Note
della traduttrice: Buonsalve
a tutti! Per chi non mi
conoscesse sono Ellipse, affetta da compulsione alla traduzione XD
nell’attesa
che vengano aggiornati gli altri racconti di cui mi occupo, non ho
potuto fare
a meno di dedicarmi a una storia che è tra le mie preferite
e che spero possa
piacere anche a voi. L’autrice, la meravigliosa stillaseeker, è stata
così gentile da accordarmi il permesso di
tradurla per Efp (link all’originale qui).
In
questa fic John e
Sherlock, ancora studenti universitari, si sono lasciati.
La
narrazione è svolta dal
punto di vista di John, e sinceramente credo di aver letto davvero
molte poche
storie in cui questo pov è gestito così bene, non
solo per come l’autrice
riesce a rendere il personaggio in sé, ma anche per il modo
in cui descrive tutti
gli stati d’animo e i momenti che John affronta. Come vedrete
non ci saranno
grandi misteri sui motivi della sua rottura con Sherlock, nessun evento
rocambolesco: è una storia alternativa, in cui a fare da
protagonista sono le
emozioni.
La
storia è composta da
quattro capitoli, è già completa e non troppo
lunga, quindi la aggiornerò
piuttosto in fretta, e tranquilli, è a lieto fine XD ma a
quello arriveremo
poi. Nel testo sono presenti alcuni riferimenti a note che troverete in
fondo
alla pagine e che spero possano chiarire alcuni punti della lettura.
Come
sempre, se doveste avere suggerimenti o notaste degli errori, non
esitate a
farmi sapere ^_^
Grazie
mille per la
pazienza di aver letto fin qui <3 Vi lascio al capitolo, buona
lettura e a
prestissimo!
Ellipse
PS:
ripetizioni, uso dei
tempi presente/passato/ecc. alternati sono voluti
HOW
TO BE BRAVE
Ci
sono cose che John non
desidera ricordare.
Per
la maggior parte sono
piccolezze – cose abbastanza infinitesimali da essere
spazzate come polvere
sotto il tappetino della sua coscienza, dove giacciono inermi e
tranquille,
brillando appena nel buio. Cose mezze dimenticate che sapeva prima,
come il
fatto che i capezzoli di Sherlock sono sensibili al freddo, e il
ricordo del
loro contorno attraverso la sua t-shirt grigia preferita lavata troppe
volte.
Come il fatto che i capezzoli di Sherlock sono più rosei che
marroni, con le
punte che si drizzano per l’aria fredda ogni volta che lui,
mezzo addormentato,
esce barcollando dal bagno dopo la sua doccia mattutina, con
l’asciugamano
avvolto intorno alla vita.
Questi
ricordi vanno − bene.
John può infilarli tutti in una cartellina mentale
etichettata come Baker Street, e
può più o meno ignorarne
la presenza fino a che qualcosa non li metta fuori posto. Come il
fruscio di un
cappotto costoso in un corridoio affollato, o il taglio degli zigomi di
un modello
su un qualche cartellone pubblicitario, o qualcuno con indosso una
t-shirt
sbiadita, proprio di quella sfumatura di grigio. Quando succede, i
ricordi si
rimescolano, le loro pagine pizzicano come i tagli che ci si fa con la
carta,
prima di ritornare al loro posto, ben nascosti.
Alcuni
sono più facili da
ignorare rispetto ad altri. John era andato a rileggere dei vecchi
messaggi,
cercando un riferimento a un documento che aveva menzionato il
professor
Higgleston e che Mike gli aveva mandato via sms, quando aveva avvertito
un
colpo allo stomaco.
Non
dimenticare il latte. Compra anche i cerotti alla nicotina. –
SH
Uno
stupido messaggio. Uno
che era stato trascurato nel corso della Grande Pulizia[1], quando John
si era
costretto a cancellare ogni singolo messaggio che Sherlock gli avesse
mai
mandato, scorrendo indietro fino al primo; quello che aveva dato inizio
a
tutto.
221
Baker Street. Alle 19. Non fare tardi. – SH
Era
ridicolo, ridicolo che un sms
riguardo al latte, fra
tante cose, potesse far sentire John come se qualcuno gli avesse
ficcato una
mano nel petto e gli avesse strappato il cuore. Aveva dovuto chiudere
gli occhi
– lì, proprio in mezzo al dipartimento di anatomia
– e prendere un respiro. Il
dolore – la sofferenza –
si erano attenuati
dopo un minuto o due. Era spuntato fuori Bill Murray, dandogli una
pacca sulla
spalla e dicendo un qualcosa sul prendersi una pinta insieme dopo le
lezioni, e
John era riuscito a controllare la propria espressione per renderla
quasi compiacente
e a cancellare il messaggio, le dita che armeggiavano sui tasti.
Un
giorno per volta.
Quello era stato il motto del nonno, e il nonno era stato un veterano
della
seconda guerra mondiale. John può sopravvivere a molto
più che a questo.
Ci
sono alcuni ricordi,
certo, a cui John non si accosta mai, mai e poi mai. Pensieri da cui si
tiene
lontano, anche quando è rintanato al sicuro nella sua nuova
camera, sdraiato al
buio sul materasso rigido e con le bozze del suo letto singolo. Quando
non
riesce a dormire – quando sente che gli manca
l’aria.
Il
fumo, che si arriccia
dalle labbra di Sherlock, bello come una fotografia in bianco e nero.
Il
sollevarsi incerto e
sghembo della bocca di Sherlock ogni volta che John riusciva a
sorprenderlo -
per farlo sorridere.
Il
sapore indescrivibile
di nicotina e catrame mischiato a qualcosa di dolce in modo
stuzzicante, come
il miele.
Come
appariva tutta quelle
pelle chiara, allungata su un divano di pelle scura.
Quella
spolverata di peli,
che si fanno più scuri verso l’inguine di Sherlock.
Come
ansimava Sherlock,
con l’arco della bocca che si spalancava, quando John-
Basta.
Smettila. Smettila e basta.
John
chiude con forza gli
occhi, volta la testa contro il cuscino e respira.
::
Si
era trasferito,
ovviamente. Davvero, non c’era stata alternativa.
Si
era accampato sul
divano di Mike, poi su quello di Bill, poi di Sarah. Era diventato
disperato
abbastanza da pensare di chiamare Harry – col cuore a
sprofondargli nel
rendersi conto di avere a malapena un centinaio di sterline che gli
sarebbero
dovute bastare fino alla fine del semestre – quando era
comparso Mycroft.
John
non aveva mai
propriamente capito il suo rapporto con Mycroft. Aveva sentito che
erano stati
alleati, per un po’. Due soldati impegnati nella guerra
più inutile al mondo –
la lotta per il benessere di Sherlock. Mycroft aveva persino cominciato
a piacergli – il modo in
cui sorrideva con
le sopracciglia, non con gli occhi; il tono condiscendente che usava
quando era
affettuoso ma non voleva che Sherlock lo capisse; persino quel suo
gesto
plateale e drammatico con l’ombrello, a picchiettare sul loro
pavimento.
John
non aveva previsto
come la vista di Mycroft potesse strappargli l’aria dai
polmoni, e sembrare
tanto simile a una sconfitta.
Non
riesce a ricordare
bene la loro conversazione, ora, ma ricorda il disinvolto suggerimento
di
Mycroft sul prendere una camera nello studentato – abbandonata all’ultimo minuto, il tipo se
n’è andato in Brunei per
studiare gli oranghi nella foresta pluviale del Borneo, la stanza
è già pagata,
ovviamente – e la sensazione travolgente nel
proprio petto quando aveva
accettato.
Mycroft
non aveva detto
una parola riguardo a Sherlock, ma le sue sopracciglia sembravano
indicare che
si era reso conto della condizione di John – jeans
più larghi del normale (troppo magro),
borse sotto agli occhi (difficoltà
a dormire), tre punti
sfuggiti alla rasatura (distratto),
braccio ancora fasciato.
John
non si era guardato
indietro.
Se
lo avesse fatto,
avrebbe potuto vedere qualcosa che non avrebbe mai pensato potesse
attraversare
il volto di Mycroft – qualcosa di abominevolmente simile a
dispiacere.
::
Il
tempo passa,
ovviamente.
Prima
che John se ne
accorga è trascorso un mese, poi tre mesi, poi sei. Si butta
sui corsi, ed è un
caso fortuito che non si sia mai ritrovato tanto impegnato in tutta la
sua
vita. I suoi compagni di corso brontolano, ma lui si fa carico degli
oneri
aggiuntivi della sua facoltà senza l’ombra di una
protesta, e cerca di dare il
massimo in ogni prova. I suoi professori lo notano.
I
suoi amici lo criticano
dicendogli che è un secchione e un leccapiedi, ma un paio di
weekend giù al
pub, bevendo più di tutti loro, pone rimedio a quelle
sciocchezze. Osservando
attorno a sé quella cerchia di facce allegre – il
sorriso timido di Mike mentre
si china verso una moretta con gli occhiali e il viso dolce, e il
brutto muso
di Bill, che canta You’ll never
walk
alone quando la sua squadra del cuore vince una partita
contro l’Arsenal –
John si sente… meglio. Ride quando Bill rovescia un boccale
addosso ad
Anderson, e sghignazza con Dimmock quando Sally perde il suo tempo con
un tipo
che non capisce il concetto di spazio personale. Si butta nella mischia
quando
il pub esplode in una rissa, gli studenti di medicina contro i ragazzi
viziati
di città che non riescono ad accettare un
“no” come risposta, e trattiene un
ragazzo panciuto dall’abito su misura mentre Sally gli
dà una ginocchiata alle
gonadi. Lo fa con un sorrisetto sulla faccia.
Sono
quasi otto mesi, e
John ancora non riesce a dormire, ma le cose stanno migliorando, lui sta migliorando, quando rivede
Sherlock.
::
C’è
un Tesco[2] aperto 24
ore su 24 a circa quindici minuti di camminata dallo studentato di John.
A
volte, quando se ne sta
sdraiato al buio per ore e sente di non riuscire a respirare, come se
stesse
soffocando nell’aria ferma e pesante del suo dormitorio, John
si mette il
cappotto sopra al pigiama e afferra il portafogli, le chiavi. Il
silenzio di
Londra alle tre del mattino lo calma sempre, anche quando viene
spezzato dalle
risate ubriache di studenti che barcollano per strada dopo
un’uscita, dalle
ruote degli autobus notturni e delle macchine che superano i semafori
troppo in
fretta, e dalle immancabili ombre nei vicoli, che si trascinano verso
di lui
offrendogli funghi o eroina. Londra alle prime ore del mattino
è una creatura
ambigua, spogliata degli ornamenti che ha di giorno e di quella patina
amichevole. È la Londra spogliata fino alle ossa dopo una
giornata trascorsa a
fingere – freddamente noncurante, pronta a mostrare tutti i
propri spigoli.
John non è immune alla sua bellezza, proprio come non
è mai stato immune al
fascino delle cose pericolose.
Se
ne sta nel corridoio di
un reparto, intento a decidere con gli occhi appannati fra latte
scremato e
parzialmente scremato, quando vede quella familiare sagoma ricurva. I
ricci
neri sopra a un colletto tirato su. Le mani infilate mollemente nelle
tasche
del cappotto.
Si
volta, istintivamente.
Sherlock
sembra –
praticamente sempre lo stesso. Forse più magro di qualche
chilo, ma è difficile
a dirsi con indosso quel cappotto. I suoi occhi vagano rapidi sugli
scaffali
del supermercato con quel fare calcolatore e concentrato che significa
che sta
pensando alla velocità della luce, facendo triangolazioni e
riferimenti
incrociati, tracciando senza sforzo mappe di costellazioni fra una
miriade di
punti fissi in cui John vede solo delle stelle. A John si ferma il
respiro nel
petto.
Di
tutti posti in cui imbattersi
nel suo ex, doveva essere da Tesco mentre indossa il suo maledetto
pigiama.
Alle cazzo di tre del mattino.
Sherlock
non lo ha visto –
John è mezzo nascosto dietro al cartellone alto due metri di
un nuovo yogurt da
bere al melograno. John si sente arrossire in viso –
è come se tutti i suoi
ricordi accuratamente archiviati si siano riversati sul suo volto, il modo in cui Sherlock infila i suoi piedi
gelati nello spazio fra le cosce di John, facendolo squittire; il verso
che fa
Sherlock quando John gli mordicchia quel punto sul collo, proprio dove
si trova
il suo neo; il modo in cui Sherlock dice “John”
quando ─
“John.”
Gli
occhi di John si
sollevano, incontrando quell’indimenticabile sguardo
grigio-azzurro, ed è come
guardare dritto nel cielo di Londra. Del chiaro macchiato di nuvole. Ha
sempre
amato quel colore.
Per
un attimo, non fanno
nient’altro che fissarsi l’un l’altro.
Ora
che John può vedergli
il viso, i cambiamenti sono più evidenti. Le grinze intorno
agli occhi di
Sherlock sembrano un po’ più accentuate, come se
Sherlock li avesse tenuti affondati
senza tregua nel suo microscopio. La sua sciarpa – quel pezzo
di tessuto blu
morbido e logoro – gli pende un po’ più
liberamente dal collo; ha decisamente
perso un po’ di peso. Probabilmente approfittando del fatto
di non avere più
John attorno, ad assillarlo perché mangi a intervalli
regolari.
John
sussulta, di
riflesso.
Gli
occhi di Sherlock diventano
illeggibili. Il suo volto, che non è mai stato un libro
aperto, si fa
cautamente indifferente.
Con
sorpresa di John, è
Sherlock il primo a interrompere il contatto visivo. Abbassa gli occhi
sui
propri piedi, ancora lo stesso paio di
eleganti mocassini italiani che gli ha regalato Mycroft per lo scorso
Natale –
ma non se ne va. Rimane lì, a fissare il pavimento come una
statua nel
corridoio del supermercato. Di tutte le volte in cui John ha desiderato
che
Sherlock fosse più confacente alle norme sociali, non
avrebbe mai pensato che
sarebbe capitato così – Sherlock che prova
l’imbarazzo del trovarsi faccia a
faccia con un ex ragazzo dopo la rottura.
La
cosa è talmente
inaspettata da paralizzare John sul posto. Esita per un attimo, i
pensieri a
rimbombargli nella testa, ma a quanto pare a lungo abbastanza
perché Sherlock
arrivi a una qualche conclusione in quella sua mente geniale e idiota.
Sherlock
si volta, il cappotto che si solleva attorno a lui in un modo che fa
dolere il
petto a John, e sta già avanzando a grandi passi verso
l’uscita quando John
riesce a raggiungerlo.
“Sherlock.
Sherlock – aspetta.”
John
allunga una mano per
afferrarlo per una spalla, ma si ricorda giusto a un pelo di distanza
prima che
le sue dita lo tocchino: Lui non è
tuo,
non puoi toccarlo. Non più.
Alza
lo sguardo sul viso
di Sherlock. Ogni angolo è dolorosamente familiare, e
freddamente inscrutabile.
Sono proprio accanto all’uscita; la cassiera li sta
osservando con interesse da
dietro la sua copia della rivista Heat.
“Io
– volevo solo dirti.”
John si schiarisce la gola, si sforza di farsi uscire le parole di
bocca. “È –
bello vederti. Ti trovo – a posto. Voglio dire…
bene. Ti trovo bene.”
L’angolo
della bocca di
Sherlock si incurva in maniera impercettibile verso l’alto.
“Volevo
solo che tu
sapessi che-“ Cristo,
perché sto ancora
balbettando? “Che – eravamo amici prima
di ogni cosa, prima di tutto
quanto. E – io lo apprezzerò sempre.” Un
respiro profondo. John chiude gli
occhi. “Tu eri – il migliore amico che io avessi
mai avuto.”
Gli
occhi di Sherlock
sembrano più azzurri che grigi, quando John trova finalmente
il modo di aprire
i propri. Anche se la sua espressione non è cambiata, anche
se non si è
miracolosamente ritrasformato nello Sherlock che conosceva -
c’è un accenno di
morbidezza, ora, nella linea della sua mascella, della sua bocca.
“Ben
articolato come
sempre, John.”
Quella
profonda voce
baritona – sentirla di nuovo è come una scarica di
adrenalina. In modo
perverso, a John fa venir voglia di ridacchiare. Di prendere un respiro
profondo e di respirare.
“C’è
posto per un solo
genio nel supermercato.”
È
incredibilmente facile
sorridere a Sherlock. In fondo a tutto quanto – in fondo a
tutto lo schifo che hanno
attraversato insieme,
John non può fare a meno di provare un senso
d’affetto. Ha amato questo
ragazzo, un tempo; forse – Dio non
voglia
– lo ama ancora. Tutto quello che sa è che
è terrificante quanto lui voglia far
sorridere Sherlock di nuovo.
“Bè.”
John china la testa,
facendo cenno al proprio cestino della spesa, con tre soli prodotti
– sedano,
fagioli e marmellata di ciliegie. “Non ti trattengo. So
quanto tu sia – quanto
tu sia impegnato di solito.”
Il
silenzio torna a farsi
impacciato, e John decide che quando è troppo è
troppo. “Ti – lascio fare,
allora.”
Si
costringe ad
allontanarsi, avvertendo lo sguardo di Sherlock su di sé ad
ogni passo.
Non
si guarda indietro.
::
La
volta successiva in cui
John vede Sherlock è a malapena una settimana dopo.
Ha
trascorso troppo tempo
in laboratorio, col suo studio sulla virologia delle cellule
molecolari, e
adesso è in ritardo di dieci minuti al suo turno alla
libreria dell’UCL[3].
Miss Bowen, il capo-bibliotecaria, è terribilmente
irascibile; John non può
permettersi di inimicarsela, non quando si sente ancora a due passi dal
ritrovarsi a vendere il Big Issue[4]
o
– peggio – a implorare Harry per avere dei soldi.
Sta correndo lungo Gower
Street, lo zaino a rimbalzargli contro la schiena, quando cadono le
prime,
grosse gocce di pioggia.
La
pioggia sta giusto
iniziando a prendere intensità – fantastico,
è il rombo di un tuono, quello? - quando John si
scontra con una figura alta,
snella e familiare. Cadono entrambi sull’asfalto bagnato, le
scarpette di John
che gli slittano sotto ai piedi.
John
sussulta per le
abrasioni sulle proprie mani. Grandioso, i suoi jeans sono
completamente
bagnati; questo era l’ultimo paio pulito. Si alza tremante,
appoggiandosi sulle
ginocchia con le mani. “Cristo, stai bene –
Sherlock?”
“John?”
I
capelli di Sherlock sono
fradici, appiccicati in ciocche umide sulla sua fronte. Sta proprio
piovendo a
dirotto. La sua pelle sembra pallida; i suoi occhi affondano in quelli
di John.
John non riesce a ricordare quand’è stata
l’ultima volta in cui ha visto
Sherlock tanto sorpreso.
“Sherlock,
stai bene?”
Sherlock
fa cenno di sì
con la testa. John lo aiuta a rimettersi in piedi, il cuore che gli
martella nel
petto mentre tocca il braccio di Sherlock, tirandolo su. Non riesce
proprio a frenare
l’impulso di dargli una controllata, notando che le sue
braccia sembrano più
magre di prima, anche attraverso la lana pesante del suo cappotto.
Dà
un’inutile spazzolata allo sporco che ha macchiato la camicia
bianca di
Sherlock, che già si sta facendo trasparente per la pioggia,
prima di
ricordare.
Cristo.
La
sua faccia si arrossa.
Ritrae le dita richiudendole sul palmo.
Sherlock
lo sta ancora
guardando mentre John si volta per raccogliere i libri bagnati che sono
caduti
sul marciapiede. Ovviamente Sherlock, il grandissimo stronzo, non lo
aiuta.
“Bene.
Mi – dispiace.”
Buon Dio, quando la finirà di essere così
imbarazzante? John evita gli occhi di
Sherlock mentre si getta di nuovo lo zaino sulle spalle. Cazzo, ora
dev’essere
in ritardo di almeno venti minuti. “Ehm – passa una
buona giornata.”
Passa
una buona giornata? John
resiste all’impulso di battere la
testa contro il marciapiede.
È
quasi a cinque metri di
distanza, ancora intento a evitare lo sguardo di Sherlock e imponendo
al
proprio viso di smettere di imitare un pomodoro, quando sente la
risposta di
Sherlock al di sopra del picchiettio del pioggia.
“Ci
si vede in giro,
John.”
::
Dopo
quell’episodio, sembra
che John veda Sherlock ovunque.
Non
è un idiota –
chiaramente Sherlock non lo avrebbe sopportato per una settimana,
figurarsi per
diciotto mesi, se le sue facoltà mentali fossero state pari
a zero – ma ancora
non riesce a capire per quale ragione Sherlock dovrebbe andarsene in
giro a
cercarlo, dopo tutto quel che è successo. E comunque non
è che si parlino.
Qualunque
cosa rimanga,
per quanto improbabile, deve essere la verità. Sherlock deve
aver smesso di
evitarlo deliberatamente, ecco tutto. Sono sopravvissuti allo shock del
rivedersi; Sherlock deve aver deciso che astenersi
dall’andare nei posti che
frequenta John non merita più spazio nel suo hard disk
mentale. Non è una
conclusione improbabile a cui arrivare – fanno la stessa
università, anche se
Sherlock sta già facendo il dottorato e John si sta ancora
trascinando nel suo
terzo anno di Medicina. Il fatto che Sherlock sia di un anno
più giovane di
John e che abbia già una laurea di primo livello in Chimica
intascata a
Cambridge prima che lo cacciassero – quello non ha importanza.
John
vede Sherlock allo
studentato, mentre sfoglia alcuni libri di storia
dell’università. Lo sorprende
mentre mangiucchia un muffin al Costa di Waterstone’s[5],
mentre fissa
intensamente – Cristo, sono macchie
di
sangue quelle? Ma che diavolo? Sherlock che attraversa a
grandi passi il
cortile interno dell’università, il cappotto che
svolazza dietro di lui, le
mani in tasca. Sherlock che aspetta l’autobus a Tottenham
Court.
Ogni
volta che si
incrociano, John ne avverte lo shock come se gli trapassassero il petto
con una
lancia. Anziché sbiadire col tempo, i ricordi sembrano
vorticargli tutt’attorno
come fumo che esce da un portello, facendosi più vividi ogni
volta che lo vede.
Sherlock che striscia a letto di primo
mattino dopo aver finito uno dei suoi esperimenti, gettando un braccio
attorno
al petto di John e intrecciando le loro dita sotto alle coperte. Il
modo in
cui, quando è di cattivo umore, si raggomitola a
mo’ di palla sul divano in
pelle, avvolto nella sua vestaglia blu preferita, ma solleva comunque
il viso
per un bacio. Il suono del suo violino – armonioso, bello in
modo struggente,
suonato con quel lieve arricciarsi delle sue labbra –
Una
volta, col cuore che
si ferma, gli sembra di vedere Sherlock in una discoteca, proprio prima
dell’orario di chiusura, quando la ragazza con cui ha ballato
svogliatamente
fino a quel momento si arrende e raggiunge di nuovo le sue amiche. John
ha
appena dato le spalle al bar, tracannando dell’acqua per
togliersi il sapore di
burro-cacao dalle labbra, quando vede una testa ricciuta e mora che si
china
verso un’altra. Le bocche che si muovono in sincronia, prese
da un bacio
appassionato.
Si
sente come tramutato in
pietra. Stordito. Il sangue che corre alle orecchie.
Non
è Sherlock,
ovviamente. Salta fuori che è quel tipo idiota di Geografia,
che ficca la
lingua in gola fino alle tonsille a una qualche ragazza che John
ricorda
vagamente di aver visto allo studentato. Ma da una certa distanza
– Cristo. Cristo santissimo.
John
fugge nel vicolo
fuori della discoteca, accovacciandosi fra i mozziconi di sigarette
gettate a
terra, evitando accuratamente di pensare all’inevitabile
odore di piscio e
tabacco. Si tiene la testa fra le mani, respirando dal naso.
Devo
dimenticarlo.
È
ingiusto – incredibilmente,
maledettamente ingiusto – come quel pensiero lo faccia
sentire come se il cuore
gli si stesse spezzando, ancora una volta.
::
Note
alla traduzione:
[1]
Con “Grande Pulizia”
si intende, nel caso non si capisse bene, quell’operazione
che bene o male mettono
in atto quasi tutti dopo una rottura, cioè
l’eliminare tutti i
messaggi/foto/ecc della persona con cui ci si è lasciati dal
proprio cellulare.
Rilassa i nervi, fidatevi u.u
[2]
Tesco è una catena di
supermercati molto diffusa e dai prezzi relativamente bassi.
[3]
UCL sta per University
College London.
[4]
Il
Big Issue è
un giornale
di strada edito
in otto nazioni, scritto da giornalisti professionisti
e venduto da
persone senza
fissa dimora.
Fondato da John
Bird e Gordon
Roddick nel
settembre 1991,
è una
delle maggiori società cooperative di interesse collettivo
nel Regno
Unito.
La sua ragione d'essere è offrire ai senzatetto
l'opportunità di guadagnare un salario legittimo e aiutarli
nel contempo a
reintegrarli nella società (fonte: Wikipedia).
[5]
La Costa Coffee è una società di caffè
del Regno Unito,
in cui gestisce circa 665 negozi. Waterstone’s è
una catena britannica di
librerie, con attualmente 200 negozi nel Regno Unito.
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