12
XII.
Nero fu il giuramento.
C'era molta più luce: innanzitutto, Bran prese atto di
questo.
Era ancora nel Parco degli Dèi -non c'erano esattamente
indizi
che facessero manifestamente intendere ciò, ma lui ne era
quasi
certo- eppure la visione era diversa da quella a cui aveva assistito,
in un punto non meglio precisato del prima rispetto a quel lungo ed
incomprensibile che adesso stava vivendo, respirando. Gli
alberi, tutti
i begl'alberi del cuore che aveva sempre potuto ammirare, non c'erano
più: forse era proprio questo il motivo di tanta luce. I
colori
parevano definirsi a fatica, vinti dall'opalescente tendenza ad un
chiarore annientante -quasi accidentali e pallidi riflessi d'un
diamante crudo, esposto alla pienezza dei raggi del sole.
Il secondo dettaglio che stupì sinceramente Bran fu la sua
stessa presenza. Non aveva fatto altro che contemplare passivamente la
visione precedente, che si presentava come disegnata sulla pagina di un
libro; in quel momento, invece, Bran era lì. Si
portò una
mano alla testa e la passò fra i capelli; le sue gambe,
inutili
come sempre, erano solo un peso inerte di fianco a lui. Poi si
guardò intorno, senza che i suoi occhi riuscissero a
soffermarsi
su qualcosa: nemmeno Grande Inverno era all'orizzonte.
La scena era pervasa da un senso di sospensione, come se lì
l'immobilità cangiante d'ogni elemento impedisse all'anima
di
misurare il tempo, confondendo gli spettatori in un torpore tranquillo.
V'era persino qualcosa di minaccioso, nell'aria, e forse l'allarme era
suscitato proprio dall'apparente assenza di qualsiasi rischio, dalla
quiete stagnante che si profilava in un presente-passato-futuro
indistinguibile. Tutto era troppo fermo -fermato. Tutto era troppo
luminoso -illuminato. Una presenza impalpabile presidiava a tutto
quanto, ma Bran, nonostante formulasse con assoluta lucidità
tali riflessioni, non aveva paura.
Al posto del consueto stagno v'era un ruscello, dal corso lento e
placido, senza fretta nè violenza. Era scarsamente profondo,
tanto che Bran sarebbe riuscito a contare tutti i ciottoli rotondi
disseminati sul fondale limaccioso, se solo glie ne fosse venuto il
capriccio. A
questo punto, chissà mai per quale motivo era ancora
convinto
di essere al Parco degli Dèi.
Non ebbe il tempo di pensarci, perchè la sua attenzione
venne
attirata: gli era sembrato di vedere qualcosa nell'acqua. Bran
aguzzò lo sguardo e si sporse dalla riva verso
la superficie, affondando i palmi delle mani nell'erba e facendo leva
con le braccia. Quel qualcosa che aveva visto non era un oggetto,
bensì un barbaglio di luce colorata, ammiccante, che prese
forma
fino a delineare delle immagini.
E, fra le lievi onde della corrente del fiume, Bran vide
una tavola imbandita a festa. Scorse Robb, con i suoi ricci ramati e la
barba folta sulle guance, più adulto rispetto all'ultima
volta ch'egli
l'aveva salutato. Sedeva al fianco d'una donna dall'aria esotica, con
la pelle ambrata e lunghi capelli corvini, di cui
però Bran
non avrebbe saputo indovinare precisamente la provenienza. Era la
consorte di suo fratello, e questo si comprendeva facilmente dal tenero
modo in cui le loro mani si toccavano sul tavolo. Theon Greyjoy,
arrogante e vigoroso com'era anni prima -non quello scheletro spolpato
che dicevano fosse divenuto- stava ridendo sguaiatamente per una
battuta sconcia, che di sicuro era stato lui a raccontare, e intanto
lanciava sguardi laidi alla moglie di Robb. C'erano anche Eddard Stark,
con i capelli ingrigiti dal tempo ma sempre con il solito sorriso saldo
e pacato, e Catelyn: gli occhi azzurri accesi di gioia rendevano il suo
viso incredibilmente bello e giovane, nonostante le rughe e i segni
degli anni. Bran riconobbe addirittura se stesso, un adolescente che
dimostrava metà dell'età che aveva e stava
appollaiato sul ramo di un
albero lì vicino, intento ad evitare le mele che Arya gli
stava
lanciando contro. I suoi occhi erano puliti di quasiasi dolore, proprio
come quando aveva dieci anni, ed egli stava dondolando le gambe con
indolenza: gambe che funzionavano. Nel
frattempo a tavola un'irriconoscibile Meera, vestita come una vera
lady, stava rispettosamente ascoltando Benjen Stark, che raccontava
della sua ultima escursione al di là della Barriera: era
evidentemente annoiata a morte, però non aveva il coraggio
di
liquidarlo. Jon Snow, intanto, si divertiva a scompigliare i capelli di
un
bambino di all'incirca cinque o sei anni; il piccolo si
divincolò, scese con un balzo dalle sue ginocchia e corse a
strattonare il mantello del nonno, per farsi prendere in braccio.
-Ned! Cosa fai? Comportati da bravo!- esclamò Talisa Maegyr
al
figlio, arrossendo ed evitando lo sguardo del suocero, dal quale pareva
messa in soggezione.
-Non c'è problema.- rideva Eddard Stark, sollevando il
bambino.
-È legittimo che sia un po' viziato, non è vero,
giovanotto?-
Robb scuoteva la testa, divertito. -Quando gli nascerà il
fratellino, dovrà spartirsi le attenzioni di suo nonno...
sarà geloso come un matto.-
-Bran, scendi da quell'albero, una volta per tutte! Arya, piantala di
lanciare il cibo!- rimbrottava intanto Catelyn, alzando gli occhi al
cielo. Il Bran appeso all'albero replicò con uno sguardo
malizioso, mentre Arya si gettava all'attacco, tentando di trascinarlo
giù per i piedi. A quel punto, Meera si voltò a
guardarlo
e si complimentò a gran voce con lui per i suoi riflessi.
Bran
avvampò in una maniera in cui egli credeva di non essere
più capace.
-Fagli mangiare la polvere, Arya!- ridacchiava un ragazzino che Bran a
prima vista non identificò. I boccoli bronzei gli si
arricciolavano dolcemente all'altezza delle orecchie, e i suoi occhi
erano uguali a quelli di Catelyn, d'un celeste diafano e gentile.
L'intuizione che si trattasse di Rickon fu al pari di un pugno nello
stomaco. Nessuna cicatrice sfigurava quel viso bianco e giovane, e lui
sorrideva sereno -sorrideva, non sogghignava- vicino ad una fanciulla dalle
trecce verdi come l'erba fresca, elegantemente acconciate sul capo.
E dietro di loro c'erano altre persone, il maestro Luwin, la vecchia
Nan tutta accartocciata su se stessa, Hodor che trascinava un tronco
canticchiando Hodor hodor hodor hodor, e Robb e sua moglie che si
scambiavano un bacio fra i fischi di Theon e sotto lo sguardo
intenerito di Jon...
Bran percepì una lacrima tiepida tagliargli lo
zigomo.
Basta, basta, stava implorando una voce nella sua mente, basta. Era una
tortura. Non avrebbe guardato nemmeno per un istante di più,
altrimenti gli sarebbe venuta la tentazione di allungarsi verso quella
felicità irraggiungibile fino ad affogare. Quanto dolore
sarebbe
stato risparmiato. A lui, a Rickon, a Robb e Arya e Meera...
All'improvviso, provò la sgradevole sensazione d'essere
osservato. Quando Bran voltò il capo verso sinistra, si
accorse
d'un tratto di non essere solo: stagliata contro il cielo terso, una
fanciulla era come lui affacciata alle acque del ruscello. Il suo viso
era molto grazioso, ma l'espressione era così austera da
lasciare interdetti. Sembrava rinchiusa nella freddezza di un dolore
esclusivo quanto intransigente, che nessun altro al mondo avrebbe
potuto comprendere nè condividere. Le labbra erano piene e
carnose, gli occhi scuri come il carbone e gli zigomi alti e
pronunciati; il disegno dei capelli era un complesso, morbido scorrere
di arabeschi e spirali, abbandonati con incuranza sulla
schiena, a
crescere come importuni rampicanti. La sconosciuta era appunto china
sullo specchio d'acqua,
proprio come lui; aveva le ginocchia a terra, a schiacciare l'erba e
sporcarle la gonna, e il viso chino verso il basso, a sfiorare il petto
flettendo il lungo collo. Bran si chiese cosa vedesse. Sulla superficie
dell'acqua galleggiavano, lenti e pigri, avvizziti petali blu, dai
margini frastagliati, deteriorati dal tempo, chiazzati di macchie
giallastre.
-È quello che sarebbe stato.- La voce della ragazza
risuonò alta e sferzante come il vento del Nord. -Quello che
non
avrebbe mai potuto essere.-
Bran la guardò, ma lei non alzò il capo. Non
diede
nemmeno segno di starsi rivolgendo a lui, però erano gli
unici ad essere lì,
quindi non c'era possibilità di fraintendimento.
-Come hai detto?- domandò lui.
-Anche io lo vedo spesso. Cosa sarebbe successo, intendo.- La ragazza
s'ostinava a non sollevare il mento. Il suo sguardo vagava nelle
profondità più recondite del torrente, ma le sue
parole
erano piatte ed asciutte. -Vediamo
storie diverse, io e te, eppure il nostro dolore è lo
stesso.
Siamo destinati ai medesimi rimpianti. Il passato non ci
lascerà
mai andare.-
L'orlo blu della sua veste si protendeva largo nell'erba, stoffa
sontuosa del colore del cielo estivo. Una corona di nudi sterpi, di
spine aggrovigliate, giaceva di traverso sulla sua nuca.
Bran si accorse che, gradatamente, l'acqua prima cristallina aveva
assunto una tinta rosata. Ben presto, il feroce odore del sangue giunse
netto, definito ed inconfutabile alle sue narici. I suoi occhi
scrutarono la superficie, per poi rivolgersi di nuovo al volto della
donna, ponderatamente guardinghi.
-Tu sei mia zia Lyanna,- chiese cautamente, -vero?-
Impossibile non riconoscere quei tratti, quelle
caratteristiche;
impossibile non riconoscere la ragazza che aveva fatto dipingere in una
delle sale di Grande Inverno. Il fantasma di suo padre, un personaggio
di fiaba.
Lei non reagì. Rimase algida, impassibile, l'ombra bianca
dell'amarezza calata sul viso e una fissità lontana nello
sguardo scuro.
-Molti anni fa rispondevo a questo nome.- ammise a voce bassa,
insondabile. -Amai un uomo, anche. La nostra
non fu una storia che si racconta volentieri. Sono state tramandate
molte bugie... ma ormai è troppo tardi.-
Lyanna immerse una mano nell'acqua, fino al gomito: quando la
estrasse stringeva fra le dita un rubino dal colore abbagliante, in cui
il sole si specchiò impunemente. Bran era sbalordito: lo
stupore
che gli colmava il petto lo fece sentire più leggero,
più
libero, più giovane, e gli ricordò di
più il
ragazzino che aveva visto nelle acque del ruscello anzichè
il re
del Nord ch'era diventato.
La fanciulla lasciò ricadere la pietra nell'acqua, con un
fioco
schiocco. Una tristezza inossidabile le pietrificava le iridi.
-Io sono morta, Brandon Stark. Quel che vedo in queste acque mi
perseguiterà fino alla fine dei miei giorni. Ma tu sei
vivo... e
puoi ancora fare pace con il tuo presente. Puoi ancora perdonargli di
non essere il futuro che volevi.-
D'un tratto, a pelo d'acqua affiorò qualcosa che
inizialmente
Bran non seppe riconoscere: sembravano argentei gambi di fiore. Poi
Lyanna si chinò e la trasse fino a poggiarla in grembo. Il
ragazzo inorridì nel realizzare che si trattava d'una testa:
sì, una testa umana, il bianco viso d'un uomo dai fluenti
capelli d'argento, dalle palpebre calate in un sonno eterno. Lyanna
raccolse con una mano alcune ciocche dei capelli bagnati di Rhaegar
Targaryen, le lisciò, le arrotolò, le
lisciò
ancora. Una tenerezza tristissima ed inesprimibile le inumidiva le
ciglia.
-Puoi ancora ringraziare il cielo di averlo, un futuro.-
Bran fuggì lo sguardo struggente di sua zia, quasi
spaventato da
quel dolore. Lanciò un'occhiata al ruscello, quasi
disperatamente, bramando per un'ultima volta quell'idillio da cui era
inevitabilmente escluso. Le acque s'erano infrante e non mostravano
più nulla, se non l'espressione angosciata di Bran.
Per la prima volta, lo sguardo di Lyanna e quello di Bran
s'incrociarono.
-Se il fato ti vuole morto, devi morire. Ma se il fato ti vuole vivo...
allora tu devi vivere, Brandon.- Qualcosa di simile ad un malinconico
sorriso le incurvò le labbra. -Adesso sai cosa fare.-
Bran provò una specie di calore all'altezza del
petto.
-Credo di sì.-
Lyanna scomparve, in una nuvola di petali blu, mentre le note della
melodia d'un'arpa si disperdevano nelle nebbie del tempo, riecheggiando
nella polvere dei secoli. La risata di Rickon Stark annegò
nelle
acque del ruscello, che spazzavano via il passato come fa il vento con
le foglie d'autunno.
***
Tyrion aveva sempre provato una strana titubanza di fronte a Sansa,
anche se non era mai riuscito a spiegarselo. Aveva dovuto ammetterlo
con sè stesso.
La sua opinione aveva un'inusuale rilevanza per il Folletto;
inconsapevolmente, si era ritrovato spesso a chiedersi cosa
la ragazza Stark pensasse di lui, per poi ricordarsi che non avrebbe
dovuto importargli affatto. Al tempo in cui l'aveva sposata, si
guardava con i suoi occhi e si vedeva tozzo, deforme, grottesco come un
guitto, e -al contrario di come succedeva nella stragrande maggioranza
delle volte- si sentiva in colpa di questo nei suoi confronti. Sansa
meritava di meglio, solo questo riusciva a pensare: poco importava se
non era stato lui a decidere tutto ciò. La
razionalità
aveva poco a che fare. E Tyrion riteneva che non esistesse nulla di
peggio di vergognarsi
di sè.
I giorni al fianco della sua giovanissima moglie erano stati
insostenibili per entrambi. Lei masticata dalle mandibole di un dolore
devastante, lui costantemente vincolato dal proprio imbarazzo. Quando
Sansa era fuggita, era stato quasi un sollievo: e Tyrion, segretamente,
aveva proseguito a pensare che l'avesse fatto a causa sua, a causa del
disgusto che provava per il suo marito nano. E anche se fosse stato?
Sansa era solo una sciocca, frivola, sprovveduta ragazzetta di
sedici anni. Il suo giudizio non avrebbe dovuto nemmeno sfiorarlo.
Il tempo era trascorso, la giovane Stark era diventata una donna. Il
Folletto aveva spesso vagheggiato riguardo il suo destino, s'era
chiesta dove fosse, come stesse... per
poi ricordarsi che non avrebbe dovuto importargli affatto.
Aveva temuto quel confronto per molto tempo, e allo stesso tempo aveva
sempre saputo che prima o poi sarebbe avvenuto. Invece, ora che stava
realmente accadendo, Tyrion provava soltanto una sorta di
imprudente astio, di derisoria rabbia. La strana umiliazione che lo
aveva sempre afflitto, per modo di dire a causa sua,
riaffiorò
come una vecchia ferita stuzzicata.
Fissò la ragazza di fronte a sè, serrando gli
occhi in due fessure.
-Voi Stark dovreste cambiare il nome della vostra casata in A volte ritornano.
Fra un po', arriverà anche tuo padre senza testa a chiedere
vendetta. Ce n'è almeno uno, della tua famiglia, che sia
morto
sul serio?- Quel salace sarcasmo inasprì le labbra della sua
interlocutrice in una smorfia rigida.
-A volte ritornano,
sicuramente non grazie ai Lannister.-
Sansa lo corresse con freddezza. -Non prenderti gioco di me. L'avete
già fatto troppe volte. Non posso più tollerarlo.-
Persino la sua voce era diversa da come la ricordava -ovvio che era
diversa. Era più simile al graffiante stridio del ferro
sugli
scudi, alle dita dell'inverno lungo la spina dorsale. Una
crudeltà che non le era mai appertenuta -che non le sarebbe
mai
dovuta appertenere- s'era impossessata di lei come un morbo.
Tyrion parlò come se non avesse udito. -A Nido dell'Aquila,
Ditocorto ti ha nascosta così bene che non
sono riuscito a trovarti. Dov'eri? Lo chiedo così, per
curiosità
intellettuale.-
Sansa scosse il capo, gli occhi ancora affilati. -Tutto questo non ha
più la minima importanza, Folletto.-
-Oh, adesso non sono più "il tuo lord"?- Tyrion
scoppiò a
ridere, e le sue stesse orecchie riconobbero quel suono come un
concentrato d'amarezza. -Adesso sono il Folletto.-
La fanciulla rispose con una fermezza che, un per solo istante, parve
intristirla e velarle le iridi, in un breve ma appassionato conflitto
fra il dolore dei ricordi e la necessità di quella forza che
non
doveva abbandonarla.
-Adesso, e per sempre, sarai un Lannister. Tanto mi basta.-
Il silenzio era tremendamente ostile.
-Cosa volevi fare ai miei nipoti, Sansa Stark?- domandò
Tyrion,
mentre il suo sguardo inquisiva gli occhi della ragazza con una
franchezza crudele.
Ma Sansa non si lasciò prendere alla sprovvista
così
facilmente, nonostante quell'accusa fosse funesta ed implacabile come
solo l'autentica espressione della verità può
essere.
-La stessa cosa che tuo fratello voleva fare al mio dieci anni fa.-
proferì prontamente, senza distogliere lo sguardo.
-Sangue innocente per sangue innocente? È così
che vuoi
giocare questa partita?- Tyrion era disgustato. -Vuoi rimediare ad
un'ingiustizia con un'ingiustizia doppiamente spietata?-
-Solo ed esclusivamente la vittima di un'ingiustizia ha una qualche
motivazione per volerne compiere una.- osservò lei, a voce
piatta.
Il Folletto sogghignò beffardo. -Quindi, in fondo, non sei
tanto
migliore di mia sorella Cersei. Perchè stai facendo proprio
quello che faceva lei, no? Uccidere indiscriminatamente ogni minaccia
per la propria famiglia... anche nel caso in cui questa minaccia sia
rappresentata da un bambino in fasce.-
-Non cercare di rifilarmi il tuo moralismo da quattro spicci,
Folletto!- Sansa scattò come una fiera a cui fosse stata
pestata
la coda. Il suo viso avvampò di dispetto. -Sappiamo entrambi
perfettamente che tipo
di
minaccia può essere un bambino in fasce. Io sto
semplicemente
vendicando il sangue dei miei familiari. Quello che tutti a questo
mondo fanno!- Tentò di controllarsi, sebbene il suo cuore
martellasse fervido d'indignazione. Assunse l'espressione
più
altera che le riuscì. -Se il tuo intento è farmi
credere
di essere dalla parte del torto, sei rimasto con il pensiero a otto
anni fa. Non sono più la bambina che voi Lannister vi
rigiravate
fra le mani come vi andava comodo.-
Quasi a sottolineare la veridicità di quelle parole, uno
stuolo
di soldati avanzò alle spalle di Tyrion, impedendogli di
retrocedere.
-Vendetta dopo vendetta, neonato dopo neonato, dove arriveremo?- Il
Folletto
sospirò, ignorando i nuovi venuti. -Lionel e Nathaniel non
sono
qui. Si trovano fuori
città, al sicuro dalle vostre grinfie. Cosa intendi farmi
ora,
Sansa? Avanti, sono un arcimaledetto Lannister, sono solo ed indifeso.
È il momento perfetto. Cosa aspetti, liberati di un
problema e fammi tagliare dal collo questa brutta testa deforme.- Non
si era
nemmeno accorto di come la sua voce si fosse progressivamente caricata
di rabbia.
Sansa lo fissò a lungo, quasi stesse valutando l'intera sua
figura. Nel suo sguardo non c'era nè esitazione
nè
subbuglio, nè pentimento nè commozione, solo una
lapidaria calma. I soldati attesero trepidanti i suoi ordini, pronti a
sfoderare le spade. Prima che lei parlasse passono istanti lunghi,
quasi infiniti.
-Il Nord non dimentica. Allo stesso modo, io non dimentico.
Nè
coloro che mi hanno fatto soffrire, nè chi è
stato
gentile con me. Per questo ti concedo dieci minuti per sparire dalla
Fortezza,
prima che arrivi mio fratello Rickon e ti faccia fuori.-
-Mi concedi dieci minuti?
Ma che gentile.- Tyrion la sfregiò con
lo sguardo. -Io farei un po' più attenzione a quel che
succede
a quell'altro
tuo fratello, piuttosto che cercare di uccidere i figli infanti
degli altri.-
Secondo ordine di Sansa, gli uomini lo lasciarono passare. Mentre
usciva dalla stanza e si allontanava nel corridoio, egli non
udì nulla. La voce di lei squillò sospettosa
soltanto quando Tyrion ormai
era sulle scale.
-Aspetta, cosa intendi?-
Nel frattempo un furioso Loras, i riccioli follemente
spiegazzati dietro la nuca e la fronte luccicante di sudore,
insanguinato da capo a piedi dalle viscere dei nemici che aveva
squartato, s'era imbattuto in una bizzarra comitiva: Tommen, scosso ma
illeso, sua sorella Margaery, infiammata dall'adrenalina, e Brienne di
Tarth, che come al solito resisteva stoicamente agli eventi: servivano
gli sforzi congiunti di tutti e tre per immobilizzare una ragazzina che
si dimenava come una bestia in trappola, e che Loras, non senza
impegno, identificò infine e con sconcerto come Myrcella
Lannister.
-Come ti è saltato in mente di scappare via di nascosto
dalla
mia sorveglianza?! Mio re, la tua vita è immensamente
preziosa,
ed la tua è stata una pazzia!- lo apostrofò,
atterrito
all'idea del pericolo che il suo sovrano aveva corso, ed allo stesso
tempo sollevato all'idea che tutti sembrassero illesi. -Cosa diamine
è successo?-
Tommen s'era effettivamente staccato dal fianco di Loras ed era fuggito
senza dirgli nulla, per poter andare nella torre ad avere la sua
rivincita su Rickon.
Margaery gli sorrise, illuminandosi a vederlo. -Bello vederti,
fratellino.-
-E tu cosa ci fai qui?!-
-Pensavi sul serio che me ne sarei rimasta buona buona in cella?- fu la
risposta che da lei ottenne, accompagnata da un'occhiata scettica.
-Rickon Stark è morto.- rivelò Tommen, tutto d'un
fiato, euforico. -Brienne l'ha ucciso.-
Loras rimase senza parole per qualche istante.
-Morto?
Davvero... morto?- Era tentato di scoppiare a ridere, ma sarebbe stata
una risata decisamente isterica. Uno dei loro avversari più
temibili era fuori gioco, e così non avrebbe più
potuto
far male a nessun Lannister e nessun Tyrell... però il
castello
era sotto assedio, perciò cos'altro si poteva comunque fare?
-Dobbiamo scappare, Maestà.- gli ricordò
precipitosamente
il Cavaliere di Fiori. -Ho promesso a tuo zio Jaime che ci saremmo
incontrati e saremmo fuggiti insieme, con lui e Tyrion.-
-Myrcella non potrà andare lontano.- intervenne Brienne,
cupa. -Credo che stia male.-
Tommen rivolse lo sguardo alla sorella, che nel frattempo era scivolata
a terra. Myrcella stava ansimando rumorosamente, le mani paonazze colte
da un tremito convulso, piantate sul pavimento come sostegno; il capo
oscillava, scuotendo i lunghi capelli sporchi di polvere, e dalle
labbra sgranate dai gemiti febbrili sgusciavano parole altissime e
disarticolate.
-Voi... io vi ucciderò tutti. Tutti. Vi
ucciderò...
tutti. Dov'è?! Dov'è? Voi! Ancora del male, gli
avete
fatto ancora... del male... non
gli avevate fatto abbastanza male?! Dovevate... dovevate
anche... siate maledetti!-
Tommen sfiorò inavvertitamente il sottile graffio, ancora
orlato
da un filo di sangue vivo, che Myrcella aveva aperto sul suo petto, e
provò ad immaginare cosa sarebbe stato se Brienne non avesse
disarmato la fanciulla in tempo. Myrcella aveva tentato di ucciderlo...
e quando l'aveva fatto, c'era la follia di Rickon Stark nei suoi occhi
animati di furore.
Margaery aggrottò la fronte. -Ho ancora dei soldati di mio
padre, che so rimarranno fedeli alla nostra causa. Non appena usciremo
di qui, io e Myrcella potremmo rimanere nei loro accampamenti, mentre
voi trovate un modo per fuggire da Approdo del Re.-
-Non appena usciremo di qui.- ripetè Loras, beffardo.
-È una parola...-
-Fuggire da Approdo del Re? Impossibile, temo, mia signora.-
commentò Brienne, rigidamente. -Se fosse così
semplice,
non saremmo nei guai. Scommetto che la prima cosa a cui il Re Metamorfo
ha provveduto è assicurarsi che nessun componente della
vostra
famiglia sopravviva all'assedio, e che quindi abbia messo sotto
controllo tutte le uscite.-
Ma furono le parole di Tommen quello che ferirono la donna
più a
fondo. -E poi, per quale motivo dovrei fidarmi di te? Tutto quello che
è successo non mi ha certo fatto dimenticare che tu sei
stata
la prima a tradirmi, Margaery.-
Lei abbassò lo sguardo, quasi vergognandosi di fronte a
quella
verità. -Non posso negarlo. Però davvero, marito
mio...
forse non mi presterai fede, però... da quando sono nati i
bambini, mi sembra che sia passato un secolo. Tenerli fra le braccia mi
ha fatto capire molte cose... O meglio, ha ridimensionato
molte cose. Finalmente mi sono resa conto di quanto irrisorio fosse-
-Mi dispiace interrompere un discorso così commovente, ma
dobbiamo assolutamente raggiungere Jaime.- sbuffò Loras,
facendo
loro segno di darsi una mossa. Aveva la netta impressione che Margaery
stesse solo recitando, come al solito: era troppo inusuale sentirla
parlare così. La sua redenzione
gli
pareva un bluff. La spiegazione, l'unica che avesse un senso, era che
la sorella semplicemente aveva valutato quale posizione sarebbe stato
più vantaggioso assumere e si era comportata di conseguenza.
Controvoglia, Tommen annuì e fece cenno alle due donne di
seguirli. Non sapeva se fidarsi di Margaery fosse saggio,
però
voleva farlo così disperatamente che magari avrebbe potuto
anche
cascarci di nuovo.
Che razza
di re è, quello che si lascia abbindolare dalla sua regina,
pendendo dalle sue labbra e obbedendo come una marionetta?
Già prima si era comportato da sciocco, quando Margaery gli
aveva afferrato devotamente le mani e gli aveva chiesto dove fossero i loro figli, e lui
era rimasto così folgorato dalla bellezza di quel nostri da
arrossire di gioia e cinguettare una risposta, come se nulla fosse,
come se non avesse dei buoni motivi per odiarla. Si era fatto incantare
da lei come un cretino, ma... non doveva accadere più.
Ignorò gli occhi gonfi di supplica di sua moglie e
avanzò, confuso. D'un tratto, deprecò il fatto
che sua
madre non fosse accanto a lui, a indicargli la strada giusta. Sentiva
un tremendo bisogno di aggrapparsi ad uno scoglio -ed attorno a
sè vedeva solo il mondo andare alla deriva.
***
Tyrion ricordava le ultime parole che aveva rivolto a suo fratello
Jaime; così, dopo
aver attraversato nuovamente la calca della battaglia, scese fino ai
piani inferiori e finalmente, un moto di sollievo ad avvincergli il
respiro, pose la mano sulla porta dell'ingresso secondario delle stalle.
Quando entrò, molti sguardi scattarono verso di lui. Jaime
fu il
primo a parlargli, alzandosi dal mucchio di selle impilate l'una sopra
l'altra.
-Dov'eri finito?! Non ci speravo più, ormai...-
-Pagavo un debito, come un vero Lannister.- Tyrion si limitò
ad
un sorriso sghembo, senza dare ulteriori spiegazioni, nonostante lo
sguardo esplicativo di Jaime lo incalzasse da questo punto di vista.
-Myrcella è qui...? Rickon Stark non è salito
sulla
torre?-
Tommen raggiunse lo zio a rapide falcate e lo abbracciò,
felice
di vederlo. Sorrise trionfante. -È salito, invece. Ed
è
anche morto.-
Un gemito prolungato e cruento, dal sapore del sangue e
della
cenere, squarciò la bocca di Myrcella, mentre lei sollevava
il
capo, esponendo la gola. Poi s'abbandonò di nuovo al suolo,
mentre i singhiozzi le percuotevano la gola, risuonando come una
supplica ormai monocorde e lamentosa.
Il Folletto spostò lo sguardo dalla nipote al re, troppo
distratto da quella notizia per prestare attenzione al triste
spettacolo, e sgranò gli occhi sgomento.
-Come hai detto?! E chi è stato?!-
-Brienne. Sapevo che metterla come guardia per Myrcella era una buona
idea.- replicò Jaime, lanciandole un'occhiata di
approvazione.
Tyrion sentì il cuore accelerare sotto il farsetto. Rickon
Stark, tolto di mezzo per sempre... il suo sangue, spanto per asciugare
quello di Tywin e Cersei Lannister. Era il meglio che potesse capitare
loro. Myrcella incolume, ancora lì, e quel piccolo bastardo
fuori
dalle scatole... adesso bisognava soltanto far sì che la
seconda
parte del suo piano avesse successo.
Tommen rinsaldò la presa sulle spalle dello zio. -Come
faremo a
scappare dalla città? Brienne dice che è
impossibile...-
-Infatti è così. Insieme siamo una comitiva che
attira
troppo l'attenzione, da soli moriremmo dispersi. È per
questo che non fuggiremo.-
Margaery s'indignò. -Il fermento della guerra ti ha forse
fatto
perdere il senno, lord Tyrion? Stai consigliando di lasciarci morire
qui?!-
-Anche se non è granchè, ci tengo alla mia
miserabile
vita.- ribattè Tyrion, intimandole di ascoltare. -Stavo
dicendo
che anch'io ho una notizia per voi. Brandon Stark è stato
rapito.-
-Cosa?- esclamò Tommen.
-E Jaime lo salverà.- aggiunse suo zio.
-Cosa?- gli
fece eco Loras, sbalordito.
-L'unico modo per sopravvivere è ottenere il perdono dal
nostro
nuovo re bastardo, e di conseguenza dal suo alleato.- spiegò
il
Folletto. -Se Jaime salverà il re del Nord, lui in
seguito si
sentirà in dovere nei suoi confronti e lo
risparmierà...
e c'è da supporre che lo stesso farà con tutti
noi.
D'altronde, sappiamo dove lo storpio è tenuto prigioniero.-
Tommen lo interruppe. -Perchè deve farlo lo zio Jaime?! Non
posso occuparmene io?-
Si sentiva un po' offeso dal fatto che nessuno avesse pensato di
includerlo, che non l'avessero nemmeno preso in considerazione, che non
si fossero disturbati a chiedergli se avesse voglia di farlo.
Dopotutto, suo zio era più esperto, ma anche più vecchio. Si
fidavano così poco del suo coraggio e del suo valore?
Sì,
forse non era il combattente migliore dei Sette Regni,
però...
però odiava l'idea che tutti, così come Myrcella
aveva
detto, lo considerassero un re ottuso ed incapace.
-È molto pericoloso, Tommen.- s'azzardò a dire
Jaime,
cautamente. -Non sappiamo nemmeno esattamente con chi abbiamo a che
fare. Forse è meglio se lasci fare a me e Brienne. Se noi
morissimo, infatti, voi ci piangereste un po' e basta. Se tu morissi,
sarebbe la fine per tutti noi. Hai sedici anni, sei l'erede dei
Lannister, padre di due creature appena nate... Non possiamo
farti
correre un rischio simile.-
Tommen esitò per pochi istanti, poi annuì
timidamente.
-Certo, zio. Scusa se ho parlato come un bambino capriccioso.-
Decise di tacere e tenere per sè i propri tentennamenti, ma
Tyrion intuì ugualmente la sua delusione.
-Se proprio ci tieni a renderti utile, nipote, potresti sempre offrire
il culo a Bran Stark e diventare il consigliere
numero due.- gli propose affabilmente. -Dopotutto, sei un bel
ragazzino. Ed ecco, sarebbe l'ennesimo dei miei problemi risolto con la
prostituzione...-
Tommen avvampò sulle guance ed abbassò lo
sguardo, imbarazzato. -Zio Tyrion, non essere sgradevole.-
Il Folletto chiese venia con un ghigno. Loras era dubbioso.
-Dunque quali saranno le nostre prossime mosse?-
-Io, Tommen, Margaery e Myrcella raggiungeremo gli accampamenti dei
soldati Tyrell, e lì rimarremo. Loras, tu ci scorterai: non
si
è al sicuro da nessuna parte, in questa dannata
città. In
quanto a voi, vi dirigerete al luogo dove tengono Brandon Stark
rinchiuso. Brienne, Jaime e i pochi uomini che ci restano
attenderanno il momento
propizio per salvare il ragazzo... e poi si vedrà.-
Tyrion, dopo aver pronunciato quelle parole, pensò a Shae e
Cailee, lontane a Castel Granito. Chissà se sentivano la sua
mancanza come lui sentiva la loro, e chissà se le avrebbe
riviste... tutto sarebbe dipenso dall'esito di quell'impresa. Chi
avrebbe immaginato che sarebbero arrivati a quel punto? A dover salvare
i propri stessi nemici per sopravvivere? Come gli era già
capitato un'ora prima, immaginò lo sprezzante moto
d'orgoglio
che avrebbe impedito a Cersei di agire in maniera ragionevole. Lei non
si sarebbe mai piegata a salvare uno Stark, a chiedere pietà
strisciando sotto il trono del bastardo d'un uomo indegno. Avrebbe
preferito morire ammazzata dai soldati del Nord nel tentativo di
evadere dalle mura di Approdo del Re, o, ancora meglio, fermata mentre
alzava un pugnale contro Arya e Sansa. Cersei non avrebbe mai smesso di
combattere. Cersei si sarebbe comportata come una vera leonessa. E
Cersei sarebbe morta.
Invece
Tyrion e Jaime sarebbero rimasti vivi, avrebbero usato l'ingegno al
servizio della spada. Avrebbero salvato Tommen e Myrcella e i due
piccoli gemelli. La dolcezza di quella speranza rammentò a
Tyrion fino a che punto fosse stanco: le palpebre erano quasi cascanti.
Quanto tempo era che non prendeva sonno?
-Dobbiamo agire in fretta.- lo riscosse Jaime. -Non cincischiamo.-
Myrcella cacciò un urlo intriso di panico. -No! No! Non
potete...! Lui vi ucciderà! Vi ucciderà tutti...
lui deve
uccidervi tutti... Lui è forte. Più forte di
chiunque
altro. Perchè volete fargli ancora del male?!-
Portò le
ginocchia al petto, rannicchiata, sdraiata sul fianco contro la paglia.
-Vi ucciderò tutti... vi ucciderò...-
-Fatela tacere.- sbottò Tommen. -Non ne posso più
dei suoi balbettii senza senso. Andiamo, prima che ci trovino.-
Brienne non incontrò alcuna resistenza quando prese Myrcella
fra
le braccia; la ragazza era ormai troppo debilitata per difendersi. Se
prima scalciava e graffiava alla rinfusa, selvaggiamente, ora il dolore
l'aveva stremata ed aveva preso il sopravvento su una mente
suggestionabile ed un corpo già debole. La sua fronte, rossa
e
palpitante, era bagnata di febbre. Le labbra parevano d'un tratto
inaridite, così come gli occhi erano liquidi d'incoscienza.
Brienne ricordò l'estrema espressione sul volto di Rickon
Stark,
quello strano, incredulo stupore per la fine, quasi che mai avesse
immaginato che potesse toccare anche a lui. Come hai potuto essere
così ingenuo, proprio tu? si chiese la donna. Come hai potuto ignorare
l'evidenza che il male che hai fatto ti si sarebbe ritorto contro?
Era solo un bambino, fu la risposta che si diede. Ma non
contribuì a farla sentire meglio. Forse, salvare Bran Stark
avrebbe potuto minimamente assolverla dal suo delitto?
Rickon Stark se lo meritava, si ripetè. Ma dovette smettere
subito: ogni volta che lo faceva, nella sua mente lampeggiavano i fieri
occhi azzurri di Catelyn Stark.
Myrcella gemeva a lutto. Tyrion meditava in silenzio. Tommen, il cuore
in gola, sperava. Jaime correva a cercare l'elsa della spada con la
mano sinistra.
***
Arya sapeva che avrebbe ricordato
per tutti i giorni a venire, fino all'estrema vecchiaia, il momento in
cui lei e Gendry avevano fatto irruzione nella sala del trono -come il
più glorioso della sua vita. Sembravano i protagonisti di
un'epica leggenda, di una vecchia fiaba capace per
l'eternità di
ammaliare i bambini, mentre spalancavano le porte e si facevano largo
fino ai famigerati gradini sferrando fendenti a destra e a manca;
l'attonita euforia sui volti dei soldati diede loro ad intendere che
quella storia avrebbe vissuto per secoli di bocca in bocca. Era stato
come riconquistare il
posto che le spettava nella sua vita, come effigiarsi nuovamente del
nome di Stark. Di più: era stata la sua vendetta contro
quella
fortezza tanto detestata, teatro di sciagure aspre oltre ogni
immaginazione, fossa di vaghe fantasie che, delineandosi sempre
più distintamente, si erano rivelate mostri.
Annaspando nel sangue fino alle ginocchia, amputando teste, trafiggendo
scudi e gridando affannosamente parole di una lingua che non
conoscevano, Arya e Gendry erano giunti ai piedi del Trono di Spade.
L'avevano guardato dal basso verso l'alto, come i bambini fanno alle
pendici delle montagne. All'improvviso, proprio quando i pericoli erano
scomparsi all'orizzonte e il traguardo era così vicino, era
quasi sorto il dubbio se non fosse meglio scappare via.
Perchè
Arya lo sapeva, in fondo, che i pericoli non erano affatto scomparsi,
bensì cominciavano in quel preciso istante. Gendry piangeva,
senza schiudere la bocca nè liberare un singhiozzo,
lasciando
soltanto che le lacrime disegnassero sfregi bianchi sulle sue guance
annerite di cenere, salando il sangue secco sulle sue labbra e sul
collo. Arya non l'aveva fatto, però riusciva a capire come
egli
si sentisse, e non aveva commentato. Alle loro spalle, la battaglia che
infuriava era soltanto un brusio indistinto. Il cuore nei loro polsi
era un tamburo di guerra. D'un tratto tutto il sangue che avevano
versato ritornava sangue, tutte le vite che avevano strappato
ritornavano vite, paradossalmente nel momento in cui non lo erano
più.
Era costata cara l'ambizione, prima di scoprirla come un desiderio nel
proprio cuore si aveva dovuto perdere molto, quasi tutto. Era costato
caro il tragitto, dall'intenzione di percorrerlo alla determinazione
nel perseverare, e denti e artigli di molte fiere avevano lasciato il
segno su quella pelle che ormai recava incisa la loro storia. Era
costato caro il trionfo, solo allora se n'erano accorti. Ma non
importava. All'improvviso, non importava. Andava bene così.
Un principe più avido -un ragazzo più stupido- si
sarebbe
precipitato a sedersi su quello scranno, come se mille nemici
invisibili potessero minacciarlo, se non avesse fatto presto. Ma Gendry
non era un principe, non era avido, non era più un ragazzo e
non
era stupido, perchè sapeva che per regnare sui Sette Regni
non
era mai bastato sedersi sul Trono di Spade -per regnare su qualsiasi
regno non sarebbe mai bastato sedersi su un trono.
Gendry aveva voltato il viso verso Arya, senza nemmeno cercarla: la
sapeva lì. Arya aveva fatto lo stesso. Per qualche istante,
la
consapevolezza non aveva necessitato di parole.
A quel punto, forse lei aveva sorriso -i ricordi cominciavano
già a diluirsi.
-Ci sei arrivato, alla fine.- Le era quasi parso di prenderlo in giro.
Le era quasi parso sciocco cercare di palesare qualcosa che nessun
idioma avrebbe mai potuto esprimere.
-Ci siamo
arrivati. Ti sbagli
sempre.- Gli occhi di Gendry, in mezzo al fumo e alla polvere e al
sangue, sembravano folgori. Per un istante -uno solo- Arya aveva
percepito un brivido di reverenza percorrerle la spina dorsale.
-Diventa la mia regina, Arya Stark.-
Era stato difficile sottrarsi a quello sguardo -a quell'ordine,
decisamente il primo vero ordine del Lord dei Sette Regni. Un po'
maleaugurante. Il primo ordine impartito era anche il primo disatteso.
Arya aveva deciso di rivelare la verità.
-Il potere rovina le persone, Vostra Grazia.-
Gendry aveva piegato le labbra in un sorriso triste, nell'udire
quell'appellativo. -Significa che vuoi rovinarmi?-
-Significa che sono sicura che non ti lascerai rovinare.- La ragazza
cercò le tracce del sangue di tutti i re che erano stati
trafitti dal loro stesso scranno. Vide quello di Aerys Targaryen,
quello di Robert Baratheon, quello di Joffrey Lannister. -Per quanto
riguarda me, non posso affermarlo con la stessa sicurezza.-
Gendry studiò la sua espressione assorta, le sopracciglia
scure
ed aggrottate sopra gli occhi amari, le cicatrici ramificate come vene
sul suo collo.
-Ti amo anche per questo, milady.-
-Se mi chiami di nuovo così, fra poco non avrai
più un cuore per farlo.-
Nel bel mezzo dell'inferno, nel bel mezzo del fuoco e del sangue,
l'aveva baciata. Arya aveva pensato che Sansa l'avrebbe trovato romantico, e che a
lei sembrava solo rivoltante.
Aveva pensato pure di insultarlo e tirargli un cazzotto, ma poi si era
dimenticata di farlo. Le piaceva, Gendry, in fondo. Le piaceva quasi
tutto, di Gendry. Le piaceva pure il suo odore, anche
se non avrebbe saputo spiegare esattamente quale fosse. Si trattava di
un connubio particolare, che innescava una sensazione di benessere e
rievocava ricordi remoti; qualcosa che le rammentava il muschio
balsamico, le rocce scaldate al sole, e... e altre cose che non
è necessario specificare. E quando lui l'aveva baciata, si
era sentita come in cima al mondo.
Prima di abbandonare la sala, a battaglia terminata, mentre i cadaveri
venivano raccolti e le armature depredate, Arya aveva lanciato
un'ultima occhiata fiduciosa al Trono di Spade. Il sangue di Gendry non
avrebbe mai bagnato quelle lame. Come certezza era sufficiente, anche
per una vita intera.
In quel momento, Arya e Gendry sedevano alle sponde del letto dove
Rickon Stark era stato coricato. Gli avevano levato farsetto e camicia,
lasciandolo a torso nudo; in questo modo la ferita alla gola era ben
esposta e risaltava in una maniera quasi disturbante. Tutti gli anelli
della catena avevano calcato impronte di sangue sulla sua pelle,
incidendola fino alle vene. Lì la carne era particolarmente
delicata, e di sicuro Brienne di Tarth lo sapeva, quando gli era
saltata addosso. Al solo pensiero che qualcuno avesse aggredito suo
fratello per ucciderlo intenzionalmente, Arya sentiva il cuore
ardere di sdegno e i pugni tremare, come le era accaduto molti
anni prima, alle Torri Gemelle, il giorno della morte di Robb e sua
madre. Un suo caro in pericolo e lei che non era riuscita a
proteggerlo... una storia già sentita. Da quel poco tempo
che
Arya si era ricongiunta con Rickon, l'aveva visto sempre forte,
spudorato, arrogante, quasi intoccabile: di certo non bisognoso di
protezione. E per questo aveva dimenticato di essere la sua sorella
maggiore, di avere il dovere di stargli sempre accanto e di non fargli
correre rischi... era stata così stupida, a permettergli di
attuare quel piano così pericoloso. E adesso, per colpa
della
sua leggerezza, era così.
Con lividi lì dove le dita del ferro l'avevano strangolato,
orribili chiazze rosse prossime a diventare viola e nere... con
quell'espressione assopita di bambino intento ad un lungo sogno.
Non poteva fare niente. Non aveva mai potuto fare niente. Inutile
viaggiare tutto intorno al mondo, e non si trova davvero ciò
che
si sta cercando. Arya credeva di avere raggiunto il suo obiettivo ma,
non appena aveva visto il corpo martoriato di Rickon, ogni altra cosa
s'era ridotta in cenere. L'umana debolezza di un'identità di
cui
non si sarebbe liberata mai la esasperò di nuovo.
Invidiò
Jaquen H'gar, capace di assumere mille visi, mille nomi, mille passati;
invidiò il suo antico maestro Syrio e sua madre e suo padre
e
suo fratello maggiore, finalmente in pace, esonerati dal tramestio di
quel gioco senza regole. Perdere coscienza del proprio cuore l'avrebbe
aiutata a ritrovare se stessa, a ritrovare la propria forza? Avrebbe
raccolto abbastanza coraggio per la vendetta? Si sentiva stanca di
tutto, nauseata dal sangue, disgustata dalla morte. La
crudeltà
d'un silenzio privo d'aiuto e conforto la circondava come una crisalide
di solitudine.
Gendry, di fronte a lei, capiva di essere escluso da quella sofferenza
e non osava proferire parola. Era tentato di carezzarle il viso, di
baciarla e sussurrarle che tutto sarebbe andato per il meglio, che
erano insieme adesso e per tutta la vita, e che lui avrebbe fatto
andare tutto come lei voleva, che si sarebbe adoperato per risolvere
ogni suo desiderio: però Arya era Arya, e sicuramente
avrebbe
frainteso quel tentativo di conforto come un'accusa di
fragilità
femminile e si sarebbe offesa. Quando si parlava di sentimenti, la
ragazza che amava non era capace di quella cruda franchezza che
adoperava per qualsiasi altra cosa. Così il nuovo re dei
Sette
Regni si limitava a starle vicino con la propria concreta presenza. Di
tanto in tanto, un attendente o un messaggero accorreva riferirgli
qualche novità di poco conto, che lui accoglieva con un
cenno
del capo. Aveva davvero molto da fare -era o non era il re, adesso?-
però di lasciare la giovane Stark da sola, in un momento
simile,
non se ne parlava. Di notizie riguardo i Lannister, poi, ancora non ne
erano arrivate: eppure, non potevano essere andati troppo lontano.
Nymeria urtava la mano di Arya con il proprio muso umido e la
leccava con la lingua rasposa, tentando di distrarla ed attirare la sua
attenzione, ma la ragazza la ignorava. Cagnaccio era sdraiato ai piedi
del letto e vegliava il suo padrone con i grandi occhi verdi, lanciando
a volte sguardi foschi ad Arya, quasi a dirle: se mi avessi lasciato andare con
lui, niente di tutto questo sarebbe successo.
Come accadeva puntualmente allo scadere di ogni mezz'ora, un Maestro
gli s'accostò e verificò rapidamente le sue
condizioni.
Posò il palmo sul petto del ragazzo, esaminò le
ferite
sul collo e gli sollevò una palpebra con due dita. Arya,
quando
era entrato, l'aveva a malapena notato; ma ad un certo punto dovette
insospettirsi, perchè l'uomo, nonostante i minuti
passassero,
era ancora lì.
-Ci sono progressi?- domandò allora, mentre il calore della
speranza le gonfiava il petto. Ma quando l'uomo si voltò,
vedendo la sua espressione impietosita, Arya percepì
soltanto
qualcosa di nero ed indistinto farsi largo nel torace, come il fumo
caliginoso d'un incendio devastatore.
-Ormai è incosciente da molto tempo. Le funzioni vitali
stanno
rallentando. La catena potrebbe avergli causato un'emorragia interna.
Signora, non sono affatto sicuro che si riprenderà.-
Arya tacque. Gendry e il vecchio si scambiarono una breve occhiata.
-Non c'è proprio nulla che possiamo fare per lui?-
domandò il re, lentamente. Il Maestro si strinse nelle
spalle.
-Pregare i Sette, suppongo. Ad ogni modo, se fossi in voi, mi
preparerei a lasciarlo... sì, insomma, a lasciarlo...-
-... morire?- La voce di Arya cadde rapida e tagliente come una
ghigliottina. Gendry sospirò. Fece il giro del letto e le si
avvicinò.
-Arya, ascolta-
-Ho ascoltato abbastanza.- La ragazza fissava il collo di Rickon come
se volesse affondare un coltello nelle pieghe della sua carne. -Ho
ascoltato tutto quello che mi importava ascoltare.-
-Arya.-
-È finita. Non mi interessa. Non mi deve interessare.-
Gendry le girò la faccia con uno schiaffo, che avrebbe rotto
senza problemi lo zigomo d'un viso più delicato. Arya
rispose
ferocemente con una sberla, che il ragazzo incassò ed a cui
replicò con un pugno. Lei, gli occhi accesi come braci
incandescenti, gli allungò di rimando un altro pugno, che
però Gendry schivò. Ed Arya ci provò
ancora, ed
ancora, ed ancora, finchè lui non avvolse la mano serrata di
lei
nel proprio palmo striato da vecchie cicatrici -tanto grande da far
scomparire completamente il pugno della ragazza. I loro sguardi
s'incontrarono e rimasero così, fissi l'uno nell'altro come
una
freccia in un bersaglio, e tanto fremente era quello di Arya quanto
severamente fermo e saldo quello di Gendry. Fu un confronto
lungo
e necessario.
La giovane Stark non sapeva esattamente quanto tempo dopo era ricaduta
sul petto di Gendry, senza forza, senza dolore, senza rabbia, non
sapeva quanto tempo dopo la sua anima aveva trovato la dolcezza del
riposo; il Maestro se n'era andato, lasciandoli soli, e Gendry le stava
accarezzando ritmicamente la nuca, bisbigliando parole di cui nessuno
dei due conosceva il significato, ma che li faceva sentire parte della
stessa anima.
Arya non pianse fra le sue braccia. Rimase inerte,
ignorante, cieca, finalmente distante da tutto quell'ammasso di
cadaveri e macerie. Si permise la stanchezza e il perdono, ma si
risparmiò l'arsura dolorosa ed inutile del pianto. Avrebbe
solo
consumato la sua resistenza. Gendry era ancora lì, e tutto
andò a posto per un po'.
Quando si risollevò, Arya lo fece solo perchè il
richiamo
alla vita era ormai imprescindibile. Le sue ossa erano vuote, le sue
labbra asciutte. Il corpo di Rickon era ancora lì, come un
peso
da riaddossarsi alla coscienza, un pensiero da riaccogliere nella
propria mente. Ma adesso Arya sapeva che avrebbe potuto farcela. Non
sapeva cosa fosse cambiato, ma il buio non c'era più
-quell'istinto di sopravvivenza che le aveva insegnato ad avanzare
sotto qualsiasi intemperia le aveva impartito una nuova lezione. Senza
comprendere bene il suo stesso gesto, allungò il braccio e
toccò la mano di Rickon, carezzandone il dorso con i
palpastrelli, disegnando piccoli cerchi attorno alle nocche. Era
impregnata di sudore, gelido come le lacrime della Barriera.
-Uccideremo tutti i Lannister. Te lo prometto. Dal primo all'ultimo.-
borbottò. Dopo qualche lungo istante, si voltò
verso
Gendry.
-Sansa era andata a cercare i gemelli, ma mi sembra di capire che non
li ha trovati.-
-No. Adesso non è più qui. Quando ho ordinato di
andare
ad avvertirla... di Rickon, mi è stato riferito che era
già partita per tornare all'accampamento di re Brandon.
Immagino
che volesse informarlo di com'è andata.-
-Dovremo subito mandare un messaggero lì.-
Gendry scrollò le spalle. -Non è facile.
C'è una
confusione infernale là fuori, e gli ultimi focolai della
battaglia devono ancora essere soppressi. Le comunicazioni sono tutte
intralciate, sia da qua a là sia viceversa. C'era da
aspettarselo.-
-Significa che-
Prima che potesse alzarsi dalla sua posizione, con le ginocchia a
terra, un gemito di dolore le strappò la voce. Solo dopo un
istante di assoluto smarrimento, si accorse che delle lunghe unghie
affilate si erano conficcate nel suo polso.
***
Il dolore al basso ventre
inghiottì il respiro di Meera e la lasciò
soffocare, a labbra
socchiuse. Era come se il suo centro gravitazionale fosse cambiato,
abbassandosi, degradandosi, e d'un tratto fosse quel nucleo
di sofferenza, e null'altro. Aveva anche un colore, Meera lo scorgeva
distintamente: era nero, un piccolo buco nero, che divorava
progressivamente tutto quel che c'era di fronte a lei, come una goccia
d'inchiostro, come un parassita. Pulsava orribilmente, insistentemente,
come un organo marcio, scandiva un dolore regolare e per questo
insopportabile. Si portò le mani al ventre, mentre le sue
dita
premevano cercando disperatamente di sanare tutto ciò, ma
quel
che riuscì a fare fu attenuare la sofferenza per la finzione
di
pochi istanti.
Osha la soccorse precipitosamente, mettendole un braccio attorno alle
spalle. -Meera, mi senti? Non svenire, sai, non provarci neppure...-
Cercava di nasconderlo malamente, ma era terrorizzata a morte. Yara le
lanciò un'occhiata torva.
-Cosa le prende?- sbottò, conficcando la scure nelle budella
dell'uomo che le stava di fronte.
Osha parlò con voce secca, quasi scorbutica. -È
incinta.-
Udendola, Meera mugolò; la consapevolezza della propria
responsabilità la travolse. Ecco cosa stava accadendo: suo
figlio la stava rimproverando
aspramente. Quello
era il dolore che anche lui provava. Era il dolore di entrambi -ma la
colpa era solo di Meera. Quello era il dolore che lei aveva imposto, inferto a
suo figlio.
Intanto, Yara imprecava.
-Porca troia, non potevate dirmelo prima?- esclamò
rabbiosamente, mozzando la testa di un soldato che si stava
avvicinando.
Meera riuscì a trovare fiato a sufficienza per domandare, a
voce stentata: -E che differenza avrebbe fatto?!-
-Ti avrei impedito di andare a fare la spaccona in giro con la tua
spada da reginetta guerriera, sciocca!- replicò Yara,
furente.
La regina del Nord, ancora aggrappata ad Osha e Shireen,
sbuffò
forte dalle narici.
Il dolore scavava sapientemente dentro di lei, lento e curioso ed
insaziabile, fino a che Meera non si ritrovò a mordere i
gemiti
pur di non lasciarli sfuggire dalle labbra, che li articolava
sconcertata; sembrava intenzionato a farsi largo fra le sue viscere con
una daga, fino a squarciare il suo ventre stesso. Com'era possibile che
la ragazza Greyjoy s'infervorasse tanto per questa storia?
-E da quando ti importa della mia incolumità?-
mugugnò Meera.
Yara fece una pausa e non parlò per un po', fingendosi
troppo
impegnata a respingere i soldati con la scure, menando fendenti a
destra e a manca. Rivelare la verità risultò
faticoso, ma
sentì quasi il dovere di liberarsi di quel peso scomodo.
-Da quando hai accettato di accogliermi nella tua
casa e di fidarti di me, anche se nessun altro l'avrebbe fatto.-
ammise, chinandosi sulle ginocchia per recuperare il respiro, e quando
si rialzò la fissò negli occhi con gravosa
intensità. Infine esibì un sogghigno. -E
perchè mi hai offerto quel vino celestiale.-
-Ah, ecco.- Ritrovato il sorriso, Meera percepì una forza
nuova
affluirle nelle vene. Il dolore non s'era affievolito, però
non
sembrava ingestibile come un istante prima.
D'un tratto, seppe cosa doveva fare. Si raddrizzò,
respirò a pieni polmoni per qualche istante e
sentì di
aver recuperato il controllo delle proprie emozioni.
-Osha,- esalò piano, -prendi Kenned e vattene via.-
La bruta trasalì, come se le fosse appena stato sferrato un
pugno. -Come?-
-Ascoltami attentamente. Quando ricostruì Grande Inverno, in
previsione di calamità analoghe a quella già
accaduta,
Bran aggiunse un... passaggio segreto, dietro l'arazzo di Eddard Stark.
Ci sono delle lastre di pietra che possono essere spostate: da
lì si scende delle scale e si accede ad una galleria che
conduce
fuori di qui, dietro il Parco degli Dèi. Visto che risale
alla
riedificazione della fortezza Theon non può essere al
corrente della sua esistenza, quindi
non troverai nessuno a sbarrarti la strada. Conosci bene i territori
circostanti. Saprai dove trovare rifugio.-
Osha la ascoltò sbalordita. -Mi stai liquidando in questo
modo
perchè tu, nel frattempo, cosa avresti intenzione di fare?!-
-Andare a riprendermi ciò che è mio.- concluse
Meera, andando a sfiorare di nuovo l'elsa della spada.
La donna la squadrò. -Non ti reggi nemmeno in piedi. Come
accidenti speri di fermare Ramsay Snow?-
-Non sono da sola. Ho un sostegno armato,- ed indicò Yara
con un
gesto, -e un sostegno morale.- Indicò Shireen.
-Perciò,
cosa mi manca?-
-Perchè devo essere io a portare Kenned in salvo, e non puoi
farlo tu?- replicò Osha, indignata. -Io combatterei molto-
Meera spazzò via le sue proteste con il solo suono della
propria
voce. -Perchè mi fido di te più che di me stessa.-
Lo sapeva, non poteva arrogarsi l'onere della vita di suo figlio, in
quel momento. Nemmeno della propria, in verità. Tutto era
tremendamente rosso e confuso... e lei, in mezzo a quel putiferio,
voleva solo librarsi nella consolatoria certezza che Kenned sarebbe
stato bene, che -qualsiasi cosa fosse successa- avrebbe continuato a
dormire indisturbato fra le sue pelliccie marroni, senza che nessuno
turbasse i suoi sogni. Non avrebbe saputo perdonarselo, altrimenti. Non
avrebbe tollerato da se stessa altri errori. Confidare negli altri era
tutto ciò che le rimaneva da fare.
Osha era dilaniata dai dubbi. La voce di Bran le risuonava ancora nella
mente, limpida e forte: non
perderla mai di vista.
-Non posso abbandonarti qui!- tentò ancora, combattuta.
-Devi
abbandonarmi qui.-
ringhiò Meera. Non c'era più tempo per rimanere a
discutere. -E non perchè te lo sto ordinando, ma
perchè
ti sto supplicando.-
E Osha la vide, quella supplica, nei suoi occhi, così come
si
scorgono i lampi nel cielo notturno: inestinguibile, fredda e
straziante.
-Odio recitare la parte della bambinaia numero due, però ci
sono
pur sempre io con lei.- aggiunse Yara, con una smorfia.
-Perciò,
suppongo
che se si trovasse nei guai potrebbe
venirmi voglia di darle una mano.-
La bruta sospirò. -Hai vinto, contenta? Saluta tuo figlio.
Tornerò soltanto quando capirò che è
tutto finito.-
Meera avanzò, fino ad affondare il naso nei riccioli di
Kenned e
schioccare un bacio sulla sua fronte. Inspirò la sua
innocenza
con voluttà. La invidiava, ma per nulla al mondo avrebbe
desiderato attingerla dagli occhi del bambino. Aveva ancora bisogno di
tutta la sua ingenuità, lui.
-Scappate.- sussurrò. -Scappate via di qui.-
-E tu vedi di sopravvivere, Reed.-
Dopo averle rivolto un ultimo sguardo scontroso, Osha le
voltò le
spalle rapidamente, impedendole di intravedere gli occhi arrossati, e
si avviò spedita verso l'Ala Ovest del castello.
Yara si rivolse a Meera con tono perentorio. -Sei sicura di sentirti
meglio?-
-Ha importanza?- ribattè lei, con fermezza. -Ti prego,
ammazziamo quel fottuto bastardo adesso.-
-Certo che ha importanza!- esclamò Shireen,
d'un tratto.
Aveva udito la notizia della gravidanza di Meera con lo stesso
sconcerto di Yara, e riteneva intollerabile che lei si sentisse in
dovere di combattere persino in quella situazione. Se ne intendeva
molto poco di queste cose, però era piuttosto ovvio che se
una
donna incinta avverte crampi alla pancia non è proprio un
buon
segno. -Meera, tu non vorrai-
-Sei quella che aveva promesso di non dare fastidio, o sbaglio?!-
Meera e Yara scesero una rampa di scale a passo rapido; seppur
inquieta, Shireen non potè fare altro che seguirle, le
sopracciglia aggrottate.
Dopo aver trovato l'uscita dal labirintico intreccio dei corridoi, che
conducevano da una torre all'altra e da un piano all'altro, il cortile
di Grande Inverno comparve ai loro occhi, sbiancato solo da una luce
lunare che appariva particolarmente sinistra, come ossa di scheletro.
Lì, gli uomini del Nord si predisponevano ad utilizzare
tutte le
armi antiassedio di cui erano provvisti, dalle pentole d'olio bollente
alle seghe per rompere le scale; non rimanevano molti uomini, in
verità, e Meera immaginò che la maggior parte
fosse
caduta all'esterno delle fortificazioni, cercando di respingere gli
invasori. Provò un moto di pena per tutta quella povera
gente.
Le sue disgrazie non le facevano scordare che quelle del popolo,
sebbene meno note, non per questo erano meno drammatiche e degne di
commiserazione e riconoscimento. Io
mi lamento perchè la vita dei miei figli è in
pericolo e
perchè mio fratello è morto, ma chissà
quanto
spesso capita, ai poveri, di perdere figli e fratelli. Loro quasi
riderebbero di tutta l'importanza che i nobili danno a questi lutti. Meera
però non riuscì a spingersi ulteriormente con il
pensiero
e giungere a Jojen: non era decisamente il momento adatto.
Il dolore è sempre diverso, eppure uno soltanto.
È da
quando esiste il mondo che gli uomini soffrono per le stesse cose.
Nessuno farà un'eccezione per me. Si riscosse e
si concentrò sul da farsi.
-La Torre Spezzata è dall'altra parte.- Meera
avvertì
Yara, indicando il retro del maniero. -Sicuramente Bolton non
è
solo. Come speriamo di attaccarlo? Le guardie basteranno?-
Yara annuì. -La
mia scure
basterà. Non perdiamo altro tempo. Per arrestare
un'alluvione,
bisogna sempre risalire alla sorgente. Se gli uomini di Bolton si
ritroveranno senza generale, scioglieranno i ranghi e non
sapranno
più che fare.-
Procedettero, percorrendo l'esterno del maniero per tutta la sua
circonferenza.
-Questa.- Meera fece un cenno col mento, quando la vide. -Da
lassù si sta godendo lo spettacolo, il Bastardo.-
A Yara prudettero subito le mani dal desiderio di spiccargli la testa
dal collo. Prima che potesse proporre di andare a spaccargli il culo,
si udì un terribile boato, che parve scuotere le
fortificazioni
della fortezza. Una fiumana di soldati dagli elmi calati sul volto,
armati fino ai denti, si riversarono all'interno delle mura: grazie a
delle macchine d'assedio, gli uomini dei Bolton erano
riusciti ad abbattere un portone secondario. Tutto ciò che i
guerrieri di casa Stark avevano cercato di fare per difendere
l'ingresso, si vanificò in sangue e schegge di legno.
Inorridita, Meera fece un rapido calcolo. Le guardie che la
circondavano non erano
più di quindici uomini, più lei e Yara faceva
diciassette: gli invasori erano ad occhio e croce una sessantina, anzi,
ne entravano sempre di più, e di più... ed ormai
era
troppo tardi persino per pentirsi di non essere fuggiti dal passaggio
segreto insieme ad Osha.
Tutto inutile,
è stato tutto inutile, pensò con
orribile, insospettato raziocinio. Se
fossi scappata, il castello sarebbe perduto e noi saremmo vive. Ma sono
rimasta, e così il castello sarà perduto e noi
saremmo
morte. Io, Yara, Shireen. Shireen che doveva sposarsi con il nuovo re.
Tutti i piani di Bran in fumo. Difendi Grande Inverno, mi aveva detto mio marito. Prenditi
cura di te, mi aveva
detto mio fratello. Non ho fatto nessuna delle due cose. Il regno, in
fumo. Il Nord, di nuovo piegato. Colpa mia.
La
delusione nei propri confronti fu così torbida e pungente da
procurarle l'ennesimo spasmo allo stomaco, ma non ci fece
più
nemmeno caso. Bolton si
prenderà il maniero, si prenderà il Nord, e
Kenned?...
almeno Kenned starà bene... lui e Osha si salveranno...
possono farcela...
-Dobbiamo filare via da qui!- Yara la scrollò
impaziente
per un braccio. -Non possiamo restare un minuto di più!
Meera?
Mi senti? Meera...-
-Preferisco morire adesso che essere scorticata viva con il rasoio da
Ramsay Bolton.- sibilò la regina del Nord. -Lasciami qui.-
Yara Greyjoy strinse i denti. -Se sento un'altra cazzata del genere, ti
uccido io e la facciamo finita subito. Se non scappiamo-
-Non capite?! Scappare, scappare... è tutto inutile.
Inutile...-
Meera sentì le ginocchia cedere ed urtare contro il
pavimento di
granito. Non percepì alcuna sofferenza, solo la gelida landa
dell'inverno che la circondava.
Yara stava riprendendo fiato per urlare, urlare che cazzo
non potevano dargliela vinta così, dovevano salire ed
ucciderlo
e poi scappare, scappare via, non costringermi a lasciarti qui, vieni
con me e non parliamone più, tanto non è mica una
tragedia, li stermineremo, li stermineremo tutti, ce le faremo, in
qualche modo ce la faremo, non sono poi così tanti, e-
Un sorriso incredulo curvò le labbra di Shireen. Il suo
sguardo,
che saettava rapido per il cortile di Grande Inverno, rimirava
esterrefatto ed estasiato qualcosa che Yara non riusciva a vedere.
Subito la principessa dei Sette Regni scosse le
spalle della regina, tentando di farla rinsavire, ridendo.
-Sono qui! Loro sono qui! Lady Meera, non stiamo affatto per morire!
Siamo salve!-
La principessa Greyjoy le rivolse un'occhiata scettica e si
girò a sua volta. -Cosa diavolo stai dicendo?!-
Shireen tese il braccio ed indicò qualcuno. -Sono arrivati i
nostri!-
Tanto in fretta come erano entrati gli uomini dei Bolton, altri
invasori stavano irrompendo dall'ingresso, forti e rapidi come un fiume
in piena, tanto numerosi da parere inarrestabili. Estratta la spada dal
cadavere di un soldato dei Bolton, un uomo in
nero ne impalò subito un altro, voltandosi con uno
scatto fulmineo. Attorno a lui, anche tutti gli altri uomini vestivano
di nero, e stavano ugualmente combattendo contro le truppe dei Bolton.
La verità, nonostante fosse evidente, era così
meravigliosamente piacevole da parere inaccessibile.
Meera, ancora a terra, faticava a credere ai suoi occhi. I Guardiani
della Notte? I Guardiani
della Notte?! Potevano davvero essere loro?! Dovevano
esserlo per forza.
Erano giunti in loro soccorso... ed era davvero un
avvenimento eccezionale, perchè mai era capitato prima che
le
sentinelle della Barriera abbandonassero la loro postazione per
interferire con le faccende di Westeros. Non erano stati nemmeno
contattati...
Non riuscì nemmeno a muoversi, tale fu la sorpresa. Prima
che
potesse decidersi ad intervenire, in qualche modo, un ragazzo si
avvicinò loro rapidamente, rinfoderando la propria spada;
portava un pesante mantello nero puntellato di fiocchi bianchi, aveva
grandi occhi castani e neri ricci lunghi fino alle spalle.
-Maestà? Siete ferita?-
Con riguardo, offrì la mano a Meera per aiutarla a
riassestarsi
in piedi, esaminandola preoccupato. Lei lo riconobbe immediatamente,
con sollevato entusiasmo.
-Lord comandante Snow! Lei qui?! È... è... un
tempismo
perfetto.- balbettò.
Jon sorrise del suo stupore. -Siamo partiti non appena siamo stati
informati delle intenzioni dell'esercito di Bolton. Chiedo venia per il
ritardo: era mia intenzione giungere qui prima che Grande Inverno
venisse attaccata. Maestà, voi avete una benda insanguinata
al
braccio.- insistette, facendo cenno a qualcuno dei suoi di avvicinarsi.
-Una ferita superficiale, niente di grave...-
tagliò corto Meera,
imbarazzata, minimizzando sebbene il taglio le procurasse ancora un
dolore lancinante. Non voleva fare una figura così magra, da
vera nobile viziata. Si sentiva ancora molto frastornata, sia a causa
dello stordimento per i crampi sia per l'irrealtà della
situazione. -Come avete fatto...
come...?-
-Non credevo che ti avrei rivisto così presto, Jon.-
intervenne
Shireen, rivolgendogli un saluto caloroso. Egli s'inchinò
appena.
-Principessa. È sempre un onore.-
Una freccia sfiorò la guancia della regina del Nord:
andò
a conficcarsi nel petto di un soldato dei Bolton che si avvicinava
dietro di lei. Meera prima si girò a guardare il cadavere
crollare a terra, poi cercò l'arciere; si trattava di
un'arciera, una ragazza dai capelli fulvi e scompigliati, vestita di un
mucchio di pellicce.
-Bel colpo.- si complimentò la regina del Nord, ringraziando
con
un sorriso titubante. La rossa si limitò ad annuire placida.
Jon si affrettò a presentarla, avvampando e rimproverando la
ragazza per le sue maniere con un'occhiata: -Lei è Ygritte.
La
mia luogotenente.-
La fanciulla di nome Ygritte inarcò le sopracciglia,
spavalda. -Avevamo stabilito che eri tu, il mio luogotenente.-
-Certo, come vuoi.- Egli alzò gli occhi al cielo,
esasperato,
fino a che non lo raggiunse proprio chi attendeva. -Eccoti, Sam:
Maestà, lui è un Maestro.- Jon
circondò con un
braccio il busto d'un ragazzo corpulento, dallo sguardo vivace, le
guance paffute e l'espressione timida. -Potrà prestarvi un
primo soccorso, intanto che finiamo il lavoro qui. Direi di portarvi in
un luogo dove possiate stare più tranquilla...-
-Non serve. Non serve. Posso cambattere di nuovo.- borbottò
Meera, malcerta, cercando di drizzarsi in piedi troppo in fretta e
ripiegandosi a metà con un gemito soffocato.
Shireen la sorresse, allarmata. -Spero che tu stia scherzando, lady
Meera. Nelle tue condizioni... Sam, devi subito occuparti di lei.
Non solo è ferita, ma aspetta anche un bimbo. Non
può
assolutamente compiere altri sforzi.-
-Non li compirà, principessa.- assicurò Sam,
inchinandosi
anch'egli goffamente. Fece un segno ad un confratello. -Brytes, mi
aiuteresti a prenderla in braccio? Se permettete, Maestà, vi
condurremo nelle scuderie laggiù. Mi rendo conto che non
è il massimo della comodità, però
è il
posto più vicino e più tranquillo che mi viene in
mente...-
Meera assunse un'espressione combattuta. -Non... prima, dovrei uccidere
Bolton. Lui è in cima alla Torre Spezzata, e... pensavo di
dovermene occupare io...-
-Risolveremo io e Ygritte la situazione in nome tuo e del re tuo
marito, se me lo concedete. - propose Jon, con fermezza.
-Avete
detto che il Bastardo è sulla torre?-
-Sì, e Yara probabilmente vorrà accompagnarti per
recuperare suo fratello Theon...- Meera si guardò intorno,
confusa. -Dov'è finita Yara? Era qui fino a un attimo fa...-
Shireen la cercò con lo sguardo nel cortile, fino a che i
suoi occhi non si spostarono lentamente.
-Credo che abbia avuto la tua stessa idea, Jon.- sussurrò,
indicando le scale a chiocciola che s'inerpicavano fino a condurre
all'ultimo piano della Torre Spezzata. Ygritte sbuffò.
-Ci conviene muoverci, Jon Snow, se non vogliamo perderci tutto il
divertimento. A squartamenti conclusi, qualsiasi assedio diventa una
noia.-
Nel frattempo, Yara non era certo rimasta lì ferma a
guardare.
Non appena si era accorta che Meera e Shireen erano al sicuro, se l'era
svignata di nascosto ed era sgattaiolata su per le scale: non aveva
bisogno dell'aiuto di nessuno, e nessuno avrebbe potuto comunque
aiutarla. L'avrebbe fatto anche per Meera, in fondo, e per il bene del
Nord, ma innanzitutto l'avrebbe fatto per recuperare Theon. E ucciderlo con le mie stesse
mani, pensò,
mentre l'ira le pulsava nelle palme. Il tradimento del
fratello, così terribilmente ingrato ed ingiustificato, la
faceva fremere di dispetto. Dopo tutto quello che aveva fatto per
salvarlo, per tenerlo al sicuro, quel piccolo irriconoscente si era
gettato ai piedi di Bolton, alla prima occasione... quel verme vile ed
ignobile. Gli Stark avevano ragione. Era solo un codardo. Non meritava
una sorella come lei, nè tantomeno la sua clemenza.
Poco prima di raggiungere l'ultimo piano, Yara
esitò e si
chiese quale potesse essere la tattica più prudente. Con le
spalle al muro, lanciò una fugace occhiata al pianerottolo:
due
piantoni armati la difendevano. Prese un bel respiro, il petto che si
sollevava e riabbassava lentamente sotto la casacca di iuta,
socchiudendo gli occhi solo per qualche istante. Quando
risollevò le palpebre, vi regnava una determinazione di
ferro.
Con una rapidità di cui non sapeva d'essere capace,
balzò
superando tre gradini e, con uno slancio che le costò tutta
la
forza delle braccia, tranciò la testa del primo uomo, che
non
ebbe nemmeno il tempo di gridare; all'altro aprì la gola,
senza
però poter impedire che cacciasse un grido. Yara
pregò
soltanto che nessuno ci avesse prestato attenzione; visto che nel
cortile sotto v'era in corso una battaglia, udire lo strepito di un
uomo morente non sarebbe parso così strano, o almeno questo
la
ragazza sperava. Rimase in ascolto per qualche momento: dall'interno
della stanza proveniva un gran fragore di ferro -spade ed armature.
Ciò significava che, con un po' di fortuna, lì
v'erano
moltissimi soldati, facendo di essa il luogo ideale per passare
inosservati. Yara strappò ad un cadavere il mantello e se lo
drappeggiò sulle spalle, assestando il cappuccio sulla
testa, di
modo che le celasse parzialmente il viso; se avesse tenuto il mento
chino, nessuno l'avrebbe riconosciuta. Appurato questo, spinse la porta
con una mano, aprendo un solo spiraglio; s'insinuò
all'interno,
silenziosa come un'ombra e quatta come un ratto.
Si confuse subito in una massa di soldati dal mantello identico al suo,
che recava lo stemma dell'uomo scuoiato. Presso la finestra -quella
attraverso la quale, a quanto si diceva, Brandon Stark era precipitato
di sotto a causa di Jaime Lannister- Ramsay Bolton sogguardava la
battaglia distrattamente, le dita intinte di sangue. I suoi strani
occhi di inusitato chiarore -tanto inumano da poter essere paragonato
soltanto a quello che, nelle tenebre della notte, animava lo sguardo
dei predatori silvestri- si soffermavano serafici prima su una porta
delle
fortificazioni, poi sull'altra. Al suo fianco, Theon s'ergeva mesto,
pallido e sbiadito come l'umile fantasma d'uno scudiero. Portava
docilmente tutte le armi del padrone, la spada macchiata di sangue alla
cintura, l'arco alla spalla e varie daghe e coltelli appesi ad una
cinghia, e persino quel peso sembrava troppo per lui.
Ramsay non sembrava preoccupato per le sorti della battaglia:
evidentemente,
ancora non s'era accorto, nel viavai, dell'arrivo dei Guardiani delle
Notte, disseminati per tutta la circonferenza della fortificazione.
-C'è ancora moltissimo da fare.- stava commentando in quel
momento, tamburellando le dita sul davanzale della finestra. -Appendere
la pelle di Meera Stark come stendardo in cima a questa torre, per
esempio. Sciagurata ragazza, cosa sperava di fare? Credeva veramente di
essere al sicuro?
Durante una
guerra, non esiste un posto sicuro: soltanto luoghi dove ci sono meno
probabilità di morire. E Grande Inverno non è
decisamente
fra questi. Ma per avere la sua pelle, bisogna prima toglierla. Dov'è,
adesso? Avevo ordinato di portarmela subito qui.-
sbuffò imperiosamente.
Theon strinse le labbra. -E i tuoi uomini hanno tentato di fare
ciò che hai ordinato, mio lord. Ma è stato
più
difficile del previsto. La ragazza è circondata di guardie e
sa
usare la spada...-
-La ragazza è una
ragazza.- dichiarò Ramsay, accigliato. -Non
posso tollerare che le forze armate di Forte Terrore vengano messe in
crisi da una donna. Ma
a quanto pare, visto che sono così brave a combattere,
dovrò reclutarmi una guardia tutta in gonnella. Non credi
anche
tu, Reek?- Non gli diede il tempo di rispondere. -Ah, e la giovane
Baratheon sarà un ostaggio perfetto. Così quel
matusalemme di Stannis ci penserà due volte prima di
rimanere
fedele al suo giuramento di alleanza, dico bene? Ovvio che dico bene.-
concluse, inarcando le sopracciglia e facendo un gesto ampio con la
mano, che andò vagamente ad indicare le terre del Nord, che
si
stagliavano bianche ed immobili fuori dalla finestra. Per qualche
secondo, rimase in silente contemplazione.
-E adesso sarò il padrone di tutto questo... Mio padre lo
riterrebbe paradossale, immagino. Io, il figlio malvoluto. Il figlio Snow.-
Fece una smorfia disgustata, quasi che quel nome avesse un
sapore
asprigno sul suo palato. -Snow, diceva il caro vecchio Roose... Sono
una miriade di volte più Bolton di lui. Non mi sono fatto
uccidere dagli occhietti magici di uno storpio, io.-
Yara si vide costretta ad ammettere con se stessa che
Ramsay
aveva quasi uno strano fascino, in quell'atmosfera lugubre, con il
vischioso liquido rossastro ad imbrattargli le mani e ciocche di ricci
capelli bruniti ad arricciarglisi sulla fronte. La linea rigida della
mascella si tendeva e rilassava, a seconda dei dardeggianti pensieri
che gli affollavano la mente. Seppur così pallidi, i suoi
occhi
erano indecrittabili. Un rufolo di vento faceva tremare il suo vasto
mantello rosso, adorno di granati, e lo strusciava contro il pavimento
di pietra.
-Sarai il re del Nord migliore che ci sia mai stato, mio lord.-
balbettò Theon, abbassando lo sguardo. Ramsay gli rivolse un
ghigno un po' storto.
-Non m'interessa per niente essere il migliore. Mi basta essere quello
che vivrà più a lungo.- Però era
evidentemente
compiaciuto. -Adesso io e te dobbiamo occuparci di colui a cui davvero
volevo fare visita, Reek. Come, non sai a chi mi sto riferendo? Kenned
Stark, naturalmente, il principe ereditario. Insomma, ereditario...
almeno finchè non gli staccherò la piccola testa
dal
collo e non la manderò in dono a Brandon lo Storpio. Una
bella
riunione di famiglia. Commovente, vero? Su, muoviti, non posso
aspettare i tuoi comodi.-
-Sì, mio lord.-
Fu a quel punto che Yara si rese conto ch'era il momento d'agire.
Facendosi largo un po' più avanti, aquattata fra i soldati,
rivolta con il viso al muro, attese che Ramsay Bolton passasse dietro
di lei, con quel dannato mantello ricamato di pietre rosse. Molte
immagini sfilarono davanti ai suoi occhi in quel momento: le guardie di
Pyke che morivano una dietro l'altra, il terrore, le notti in bianco,
la ferita sanguinante ed incisa a pelle sulla carne viva, e Tristifer,
il suo povero sventurato marito. Senza dare nell'occhio, lo
seguì dietro a Theon mentre uscivano dalla stanza. Prima che
il
fratello potesse chiudere la porta alle loro spalle, scattò.
Ramsay si ritrovò con l'ascia di Yara sul collo; Yara si
ritrovò con il coltello di Ramsay sulla giugulare. Lei
ansimò, colta di sorpresa; non immaginava che avesse un'arma
nascosta da qualche parte, ma che fosse solo Theon a portarle. Il
giovane
Bolton sorrise in risposta.
-Non è buona educazione origliare le conversazioni altrui.-
sibilò, sferrando un nuovo affondo e mirando allo stomaco di
Yara, che lo parò abilmente con la lama della scure.
-Non è buona educazione introdursi senza invito in casa
degli altri.-
ribattè la ragazza, scagliando un fendente dal basso verso
l'altro, con l'intento di fargli perdere la presa sul coltello, invano.
Theon mise mano alla spada, con l'intento di portare aiuto al proprio
padrone, ma Ramsay gli fece un cenno.
-Fermo là.- ringhiò. -Credi che non sappia tenere
testa
da solo alla tua sorellina? Le uniche spade di cui dovrebbero
occuparsi le femmine non sono fatte di metallo.-
Yara fece per colpirlo alle ginocchia ma, visto ch'egli
scartò,
fu obbligata a balzare pericolosamente sul gradito inferiore per
scampare all'arma di Ramsay, che per un pelo non la decapitò.
-Sai com'è, tu ti occupi dei cazzi così bene che
non
vorrei sfigurare al confronto.- ironizzò, fulminando Theon
con
lo sguardo. Il fratello non battè ciglio.
Il giovane Bolton esibì un ghigno sardonico. -Cosa vuoi da
me,
Yara Greyjoy? Il mio Reek? Ebbene, lui non vuole tornare con te.-
-Tientelo pure e, per quanto mi frega, fottitelo e scorticatelo come ti
pare, il tuo Reek.- sputò Yara a stento, congestionata in
volto.
-Alla malora tu, Reek e tutti i tuoi cazzo di amichetti.-
-Tutto bene con quell'affare? Sei sicura che riuscirai reggerti in
piedi per un tempo sufficiente a mandarmi all'altro mondo?- la
sbeffeggiò Ramsay, scoccando un fendente dal quale ella si
difese a fatica. Yara non era un'idiota: sapeva benissimo di essere
svantaggiata. La sua scure, benchè fosse assai utile ed
efficace
nel campo di battaglia, era d'ostacolo lì, dove c'era
così poco spazio per muoversi, e dove anzi c'era il rischio
di
precipitare già dalle scale; tentò diverse volte
di far
scivolare giù Ramsay, costringendolo fra la sua ascia e
l'orlo
di un gradino, ma il ragazzo non si lasciava imbrogliare e manteneva un
equilibrio più che straordinario. Inoltre l'arma di Yara era
pesante, al punto di farle indolenzire le braccia, dopo un po' di
tempo; era difficile calibrare la precisione dei fendenti. Con un
coltello, sarebbe stato molto più facile. Proprio mentre
stava
cogitando fra sè di rubarne uno dalla cintura di Theon, si
distrasse quel poco che bastò a Ramsay per approfittarne
indegnamente. Infatti, dopo un'accanita lotta all'ultimo sangue,
l'erede dei Bolton aprì un taglio profondo al fianco della
sua
avversaria.
Yara affondò i denti nel labbro inferiore per non gridare e
cercò di respirare, mentre iniziava a vedere doppio. Il
dolore
velò il suo sguardo di una patina rossa ed opprimente.
-Cosa c'è, lady Yara?- Alla
vista del sangue, lo sguardo di Ramsay baluginò sotto la
luce
d'una torcia, affissa alla parete, come quello di una pantera-ombra.
-Qualcosa non va? Ohh, è questa, vero? Ti fa male, vero? Ti fa male?-Con
la punta del robusto stivale, inflisse un calcio poderoso alla
ferita sul suo fianco. Yara grugnì e, con tutta la rabbia
frustrata che le rimaneva in corpo, alzò per l'ultima volta
la
scure e tentò un colpo alla gamba di lui. Ramsay non dovette
far
altro che spostarsi, per evitarlo; poi afferrò la lama con
una
mano, e la mantenne così, ferma, sospesa. Sorrise ancora,
lentamente, guardandola fissa negli occhi. Nelle sue iridi trasparenti,
Yara vide chiaramente la propria fine, quasi fosse riflessa in uno
specchio d'acqua.
-Cerchi di uccidermi, Yara Greyjoy? Attenti alla mia vita facendo
appello al tuo ultimo soffio vitale? Sono così importante
per te, da valere una morte indegna in una torre disgraziata, una
traversata dalle Isole di Ferro a Grande Inverno, una sottomissione ai
tuoi peggiori nemici? Mi sento onorato.-
Un altro taglio di lama, esattamente lì sopra il ginocchio
dove
un attimo prima Yara aveva puntato con l'ascia, si spalancò
facendo fiorire un'ampia macchia di sangue scuro sulla stoffa dei
pantaloni di lei.
-Vaffanculo.- imprecò Yara, farneticante dal dolore.
-Vaffanculo, bastardo.-
Il suo tentativo di recuperare la scure fu stroncato sul nascere.
Ramsay ridacchiò. Con un calcio, la spinse più
giù
sulle scale, facendole sbattere la nuca sullo spigolo acuminato di un
gradino inferiore.
-Credevi davvero di farcela, vero? Ci hai sperato. Eri molto sicura di
te stessa. Eri convinta di potermi fare la pelle... Chissà
che
delusione dev'essere, per te, la
sconfitta. Perchè ti renderai conto che
è questo che sei, giusto? Sconfitta. Hai perso.-
Si inginocchiò su uno scalino sopra di lei,
avvicinando
il suo volto estasiato a quello sudato e paonazzo di Yara.
-È
una brutta sensazione, vero? La delusione, la vergogna,
l'umiliazione... La consapevolezza di stare per morire in modo
atrocemente lento
e atrocemente miserevole?-
Yara ansimò, colta da un furore terribile.
Allungò le
mani con un movimento inconsulto, come se volesse cavargli gli occhi.
-Vaffanculo, vaffanculo, vaffanculo!-
La lama le trafisse le mani da parte a parte, tante volte quante si
protesero verso Ramsay, facendole grondare di sangue.
-La figlia di Balon Greyjoy, la valorosa pirata spadaccina, la regina
delle Isole di Ferro, in cui s'erano riposte tutte le speranze per la
continuità del vostro nome... un fallimento.
Non riesco nemmeno ad immaginare quanta sofferenza tu stia provando, in
questo momento. Si dice che tuo padre ti amasse quanto un figlio
maschio. Sarebbe orgoglioso di te, adesso? Dimmelo. Dimmelo.-
Yara urlò straziata. Ricadde a terra, contro i gradini, ma
poi
si rialzò ancora e provò a sferrargli un pugno.
Ormai, le
sue forze erano ridotte agli sgoccioli. Tutto quel che ottenne fu
crollare addosso a Ramsay, come una marionetta senza fili.
Cadde il silenzio e l'immobilità. La ragazza giacque inerme
in
grembo all'aguzzino, incapace di risollevarsi. Il suo respiro era
incontrollabile e difficoltoso. Le mani di Ramsay scivolarono fra i
suoi capelli, intrisi di sangue e sudore: per un unico, delirante
secondo, a Yara parve quasi ch'egli la stesse cullando.
-Sei stanca, Yara Greyjoy? Vorresti che ti permettessi subito di
dormire per l'eternità? Oh, no, abbiamo appena cominciato a
giocare.- Chinò il volto fino sfiorare il padiglione del suo
orecchio con le labbra, e sussurrò in un soffio: -Che ne
dici di
cominciare a correre?-
Lo sguardo di Theon era vitreo, implacabile, come se
stesse
assistendo al martirio della sorella di qualcun altro. La mano di Yara,
trafitta e dilaniata, corse alla cintura di Ramsay e cercò a
tentoni, tastando faticosamente, il manico del coltello.
-Crepa, figlio di cagna!- mugugnò, la voce stridente fra le
labbra spaccate. Non si sarebbe mai degradata in quel modo. Non si
sarebbe mai abbassata a diventare il suo diletto, il suo gingillo. Se
doveva morire, l'avrebbe fatto nel tentativo di ammazzarlo, non di
scappare vilmente, per poi farsi acchiappare e finire. Non sarebbe
morta facendolo divertire.
Il giovane non la prese molto bene. Le afferrò i capelli con
violenza e la strattonò senza clemenza, veemente,
digrignando i
denti. Sbattè la faccia della ragazza tre volte contro
l'orlo
aguzzo di un gradino, con rabbia.
-Reek, la tua stupida sorella non vuole proprio morire. Significa che
farò un'eccezione per lei e salterò i
preamboli... Reek,
il mio rasoio, quello speciale.-
Dalla gola straziata, Yara emise una risata ruvida e gutturale.
-Rasoio?! Vuoi scuoiarmi, maledetto bastardo? Non pensare... non
pensare che te lo permetterò... Provaci e-
-Farò molto di più che provarci, te lo
garantisco. Quasi
mi dispiace mettere fine a tutto ciò, sai? Iniziavo a
spassarmela davvero.- Ramsay si voltò verso Theon, irritato.
-Reek, il rasoio, ho detto.-
Il volto del ragazzo era duro come la roccia. Una strana espressione
aveva preso il posto dell'apatia e dell'indifferenza.
-Il mio nome- scandì con rancore, -è Theon Greyjoy.-
Prima che Ramsay potesse reagire, estrasse una lunga lancia e la
frantumò
con una potenza decisamente inaspettata sulla sua testa; lo
afferrò
per il mantello e lo sorresse in piedi ancora per qualche istante, il
tempo di mormorargli: -Cosa
provi in questo momento, Ramsay?-
L'erede di Forte Terrore sbiancò e cadde a terra, privo di
sensi, liberando dalla presa il corpo martoriato di Yara. Theon
soccorse immediatamente la sorella.
-Yara? Dobbiamo andarcene di qui. Devo trovarti un Maestro, subito...-
Le labbra di lei si smossero in un sorriso insanguinato, ma appagato.
-Era ora, che ti decidessi.-
Egli si stupì. -Come l'hai capito?-
-Nemmeno tu
potevi essere così vile ed iniquo da commettere una
carognata del genere. Non l'ho proprio capito... diciamo che l'ho sperato.-
Yara
gemette. Theon alzò la spada di nuovo, ed i suoi occhi
s'infiammarono. -Gli taglio la testa e poi ce ne
andiamo.-
-Non ucciderlo.- lo fermò la sorella, biascicando.
-Cosa?-
-Non qui. Noi...
dobbiamo portarlo... a Pyke. Tutti vedranno in faccia chi è
l'assassino che ha sterminato... le loro famiglie.-
La ragazza cominciò a tossire convulsamente, così
Theon
si limitò a legare le mani di Ramsay, per poi prestarle
immediato soccorso.
Quando Jon Snow giunse in cima alla Torre Spezzata, trovò
l'uomo
ch'era venuto ad uccidere esanime ed immobilizzato, e la ragazza che
era venuto a soccorrere moribonda.
-Che diamine è successo qui?- esclamò, stupefatto.
Theon fece una smorfia. -Sempre un piacere vederti, Snow. È
lunga
da spiegare, e non credo che Yara farebbe in tempo ad ascoltare il
riassunto di nove anni di vita.-
Jon, sconcertato, scosse la testa. Con un lieve moto di sorpresa,
capì che l'assedio di Grande Inverno poteva considerarsi
sedato.
-Te l'avevo detto, che saremmo arrivati in ritardo.-
brontolò Ygritte. -Non sai proprio niente, Jon
Snow.-
***
-La donna rossa di Stannis.- Quando Jaime riuscì a carpire
quel
vago ricordo dalla propria memoria, non seppe se rallegrarsene o meno.
-Cosa?- domandò Brienne a voce bassa.
Si trovavano all'ala estremamente ovest di Approdo del Re, dove la
cinta di mura presentava grosse fenditure sbarrate che permettevano
tranquillamente di scivolare all'esterno; all'esterno, sì,
però soltanto su una sottile striscia di spiaggia chiara,
affacciata sul mare aperto. L'unica ipotetica via di fuga sarebbe stata
quella, ma solo nell'eventualità d'avere una barca a
disposizione -e lì non c'era nessuna barca. Jaime e Brienne
non
erano così sprovveduti da non essersene resi conto: infatti
erano lì non per fuggire, bensì per salvare Bran
Stark.
Una scura chiazza di vegetazione nascondeva delle ampie tende cremisi,
i cui lembi oscillavano leggiadri al soffio dell'alito del mare,
odoroso di salsedine. Jaime, che valutava la situazione da dietro degli
arbusti, ipotizzò che si trattasse degli accampamenti degli
sconosciuti rapitori. Dopo qualche istante d'appostamento, a sostegno
della sua teoria, un paio di ancelle dalle tuniche vermiglie uscirono,
reggendo grandi ampolle dai colori sgargianti e coppe di smalto ricolme
di sabbie aromatiche, e le portavano... dove? Vicino al bagnasciuga,
dove però c'era un trambusto tale da rendere impossibile
scorgere che uso ne venisse fatto.
-C'è decisamente troppo rosso qui intorno, non credi?- aveva
chiesto Jaime, giusto qualche minuto prima. Brienne non aveva risposto.
Solo adesso l'uomo aveva capito cose fosse quel vago presentimento che
continuava a ronzargli in mente.
-Avevo sentito dire che Stannis Baratheon si portasse ovunque una
sacerdotessa rossa di Asshai. Potrebbe avere qualcosa a che fare?-
-Che motivo avrebbe Stannis di far rapire Brandon Stark? È
suo
alleato.- gli fece notare Brienne, torva. Non presentiva nulla di buono.
Jaime scosse il capo, arreso. -Non ne ho la minima idea. Ho solo detto
la prima cosa che mi è passata per la testa.-
-Dovremmo avvicinarci.- affermò la donna, indicandogli la
spiaggia con il mento. -Se vogliamo salvare il ragazzo, almeno. Stanno
già portando la legna.-
Era vero. Uomini vestiti di lunghi abiti legati in vita da una corda
-frati?- stringevano fra le braccia cataste di ramoscelli e cioppi,
procurati nel bosco, e si dirigevano tutti in silenzio verso la
spiaggia. Nel frattempo, la foschia bluastra della notte era stata
lacerata come stoffa vecchia e lasciava trasparire chiazze di calda
luce mattutina, che si diffondevano rapide come sangue.
Jaime e Brienne, cercando di muoversi fra gli sterpi nel modo
più silenzioso possibile, avanzarono di albero in albero,
finchè la scena non si presentò di fronte a loro.
Su
un'impalcatura di legno, un nugulo di sacerdoti rossi s'affannava,
simile ad uno stuolo di formiche; gli uomini sistemavano la legna, le
donne spargevano polveri bisbigliando parole incomprensibili e
accendevano bacchette d'incenso dal profumo pungente. Jaime si
sentì attraversare da un brivido d'inquietudine. Ma in che
razza
di casino l'aveva trascinato, Tyrion? In una dannato, ambiguo
sacrificio mistico di una banda di eretici.
-Lo vedi?- chiese Brienne, rammentandogli il motivo per cui erano
lì. Jaime cercò il giovane Stark con lo sguardo:
non lo
vide. Certo, aveva un ricordo appena abbozzato del suo aspetto,
però era sicuro che un ventenne storpio dalle gambe rotte
non
sarebbe passato inosservato. Eppure, lì non c'era nessuno
che
non vestisse quello stramaledetto colore.
-No.- ammise sbuffando. -Cosa facciamo?-
-Aspettiamo.-
-Quanto
dovremmo aspettare?! Questa situazione non mi piace per nulla.-
Brienne lo rimproverò con lo sguardo. -Perchè, a
me
sì, forse? Lo stiamo facendo per Tommen e Tyrion e i
gemelli.-
L'uomo, dopo qualche istante, annuì. -Per Tommen, Tyrion e i
gemelli.- ripetè meditabondo.
-Allora abbi pazienza.- ribadì Brienne, appoggiandosi con il
braccio ad un masso. Per diversi minuti, non spiccicarono parola. Jaime
era troppo intento a pensare alla fiducia negli occhi del Folletto,
mentre gli affidava la sorte della famiglia, e Brienne sentiva
all'orecchio le parole di Cersei, so
che tu proteggerai i suoi figli -i nostri figli- i miei figli, e che
sarà necessario che tu lo faccia... se mi dovesse accadere
qualcosa.
La loro attesa non fu vana. Il sole cominciava
già a
farsi largo fra le azzurre cortine dell'alba, macchiandole ormai d'un
rosa slavato, quando uno dei preti rossi si voltò verso la
fitta
vegetazione ed esclamò: -È ora. Stai aspettando
forse che
Stannis Baratheon ci trovi?!-
Una donna avanzò fra gli alberi, con movimenti leggiadri e
morbidi come acqua corrente, maestosa al pari di una regina fra i suoi
sudditi; ed infatti tutti i presenti parvero segretamente in
soggezione. Portava una veste di velluto, tempestata di granati, che le
fasciava il busto e aderiva perfettamente ai fianchi ed alle gambe,
delineandone ogni curva, e le scopriva le braccia diafane. Al lungo
collo aveva appeso un rubino ottagonale, grosso come un uovo, ma di
certo molto più pesante; era scuro come il sangue essiccato,
ma
quando la luce lo trafiggeva svelava la vivacità delle
fiamme.
Una cascata di guizzanti e tempestosi capelli cremisi le lambivano le
cosce. Il suo grande potere vibrava in un'aura quasi palpabile. Jaime
pensò che non poteva essere la donna rossa di Stannis: di
quella
aveva sentito parlare molti anni prima, ai tempi della Guerra dei
Cinque Re, mentre quella era troppo giovane per essere effettivamente
la stessa persona.
-Possiamo procedere.- confermò graziosamente la donna,
rivolgendo lo sguardo dietro di sè. Due fanciulle, novizie
rosse, reggevano una persona priva di sensi.
-È lui.- confermò rapidamente Jaime. Brienne
corrugò la fronte, ma non proferì parola. Dietro
quelle
due ragazze, ne venivano altre: e lo Sterminatore di Re
sussultò
di stupore, costatando ch'era il suo lupo. Dovevano portarlo in tre,
perchè le sue dimensioni erano davvero impressionanti.
Morto?
Impossibile affermarlo con certezza, tanto più che non
sembrava
presentare ferite. Forse solo addormentato, come il giovane Stark.
Perchè Jaime aveva capito subito che lui non era morto. Il
respiro gli sollevava ed abbassava il petto, e le sue guance erano
appena colorite dal vento.
Lo sguardo di tutti i frati era puntato sul prigioniero. La donna
vestita di rosso indicò la pira con un distratto gesto della
mano, e le ancelle obbedirono. Poggiarono Brandon Stark fra i pezzi di
legno, e il metalupo vicino a lui. Poi la donna cominciò a
spargere sopra entrambe le vittime delle strane gocce, che Jaime
immaginò fossero un liquido infiammabile. Lo stesso fece su
tutta la legna.
-Bisogna sbrigarsi.- intimò un frate, nervosamente. La donna
sorrise languida.
-Affatto. Un sacrificio che non sia consacrato a R'hllor è
solo
un crimine. Dobbiamo richiedere che quest'anima sia liberata da tutto
il male che ha commesso e possa ottenere la redenzione. Solo allora la
minaccia costituita dai poteri conferiti dal Dio Estraneo
sarà
scongiurata. Altrimenti, il suo spirito contaminato dal Male
continuerà a perseguitare i deboli di questo mondo. Vogliamo
permettere una cosa del genere?-
-Melisandre, la cerimonia-
-Cercherò di fare più in fretta che
potrò.-
La donna di nome Melisandre, dopo aver esalato un profondo respiro,
cominciò a pronunciare parole in una lingua a Jaime
sconosciuta,
composta di suoni melodiosi ma straordinariamente sciolti l'uno
nell'altro, fino a apparire impronunciabili. Brienne, nel frattempo,
aveva dato segno ai loro uomini, rimasti nel folto della boscaglia, di
avanzare, tenendosi nascosti dietro delle rocce.
-Attacchiamo?-
Jaime annuì con il capo. -Non possiamo attendere ancora.-
Nel frattempo, un frate aveva acceso una lunga torcia e l'aveva
consegnata a Melisandre. La donna sciorinò ancora quelle
parole
incomprensibili, e così facendo strinse le dita attorno al
legno
ed ammirò il fuoco, che baluginò feroce nelle sue
iridi
chiare.
-Signore della luce, perdonalo e salva la sua anima, nella tua infinita
misericordia.- pronunciò, nella lingua comune. Fece un passo
in
avanti.
Prima che potesse accostare la fiamma alla catasta, lucente di alcol,
Jaime Lannister le aveva fatto cadere la fiaccola di mano e le aveva
puntato la spada alla gola. Inaspettatamente, la donna non
reagì
con violenza: quando lo Sterminatore di Re la pungolò con la
lama, si limitò a rimanere immobile. Che si fosse accorta
della
spoporzione fra la loro forza fisica?
Con un gesto celere, Jaime si scrollò il mantello sulle
spalle e
lo calpestò sulla fiamma. Alle sue spalle, sentiva Brienne e
i
soldati minacciare i frati affinchè non intervenissero.
-Mi dispiace, ma temo di dover interrompere la festa.-
dichiarò
Jaime. -E sì che i falò in spiaggia mi sono
sempre
piaciuti... ma quando li facevo io non arrostivo le persone,
effettivamente.-
Con suo grande stupore, sentì Melisandre ridere.
-La volontà di R'hllor si compie sempre, ser Jaime,-
mormorò, quasi beffarda, -e chi gioca con il fuoco finisce
per
scottarsi.-
Jaime non ebbe nemmeno il tempo di chiedersi perchè diavolo
quella donna sapesse il suo nome: l'unica cosa su cui la sua attenzione
fu calamitata fu la fiamma che aveva improvvisamente preso vita sulla
catasta. Come aveva fatto?! Quella donna rossa era una specie di
strega? Aveva acceso il fuoco solo con l'ausilio della propria
volontà... Sulla catasta
coperta di liquido
infiammabile, cazzo! Jaime
spintonò Melisandre di lato e calcolò rapidamente
quanta
legna avrebbe dovuto scostare, per liberare il ragazzo. Troppa. Ad ogni
buon conto, senza ormai ragionare più, si lanciò
sulla
pira. Brienne urlò qualcosa alle sue spalle, ma lui non
l'udì. L'unica
speranza per
salvare la famiglia... Tyrion si fida di te... La vita di
Tommen e
dei suoi bambini dipende da questo... Con
le braccia
scagliò via pezzi di legno alla rinfusa, senza
badare alle
cortecce ruvide, alle lunghe schegge, ai cioppi che rovinavano sopra la
sua testa. La pira era alta, la vittima all'improvviso pareva
irraggiungibile, e le narici di Jaime colsero un presentimento. Fuoco.
Odore di fuoco. Di legna bruciata. Ancora, ancora scostare, ancora
farsi largo. I suoi movimenti erano goffi, troppo lenti seppur
frenetici: colpa dell'agitazione, della fretta, del panico, di quella
maledetta mano mancante. Un altro odore, ancora più molesto.
Il
fumo cominciava a levarsi, come il pennacchio impolverato d'un elmo, e
Jaime poteva scorgerlo, perchè sentiva gli occhi lacrimare
dall'irritazione... Odore
di carne bruciata. No. No.
Poi, l'insperato: afferrò il braccio di Brandon
Stark. Lo
percepì sotto il palmo. Il suo cuore esultò per
meno di
un istante. Arrivò il fuoco, Jaime lo vide. Fece solo quello
che
l'istinto lo portava a fare, lo stesso che avrebbe fatto se fosse stato
in bilico su una scogliera. Si aggrappò a ciò che
stringeva e si lasciò precipitare -anche se non sapeva di
preciso dove. Non ce l'avrebbe mai fatta, quello fu l'ultimo,
sconsolato pensiero che gli esplose
nella testa... e poi tutto attorno a lui scoppiò.
***
-Dov'è?! La voglio
uccidere!-
Arya Stark strappò con la spada un ramo che, pendendo, si
frapponeva fra lei ed il suo obettivo. Le mani tremavano dalla
furia. Lo stava facendo di nuovo, quella.. -La ucciderò! Giuro
che la
ucciderò!-
Quel che vide non era esattamente ciò che si
aspettava.
Brienne di Tarth stava domando un incendio, aiutata da alcuni uomini
che recavano lo stemma dei Lannister sul petto; ai piedi di una
mastodontica pira avvolta dal fumo, giaceva il corpo di suo fratello,
inerme -morto o ferito?- e, al suo fianco, un uomo che
stentò a
riconoscere come Jaime Lannister. In effetti entrambi erano neri di
cenere, dagli abiti sbrindellati al volto. Ma Arya non si
preoccupò di nessuno di loro -non adesso, non era importante.
-Dov'è?
Voglio farla annegare
nel suo sangue. Dov'è
Melisandre di Asshai?!- La sua arma luccicò al
sole dell'alba,
eloquente.
Incrociò lo sguardo azzurro e freddo di Brienne. La donna
strinse le labbra. -Scomparsa. Volatilizzata, sotto i miei stessi
occhi. La stavo tenendo bloccata per i polsi... e un secondo dopo non
più. Sparita.- ribadì con durezza.
Le braccia di Arya ricaddero lungo i suoi fianchi, mentre lo
smarrimento prendeva forma sul suo viso.
Dopo tutto questo, Jaime Lannister tossì
sonoramente.
***
Manca qualcuno, pensò
Tommen. E non intendeva qualcuno della propria famiglia
-Margaery era al suo fianco, ostentando una stoica
impassibilità, e suo zio Tyrion fischiettava guardandosi
intorno
con sincera curiosità- bensì qualcuno della loro
famiglia. Bran Stark, sul suo scranno in alto, era solo. Non sembrava
affatto reduce dal rogo di una setta di preti rossi fanatici, ed era
spaventoso quasi come Tommen se lo era sempre immaginato. Proprio come
gli era stato raccontato, aveva incolti capelli castani sulle spalle ed
il viso ostentava il pallore della morte -però nessuna
descrizione avrebbe mai potuto rendere i suoi occhi,
come varchi spalancati sull'oblio, pronti ad abbrancare chiunque vi si
fosse sporto troppo. Eppure, sebbene intimamente intimorito, Tommen
aveva realizzato di saper sostenere quello sguardo -forse
perchè
era un pericolo che lo affascinava in un modo misterioso, forse
perchè durante quei mesi era molto cambiato.
Accanto al trono di Brandon il Metamorfo, c'era quello di Gendry il
Bastardo. Più precisamente, il Trono di Spade. Il mio trono,
non potè fare a meno di pensare Tommen, con un pizzico di
stizza, sebbene avesse ormai capito che era meglio perderlo che
trovarlo. Doveva ammettere che quel Gendry aveva la carisma di un vero
re -così imponente e fiero e massiccio, però
anche Robert
Baratheon da giovane era tale e quale, e si sapeva com'era andata a
finire. Non bastava affatto assomigliare
ad un sovrano, per esserlo davvero.
C'erano tutti, insomma, o
quasi tutti. Dov'erano finite le sorelle Stark? Tommen Lannister,
Margaery Tyrell, ser Loras, Tyrion, Brandon Stark, Gendry Baratheon.
Nella sala del trono, dove fino a pochi giorni prima s'era
scatenata una furibonda battaglia, non c'era nessun altro. A ricordare
il macello che era stato consumato, solo ferite di spada sui muri ed un
odore di sangue rivoltante.
Ad un certo punto, le alte porte si spalancarono. Jaime Lannister
entrò. Sulle sue labbra aleggiava un sorriso distratto,
quasi si
compiacesse d'un segreto; i capelli erano più corti di
prima, in
quanto le serve, lì dove i grumi di cenere erano
più
ardui da rimuovere o dove il fuoco aveva bruciacchiato ciocche
asimmetriche, li avevano tagliati. Le superficiali ustioni del fuoco,
sulle braccia e su un fianco, erano celate dalla stoffa di un camicia
bianca. Tommen fu incredibilmente orgoglioso di lui: in quanto a
fierezza, non era certo da meno rispetto ai presenti. Seppe che la
riunione avrebbe finalmente avuto
inizio. Tutta la tensione che aveva accumulato si librò
nell'aria in un sospiro pesante.
Jaime Lannister procedeva scandendo i
secondi con i propri passi, sul marmo. Bran Stark lo seguiva
attentamente, senza mai distogliere da lui gli abissali occhi di
pietra. Tommen notò, quasi sovrappensiero, che non sbatteva
mai
le palpebre. Il re del Nord pareva star silenziosamente ragionando su
qualcosa di inindovinabile, senza fretta, esaminando Jaime con tutta la
calma del mondo, quasi provasse il vivo desiderio di studiarlo. Infine,
l'uomo si fermò ai piedi dei loro troni. Ancora silenzio. Le
labbra di Gendry Waters erano serrate.
Quando ormai Tommen cominciava a chiedersi, con un certo smarrimento,
cosa diamine sarebbe successo -la sua mente intanto elaborava fantasie
farneticanti, secondo le quali un manipolo di soldati del Nord
sarebbero entrati all'improvviso compiendo un massacro- allora Brandon
il Metamorfo parlò.
-Ci rincontriamo di nuovo, ser Jaime. Quasi dieci anni fa hai cercato
di togliermi la
vita, adesso me la salvi. Da cosa deriva tutta questa indecisione?-
Il sarcasmo nella sua voce -leggera, appena un po' arida, ma
sorprendentemente giovane,
più
di quanto Tommen avrebbe creduto- era così lieve da
permettere a
Jaime Lannister di occultarlo con abilità, rivolgendogli un
sorriso storto.
-Non saprei. Magari mi sono redento. Le persone cambiano, in fondo.-
-Le persone cambiano.- confermò il ragazzo. -E tu,
precisamente... come
saresti cambiato?-
Jaime sorrise. -La domanda mi mette in difficoltà. Forse ho
soltanto cambiato opinione a proposito della tua sopravvivenza. Non
è più tanto scomoda.-
Bran Stark lo fissò e basta per ancora qualche secondo.
-Temo
che dovrai ricrederti, perchè io, al contrario, non ho affatto cambiato
l'opinione che avevo di te.-
-Un po' irriconoscente da parte tua, non credi?- Jaime
inclinò
la testa di lato. -Detto da uno che ho appena trascinato giù
da
una pira, e che se avesse aspettato i suoi fratelli a quest'ora sarebbe
ridotto in cenere, intendo.-
Tommen vide le guance di Bran Stark prendero fuoco dalla rabbia. Per
trattenere il proprio potere, dovette chiudere gli occhi e massaggiarsi
le tempie per qualche secondo.
-Stai
osando più di quanto tu possa permetterti, Sterminatore di
Re.
Se continuerai a parlare in questo modo, la mia riconoscenza ti
arriverà dritta dritta nel cuore, così come la
spada di
Roose Bolton è arrivata in quello di mio fratello. A
proposito
di fratelli,-
Tommen udì uno schiocco: voltandosi, si accorse che Arya
Stark era entrata nella sala.
-quale pensi che sia stato l'ultimo pensiero di Robb, sorella?-
concluse Bran, senza distogliere lo sguardo da Jaime Lannister.
Arya indossava ancora la parte superiore dell'armatura. I capelli scuri
e scompigliati, così come l'espressione ostilmente
selvatica, la
facevano assomigliare alla sua metalupa -che la fiancheggiava
silenziosa come un'ombra- in maniera stupefacente.
-Un pensiero d'odio.- La ragazza salì i gradini che la
distanziavano dal fratello, e si pose al fianco del suo trono,
inchiodando anche lei i propri occhi a quelli di Jaime. -Di vendetta.-
E una è
arrivata, riflettè Tommen.
A quel punto, Tyrion Lannister si rese conto che la situazione stava
precipitando in una maniera a loro sfavorevole, così
intervenne.
-Posso disturbare per un attimo il vostro colloquio?-
domandò a
Bran, con un gesto d'ossequio più condiscendente che
rispettoso.
Lui inarcò le sopracciglia.
-È una questione fra me e Jaime Lannister, Folletto. Che
cosa vuoi?-
-Ti sbagli a parlare con lui, invece.- lo avvertì Tyrion.
-Certo, l'errore è comprensibile, visto che finora non sono
mai
stato io a
condannare la famiglia alla rovina. Però, questa volta...
volevo scoprire come ci si sente, e così...-
Bran era confuso. -Spiegati.-
Il Folletto frugò in una tasca del farsetto rosso, fino a
che
non estrasse un foglio ripiegato molte volte, che lui lisciò
con
le mani, prima di salire i gradini ed allungarlo a Bran.
-Tieni questa. Io non la voglio, rievoca tristi ricordi.-
svelò, facendo una smorfia. -Non vedevo l'ora di
liberarmene.-
Brandon Stark riconobbe la grafia al primo sguardo: Tyrion se ne
accorse, dallo spasmo di dolore che storse il labbro inferiore del
ragazzo. Il re del Nord lesse la prima riga, poi alzò lo
sguardo, perplesso ed accigliato.
-Il destinatario sono io?-
-Niente affatto. Sono io.- Tyrion sospirò seccamente. -Se
avessi
lasciato che giungesse nelle tue mani prima, quando Jojen Reed la stava
legando alla zampa di un corvo, probabilmente in questo momento tu
saresti crollato in disgrazia, il tuo esercito sarebbe disperso e
decimato nelle Terre dei Fiumi e sarei io a dover concedere la grazia a
te, non il contrario.-
Bran gli rivolse un lungo sguardo velato di minacce, prima di
riconcentrarsi sul foglio che aveva fra le mani. Lentamente, turbato,
lesse riga per riga. Le staffilate di sofferenza che lo coglievano
ad ognuna di esse erano lasciate presagire dalla tensione fremente dei
suoi lineamenti irrigiditi. La fatica con cui portò a
compimento
la lettura era
evidente. I suoi occhi parevano addirittura più scuri di
prima,
come baratri spalancati sull'oblio dell'eternità.
Appena terminato, il ragazzo guardò il nano, pieno di dubbi,
e sventolò il foglio, scettico.
-Perchè mai Jojen avrebbe scritto tutte queste cose? Non si
sono
avverate sul serio...-
-Per manovrarmi ed indurmi a fare tutto quello che gli andava comodo.-
rispose Tyrion. -Gli andava comodo che io credessi che tu saresti morto
ad Approdo del Re, proprio perchè così mi sarei
diretto
ad Approdo del Re...
dove poi c'è stato
tutto questo.
Gli andava comodo che io credessi che Rickon sarebbe stato ucciso da
Myrcella, perchè così ci saremmo fidati di lei.
Fortunatamente, mi sono accorto della verità prima che
potessi
cadere in un simile errore. Ma non abbastanza presto, a quanto vedi.-
Bran Stark tacque. Ciò che finora lo aveva assillato, abbandono, si
sostituì a qualcos'altro, sacrificio: sacrificio, che
forse era ancora peggio -ma almeno adesso aveva la certezza che Jojen
non aveva mai smesso di servirlo, e non aveva mai smesso di amarlo,
nemmeno durante la morte -tantomeno durante la morte. Morto per
determinare le sorti di questa guerra. Morto per lui. Nessuno dimenticherà
questo, pensò, non permetterò che
alcuno lo dimentichi. E poi: lui ha fatto qualsiasi cosa per
me, ma non mi ha concesso l'occasione di fare mai nulla per
lui.
-Involontariamente, mi hai dato una grande gioia, lord
Tyrion.-
dichiarò, mantenendo compostezza per quanto gli fu
possibile.
-Magari non così involontariamente, ragazzo.-
Dopo avergli rivolto un'ultima, obliqua occhiata sarcastica da sotto in
su, il Folletto accennò un mezzo inchino ed
arretrò, fino
a tornare al fianco di Tommen.
-Sei stato fantastico.- gli sussurrò lui, entusiasta.
-Oh, stai un po' zitto.- lo redarguì lo zio, sebbene sul suo
viso vi fosse un sorriso compiaciuto.
-Possiamo continuare.- Gendry Waters riportò il silenzio.
-Dovete ancora decidere che cosa ne sarà dei Lannister.-
La porta si aprì di nuovo, e adesso Tommen sapeva
già chi
fosse entrato: non ebbe bisogno di girarsi. Sansa Stark avanzava con
molta più sinuosa eleganza della sorella, però
con non
meno maestà. Il manto dei suoi capelli ricordò al
giovane
Lannister la coda della cometa di sangue, che aveva visto viaggiare nel
cielo molti anni addietro, quand'era ancora bambino. Sansa portava un
vestito di velluto celeste chiaro, con inserti di candida pelliccia
d'ermellino, nelle maniche come lungo gli orli delle ampie gonne;
reggendole con la punta delle dita, giunse fino al trono, ponendosi
alla sinistra del trono di Bran Stark.
E due, pensò Tommen. Con un brivido, si accorse
che non
sfigurava affatto. L'intransigenza sul suo volto non era differente
rispetto a quella di Arya e della sua furia a stento contenuta, a
quella del re del Nord: era stata la stessa lama a sfregiarli, in
fondo. I due metalupi erano ai loro piedi, vigili, le orecchie ritte,
le loro pupille bestiali come coltelli nella carne. E i ragazzi
sembravano personificazioni dell'inverno, con il freddo negli occhi e
il supplizio sulle labbra. E stavano guardando Jaime, tutti e tre.
-Non meritano un processo. Nemmeno uno informale come questo.- Sansa
fissò lo Sterminatore di Re e vide Cersei, Cersei e il suo
sorriso bugiardo, Cersei e tutte le umiliazioni a cui aveva sempre
tramato di sottoporla, anche quando fingeva di esserle amica. Cersei e
il suo sangue dannato.
-Non meritano la speranza
di salvarsi.-
Jaime la ignorò. Per alcuni istanti di silenzio, attese che
il
re del Nord gli facesse un cenno e gli permettesse finalmente di
parlare.
-Io e te abbiamo molto in comune, hai notato? Entrambi storpi. Entrambi
ugualmente affermatisi, nonostante i pregiudizi della gente. Entrambi
provenienti da famiglie che si sono fatte molto male a vicenda, che
hanno sterminato donne e disseminato lutti...- Esitò,
chiedendosi se proseguire fosse un azzardo, ma concluse ugualmente,
sondando la reazione del ragazzo con lo sguardo. -... entrambi privi
della persona che abbiamo amato. Ed entrambi, come mi sembra di
desumere, stanchi di questa guerra.-
-Sono molte più cose in comune di quante mi piacerebbe avere
con
un Lannister.- commentò Bran, acidamente, con spiccato
sarcasmo.
Jaime interpretò il fatto di non essere stato smentito come
una
conferma, e continuò con più fermezza.
-Stanchi di questa rivalità continua che si sta nutrendo con
il
nostro sangue e le nostre carni, e che stiamo fomentando senza tregua.-
rincarò. -Sai quando la faida avrà fine? Quando
saremo
tutti morti, quando ci saremo ammazzati a vicenda fino all'ultimo.
È questo che vuoi? È questa la scelta migliore,
il
destino che vuoi per tua moglie, per i tuoi figli? Omicidio dopo
omicidio, l'odio reciproco sarà un serpente che si morde la
coda, un circolo vizioso che non finirà finchè non saremo noi
stessi a finire.-
Bran Stark rimaneva in silenzio, osservandolo con quel suo sguardo buio
di riprovazione. Impossibile decifrare i suoi pensieri.
-Anzichè vendicare morti che sono i nostri medesimi torti a
condannare, possiamo impedire piuttosto che i membri delle nostre
famiglie continuino a morire, e mettere fine ad un eterno ciclo di
vendette. Non ci deve essere per
forza bisogno
di guerra e sangue... Però dobbiamo essere noi a decretarlo,
e
dobbiamo farlo adesso.- Jaime guardò anche Arya Stark, il
suo
disprezzo così terribilmente ostentato, e l'infrangibile
scudo
ch'era il viso d'avorio di Sansa. -Per quanto difficile, giriamo
pagina. Lasciamo riposare in pace i nostri morti, da entrambe le parti,
e non permettiamo che altri cari perdano la vita a causa di
questo
odio. La casa Lannister perdonerà la casa Stark, e la casa
Stark
perdonerà la casa Lannister. Nessuno dimentica, ma nessuno
impugna più le armi.- Jaime Lannister tornò a
rivolgersi
a Bran. -Questa vendetta non ci sta portando da nessuna parte. Te ne
sei reso conto anche tu, vero?-
Il re del Nord scosse il capo. -Perchè mai dovrei temervi
ancora? Voi siete tutti qui, in nostro potere. Basterebbe impartire un
ordine per farvi sgozzare senza troppe cerimonie, così come
basterebbe mettere in palio un titolo di lord per scoprire dove si
trovano i gemelli. Potreste benissimo smettere di esserci soltanto voi,
e risolvere il problema. Quindi perchè dovrei prendermi il
disturbo di risparmiarvi?-
-Ti ho salvato la vita.- argomentò Jaime.
Bran si concesse una breve risata amara. -Su, andiamo, non prendiamoci
in giro. L'hai fatto solo ed unicamente per rinfacciarmelo, come stai
facendo proprio ora. L'hai fatto per ottenere la grazia. Se fosse stato
per te, avresti acceso a quella donna la torcia per bruciarmi.-
-I Lannister hanno pagato i loro debiti. Avevano ucciso Eddard Stark,
Catelyn Stark e Robb Stark.- Mentre li nominava, lo Sterminatore di Re
sollevava un dito della mano sinistra. -Sono morti Tywin Lannister,
Cersei Lannister... e la terza vita che ti ho restituito io oggi,
Brandon Stark, è la tua.-
Quando sollevò anche il medio, fissando Bran con eloquenza,
il
ragazzo sospirò pesantemente. Si voltò verso le
sorelle,
che incrociarono il suo sguardo quasi con tristezza.
-I Lannister sono una famiglia grande, e ricca. Se uccidessi i qui
presenti, i parenti di Lannisport sarebbero praticamente costretti a
dichiararmi guerra. Guerra... ancora guerra, ancora morte, ancora denaro.
Invece di difendere il Nord, oltre che averlo abbandonato, non farei
altro che impoverirlo fino a sfinire i suoi abitanti con tasse troppo
ingenti. Saremmo daccapo, come ai tempi di Robb. Quindi, quanto ci
conviene inimicarci metà del Sud? Quanto ci conviene
rimanere
ancora qui?-
Fu Sansa a parlare, dopo aver scambiato una breve occhiata con la
sorella minore. -Sei tu il re. La decisione sta a te.-
-So che farai una scelta per il bene del tuo regno... ma soprattutto
per il bene della tua famiglia.- ammise Arya, infine, con un sorriso
flebile che per Bran rappresentò la prima, vera presa di
coscienza: aveva sul serio ritrovato le sue sorelle. Erano sul serio
insieme, dopo tanto,
dopo tutto. Le ringraziò sommessamente per la
loro fiducia.
-Prometto che prenderò la decisione che mi sembra migliore, adesso. Certo, non
posso pretendere di trovare la soluzione giusta in assoluto...-
-... certo, non senza di me.-
Quando Tommen udì quella
voce, fu come se tutti gli inferni si fossero congelati; come se tutti
i paradisi andassero in fiamme. Fu come se il mondo di fosse rotto e
ricomposto in modo bizzarro e grottesco. Fu come se lui si fosse
accorto di essere dentro un'enorme clessidra, nel momento in cui era
stata rovesciata.
Rickon Stark spalancò le porte con l'irruenza di un ariete
da
guerra. La sua voce era ancora più gutturale rispetto a
quella
che Tommen conservava nei propri ricordi, anche se era
infraintendibilmente la stessa; colpa del tentato strangolamento, di
cui rimanevano ancora segni incisi sulla pelle, lasciati ben scoperti
-come se il giovane Stark stesse esibendo un trofeo. Il lungo mantello
accompagnava i suoi movimenti, che tutti seguivano con lo sguardo. Il
silenzio nella sala era sconcertato. Margaery aveva gli occhi
strabuzzati, Loras Tyrell imprecava fra sè.
Come aveva fatto? Come poteva essere ancora così... vivo?!
Tommen sentì il cuore precipitare fin nei meandri dello
sconforto più irrimediabile. Niente vendetta per sua madre.
Niente vendetta per suo nonno. Niente punizione per il tradimento di
Myrcella. Niente di niente.
-Tu eri morto!- Non realizzò di aver parlato ad alta voce,
finchè non sentì l'eco delle sue stesse parole.
-Tu
eri... morto. Era
accaduto davvero!-
Rickon Stark conficcò i suoi maledetti occhi
azzurri in
quelli verdi e sgomenti di Tommen. -Non mi piace che le cose accadano.
Preferisco farle accadere.-
Bran rimproverò il fratello,
interrompendo il loro scambio. -Ti stavo aspettando. Ce ne hai messo di
tempo.-
-Non è la puntualità, la peculiarità
per cui mi
celebreranno in eterno.- ribattè Rickon, asciutto. Per un
attimo, cercò Myrcella fra i presenti; non vedendola, si
affrettò ad ostentare indifferenza.
-A meno che non incappi in qualche altra fanciulla armata di spada,
s'intende.- bisbigliò Margaery. Tommen però non
era
dell'umore giusto per farsi una risata.
Bran attese che il fratello salisse i gradini e affiancasse Arya, prima
di proseguire. Quando parlò, la sua voce colmò la
sala.
-Voglio un giuramento.-
A quelle parole, Rickon inorridì.
-Bran!- sbottò, indispettito. Il fratello non diede segno
d'averlo udito.
-Un giuramento solenne, che vincoli noi e i nostri successori fino alla
fine dei tempi.- aggiunse, guardando solo Jaime. -Ci stai, Sterminatore
di re?-
-Ho scelta?- domandò l'altro, ghignando.
Bran valutò la sua figura per qualche istante, chinando il
capo.
-A meno che non sia già successo, non è mai
troppo tardi
per morire.-
Jaime sorrise affabilmente. -Poco male. Un patto è esattamente quello
che mi auguravo.-
Rickon guardò prima l'uno, poi l'altro, incredulo.
-Ma si può sapere quale fottuta miseria state fottutamente
progettando?!- sbraitò.
Tyrion intervenne, ruotando gli occhi al soffitto. -Ah, questi giovani,
non si capisce mai quel che dicono. Vediamo se parlare la tua lingua
servirà. Visto che voi volete fottutamente ucciderci ed
appenderci ad una fottuta forca, noi fottutissimi Lannister stiamo
cercando di salvarci il fottuto culo e non fare una fottuta brutta
fine. Afferrato il fottuto concetto?-
-Mi prendi per il culo, nano?- Rickon strinse gli occhi e lo
guardò con sospetto.
-E come potrei?- ghignò Tyrion. -Mi smaschereresti subito,
se lo facessi.-
-Dev'essere un giuramento fra i più sacri ed inviolabili che
esistano.- stava intanto dicendo Bran, rivolto a Jaime. -Dev'essere un
giuramento irreversibile.-
-Un giuramento di sangue.- concluse l'altro.
-Cosa stai facendo, Bran?!- protestò Rickon, a gran voce.
-Perchè?! Non
lo fare. Voglio che loro muoiano, che muoiano tutti. E poi che
risorgano, soltanto per morire di nuovo. E poi che-
-Sì, abbiamo capito. Adesso chiudi la bocca.-
borbottò Tyrion.
Brandon Stark, senza distogliere lo sguardo da quello di Jaime,
estrasse con un rapido gesto una daga dalla cintura, sollevò
la
manica e lasciò scorrere la lama lungo l'avambraccio,
disegnando
un lungo squarcio dal gomito al polso. La sua espressione rimase
imperturbabile.
Jaime Lannister salì i gradini. Appena allungò il
braccio
per ricevere la daga a sua volta, Rickon -al fianco del fratello
maggiore- sfoderò la spada. Tommen trasalì.
Tyrion per un
attimo strizzò le palpebre.
-Rickon.- lo riprese Bran, atono, come se si rivolgesse ad un cucciolo
troppo vivace. Lui scrollò le spalle, con un ghigno leggero.
-La prudenza non è mai troppa.-
Tommen pensò che, casomai, per lui le occasioni buone per
cercare di trafiggere un Lannister non sono mai troppo poche, ma
tacque. La loro vita era salva; avrebbe dovuto rallegrarsene.
Brandon Stark accostò il braccio a quello di Jaime
Lannister,
mentre re Gendry mormorava qualche parola per siglare il giuramento.
-Se mai un membro della nobile casa Stark toglierà mai la
vita
ad un membro della nobile casa Lannister,- proclamava, -allora io
dichiaro che sia condannato a morte. Che lo stesso accada nella
situazione opposta. Brandon Stark, lo giuri, in nome degli
dèi
antichi e nuovi, in nome del re Gendry Baratheon, primo del suo nome?-
Bran socchiuse gli occhi. -Lo giuro.-
-Jaime Lannister, lo giuri?-
-Lo giuro.- replicò lo Sterminatore di Re, sottovoce.
Gendry annuì. -Che dunque il giuramento venga rispettato,
finchè le vostre nobili case avranno vita.-
Rickon Stark chinò il capo. Suo fratello gli aveva appena
legato
le mani, e in quel momento era troppo offuscato da quella ustionante
consapevolezza: non aveva nessuna intenzione di rendersi conto che Bran
l'aveva fatto per lui, per loro. E poi la porta si aprì, per
l'ennesima volta.
-Lasciami andare...
Lasciami, dannazione!-
Myrcella Lannister si divincolava con foga, sgomitando con stizza
contro il petto di Brienne -Rickon avvertì un gemito
imperioso
premergli le labbra, e le lacrime che gli pizzicarono astiose gli occhi
non erano di dolore, eccezionalmente. Si colmò gli occhi
della
sua immagine, ricavandone un sollievo fisico ed escluso da qualsiasi
paragone. Credeva che
non l'avrebbe mai più vista.
I lunghi capelli, ridotti ad un groviglio di nodi neri, erano stati
selvaggiamente strappati a ciocche senza il minimo criterio; Rickon si
chiese indignato chi potesse averlo fatto, prima di indovinare che non
non c'era altro colpevole, fuor che lei stessa. Sul viso sporco di
cenere, il sangue dei capillari rotti nei suoi occhi risaltava come in
un campo di battaglia. Lunghi graffi rossi -graffi che non era stato
Rickon ad incidere- si allungavano sulle sue braccia come crepe.
Brienne di Tarth varcò la soglia, mantenendo saldamente la
presa
sulla principessa, ed incrociò lo sguardo di Jaime. Quando
l'uomo le fece segno di sì, sciolse la presa.
-Lasciami!- ribadì Myrcella, rifilandole una gomitata
furibonda
nello sterno e svincolando dalle sue braccia. Alzò la testa.
Appena vide Rickon, la speranza sbocciò trionfante.
Un
chiarore radioso ravvivò presso gli zigomi.
Null'altro si mosse: soltanto Myrcella, che si slanciava da un estremo
all'altro della sala, inseguita dal rumore affrettato e disperato dei
suoi passi sul marmo. Silenzio.
Si accasciò contro il petto di lui, vi
affondò il
viso, singhiozzando a gran voce. Il sapore salato delle sue lacrime
punzecchiò l'olfatto fino di Rickon. A malapena si accorse
che
era la prima volta. Percepiva solo Myrcella piangere con passione,
fremente, piegata fra le sue braccia -di nuovo al sicuro. Quegli alti
gemiti, che scuotevano il suo fragile corpo, li ascoltarono anche gli
dèi. Bran e Jaime assistettero senza guardarli, impassibili.
Rickon nascose il volto fra i capelli di lei, muto e straziato da una
felicità senza parole.
La guerra era finita.
***
Meera Stark contemplava con una nuova gioia il cortile di Grande
Inverno, quel mattino. La neve aveva già ripreso la sua
danza,
instancabile, ed assolveva con lenta grazia il peccato di tutto il
sangue scuro degli invasori, versato appena otto giorni prima; quel
mattino, quando s'era affacciata alla finestra di camera sua ed aveva
appurato ciò, se n'era vivamente rallegrata. Le porte
sfondate
di Grande Inverno, che all'inizio la spaventavano così
tanto,
adesso le parevano soltanto l'ennesima prova di quanto fosse potente la
loro casa: aveva resistito a questo, ed avrebbe resistito a qualsiasi
altro attacco. Lì tutti erano al sicuro.
Il sole dipanava pallide trame di luce nebbiosa, offuscata di bianco, e
si rifletteva sulle colline purificate ed adamantine, colorando mille
schegge opalescenti. Il vento era dolcemente fresco ma non tagliente, e
Meera lo trovava bizzarramente concorde al proprio umore. Stava a viso
scoperto, lasciando che il Nord soffiasse il suo fiato sulle sue
guance, arruffandole i capelli. Sopra ad un abito di broccato
scomodissimo ma d'estrema eleganza, verde muschio, indossava
spesse pellicce marroni. Era il primo giorno che usciva all'aperto, e
il caso aveva voluto che fosse proprio quello ideale. Osha gironzolava
nelle vicinanze, stringendo le manine del principe Kenned nelle sue e
sostenendolo nel compiere piccoli, incerti passi nella neve. Le sue, di
guance, più tenere e delicate, erano punte furiosamente dal
gelo, eppure il piccolo non si lagnava. Era sangue del Nord quello che
gli scorreva nelle vene, dopotutto. La madre sorrise a quella scena.
Vedere i soffici riccioli inanellati del suo bambino vorticare nella
brezza della sua terra, sentire la voce di Osha che borbottava burbere
esortazioni e le risatine deliziate di lui, le spalancava il cuore a
metà come un frutto maturo. Le ricordava che, fino a poco
prima,
non era più riuscita a sperare in tutto questo; l'aveva
considerato già perduto. E invece era lì, c'era
ancora.
Era vero.
Era suo. Le spettava. Le
spettava, un po' di felicità.
-Una splendida giornata per la partenza.- esclamò una voce
alle sue spalle. Meera si voltò con un sorriso.
-Mi avete letto nel pensiero, lord Snow... Vi stavo
aspettando.-
-Presto saranno tutti pronti a partire.- annunciò il
ragazzo; poi assunse un'espressione solerte. -Voi e il bambino come state?-
-Molto meglio. E tutto grazie al tuo amico Maestro.- rispose lei, con
gratitudine,
sfiorandosi appena il ventre protetto dal mantello. L'avevano rischiata
grossa, lei e suo figlio, però sorprendentemente tutto era
andato per il meglio. Passato il panico e l'offuscamento dovuto
all'attacco dell'esercito di Bolton, una volta coricata sulla paglia
nelle stalle, Meera era
stata assalita da un nuovo timore, che soltanto in quel momento
riusciva a valutare in tutto il suo peso e gravità: di avere
ucciso il bambino con la propria
temerarietà. Quella povera creatura innocente, sacrificata a
causa del suo stupido orgoglio... Non avrebbe saputo perdonarselo.
Molti decotti e un'infinità di ore di sonno dopo, quando le
sue
membra contratte avevano smesso d'essere torturate da stillate
prepotenti, si era sentita sollevata fino alle lacrime.
Jon attirò la sua attenzione, facendole notare che gli altri
ospiti in partenza stavano varcando l'arco d'ingresso: Theon e Yara.
-Ecco la sopravvissuta.- ghignò Meera. Yara fece una
smorfia, aggiungendoci un'occhiata salace nella sua direzione. In
effetti, Ramsay Bolton non era stato esattamente delicato con lei:
impossibile indovinare cosa le facesse più male, se le
costole incrinate, le mani fasciate in bendaggi dal polso alla punta
delle dita o la gamba che la costringeva a zoppicare. Era ridotta
peggio di qualsiasi persona che Meera avesse mai visto, però
un sorriso trionfante le incurvava le labbra.
-Hai poco da prendere per il culo, reginetta delle paludi. Se non fosse
arrivato mister corvo, a quest'ora Ramsay Bolton ti starebbe scuoiando
le cosce, come fai tu con le ranocchie.-
-Delle rane non si butta via niente.- ribattè Meera,
divertita. Al fianco della sorella, Theon taceva. La sua espressione
era atrocemente seria ed il suo pallore quasi grigiastro, ma non aveva
più l'aspetto miserabile di pochi giorni prima. Dire
definitivamente addio al fantasma del suo passato pareva avergli messo
l'anima in pace. Non c'era più tormento nei suoi occhi, solo
una vaga tristezza.
-Non vedo l'ora di tornare a casa.- dichiarò Yara, lanciando
un'occhiata quasi stizzita al profilo di Grande Inverno, che pareva
acciaio opaco contro il cielo evanescente. -Partirei anche a costo di
nuotare fino a Pyke.-
-Sei certa che portare Bolton con voi sia una buona idea?-
obiettò Meera, che, a dire la verità, si sentiva
molto inquieta da questo punto di vista. Temeva che il bastardo ne
avrebbe approfittato per scappare, in qualche modo. -Cosa
succederà, se riuscirà a liberarsi?-
Yara tagliò corto, sbrigativa. -Non ci riuscirà,
fidati. E non voglio aspettare che tuo marito faccia il suo bel
lavoretto veloce con la spada, no. Ramsay Bolton dev'essere sottoposto
alla giustizia del Dio Abissale.- E poi esibì quel
suo sorriso obliquo, che sarebbe riuscito a mettere a disagio chiunque.
Meera si strinse nelle spalle. -Come preferite. In questo modo,
assumendovi la responsabilità della sua morte, vi assumete
anche quella della sua custodia. A parte questo...- Le sorrise, e
cercò di conferire solennità alle proprie parole.
-Hai salvato la vita di mio figlio, Yara Greyjoy. Non lo
dimenticherò.-
-Spero che, in futuro, i monarchi del Nord saranno informati del fatto
che mi devono un favore.- si limitò a dire la ragazza.
-Senz'altro.-
Dopo qualche istante di esitazione, Yara le tese la mano,
così come aveva fatto per suggellare la loro alleanza. Meera
la strinse con vigore.
Intanto, tutti i Guardiani dell Notte erano pronti per la partenza.
Maestro Sam, al momento di salutarla, snocciolò le ultime
indicazioni alla regina.
-Mi raccomando, Maestà. Niente sforzi, niente duelli, niente
armi... e
tanto riposo. Sì, tanto riposo.- ripetè
puntigliosamente.
Meera chinò il capo in un gesto di assenso, sentendosi una
bambina rimproverata per una marachella. -Prometto.-
-In ogni caso, ci sarò io a tenerla d'occhio.-
bofonchiò Osha, vicino a lei, che aveva preso in braccio
Kenned, così che Jon potesse salutarlo. Intanto, Meera gli
rivolgeva un'ultima osservazione.
-Mi spiace che voi non possiate trattenervi di più, fino a
che
mio marito non tornerà al Nord. Ci terrebbe con tutto il
cuore,
a ringraziarvi di persona.-
-Ci vorrebbero giorni, e non mi è possibile lasciare
ulteriormente la Barriera incustodita.- spiegò Jon. -I
ringraziamenti personali del
re non sono assolutamente necessari. Proteggere la sua persona, e la
vostra, è un dovere per me e i confratelli. Sappiate che,
qualsiasi cosa accada, troverete sempre in noi dei fidatissimi alleati.-
-Oh, lo so perfettamente, lord Snow.- mormorò Meera. Non
osava nemmeno immaginare cosa ne sarebbe stato di lei, se Bolton avesse
preso il castello. A quel punto, la ragazza dai capelli rossi che aveva
combattuto al fianco dei Guardiani della Notte affiancò Jon.
-Smettila di flirtare con le donne impegnate, Jon Snow, altrimenti vado
a dire in giro che mi porti a letto, capito?-
Lui sospirò, esasperato: però sorrideva.
-Sì, Ygritte, certo.-
-Certo, certo...- Ygritte puntò lo sguardo sospettoso su
Meera; uno sguardo tutt'altro che deferente, eppure questo rese la
regina del Nord ancora più di buonumore. -Non sai niente,
Jon Snow.-
Yara scoppiò in una risata fragorosa e lanciò
un'occhiata maliziosa a Meera, che arrossì.
-Sai che ti dico? A volte è meglio non sapere.-
***
Myrcella Lannister si disse che a volte la vita era proprio strana.
Attorno a lei, i preparativi della partenza da Approdo del Re erano in
fermento: gli uomini del Nord erano intenti a caricare sui carri le
provviste, le tende, le armi, e la voce autorevole di Bran
sovrintendeva all'operazione. I Lannister ancora non s'erano visti,
perciò c'era da supporre che non si sarebbero presentati, ma
che invece fossero a loro volta impegnati in un'altra partenza: quella
alla volta di Castel Granito, di cui Tommen sarebbe diventato il
signore.
Myrcella non era riuscita a rimanere là, in mezzo alla
confusione ed al disordine: aveva bisogno di pensare. Non si trattava
di un nodo problematico da sbrogliare, o di un germe d'idea, d'un
focolaio da sviluppare per bene, ma solo di una serie di parole, suoni,
colori, immagini e ricordi che si sovrapponevano fino a figurare una
storia che Myrcella non era più così sicura
essere fedele alla realtà dei fatti. La vita era proprio
strana. Fino al giorno prima, scottava di febbre in un sudario di
lenzuola intrise di sudore acre, biascicando la lingua dei moribondi,
mentre già sulle palpebre si marchiavano a fuoco le visioni
del mondo dei morti -e lei tossiva l'ultimo respiro che le era rimasto,
cercava di scavarsi il petto per estrarne il cuore, gemeva il proprio
delirio, arresa di fronte all'evidenza che non esistevano note per
riprodurlo, e il suo corpo s'essiccava d'ogni liquido come un fiore
dimenticato fra le pagine d'un libro. Di lei non era rimasto che uno
spettro rosso di sete ed inedia, che s'agitava sotto gli artigli della
Morte. Tremava, percependo il suo alito freddo sul collo, eppure si
sentiva così stanca di urlare, così stanca di
sudare, così stanca di avere caldo e soffrire. Di vivere
quegli istanti così... grotteschi, innaturali, abnormi e
mostruosi. Sbagliati.
Vivere così, che le pareva assurdo quanto vivere senza
testa. Qualcosa di incomprensibile, disgustoso ed irrazionale.
Respirare nella piena, sferzante, netta coscienza che Rickon non lo
stava più facendo. Sbagliato.
Doveva essere morta anche lei. Voleva essere morta. Voleva morire
dimenticando che lui era morto. Voleva morire, per annullare la propria
perdita nell'annullamento di se stessa. Far calare il silenzio.
Spegnere quell'orrore di pensieri. Strappare le pagine di quella storia
così ignobile. Le ballate tristi l'avevano sempre commossa,
quando aveva sedici anni -ed adesso si accorgeva che potevano aveva
qualche fascino solo per chi non ne fosse protagonista.
E poi quella voce. Myrcella,
svegliati, Myrcella, lui è vivo. Vivo. Lui
è vivo. Lui è vivo? Ad un certo punto, non sapeva
esattamente quando, aveva smesso di precipitare. Perchè quel
filo di voce era più saldo di una catena di ferro,
perchè lui
è vivo. L'equilibrio si era ristabilito, e lei
aveva ritrovato il senso, il proprio senso. Era proprio strana, la vita.
Udì i suoi passi, l'udito raffinato da quell'esperienza
passata -eredità dei suoi mesi nelle segrete, aveva imparato
quel ritmo a memoria.
-Ho perso.- osservò fra sè, mentre il vento
faceva oscillare i suoi capelli, di nuovo biondi e splendenti, dietro
le orecchie. -Mi hai vista piangere.-
Rickon ridacchiò, un suono che scaldò il cuore di
Myrcella come facevano un tempo le carezze di Cersei, i sorrisi di
Arianne, e ancora di più.
-Abbiamo vinto,- la corresse, -entrambi.-
La fanciulla si permise di sorridere, si voltò. Si
alzò sulle punte a baciargli le labbra.
-Siamo insieme.- bisbigliò contro la sua bocca.
-Siamo vivi.- precisò Rickon, alzando un
sopracciglio.
-E questo significa vincere?-
-Sempre.- Il ragazzo fece una smorfia, come se si fosse punto con una
spina. -O quasi.-
Myrcella sapeva a cosa si stesse riferendo. Dopotutto, la vendetta
contro i Lannister era stato l'unico pensiero capace di tenerlo in vita
per anni, nelle più improbabili situazioni... l'unico
pensiero che gli aveva impedito di impazzire, che gli aveva permesso di
sopportare il dolore. E lo avevano appena privato di questo. Myrcella
sapeva com'era fatto Rickon, e temeva gesti avventati da parte sua,
sollecitati proprio dal divieto -che per lui non era altro che una
provocazione. Così, con voce morbida, parlò.
-Tu un giorno pretendesti da me una prova d'amore. Mi chiedesti di
rinnegare apertamente la mia famiglia. Di scegliere te a loro.-
Myrcella carezzò la guancia di Rickon con l'indice. -Lo
feci. Non mi costò dolore: mi sembrava la cosa
più giusta. Tu eri, tu sei
più importante di tutto il resto.- A questo punto lo
fissò negli occhi, con intensità. Rickon la stava
ascoltando attentamente, ma era evidente che ciò che sentiva
non gli piaceva troppo.
-Adesso sono io che ti chiedo una prova d'amore.- proseguì
Myrcella, con risoluzione. -Risparmia la mia famiglia. Non spero in una
riconciliazione, non spero che il tuo odio per loro si plachi. Nemmeno
io so più cosa provo per i Lannister, se devo essere
sincera. Quello che volevo dire, è... tu continua pure a
maledirli, ma lasciali in vita. Non li rivedremo mai più,
non sentiremo mai più parlare di loro. Partiremo. Andremo
lontano, ovunque tu voglia.- si affrettò a precisare, gli
occhi che brillavano. -Ti stringerò la mano e mi
affiderò a te. Portami in qualsiasi posto, purchè
possiamo essere io e te e
basta, in un luogo dove nessuno voglia dividerci, dove
nessuno voglia giudicarci o ostacolarci.- Riprese il respiro, fremente
d'emozione. -So che ti sto chiedendo molto, ma ti assicuro che lo
faccio perchè ti amo. Non voglio più guerra nella
tua, nella nostra
vita. Non voglio più rischiare di perderti. Ti prometto che
sarai felice, Rickon.- I suoi occhi erano di nuovo umidi. -Ma tu...
dimostrami che mi ami. Dimostrami che vuoi mettere noi davanti a
qualsiasi altra cosa. Dimostrami che rinunceresti a tutto per me.
Dimostrami che mi ami più di quanto ami la tua guerra.-
E lì, Myrcella ebbe paura di avere esagerato, di sentirsi
opporre un rifiuto, di avere chiesto qualcosa di inconcepibile. Ebbe
paura anche che si arrabbiasse. Rickon infatti era piombato in un
silenzio terrificante, indissolubile, insondabile. Chissà
perchè, pensò a Osha: forse perchè era
a lei che di solito si rivolgeva, quando si trovava di fronte ad un
dilemma, quando trovava un bivio sul suo cammino. Era sempre stata lei
a mettere ordine nella sua vita disastrata. Imamginò di
esporre ad Osha la situazione, e la scelta. Era una donna molto
pragmatica, che non si perdeva troppo in ciance e seghe mentali, che
andava subito al punto. Immaginò cosa gli avrebbe detto, se
fosse stata lì.
Poche storie, ragazzo.
Che cosa volevi, quando sei tornato a Grande Inverno?
Vendetta, si rispose Rickon.
E cosa vuoi,
adesso?
Di nuovo, egli non ebbe dubbi. Myrcella, pensò,
voglio Myrcella.
Osha l'avrebbe mandato a quel paese. E allora, che domande fai...
Rickon richiamò alla memoria le notti insonni
che avevano trascorso nell'accampamento, prima dell'inizio dell'assedio
di Approdo del Re, con Myrcella che gli prendeva il capo nel grembo e
gli carezzava i capelli. Se ogni sera fosse stata così, lui
sarebbe stato felice. Felice.
Gli sarebbe bastato questo. Gli sarebbe bastato fino alla
fine dei suoi giorni.
-Ti ho vista piangere, Myrcella Lannister,- disse a quel punto, -e ti
giuro che sarà la prima e l'ultima volta. Non
permetterò che il mondo ti faccia mai più
piangere. Non permetterò che io ti faccia mai
più piangere.-
Arrotolò su un indice la curva elastica d'uno dei suoi
riccioli. Myrcella aveva socchiuso le labbra di pesca, schiuse di
fanciullesco stupore.
-Significa che...-
-Andremo lontano. Lontano. Via di qui. Dove nessuno potrà
più mettersi in mezzo. Dove nessuno potrà farti
del male.- La baciò con furia, con impeto. Quando si
staccò dalla sua bocca, era senza fiato. -Myrcella, noi
torneremo a casa.- sbottò.
-Casa? A Grande Inverno?-
E Rickon sorrise. -No, non a Grande Inverno. Nella mia vera casa.-
Myrcella si sentì attraversare da un brivido.
***
Nonostante tutto, proprio quando il convoglio stava per avviarsi, la
folla si spaccò in due, permettendo a qualcuno di passare e
giungere fino alla testa dell'esercito: i Lannister erano venuti a dire
addio a Myrcella. Jaime era stato il primo. Aveva baciato le guance di
sua figlia.
-Posso capirlo.- le aveva bisbigliato. -Posso accettarlo.-
-Non ho bisogno del tuo consenso.- fu la gelida risposta; ma Myrcella,
dopo qualche istante d'indecisione, gli baciò una guancia
con riluttanza.
Margaery fece per farsi avanti, ma lo sguardo omicida che la ragazza le
riservò la indusse a tenersi da parte. Fu il turno di
Tyrion. Lui rivolse qualche parola gentile alla nipote, che nessuno
udì, poi inaspettatamente si rivolse a Rickon.
-Una domanda che mi perseguita di notte. Perchè diamine hai
chiamato il tuo lupo Cagnaccio?-
La bestia rivolse al suo volto quei grossi, famelici occhi giallo
zolfo, denudando le zanne, quasi stesse ringhiando che cosa avesse contro il suo
nome.
Rickon sorrise. -Avevo sei anni. Ero incazzato con il mondo.-
-Da quella volta non hai fatto molti progressi, a quanto vedo...
comunque. Sposerai questa figliola?- domandò.
-No.- rispose lui, tagliente. -Odio i matrimoni.-
Il Folletto aveva sorriso, ironico. -Vedi, che almeno una cosa in
comune l'abbiamo? Addio, Rickon Stark. Il nostro incontro è
stato... breve ma intenso, come si suol dire.-
Lui replicò imprecando.
Per il ultimo, avanzò Tommen, che parlò a Rickon
con freddezza e cortesia.
-In occasione di un addio, propongo di sospendere le nostre reciproche
avversioni. Myrcella è una traditrice, ma è mia
sorella. Non riesco ad augurarmi il male per te, adesso che so che
sarete una famiglia.-
Rickon, dopo avergli rivolto uno sguardo truce, sputò per
terra. -Fottesega.-
Tommen ignorò la sua totale mancanza di civiltà e
si girò verso Myrcella.
-Io e te condividiamo lo stesso sangue, che ti piaccia o no. Spero che
un giorno tu potrai conoscere i miei figli, e io i tuoi. Nostra madre
avrebbe voluto così.-
Silenzio. Myrcella fissò suo fratello negli occhi.
Trascorsero infiniti secondi.
Infine, lasciando tutti i presenti sgomentati, sputò per
terra.
-Fottesega.- sentenziò. Rickon espresse la sua approvazione
ridendo.
-Ben detto.-
Alla risata s'unì Tyrion, poi Jaime, infine anche Tommen ne
fu trascinato.
-Chi l'avrebbe mai detto...? Una principessa reale come lei... Si
comporta come una traditrice, parla come una bruta... Ohh, se ci fosse nostra madre a
vederla.-
L'ultima cosa che Myrcella scambiò con suo
fratello, infine, quasi con timidezza, fu un sorriso -che non era
esattamente un accordo, un perdono. Era... un armistizio.
***
-Sono una Stark.- sussurrò Arya. -Il Nord ha
bisogno di me, ma mai quanto io ho bisogno del Nord.-
Gendry annuì rigidamente con il capo.
-Tornerai?-
Arya aggrottò la fronte. -Naturalmente.-
Il ragazzo chinò lo sguardo. Quando lo sollevò,
sorrideva piano.
-Ti aspetterò, milady.-
-Cretino.-
-Hai ragione, solo un cretino come me può trascinarsi dietro
una cretina come te.-
-Ti amo.-
-E io di più, Arya. Disgraziatamente, io di più.-
**
-Alayne!- Robin balzò in piedi, quando la vide. I suoi occhi
baluginarono d'una luce quasi esaltata. -Alayne! Lord Baelish,
è tornata Alayne!-
Sansa abbracciò il suo giovane sposo con trasporto -casa sua.
Mentre ancora stringeva Robin a sè,
aprì gli occhi. Petyr era in piedi poco distante, e le stava
sorridendo. Avevano vinto, in fondo. Casa sua.
-Bentornata, Alayne.-
***
Ogni lega verso Grande Inverno, per Bran, fu una sofferenza interna
paragonabile ad un'emorragia. Ogni lega verso Grande Inverno era una
lega verso una fortezza senza Jojen -una vita senza Jojen.
Quando ci pensava, uno spasmo di panico gli contraeva la bocca dello
stomaco, ed era tentato di fermare il dannato cavallo e gridare con tutte
le forze che gli erano rimaste.
Quando vide Meera, però, qualcosa cambiò.
All'improvviso, una strana gioia lo pervase. Credeva che sarebbe stata
arrabbiata, che lo avrebbe tempestato di rimproveri, che lo avrebbe
accusato della morte di suo fratello. Gli venne incontro correndo; lo
abbracciò, forte come mai aveva fatto.
Bran sentì il suo respiro sulla nuca, il suo profumo nelle
narici.
-Mi sei mancata.- E si era accorto di quant'era vero solo ritrovandola.
-Anche tu, Bran. Anche tu.-
La comprensione li rese, dopo anni di silenzio, di nuovo complici.
Quando si sciolse dal suo abbraccio, Bran scosse il capo.
-Cosa diavolo è successo qui, mentre non c'ero?-
Osha incrociò le braccia. -Mentre tua moglie sperimentava
qualche modo fantasioso per abortire, dici?-
Teneva Kenned per mano: suo figlio camminava già. Gli
rivolse un timido sguardo da sotto le lunghe ciglia setose. Bran,
guardando quella minuscola creatura, vide il suo futuro. Da re e da
marito, ma anche da padre -non ci aveva mai pensato troppo, impedito da
quella sensazione d'estraneità che provava sempre in sua
presenza. Kenned era solo un bambino, e i bambini non hanno mai colpa
di niente. Suo figlio.
Si era mai davvero reso conto di cosa significasse? Poi
guardò Meera.
Bran capì che la vita non sarebbe stata quella che l'avrebbe
reso felice, nemmeno
per sogno -ma sarebbe stata. Sarebbe dovuta essere. Tu sei vivo... e
puoi ancora fare pace con il tuo presente. Puoi ancora perdonargli di
non essere il futuro che volevi. E se sarebbe stata,
quella vita sarebbe stata solo grazie
a loro.
Se il fato ti vuole
vivo...
allora tu devi vivere, Brandon. E Bran accettò
che avrebbe vissuto.
Poche ore dopo, un giovane dai capelli rossi e una fanciulla dai
capelli biondi partirono. Avevano una barca da prendere.
La destinazione era Skagos.
Note dell'Autrice: Pufff, che fatica! Mamma mia, ma davvero ho letto e
revisionato questo mostruoso capitolo??? Abbiate pietà,
lettori.
Che ne dite? Sono veramente esausta. Spero che come finale vi abbia
soddisfatto. Mi sembra che tutti se la siano passati decisamente bene.
Per precisare: nella visione del torrente, per chi se lo chiedesse, la
presenza di Talisa è inspiegabile (se non ci fosse stata la
guerra, come avrebbe fatto Robb a conoscerla??) però
pazienza. La ragazza con le trecce verdi è Wylla Manderly.
Il secondo personaggio con cui shippo Rickon dopo Myrcella. <3
Che dire? Attendo impaziente i vostri parere. Il prossimo capitolo
sarà l'epilogo finale! Grazie per avere letto tutto questo.
Lucy
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