Non è poi difficile obbedire alle regole stabilite, pensò
Antoinette. La vera difficoltà sta nel darsi delle regole, e seguirle, quando
vivi in un posto che non ne ha.
Pensò ai suoi fratelli, tutti monarchi e regine, tutti
bravissimi a rispettare regole, o a fondarne di nuove più umane, più pietose,
più giuste.
Non si può vivere senza regole come ho fatto io,
concluse.
"Ne avete di regole qui in Francia..." le tornò in mente il
commento acido di suo fratello l'Imperatore, in visita tanti anni prima a
Parigi. "Avete delle regole addirittura sull'ordine delle persone che possono
visitare la Regina quando si sveglia, ma nessuna che ponga un freno ai vostri
sperperi. Non si può vivere senza regole morali."
Antoinette cercò di giustificarsi pensando che la Francia non
era l'Austria. In Austria le regole c'erano, tutti obbedivano loro, anche lei
stessa durante la sua gioventù a Vienna non aveva mai disobbedito a quella
madre, Maria Teresa, che aveva sentenziato che le sue figlie erano "nate per
obbedire". Ma per obbedire a cosa? Si chiese lei. Se si riferiva alle stupide
regole di bon-ton che scandivano la vita di corte, Antoinette era la più
obbediente delle sue figlie. Mai che avesse fatto una gaffe, mai che avesse
trattato scortesemente un cortigiano. Eppure, ogni volta che incontrava uno dei
suoi fratelli, o leggeva una sua lettera, Antoinette sentiva che loro vivevano
in un modo del tutto diverso, con un codice morale del tutto interiorizzato
fatto di moderazione, parsimonia, ragionevolezza. Un codice che lei ammirava e
si sforzava di seguire per uno o due giorni dopo quei contatti, per poi tornare
a perdersi nella sfarzosa vita di corte non appena l'influsso di quei fraterni
precettori spariva dalla sua coscienza.
"Maestà, il Delfino Joseph ha avuto un attacco..."
La voce di Oscar alle sue spalle la fece trasalire. Non era la
solita voce forte e sicura che l'aveva sostenuta in mille situazioni. Il
colonnello aveva il tono mesto di chi ha perso ogni speranza ed i suoi lucidi
occhi celesti svelavano un'intima commozione.
"Portatemi da lui" chiese Antoinette, alzandosi dalla morbida
poltrona di velluto su cui erano stati ricamati dei gigli di Francia.
Antoinette percorse il lungo corridoio che separava la propria
stanza da quella dove il figlio prediletto viveva i suoi ultimi giorni al
braccio di Oscar, quel fidato, perenne sostegno. Gli sguardi di tutta Versailles
erano puntati su di lei, oggetto di odio per nobili, clero e
plebe.
"Quella gallina austriaca..."
"Non è francese, e si vede. Guardate come ha chiamato il
figlio, Joseph come il fratello imperatore, se fosse per lei il nostro paese
sarebbe subordinato all'Austria..."
"Un giorno ci tradirà, chiamerà il fratello perché c'invada
quando avrà prosciugato tutti i soldi dello Stato per dare feste con i suoi
turpi amici..."
Quelle voci che non si curavano neanche più di limitarsi ad
essere sussurri la offendevano, la ferivano, ma in quel momento tutto era
secondario rispetto al suo Joseph, il figlio su cui aveva concentrato le sue
speranze ed il suo affetto.
Entrò nella sua stanza. Il bambino si era addormentato, ed il
suo petto si alzava e si abbassava violentemente nel tentativo sempre più
disperato di respirare.
"Ha superato questo attacco" le disse il medico, seduto al
capezzale del piccolo moribondo. "Ma come sapete non sopravviverà ancora a
lungo."
Antoinette accarezzò lievemente i capelli biondi e madidi di
sudore del figlioletto, piangendo in silenzio. Aveva sempre considerato quel
bambino solo suo, come se il Re non avesse alcun legame di sangue con lui.
Joseph era biondo, pallido, aveva gli occhi azzurri degli Asburgo, somigliava a
lei soltanto e alla sua famiglia. Era un bambino dolce e buono, sarebbe stato un
re capace e pieno di moralità come i suoi fratelli.
"L'avete chiamato così in onore a vostro fratello, vero Maestà?"
le chiese Oscar, guardando il tondo contenente il ritratto dell'Imperatore
Joseph appeso proprio sopra al letto a baldacchino su cui giaceva il bimbo
regale.
"Sì..." sussurrò lei con le lacrime agli occhi.
Oscar spostò rapidamente più volte lo sguardo da quel ritratto
al bambino, con il cuore gonfio di dolore per Joseph, che aveva tante volte
visto giocare, cavalcare e ridere nei giardini reali ed adesso erano mesi che
non faceva che tossire.
"Somiglia molto a Sua Altezza Imperiale." concluse il
colonnello, guardando la regina con tenerezza quasi materna.
Antoinette cominciò a tremare.
"Io me ne rallegravo quando è nato, Oscar... sarà il Re che
salverà la Francia, mi dicevo... ed a ogni anno che passava trovavo nuove
somiglianze con mio fratello: gli zigomi alti, la passione per la caccia...
finché un anno la nuova somiglianza non è stata la tisi congenita. Ma mio
fratello ha quarantotto anni, mentre questo bambino innocente non ne ha che
otto..."
Forse Dio voleva punirla. L'Essere che era l'Ordine, l'Armonia,
la Perfezione non poteva tollerare la sua condotta empia. Ma non riusciva a
credere che Dio fosse così malvagio da volerla punire attraverso il suo Joseph,
quella creaturina che aveva amato con un amore tutto particolare dal primo
momento in cui l'aveva vista. I suoi primi passi, la sua prima parola:
"maman" erano stati momenti di gioia divina, di speranza, e aveva creduto
allora nel perdono di Dio.
"Maestà, una lettera dall'Austria." la avvertì una voce alle sue
spalle. Era uno di quei tanti, indistinguibili lacchè con la divisa gigliata che
affollavano Versailles, ma l'interesse di Antoinette ne fu catturato perché
costui porgeva una lettera con il sigillo degli Asburgo, che nei giorni felici a
Vienna era stato anche il suo.
" Antoinette, mia sorella diletta, tu sei l'unica donna che mi
abbia mai capito interamente, ma non mi hai ascoltato mai. Non si può andare
avanti così: se non la previeni, l'insurrezione del tuo popolo sarà terribile,
ed io non ti potrò più aiutare. Il medico dice che mi rimangono sei mesi, ma il
mio corpo stanco sussurra maligno: non più di tre! Io voglio dire addio alla
sorella che, appena pochi giorni dopo la sua nascita, ho tenuto in braccio
davanti al fonte battesimale, quando ho capito che tra noi ci sarebbe stato un
legame speciale. Obbediscimi in quello che ti chiedo ora, fai richiamare Necker,
docile come la bambina che sedeva a teatro nel mio palco, seria e compunta per
la sua dignità di Delfina. Esaudisci l'ultimo desiderio di tuo fratello che
muore, e che purtroppo non ti rivedrà mai più.
Tuo per sempre,
Josef"
Antoinette si mise a tremare ancora più intensamente, con uno
sguardo che sembrava quello di un condannato a morte.
"Maestà, maestà!" invocò Oscar, senza ricevere
risposta.
Antoinette gemeva di dolore guardando quel letto con i cuscini
macchiati di sangue color cremisi, stringendo con forza tra le mani quella
lettera macchiata di sangue più scuro, perché ormai seccatosi. Poi cadde, mentre
Oscar prontamente la afferrava prima che si schiantasse al suolo e chiamava a
gran voce il dottore reale.
Il piccolo Joseph, svegliatosi per i suoi gemiti e le grida di
Oscar, la guardava con l'aria spaurita di chi sta per essere ghermito dalla
morte; Oscar la guardava spaventata come mai prima d'ora; la folla di parassiti
fuori dalla stanza la guardava con disprezzo; l'Imperatore Joseph, il suo caro
fratello, dal quadro guardava invece verso Est, indicandole l'Austria felice
della sua infanzia, a cui Antoinette per un attimo pensò che sarebbe tornata,
come ricompensa di Dio per il suo così straziante dolore.
È la fine, pensò. E invece era solo
l'inizio.
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