'Arca, senza alcun processo o la possibilità di
salvarsi. I minorenni che commettevano un crimine attendevano il
sopraggiungere della maggiore età prima di essere lanciati
fuori dall'Arca, ma il risultato era comunque sempre quello. Per ladri
come per assassini. Per bari come per bulletti che facevano solo
spacconate, tipo Finn. Per Octavia, il cui unico reato era
stato quello di essere nata.
Prima che queste barbarità divenissero legge
però, circa ventidue anni prima che Bellamy nascesse,
c'erano stati secondi e anche terzi figli. C'erano state famiglie
numerose. Non molte, ma c'erano state. Quando la legge era
stata modificata sull'arca, però, i secondi, i terzi e i
quarti figli furono catturati e spediti sulla terra senza cibo, senza
possibilità di mettersi in contatto con l'arca, senza
possibilità di fare ritorno.
Furono abbandonati a loro stessi insomma, certi che le radiazioni li
avrebbero uccisi, ma che prima avrebbero consentito a chi era rimasto
sull'arca di vedere le reali condizioni dell'atmosfera terrestre.
Quaranta bambini dei quali il più grande era Lincoln, che
aveva solo nove anni quando era stato strappato dai propri genitori e
costretto a salire su una navicella per arrivare sulla terra. La sua
colpa? Essere il secondo figlio. Sacrificabile quindi come i 100.
Alla gente sull'arca fu detto che sacrificare i propri figli era stato
necessario. Fu detto loro che la morte per quei bambini era giunta nel
sonno e che avrebbe consentito ad altri di nascere e alle persone
sull'arca di vivere sani e in salute ancora per tanti anni.
Non era vero. L'arca stava già morendo, anche se ancora
nessuno lo sapeva. Non lo avrebbero saputo per altri venti anni per
l'esattezza.
Non fu detto loro cosa davvero era stato fatto ai bambini. Non fu detto
a quei genitori che i loro figli erano stati spediti sulla Terra come
cavie e poco altro. L'allora cancelliere non voleva creare false
aspettative che gli avrebbero attirato solo nuove antipatie.
L'arca se ne dimenticò in fretta. Lincoln liberò
se stesso e gli altri dai bracciali segnaletici di cui erano
stati dotati, piuttosto presto. Per chi comandava allora
sull'Arca, ciò significò che fossero tutti morti
per via delle radiazioni, e che sulla terra non vi era
possibilità di vita e quel cancelliere, Diane Masters, non
sarebbe stata colei che avrebbe riportato l'umanità sulla
Terra. Insabbiò tutto, quindi, e procedette con la
sua vita come se nulla fosse.
Dio, Bellamy detestava quella donna, anche se non l'aveva mai
conosciuta. Tutto quello che sapeva di lei era frutto di voci
di corridoio che riguardavano gli anni in cui aveva governato e la sua
scelta di ritirarsi in favore di Jaha, e il resto gli era stato
raccontato da sua madre quando Octavia era nata e lui era stato
costretto a tenerla nascosta e prendersene cura.
Lincoln aveva fatto lo stesso con i bambini che erano stati spediti
sulla terra con lui. Se ne era preso cura e li aveva protetti e
salvati.
I terrestri, quelli veri, quelli che adesso i 100 chiamavano puri,
erano... altri. Ed erano pericolosi.
Da quel poco che Lincoln aveva scoperto di loro nel corso degli anni,
erano discendenti di coloro a cui era stato impedito di
abbandonare la terra quando le radiazioni l'avevano resa invivibile. Ed
erano umani, certo, ma erano diversi da com'erano i 100 o dal
gruppo di Lincoln. La continua esposizione alle radiazioni aveva mutato
geneticamente i loro nonni e genitori, e quindi anche loro.
Adesso erano... strani. Più forti, più
veloci, più... In una parola, diversi. A Bellamy
non era ancora stato dato modo di vedere cosa nascondessero sotto le
loro maschere- le stesse che Lincoln e i suoi usavano indossare per
confondersi quando andavano a caccia oltre certi confini e fatte con le
ossa di vecchi scheletri, ossa dalle forme strane e abnormi- ma era
certo che non dovesse essere un bello spettacolo.
Le uniche cose che temevano erano il corno di Lincoln, che quando
suonava li faceva scappare più veloci della luce
visto che di solito il suo suono era associato a qualche
calamità naturale da cui dovevano proteggersi, e il confine
nord delle montagne che non superavano mai per nulla al mondo. Bellamy
però non conosceva ancora quella particolare storia. Forse
lo avrebbe fatto presto. Lincoln veniva spesso nel loro accampamento, e
non solo per concordare nuove leggi e accordi tra i 100 e il suo
gruppo. Lo faceva anche per Octavia, Bellamy lo sapeva.
Vedeva come l'uomo guardava la sua sorellina. Quanti anni doveva avere
adesso? Circa trenta, forse trentadue anni. E Octavia era solo una
ragazzina di diciassette anni che del mondo non sapeva nulla
perché non aveva davvero mai vissuto. Tutto era una
novità per lei e questo la rendeva facile preda di certi
sentimenti ed emozioni. Poteva fraintendere facilmente un semplice
interesse dettato dalla curiosità per un vero sentimento. E
onestamente lo faceva anche troppo spesso per i gusti di Bellamy.
Il ragazzo scosse la testa per cercare di schiarirsi un po' le idee. Si
sentiva confuso, ma il freddo della notte lo stava piano piano
riportando presente a se stesso.
Dopo aver espletato i suoi bisogni fisiologici impellenti dietro un
albero, si diresse verso la tenda, dove dormiva sua sorella. Anche lei
aveva bevuto parecchio la sera prima, se non ricordava male, e Bellamy
voleva solo controllare che stesse bene.
Questo era ciò che lui era. Lui badava a Octavia, era sempre
stato così. Sarebbe sempre stato così. Era salito
su quella navicella prima che la lanciassero proprio per seguire
Octavia sulla terra e badare a lei. L'avrebbe seguita in capo al mondo
pur di accertarsi che stesse bene.
La ragazza ancora si rifiutava di stare con lui la notte, preferendo
dormire in tenda con Clarke e qualcuna delle altre ragazze e a Bellamy
stava anche bene. A parte la libertà che questo implicava
per lui, una cosa tutta nuova sicuramente, da quando era leader di quel
gruppo aveva anche un discreto successo con le ragazze e non avere
Octavia tra i piedi agevolava anche certi suoi incontri, e poi saperla
con Clarke lo rassicurava. Per quanto all'inizio non avesse sopportato
la principessina, più per la sua provenienza che la rendeva
una dei privilegiati, anche se rinchiusa esattamente come gli altri
100, che effettivamente per lei, adesso si era ricreduto.
Clarke era una ragazza forte, un ottimo leader per il gruppo,
complementare a lui per molti versi, e un'ottima guida. In un certo
senso, era dell'idea che si sarebbero guardate le spalle a vicenda e
stranamente questo lo faceva stare tranquillo.
Muovendosi piano, entrò nella tenda badando a non
fare rumore per non svegliare Clarke, ma vide subito che Octavia era
l'unica presente. Se ne stava sdraiata in modo scomposto e a parte che
per il colore giallognolo e le terribili ombre scure che aveva sotto
gli occhi, non sembrava esserci nulla fuori posto.
Probabilmente la mattina dopo avrebbe avuto anche lei un un
terribile mal di testa contro cui combattere. Sarebbe stata
la prima volta e Bellamy sperava che se la sarebbe goduta. Voleva la
libertà e fare cavolate per sentirsi viva e libera? Beh ne
avrebbe anche pagato le conseguenze.
Per il momento però era al sicuro e stava bene, quindi
Bellamy prese una delle coperte che aveva trovato al rifugio,
coprì sua sorella e fece per uscire dalla tenda per andare a
vedere dove diavolo si fosse cacciata Clarke, quando una delle mani di
Octavia corsero ad afferrargli un polso con una presa debole ma decisa.
"Lincoln?" chiese poi la ragazza con voce impastata.
"No, O. Sono io Bellamy. Torna a dormire." La rassicurò lui
piegandosi di nuovo su di lei per essere sicuro che la ragazza
obbedisse. Non era sicuro che il fatto che sua sorella si aspettasse
Lincoln di notte nella sua tenda gli piacesse poi tanto ma prima o poi
avrebbe dovuto acettare il fatto che sua sorella stava crescendo e che
doveva perciò essere lasciata libera di fare le
sue scelte.
"Bell. Devi dirmi tutto domani" biascicò la ragazza,
chiudendo di nuovo gli occhi, e anche se Bellamy non aveva idea di cosa
dovesse dirle esattamente, non fece domande preferendo lasciarla al suo
oblio meritato per il momento.
Lui aveva altro da fare. Tipo trovare una bionda principessa con la
sgradevole abitudine di andare a cacciarsi nei guai. E se non si
trovava all'accampamento, c'era un solo posto dove poteva essere.
Forse. Sperava.
Affrettandosi, Bellamy si diresse verso il campo delle farfalle
fosforescenti, ennesima mutazione avvenuta sulla terra, solo che quella
non era pericolosa e anche piuttosto bella da vedersi.
La fosforescenza delle farfalle, infatti, ammantava il bosco in cui si
riunivano di una luce cristallina e illuminava anche l'area intorno.
Bellamy seguì la luce che intravedeva sulla cima di alcuni
alberi e fu presto circondato dalle farfalle e dalla loro luce.
Clarke era lì, seduta sul bordo del piccolo laghetto che
avevano trovato da non molto.
"Oh beh, se non altro vuol dire che non è finita in bocca a
qualche lucertola abnorme" bofonchiò rivolto a se
stesso con voce accusatoria. E un tantino preoccupata.
Qualcosa doveva per forza essere successo a Clarke. Il suo volto, o
meglio quel poco che ne vedeva da quella posizione, rischiarato dalla
luna e dal bagliore delle farfalle sembrava così spento e
triste.
Clarke era una ragazza molto diversa da come se la era immaginata lui
all'inizio. Non era una viziata privilegiata. Non era un esserino
delicato pronto a farsi salvare dal principe di turno.
Clarke era forte. Vendicativa a tratti. Risoluta. Dava sempre il 100%
al gruppo e spesso non ne ricavava che un misero 20% ma non smetteva
comunque di darsi da fare per gli altri.
Bellamy si era scoperto a passare dall'odio all'ammirazione, fino al
bisogno di sapere il suo parere per condurre il gruppo. Clarke era
stata quella che lo aveva capito ancora prima che lui si spiegasse. Era
stata quella che gli aveva riconosciuto un valore nel guidare il gruppo
all'inizio, anche se avevano avuto molti scontri su quello e lui non
era stato immune dal combinare casini quando credeva che la
sua unica chance per salvarsi fosse impedire a quelli
dell'arca di giungere sulla terra . Era stata anche l'unica
che lo aveva convinto a restare e a chiedere perdono a Jaha invece di
fuggire come aveva pensato di fare. In pratica era stata l'unica a
preoccuparsi per lui.
In ventidue anni di vita era capitato solo una volta che invece di
dover badare a qualcuno fosse stato lui quello ad aver bisogno di
qualcun altro per andare avanti, ed era successo quando aveva lasciato
che Clarke lo convincesse a tornare all'accampamento e parlare con il
cancelliere Jaha.
Bellamy aveva lasciato che la ragazza vedesse il suo dolore per i
problemi con Octavia e il suo rimorso per le trecentoventi persone
morte sull'arca a causa della sua paura. E lei non lo aveva giudicato.
Aveva detto solo:"Ho bisogno di te."
Beh, se era vero, lui ci sarebbe stato per lei. Glielo doveva. Di
più. Voleva esserci per Clarke.
Cominciò quindi a passare lentamente lo sguardo su di lei
mentre piano si avvicinava, giusto per accertarsi che non avesse nuove
ferite, o non avesse riportato ustioni o altro in parti insospettabili
del suo corpo, cercando di controllare gli altri mentre
bevevano. Incredibile ma vero, erano cose che Bellamy aveva visto
succedere davvero da quando erano sulla terra. Metti in mano a un
branco di ragazzini una libertà che non hanno mai potuto
assaporare e stai pur certo che a un certo punto faranno qualcosa di
stupido. Di enormemente stupido.
Vedeva sola la parte superiore del suo corpo, ma sembrava
comunque tutto in regola.
La cosa lo tranquillizzò e voltandosi si apprestò
a tornare da dove era venuto, ma la voce alterata di Clarke lo
fermò.
"Oh... Oh diavolo. Oh mamma"esclamò, infatti, la ragazza a
un tratto e voltandosi di nuovo verso di lei, Bellamy vide che Clarke
si stava tenendo la testa che scuoteva con decisione.
Forse aveva visto di nuovo Finn insieme a Raven. Bellamy non sapeva
cosa diavolo fosse successo tra quei tre, ma era piuttosto
ovvio che Finn avesse nascosto l'esistenza di una ragazza a Clarke
quando aveva iniziato la storia con lei. Ragazza che poi aveva rubato
una navicella con l'aiuto della madre di Clarke e li aveva
raggiunti lì sulla terra all'improvviso.
Bellamy di amore ne sapeva ben poco. In tutta la sua vita gli era
capitato di avere una sola ragazza importante, che però lo
aveva lasciato quando si era scoperto che sua madre teneva nascosta una
seconda figlia ed era stata per questo lanciata fuori dall'Arca mentre
lui era stato retrocesso da guardia a fare lo
spazzino in fabbrica.
Da quello che aveva imparato però, l'amore aveva i denti e
se ti afferrava, era anche capace di dilaniarti con quelli. E
chissà perché lo disturbava vedere Clarke
così sofferente.
Finn era un tipo a posto. Un ottimo segugio e una grande risorsa per il
gruppo. Aveva aiutato Bellamy a ritrovare Octavia quando era
sparita e si era anche beccato un coltello avvelenato nella pancia per
quello. E anche se spesso si ribellava alle decisioni che Clarke e
Bellamy prendevano per il gruppo, credendo scioccamente che la pace
fosse davvero possibile in un mondo privo di leggi, era anche un'
ottimo punto di riferimento per loro. Era però ancora un
ragazzino. Era finito in prigione perché aveva rubato una
navetta e un mese di aria dell'Arca per farsi un viaggetto nello
spazio. Non aveva pensato alla sua ragazza Raven o alla sua famiglia ma
solo a quello che voleva lui. Non era come Bellamy. Non ne sapeva nulla
sul mettere i bisogni degli altri davanti ai propri. Aveva visto
Clarke, gli era piaciuta e pensando che non avrebbe mai rivisto Raven,
ammesso e non concesso che avesse davvero pensato a questo, se l'era
presa senza dirle la verità né
lasciarla davvero libera di decidere per se stessa.
Sicuramente un modo di fare che Bellamy gli invidiava per quanto lo
ritenesse indegno. Qualche volta anche a lui sarebbe piaciuto poter
essere un normale ragazzino di diciassette anni. O in generale un
normale ragazzino e basta. Era dovuto crescere presto, invece, e adesso
a ventidue anni si sentiva come se ne avesse cento.
Indossando un sorriso di circostanza, Bellamy aumentò il
passo e riprese a dirigersi verso Clarke, praticamente senza badare
più a non fare rumore e precipitandosi, senza rendersene
conto, a vedere come stesse la ragazza.
Quella era la Terra, un luogo ostile che loro non conoscevano e lui
aveva assunto il ruolo di leader anche per occuparsi del disagio dei
ragazzi. Era il più grande lì dopotutto, al
momento, visto che tutti gli altri non avevano ancora raggiunto i
diciotto anni di età. Era suo compito occuparsi di queste
cose quindi, continuava a ripetere a se stesso per non sentirsi stupido
mentre si avvicinava a Clarke e si sedeva vicino a lei.
La ragazza lo aveva sentito, lo sapeva, e anche se non aveva detto
mezza parola o non si era voltata a guardarlo, bastavano le sue spalle
tese a farglielo intuire.
Bellamy aveva già avuto la sua buona dose di esperienze con
ladri e anche tipi violenti da quando dirigeva il gruppo, e da quando
avevano trovato le armi nel rifugio, ne teneva sempre una a portata di
mano. Quando si sedette, si tolse la pistola dai pantaloni, dove
l'aveva riposta, e la poggiò vicino a se.
"Sei venuto armato per qualche motivo?" gli chiese Clarke con sospetto.
"Sono sempre armato" rispose lui semplicemente, voltandosi a guardarla.
C'era stato un tempo in cui non aveva creduto all'uso delle armi, e
quando sua madre era riuscita a farlo diventare un cadetto della
guardia, la sua più grande preoccupazione era stata che
avrebbe dovuto imparare anche a sparare. Lo aveva fatto per Octavia. Se
fosse diventato una guardia, avrebbe avuto modo di muoversi
dall'interno e avrebbe potuto garantire protezione a sua
sorella, sapendo in anticipo quando ci sarebbero state
ispezioni improvvise a casa loro. Non s'illudeva che sua madre avrebbe
smesso di scoparsi metà dei comandanti come faceva quando
ciò fosse successo, ma in un certo senso sperava di poter
ottenere anche questo.
Clarke fece un breve cenno con la testa, quasi quelle poche parole le
avessero detto tutto quello che le serviva sapere sul perché
Bellamy girasse sempre armato. Si fidava di lui ciecamente, e
se pensava di averne motivo per lei andava più che bene.
Era un bel punto di svolta anche questo per Bellamy. Nessuno, nemmeno
Octavia a cui aveva in pratica dato tutto, si era mai fidato in modo
così totale di lui e del suo giudizio.
"Pensavo che fossi arrabbiato con me, ma, in effetti, non ne avresti
alcuna ragione perché la colpa è tua"disse poi
Clarke, con un tono leggermente più duro, tornando a fissare
l'acqua immobile del lago rischiarata dalle farfalle che volavano sopra
di essa, mentre si alzava faticosamente in piedi. A quel punto Bellamy
vide che la ragazza era seminuda dalla vita in giù a parte
che per la maglia e un paio di slip che, notò solo in quel
momento, erano bagnati come il resto della sua persona. Doveva essersi
fatta un bagno. Il suo sguardo passò su quel corpo
agile e flessuoso per un secondo e la sua mente formulò un
placido: "Eh, però!" prima che l'imbarazzo coprisse tutto e
lo obbligasse a fermare lo sguardo e a rivolgerlo di nuovo sul viso di
Clarke. Un bel viso in effetti, se concedeva a se stesso di indugiare
su quel pensiero.
Cosa che non era per niente una buona idea.
"E questo che diavolo vuol dire? Perché dovrei avercela con
te e cosa sarebbe colpa mia esattamente?"le chiese quindi per
distogliere la mente da quei pensieri scomodi.
"Beh, questa è buona. Prima mi aggredisci e poi mi tratti
come tuo solito, ossia con sufficienza? Chi ti credi di essere?"lo
rimbeccò Clarke brandendo verso di lui un legno
che aveva appena raccolto da terra. C'erano alcune farfalle poggiate
sopra che non sembravano essere disturbate dai movimenti convulsi della
ragazza e che spedivano lampi di luce sul suo viso,
rendendolo ancora più etereo.
"In questo momento, qualcuno che teme il legno che stai brandendo in
modo minaccioso come fosse una spada. Puoi abbassarlo per favore? Non
credo di essere una minaccia. Non sono armato." rispose divertito
Bellamy, dando un'occhiata veloce alla pistola, ancora con la sicura
inserita, poggiata vicino a lui e inoffensiva.
Clarke fissò confusa le sue mani e si accorse che era vero
che stava brandendo il legno, puntato oltretutto verso Bellamy, e come
provando un moto di vergogna, lo abbassò. Lentamente
però. Non sembrava tanto convinta della sua scelta.
"Dunque, in questo momento ad essere onesti mi ricordo a
malapena se sono un essere umano o un cane. E sono piuttosto certo di
aver bevuto così tanto che qualsiasi cosa possa aver
combinato non dipenderebbe comunque da me, però dovresti
spiegarmi cosa intendi dire con mi hai aggredito. Se non ti dispiace."
le chiese allora Bellamy e fu colpito nel vedere l'occhiata confusa che
la ragazza gli rivolse. Un'ombra di disappunto passò sul suo
sguardo poi e lo rabbuiò nuovamente.
"Non ti ricordi veramente?" chiese poi la ragazza con voce debole. E
senza dargli tempo di dire nulla, aggiunse mentre si sedeva di nuovo
vicino a lui: "Ovvio. E' la storia della mia vita. Ogni ragazzo con cui
condivido momenti importanti si rivela essere o impegnato, o vittima di
noci allucinogene o ubriaco."
Bellamy comprese che parlava di Finn, e anche di qualcun altro, ma chi?
Conoscendo bene Clarke la cosa sicuramente non lo tranquillizzava per
nulla. Aspetta un attimo. Aveva appena sottinteso di aver
condiviso un momento importante con lui?
Bellamy si volse a guardarla con le sopracciglia alzate: "Che vuol dire
che...insomma...che momento importante...avremmo noi...dico-" Oh ecco
che balbettava di nuovo. Un'altra cosa che solo Clarke era in grado di
fargli fare. " Di cosa parli?" chiese poi recuperando il controllo,
forse un po' troppo bruscamente.
"Quando sei ubriaco, hai la tendenza a cantare Bellamy, lo sapevi?"lo
canzonò la ragazza senza rispondere alla sua domanda.
"Cosa? Io non ....! Io non canto. Quello è.... non
è una cosa che... ok avevo bevuto, forse ho canticchiato
qualcosa" bofonchiò Bellamy confuso e anche adirato
ricordandosi delle volte che cantava per la piccola Octavia quando
stava male. Adesso questo però che cosa c'entrava con tutto
il discorso?
“Dieci minuti, hai cantato per dieci minuti buoni.”
lo corresse Clarke adesso anche decisamente divertita.
Il che poteva voler dire che si era reso molto ridicolo. Davvero,
molto, molto ridicolo.
"Ok ho cantato. Sei arrabbiata con me per questo? So di non essere un
cantante provetto ma da qui ad avercela con me per così poco
credo ce ne corra."
"Non sono... non mi importa se hai cantato. Conta quello che
è successo dopo. Che cosa é successo nella tua
tenda?" chiese ancora Clarke, leggermente più nervosa di
prima. Se Bellamy la conosceva bene, ed era così, c'era
qualcosa che la faceva agitare.
"Dormivo?" le rispose lui, scuotendo la testa come per schiarirsi le
idee e prendendo a fissarla con fare ovvio.
"Questo...non intendo adesso...intendevo prima. Cosa..."
balbettò Clarke presa in contropiede dalla risposta, in
effetti, ovvia, e dalla strafottenza dell'altro che continuava a
fissarla divertito.
"Ok, calmati ragazzina. Mi sono svegliato del tutto nudo e ho il corpo
interamente coperto da succhiotti e graffi. Immagino quindi di essermi
dato da fare con qualcuno ma onestamente non ricordo chi. Questo
però, cosa c'entra con il tuo nervosismo? "Chiese quindi
Bellamy e l'attimo dopo aver finito la domanda capì da solo
la risposta.
Era così ovvia che sembrava quasi scontata.
"Oh no, non esiste che io sia venuto a letto con te. "
Esclamò allora sicuro, anche se, che gli piacesse o meno,
lì tutto diceva l'esatto contrario. Ricordava a un certo
punto della serata, quando ormai il liquore era in circolo e lui ben
poco lucido, di aver trascinato Clarke a ballare con lui, mentre alcuni
degli altri ragazzi suonavano usando pezzi di metallo della navicella.
E ricordava di essersi anche lasciato sfuggire che quella sera era
bellissima, anche se in pratica Clarke era vestita come ogni giorno
poiché sulla terra non avevano di sicuro un guardaroba di
ricambio. Dopo però era il vuoto totale.
"Beh la nota contrariata e neanche tanto velatamente schifata nella tua
voce adesso mi ha offeso. Poteva anche andarti peggio, sai? A un certo
punto ci hai provato persino con Murphy." Esclamò piccata
Clarke, chiaramente offesa dalle parole di Bellamy. Parole
che però non volevano essere offensive. Lui, infatti, non si
stava lamentando del fatto di essere andato a letto con lei, quanto
casomai di averlo fatto in un momento di cui era impossibilitato a
ricordarsi.
"Non intendevo dire questo Clarke" provò quindi a difendersi
ma la ragazza non sembrava molto intenzionata ad ascoltarlo.
"Figurati. E' stato un errore dettato dal troppo alcol. Anch'io ho
esagerato questa sera o non avrei mai permesso che succedesse. E prima
che tu pensi anche solo di dire il contrario" esclamò poi
alzandosi in piedi e voltandosi a fronteggiarlo con sguardo
truce. " T'informo che sei stato tu a saltarmi addosso, io neanche ti
pensavo. Ero troppo occupata a cercare di evitare Finn per preoccuparmi
anche di te."
Oh certo, Finn. Era sempre Finn a un certo punto che si metteva in
mezzo a loro. "Immagino che sia per questo che mi hai detto di
sì allora. Giusto per far vedere a Finn che hai superato la
cosa con lui. " Controbatté Bellamy, alzandosi in piedi a
sua volta e raggiungendola per poi passare in rassegna lo sguardo sul
corpo di Clarke con un certo interesse. Un sorrisino
cominciò ad affiorare sul suo volto. Era un sorrisino
malizioso e compiaciuto, e quando i suoi occhi tornarono a incatenarsi
a quelli di Clarke, sapeva che l'espressione sul suo volto era
cambiata. Non più infastidita ma interessata.
Stava cercando di renderla nervosa e anche se sapeva che non era una
cosa facile, doveva almeno fare qualcosa per provarci. "Sbaglio o ha
anche fatto una scenata di gelosia a un certo punto? E tu hai detto che
se ballavi con me era perché volevi ballare con me e che ti
divertivi, e dopo TU mi hai trascinato nella mia tenda per essere certa
che lui non si perdesse un singolo passaggio, quindi forse dovrei
essere io quello arrabbiato adesso perché chiaramente sono
stato usato. "
"Hai detto che non ricordavi nulla" bofonchiò Clarke
allora, chiaramente in difficoltà,
abbracciandosi come a proteggersi in un gesto del tutto
involontario, come se si fosse ricordata solo in quel momento di essere
ancora seminuda.
"E' così ma qualcosa comincia a tornare. Tipo il suono della
tua voce che preferisco di gran lunga quando m'implora per avere di
più a quando ti lamenti. E' ancora più sexy, se
possibile" controbatté l'altro con un tono di voce
decisamente più basso e roco e un'aria voluttuosa dipinta
sul volto.
Forse però stava esagerando.
Ok, Clarke lo rendeva nervoso. Lo infastidiva e preoccupava averla
intorno e sapere di averci condiviso un momento molto intimo era sia un
sogno sia un incubo per lui. Un sogno perché in
realtà era inutile che lo negasse a se stesso, quella
ragazzina gli era entrata nell'anima e nella testa già da
molto tempo, forse dal primo momento che l'aveva vista scendere dalle
scalette di emergenza della navicella d'atterraggio quando gli aveva
urlato contro per impedirgli di aprire la porta. Un incubo
perché aveva promesso a se stesso di non fare mai nulla per
dare voce ai suoi sentimenti. Clarke era e restava uno dei
privilegiati, anche se si era data da fare per loro, anche se aveva
fatto di tutto per aiutarlo ad avere il perdono di Jaha, anche se gli
aveva detto di avere bisogno di lui, non faceva parte del suo mondo e
quando quelli dell'arca li avessero raggiunti, lui sarebbe
tornato a essere uno zero mentre lei... beh, lei sarebbe rimasta la
figlia di un capo consiglio.
Qualunque cosa potesse esserci fra loro, sarebbe morta con l'arrivo di
Jaha e gli altri. Poi c'era Finn. Clarke era innamorata di lui, e anche
se adesso la sua ragazza costituiva un notevole ostacolo per il loro
amore, era chiaro a tutti che le cose fra loro non fossero finite per
niente e prima o poi anche Raven lo avrebbe accettato e avrebbe smesso
di essere di intralcio. E Bellamy non voleva essere un
ripiego.
Quindi sì forse esagerava, ma essere Bellamy il bastardo in
quel momento poteva essere l'unica vera arma che aveva per difendersi
da una sicura futura delusione. Una delle tante.
"Sai che c'è? Come vuoi tu. Non è importante
adesso. E' successo ma non capiterà mai più e se
non te ne ricordi tanto meglio. Non dovremo neanche fare i conti con
l'ovvio disgusto e imbarazzo. Aiutami a trovare i miei pantaloni
adesso, voglio tornare dagli altri." esclamò a un tratto
Clarke, chiaramente in difficoltà, distogliendolo dai suoi
pensieri mentre cominciava a guardarsi intorno in cerca dell'indumento.
Bellamy in quel momento era sicuramente alterato e infastidito, e anche
notevolmente confuso, ma non era di sicuro stupido. La nota di fastidio
nella voce di Clarke non dipendeva solo dalla sua dimenticanza, non
poteva, vista la poca importanza che di sicuro lei stessa
dava all'accaduto. Doveva esserci qualcos'altro sotto, ma
cosa?
Bellamy stava per chiederlo quando voltandosi, si trovò
davanti uno spettacolo che non si sarebbe aspettato.
Clarke, in ginocchio, piegata in avanti che cercava i suoi pantaloni
sotto alcuni tronchi caduti.
La stoffa dei suoi slip era ancora bagnata e aderiva in modo osceno al
suo sedere.
Clarke era un tipetto davvero... beh, sexy. Il suo fisico era asciutto
ma tondo nei posti giusti. E quel volto... era qualcosa di speciale.
E poi... il suo sedere era spettacolare, si concesse di pensare Bellamy
mentre la ragazza si piegava ulteriormente per raggiungere un punto
sotto a un tronco.
"Come ci sono finiti qui?"chiese Clarke a tutti e a nessuno in
particolare.
Fu allora che Bellamy lo vide. C'era il segno evidente di un morso su
una natica. Era stato lui a farglielo? Dio, quello era strano. Bellamy
era un tipo piuttosto esigente con le sue partner occasionali e non si
concedeva mai di avvicinare la propria bocca a un sedere quando
apparteneva a qualcuno che non conosceva da almeno un paio di mesi. Il
sesso occasionale poteva essere divertente, ma con
l'intimità Bellamy ci andava piano.
C'erano dei confini che superava solo con chi conosceva bene.
Clarke si alzò di scatto, si voltò verso di lui
scuotendo i pantaloni che aveva appena recuperato e si
bloccò nel beccarlo intento a fissarle il sedere. Un attimo
e un sorriso malizioso spuntò anche sulle sue labbra.
"Vuoi fargli una foto da tenerti come ricordo?" lo stuzzicò
poi, e l'imbarazzo di Bellamy fu sostituito di nuovo dal fastidio che
solo l'altra sapeva scatenare in lui. Quel fastidio misto a
divertimento che lo galvanizzava sempre.
"Hai trovato tutto?" chiese con astio allora.
"Quasi" bofonchiò Clarke mentre indossava i pantaloni
saltellando per tirarli su, con disappunto di Bellamy. Quei jeans erano
così stretti e fasciavano così bene le sue curve
che forse era meglio quando era semi nuda. "Non vedo il mio giubbetto."
Disse poi lanciando uno sguardo intorno alla radura.
"Ti sei spogliata gettando i vestiti in aria senza badare a
dove finivano?"le chiese Bellamy mentre cercava a sua volta
di vedere se notava il giubbotto dell'altra in modo da liberarsi di
lei, e non importava se non parlavano di quello che sembrava essere
successo tra loro, qualcosa gli diceva che era meglio così.
"Ero solo....euforica" rispose Clarke quasi a scusarsi e Bellamy
sobbalzò leggermente nell'udire quelle parole. Euforica per
cosa? Forse per quello che era successo tra di loro? No, non era
possibile, disse a se stesso evitando di voltarsi a
guardarla e continuando a passare in rassegna la radura in
cerca del giubbetto.
Non c'era, però, traccia di altri indumenti lì
intorno.
"Forse lo hai lasciato nella mia tenda" disse quindi Bellamy e solo
dopo averlo fatto si rese conto di quanto una frase così
innocua potesse essere anche così pericolosa in
realtà per loro due.
Clarke, infatti, spostò subito lo sguardo su di lui e
Bellamy si trovò di nuovo a incatenarsi a quegli occhi
così espressivi e stupendi e... al diavolo! Così
infernali per lui.
E mentre li fissava, un ricordo sfiorò la sua mente...
Clarke ansimava leggermente mentre Bellamy entrava piano in lei.
Stava procedendo lentamente, anche se si era preso molto tempo per
preparare bene la ragazza nonostante l'alcol gli annebbiasse i
pensieri. Lui però si prendeva cura di chi amava, lo aveva
sempre fatto e sempre lo avrebbe fatto. E anche se averla finalmente
nuda sotto di lui dopo quasi un mese che la desiderava, aveva reso
euforico Bellamy che non vedeva l'ora di poterla amare, non avrebbe mai
e poi mai rischiato di fare qualcosa che potesse recare danno fisico a
Clarke.
Sembrava così delicata. Preziosa. Bellissima.
Erano anni che sognava di poter vivere un momento come quello con una
persona con cui essere così connesso come con lei. E adesso
che il corpo di Clarke comprimeva il suo membro, Bellamy si sentiva
meravigliosamente.
Clarke era un'amante rumorosa e molto collaborativa, esattamente come
l'aveva sognata nelle sue serate solitarie, prima di conoscerla per
davvero, quando le loro litigate erano diventate confessioni a cuore
aperto. Era esattamente così che l'aveva sognata per giorni
e adesso che poteva sentire la musicalità dei suoi gemiti e
ansimi era quasi certo di avere trovato il suo paradiso perfetto.
Clarke sembrava nata per essere amata da Bellamy.
E avrebbe voluto poter sperare in molte altre notti come quella ma lui
sapeva la verità. Anche se erano appena riusciti a
ritagliarsi un attimo, non restava molto tempo per loro.
Eppure Bellamy non voleva pensare a quello. Non certo in quel momento.
Sapeva già che a perdere sarebbe stato unicamente lui. Era
destino che fosse così e non avrebbe potuto fare nulla per
cambiare questo. Poteva solo prendersi la sua occasione di amare Clarke
fino a che fosse stato possibile. E poi vederla andare via e niente di
più.
"Stai bene, piccola?" ansimò quando fu del tutto dentro, e
Clarke per tutta risposta alzò la testa per deporre un dolce
bacio sulle labbra di Bellamy.
"Sto un incanto" gli sussurrò poi tornando a poggiare la
testa sul cuscino improvvisato.
Aveva le guance rosse e un sorriso aperto e sincero che le illuminava
il volto. Bellamy sarebbe rimasto tutta la notte lì solo a
guardarla. E a cercare di imprimersi le sue fattezze nella mente per
portare via con un sé almeno un’immagine perfetta.
Poteva fare di più però in quel momento, molto di
più che solo immaginare e guardare.
"Oh sì" ansimò prendendo a muoversi fuori e
dentro Clarke con lentezza, mentre questa sibilava ancora un po'
infastidita per l'apertura troppo repentina.
Ed era stupendo essere lì. Essere così unito a
Clarke. Sentire la morbidezza della sua pelle scivolargli tra la presa
delle dita e poter udire quei gemiti che diventavano via via sempre
più convinti e carichi di piacere.
Bellamy voleva che Clarke lo ricordasse.
Bellamy voleva prendersi e dare piacere, ma più di tutto
voleva essere un momento importante nella vita di quella ragazza
così speciale.
Bellamy voleva di più dell'immenso piacere che sentiva nel
muoversi in quel modo dentro il corpo caldo di Clarke. Voleva durare in
eterno nei suoi ricordi. Voleva restare come un segno
indelebile nella sua anima e nel suo corpo.
Quando aumentò il ritmo delle spinte, i versi che Clarke
emetteva si tramutarono in imprecazioni e richieste di avere di
più e più forte e "oh sì, Bellamy,
così".
"Ti piace, Clarke? Ti piace, vero?" chiedeva Bellamy nella scioltezza
data dall'alcol, mentre intanto prendeva a muoversi con sempre
più forza e impeto e Clarke andava incontro a ogni sua
spinta con vigore e passione.
"Sì sì" non faceva che dirgli Clarke, a occhi
chiusi mentre le spinte di Bellamy la muovevano su e
giù con veemenza sul letto di stracci.
Avevano una notte, forse l'unica ed entrambi sembravano decisi a
godersela fino in fondo senza freni o rimorsi.
Bellamy prese a gemere rumorosamente mentre un familiare calore si
addensava dentro di lui. L'avrebbe avuta ancora dopo, decise in quel
momento. E se Clarke avesse detto di sì, sarebbe andato
avanti tutta la notte ad amarla.
"Mi dirai ancora di sì, Clarke?" chiese senza specificare a
cosa si riferisse ma non serviva. La ragazza lo capiva. C'era come una
connessione tra di loro che era quasi magica. E forse quella domanda
espressa così era un po' pretenziosa perché
Clarke avrebbe potuto dirgli ancora sì, ma solo per la
durata di quella notte.
Eppure Bellamy non stava chiedendo solo quello, e anche Clarke doveva
saperlo. Forse fu per questo che non rispose.
Allacciando le mani a quelle di Bellamy, appoggiate ai lati della sua
testa per non gravare con il proprio peso su di lei, si tirò
su e lo obbligò a stendersi sulla schiena interrompendo il
contatto tra i loro corpi.
Bellamy se ne lamentò ma Clarke gli fu di nuovo addosso, e
dopo aver circondato i suoi fianchi con le proprie gambe,
guidò l'erezione dell'altro di nuovo dentro di sé
e cominciò a muoversi su e giù sul suo membro con
forza e velocità.
"Muoviti più forte, Clarke. E' così che piace a
me" disse Bellamy con la voce roca e carica di desiderio e lei fece
come le era stato detto.
Ansimava a bocca aperta e si muoveva più velocemente e
più duramente e si sentiva il rumore delle sue natiche che
impattavano contro le cosce di Bellamy.
E le loro mani erano ancora intrecciate. Ed era giusto. Così
giusto. E sbagliato al tempo stesso.
"Clarke" la chiamò dolcemente Bellamy e questa
aprì gli occhi e li fissò nei suoi. "Guardami.
Voglio vedere i tuoi occhi mentre vieni" disse ancora, e la ragazza gli
sorrise e non distolse lo sguardo, come lui aveva chiesto.
Bellamy la stava implorando di dargli il massimo che poteva per quella
notte, ma le stava anche chiedendo di non dimenticarlo.
Quando vennero, nessuno dei due chiuse gli occhi ed entrambi
restarono con lo sguardo fisso in quello dell'altro. Poi Clarke cadde
con tutto il peso del suo corpo su quello di Bellamy che la strinse a
sé.
Non importava se erano sporchi, sudati e ansimanti, non voleva
lasciarla andare. Per una notte almeno.
Sì una notte almeno.
A un tratto tutto quello che era successo tra loro la notte prima gli
piombò addosso con la sua verità.
La cosa peggiore che può succederti dopo una notte come
quella che avevano avuto loro, era svegliarsi e ritrovarsi piena di
dubbi. Era successo questo a Clarke? Ovviamente. Lei vedeva le cose
esattamente come le vedeva Bellamy.
Sapeva che non sarebbe stato semplice per loro e sapeva che
non avrebbero avuto vita facile.
Eppure Clarke lo aveva amato. Si era data a lui senza freni o
inibizioni e non per fare uno sgarbo a Finn o per passare il tempo, ma
perché voleva, e Bellamy sapeva che questo significava
qualcosa. Significava molto.
Cosa dovevano fare adesso?
Lui comunque una risposta non la aveva. O forse la aveva ma si sentiva
troppo bastardo ad ammetterlo. Non era una cosa che succedeva spesso a
Bellamy. Di solito lui era quello che faceva la cosa giusta per gli
altri e mai per se stesso. Stavolta però sarebbe stato
egoista.
Perché adesso avrebbero dovuto parlare. Dirsi delle cose.
Dirsi delle verità. Clarke avrebbe dovuto farlo. Clarke
avrebbe dovuto decidere.
"Tu mi piaci" disse perciò Bellamy e Clarke
sobbalzò nell'udire quelle parole, colta del tutto di
sorpresa. "Forse ieri notte non hai capito quando te l'ho detto, ma
è vero. Mi piaci. "
"Ti ricordi quello che mi hai detto?" chiese Clarke confusa.
"Ricordo tutto di te" sussurrò Bellamy e sperava che fosse
chiaro che non si riferiva solo a quanto successo la notte prima tra
loro, ma a tutto il loro percorso.
Odio e poi rispetto. Rispetto e poi fiducia. Fiducia e infine amore.
Bellamy aveva salvato Clarke e lei aveva salvato lui, in mille modi
diversi.
Clarke prese un profondo respiro e sussurrando rispose: "Mi dispiace di
non aver rispettato i nostri patti. Non dovevamo dormire insieme ed io
non sarei dovuta tornare una volta uscita dalla tua tenda. Avevamo
detto che la nostra sarebbe stata solo una relazione sessuale di una
notte. Mi dispiace di non sapere come fare a rispettare il patto."
Dio, era davvero per questo che era preoccupata? A Bellamy venne voglia
di ridere. Se solo avesse saputo del panico che lo aveva colto quando
l'aveva vista vicino al lago, non lo avrebbe mai creduto
così indifferente o meschino.
La colpa però era anche sua, lo sapeva. La sua paura lo
aveva portato a frenarsi e di sicuro a frenare anche Clarke che lo
voleva. Era stata con lui per lui e non per far ingelosire Finn e
forse... Ne valeva la pena.
Quelli dell'arca ancora non erano arrivati. Non erano ancora
giunti a dettar legge e forse stavolta sarebbe stato diverso. Bellamy
aveva protetto quella gente del resto, no?Forse avrebbe potuto
prentendere qualcosa anche per se in cambio.
No, erano solo pie illusioni. Niente sarebbe stato diverso. Eppure...
Che cosa succede quando trovi qualcosa che cercavi da una vita senza
nemmeno sapere di cercarla, ma sai che sei destinato a perderla?
Ti arrendi e la lasci scivolare via perché non puoi davvero
perdere ciò che non è tuo? Oppure combatti per
aggrapparti a ogni istante che ti è concesso, anche se
questo significherà soffrire poi?
Tu cosa faresti?
Bellamy se lo era chiesto spesso in quei mesi.
E amare, amare nonostante il dolore, nonostante la paura, per lui
sembrava essere l'unica possibilità. Era una vita che amava
in quel modo, non conosceva altro modo di farlo. Era così
che aveva amato sua madre, era così che aveva amato Octavia.
E così avrebbe amato Clarke.
Senza paura. Senza se. Senza rimpianti.
Facendosi avanti, Bellamy strinse Clarke a se cogliendola di sorpresa.
"Cosa diavolo fai?" gli chiese Clarke, con un tono gioviale che un po'
strideva con la sua finta espressione preoccupata.
"Quello che ho fatto per tutta la notte. Quello che intendo fare anche
per il resto del giorno e per ogni notte a venire. Se tu vuoi."
"Dormire?"lo canzonò lei divertita.
"No, amarti " le sussurrò lui sulle labbra.
"Cosa ti fa credere che ti permetterò di nuovo di potermi
avere?"lo sfidò Clarke come faceva sempre, come aveva sempre
fatto.
Lui sorrise e posando delicatamente le labbra sulle sue
sussurrò:" Prova a fermarmi adesso, principessa."
E poi la baciò.
Con la consapevolezza che adesso qualsiasi cosa sarebbe successa tra
loro non sarebbe stata un passaggio frettoloso di cui entrambi
avrebbero cercato di dimenticarsi con l'arrivo dell'alba, ma l'inizio
di qualcosa di più grande.
Molto più grande.
Molto più vero.
- fine-
L'angolo della lupacchiotta che scrive questa roba:
Come potete vedere un racconto semplice senza tante pretese. Spero vi
sia piaciuto.
La beta per questo capitolo è stata la bravissima
Reyka che con calma e pazienza si è gettata in
questa impresa anche se non conosce il telefilm(adesso stranamente
vuole vederlo però XD)
Spero di tornare presto con altre os e perché no? anche con
delle long, in questo fandom. I Bellarke in fondo meritano
tanto amore.
Baci Bay24
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