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Risvegliarsi
con il rumore delle onde nelle orecchie.
Oh, no.
Di nuovo.
Da quale dei suoi incubi si sarebbe risvegliato,
ora? Era tornato laggiù? Generale degli abissi, accolto dal mare che aveva tentato
di ucciderlo, quel mare stesso lo mondava con la sua rudezza di padre severo
e lo accoglieva come un figlio inasprito – era il mare di Poseidone? Si sarebbe
risvegliato dal grande incubo di una Guerra Santa solo sognata e si sarebbe
ritrovato laggiù? Erano queste le onde?
O si sarebbe risvegliato ancora più indietro, tra i flutti di un mare non ancora
padre, dall’ennesimo incubo in cui il fratello lo abbandonava voltandogli la
schiena? In quale dei due casi avrebbe perso di più?
Perdere l’oro che sapeva di sangue fraterno e di negata appartenenza finalmente
concessa, e di onore, e riscoprirsi il generale votato al dio avverso, traditore
tradito?
Perdere la stessa veste di Marine, e ritornare agli stracci e ad una grotta
scavata dai sali, senza dio alcuno, nemmeno il padre Poseidone che aveva avuto
egoistica pietà di lui?
O perdere quegli stracci stessi?
Tornare un uomo e scenderne al di sotto.
Affrontare la morte…
Con quel rumore di onde nelle orecchie.
Che onde erano? Che mare? Da quale incubo si stava svegliando?
Il sole bianco, accecante, e le strida dei gabbiani. Kanon viveva.
Rimase ancora abbagliato dal sole, ferito, abbattuto come straccio bagnato sugli
scogli pietrosi. L’odore acre e familiare del mare lo soffocava, il sole batteva
sul suo corpo dal sapore di salsedine, sulle alghe vaganti che erano state strappate
al mare da correnti e fato e tempo, si raggrumavano ed imputridivano lì, assieme
ai crostacei e i piccoli insetti che vivevano soltanto sotto la sabbia e negli
anfratti delle rocce porose. Il sole era accecante. Bianco da ferire.
Kanon era già ferito, e voleva solo riposare.
Da seduto, fu come vedere un mondo diverso. Distesa di blu a braccia aperte,
il mare lo chiamava, eppure non si muoveva. Kanon rimase immobile per molto
tempo, instupidito, la testa inclinata su un lato. Le braccia si muovevano,
ma era come se non facessero più parte di lui. Aveva ancora un dito rotto. Vi
pensò distrattamente, lo sguardo vacuo sul mare e le labbra dischiuse, quel
figlio di puttana di Minos.
Rimase così qualche altro minuto, prima che il suo sguardo riuscisse ad essere
catturato dalla figura galleggiante sul mare. Scattò in piedi. Il suo corpo
lo punì con ogni dolore possibile, tutte le ossa bruciarono eseguendo i suoi
movimenti – ed era come correre con gambe di cristallo – eppure Kanon correva.
Il mare gli diede vita.
Di nuovo.
L’acqua fredda gli diede un senso e lo riscosse, i suoi arti gli rispondevano,
i brividi gli diedero velocità. Il mare gli restituiva la vita. Fu ghiaccio
ed ossigeno, vampata d’aria, e così le sue mani poterono afferrare e trascinare,
e parve come risvegliarsi da un sogno – di nuovo – il rumore delle onde nelle
orecchie – di nuovo – solo nel distendere Rhadamantis della Viverna, Giudice
Infernale, grande generale di Hades, nemico di Athena, rovesciato a testa indietro
sulla sabbia ruvida che scarsamente ricopriva a manciate l’insenatura rocciosa
del mare. Tossì, con voce cavernosa. Rhadamantis viveva.
Kanon rimase in ginocchio, gocciolando, mentre la testa gli girava che sembrava
stesse per cadere, fischi d’aria alle tempie. Per minuti, ancora, ripiombò in
quella specie di trance, chiuse gli occhi, il sole era bianco e accecante anche
da dietro le palpebre, e Kanon era ferito e voleva solo riposare. L’unica cosa
tangibile, lacrime del padre mare a scivolare dai capelli alle tempie alla fronte
al naso agli zigomi alla bocca, e il salato sulla lingua. Ansimava. Il mare
li aveva salvati entrambi.
“Kanon!”
Fu la voce a svegliarlo.
Kanon mise a fuoco l’uomo che aveva davanti.
Anche privo dell’armatura, Rhadamantis il gigante infernale era temibile come
una fiera dalle maestose sembianze. Il suo ampio torace si alzava ed abbassava
in faticosi respiri come la schiena di un drago che ansima terribile, imperscrutabile,
occhi di lama. Può non attaccare, ma tu sei paralizzato dal terrore.
“Rhada… mantis…” sillabò. La sua gola era secca. Le parole raschiavano. Sentì
sapore di sangue, dolorosamente mischiato alla salsedine. Per l’altro doveva
essere lo stesso. In bocca a lui quell’ansito era stato un ruggito, ma la sofferenza
in quel momento – il saint lo sapeva bene – apparteneva ad entrambi. Entrambi
sarebbero dovuti morire nell’esplosione causata dallo stesso Kanon, erano finiti
lontani, molto lontani, fino ad esplodere oltre il mondo dei morti, sulla terraferma,
ma il mare li aveva graziati. Entrambi.
“Kanon… perché…” raschiò l’uomo che si sforzava di puntellarsi sulle braccia
possenti, trapassandolo con occhi iniettati di sangue. Ma Kanon non aveva paura.
Né di lui né di niente. Il sole era accecante, e bianco, e nelle orecchie c’era
il rumore del mare. Rhadamantis aveva rischiato di morire.
“Perché sì” sbottò, senza nemmeno sforzarsi di cercare una frase ad effetto
tra le tante che avrebbe potuto dire. Anche un non lo so sarebbe stato
di grande effetto scenico, ma non è che esattamente non lo sapesse. Come se
non lo sapesse. Un motivo c’è sempre, a quello che si fa, al mondo. Kanon stava
seduto cercando di non morire e Rhadamantis, il suo avversario, il suo nemico,
l’uomo che aveva sbarrato la strada all’esercito di Athena e aveva ucciso i
suoi compagni, l’uomo che aveva allacciato lo sguardo al suo non curandosi né
degnandosi più di nessun altro
Sospettavo che fossi tu...
L’uomo che è riuscito ad ingannare anche gli dèi…
e che l’aveva chiamato per primo
…Kanon dei Gemelli!
come nessun altro prima aveva fatto, in quella
corsa affrettata contro il tempo, investito cerimoniosamente a sangue e lacrime
un’ora prima che la sua dea morisse – Rhadamantis lo specter, generale di Hades
giaceva a peso morto a faccia in giù sull’acqua, e lui era corso per tirargli
i capelli – e ora ricordava, le seriche chiome bionde sotto le sue dita ferite
– riversargli il capo all’indietro e farlo respirare. E l’aveva portato a riva
prima che, privo di sensi, non ricevesse la morte, per scoprire che il padre
mare davvero aveva voluto salvarlo. Come Kanon. Entrambi vivi. Entrambi salvi.
Respirava a fatica, Rhadamantis, e non gli staccava gli occhi di dosso. La sua
risposta l’aveva preso in contropiede, e nei suoi occhi era passato di sfuggita
un lampo di smarrimento. Kanon lo riconobbe. Era lo stesso che aveva trasformato
il suo volto quando aveva visto Gemini chinarsi su di lui, in un gesto naturale,
dopo avergli inferto un colpo tremendo – e anche allora non seppe perché lo
stesse facendo, solo gli venne naturale chinarsi su Rhadamantis così scioccamente,
come a sincerarsi se stesse bene, come nel più assurdo dei racconti
– e quando ad interrompere il loro scontro erano arrivati gli altri due Giudici
dell’Oltretomba. Rhadamantis aveva gridato “No!” – per lo stesso motivo per
cui Kanon si era chinato su di lui senza pensare, e rabbioso aveva perso il
controllo perché la sua preda era stata toccata da altri. E smarrito, quello
sguardo regalava furia ai suoi no, un impeto che aveva lasciato i due
giganti sconcertati, due sorrisi perplessi sui volti in ombra. Quello stesso
lampo aveva ingentilito l’espressione dura per un secondo mentre il rumore delle
onde riempiva le orecchie di Kanon, e non c’era molto di superfluo da dire.
Ricordava tutto perfettamente.
Gli sorrise, debolmente.
“Kanon… tu… sei un uomo avventato.”
“Può darsi.”
“Mi hai salvato la vita.”
“L’ho fatto.”
“Potrei approfittarne per ucciderti.” Raschiava, col fiato, la terribile fiera.
Non aveva perso niente della sua minacciosità. Era un mostro ferito, e quindi
più irritabile e pericoloso. Lo guardava. Ma non si muoveva.
“Non credo che lo farai.”
Una debole risata. Kanon osservò con inaspettato piacere le labbra dello specter
deformarsi in un ghigno da lui subito prontamente imitato, mentre dall’altro
usciva una breve, roca risata. Riconosceva il suo tono di voce, elegante ma
cupo, come se provenisse davvero dalle profondità stesse dell’Inferno.
Saint e specter si fronteggiavano.
Erano due esseri ricoperti di ferite, striscianti. Non si reggevano in piedi.
Guerrieri privi di armatura, si fissavano senza abbassare la guardia, mentre
il sole accecante batteva su tutto, sulle rocce porose salate, sul mare blu
come lapislazzuli lucenti, sulla pelle dei due uomini ricoperta di ustioni,
abrasioni e tagli non più sanguinanti. Tutto aveva lavato via l’acqua del mare.
Kanon spezzò per primo la posizione di guardia, con grande naturalezza. Si lasciò
scivolare all’indietro, per distendersi. Voleva appoggiare la schiena alla terra
e ricordarsi di essere vivo. Passarono dei minuti. Quando riaprì gli occhi il
sole era sempre lì, sembravano essere passate ore e invece era nella stessa
identica posizione, e Rhadamantis giaceva disteso accanto a lui. Riprendevano
entrambi fiato e vita.
“Rhadamantis.”
“Mh?”
“Come stai?”
“Potrei stare peggio.”
“Già. Senz’altro.”
“…E tu?”
“Ah, io? Mh. Bene.”
“Mh.”
Kanon rilasciò il fiato, con grande fatica. Tutte le membra si stavano sciogliendo.
Non sapeva dire se era un buono o cattivo segno. L’abbandono era piacevole,
ma aveva al tempo stesso paura di quell’abbandono. Era l’invitante richiamo
della morte, o poteva fidarsi? Kanon non si era mai fidato molto di nessuno.
Anche in quel momento, si faceva un po’ pietà. Tremava, nel caldo del sole accecante.
Non voleva morire. Non adesso.
“Io dormo.”
“Dormi?”
“Sì. Non morire mentre io dormo.”
Rhadamantis pensò che Kanon dei Gemelli era più che un uomo avventato. Era veramente
eccentrico. Aveva salvato la vita ad un suo nemico, gli aveva ingiunto di non
morire mentre lui non poteva sorvegliarlo, poi si era addormentato. Le membra
intorpidite, il gigante infernale fece uno sforzo col capo per girarsi ad osservare
i lineamenti del volto dell’avversario. Lo fece finché non fu sicuro di distinguere
l’espandersi ed il contrarsi dell’ampio petto. Appena se ne fu sincerato, si
abbandonò senza forze disteso nella posizione di prima, e chiuse gli occhi a
sua volta.
“Kanon.”
La voce ferma lo riportava alla realtà.
Era vivo. Di nuovo. Ancora.
“Kanon.”
Rhadamantis della Viverna torreggiava su di lui, come l’aquila che scende a
cerchi sulla preda prima di ghermirla. Strano che non provasse paura.
“Nh?”
Si sentì tornare ad una posizione naturale. Si rese conto di essere stato spostato,
perché prima evidentemente doveva trovarsi più in alto.
“Ti dimenavi. Stai bene?”
“Sì. Sì, sto bene. No. Mi fa un male atroce.”
Il saint di Gemini portò entrambe le mani al fianco destro. Cos’era all’improvviso
tutta questa cosa del corpo che pretendeva di riacquistare sensibilità? All’anima
se era vivo, era vivo sin troppo. Prima non gli faceva così male. Scoppiò a
ridere.
“Che c’è da ridere?”
“Niente. Siamo vivi.”
Lo stesso sorriso si dipinse sulle labbra arroganti del’altro. Per la seconda
volta, Kanon le osservò con piacere. Ed interesse.
“Sì, siamo vivi.” E sogghignò, guardando il mare, come a sottolineare il sarcasmo
– neanche l’ironia – della situazione. Erano entrambi vivi. Kanon riuscì a mettersi
seduto. Erano ancora laceri e sporchi, e feriti. E più sofferenti che mai. Ma
il mare li aveva graziati entrambi. Non aveva scelto il figlio Kanon, donandogli
la vittoria dell’eroe che paga il suo spirito di sacrificio. Non aveva scelto
Rhadamantis, assegnandogli la vittoria della forza di Hades su Athena. Aveva
salvato entrambi, ed ora erano lì, striscianti, a vivere, senza vinto né vincitore,
senza poter tornare sul campo di battaglia, che si sarebbe conclusa prima che
loro potessero essere di nuovo in grado di rimettersi in piedi. E chiunque avesse
vinto, loro erano entrambi vivi.
Il sole era basso. Ancora non tramontava. Non c’era freddo. L’odore del mare
era più forte che mai, e la risacca copriva qualsiasi altro suono. Respiravano
con dolore. Kanon aveva salvato Rhadamantis, e il mare aveva salvato entrambi.
Si chinò a guardarlo, la fiera vinta e non vinta, spossata al suo fianco, ma
che non abbassava la guardia. Puntò gli occhi nei suoi, come se fosse pronto
a scattare in qualsiasi momento, mentre entrambi non sarebbero stati in grado
di imprimere forza ad un misero calcio senza frantumarsi le ossa. Ma erano vivi.
Vivi.
Scattarono praticamente contemporaneamente. Il sole non era più bianco, ma l’odore
della salsedine soffocava, la sabbia era ruvida, il vento inclemente, e non
si sentiva altro che il rumore delle onde nell’eco di ogni roccia avvinghiati
l’uno nelle braccia dell’altro, labbra che si divoravano a vicenda con una fame
morbosa, voglie alimentate a fuoco da scintille di ferro che si affila, respiri
e bruciore e sangue e vita. Ignorando l’amaro, l’aspro e il salato quanto il
sapore ferroso del sangue. Prendere tutto, fin quello che c’è, perché c’è, e
non è andato distrutto. Non se l’è preso Hades, non se l’è preso Athena. Non
se l’è preso l’inferno, non l’Elisio. Nemmeno il mare.
Si staccarono ansanti dopo un’infinità di tempo, e gli occhi di Rhadamantis
sempre duri agganciarono quelli di Kanon, fissi, tanto che non li poté muovere,
mentre con espressione seria andava a prendergli la mano offesa, la mano che
avevano torturato davanti ai suoi occhi. La teneva stretta, perché non si facesse
male, la tenne stretta mentre si chinava su di lui, aquila e drago e leone e
maestosa viverna, e si avvinghiava a lui come lui prima gli si era gettato addosso,
avido di un sentimento senza nome. Il mare aveva risvegliato Kanon con il rumore
di onde nelle orecchie, e aveva risvegliato Rhadamantis della Viverna, di Athena
nemico giurato, servo di Hades, l’uomo al quale il destino aveva già cominciato
a legarlo a doppio filo. Giacevano assieme, labbra affamate, riprendendosi tutta
la vita che era stata loro restituita.
“E adesso?”
Rhadamantis rimaneva in silenzio, guardando il mare, padre patrigno di Kanon
dei Gemelli. Adesso?
“Abbiamo vinto entrambi, Kanon. O siamo stati entrambi sconfitti. O forse nessuno
ha vinto.”
“Non t’interessano le sorti della Guerra?”
“Comunque sia, è finita. E noi ne siamo usciti. Come se fossimo morti entrambi.
Ma non lo siamo. E non possiamo tornare indietro dicendoci vincitori. Non siamo
neanche questo.”
Kanon rimase a riflettere per un po’. Ora che riusciva a stare in piedi, doveva
reggersi la mano ferita. Rhadamantis gliel’aveva fasciata con quel che rimaneva
della veste che indossava sotto la surplice. Si chinò seduto di fianco a lui.
Rhadamantis che era stato salvato dal mare. Che viveva.
“E quindi?”
“Un’alternativa c’è sempre.”
Note dell’autrice ~
Epilogo:
Rhadamantis della Viverna e Kanon dei Gemelli scapparono assieme alle isole Shetland, dove lo specter ha residenza. Lì hanno avuto tempo e modo di riprendersi dallo scontro ed instaurare un solido rapporto di coppia. Vanno molto d’accordo e seguitano imperterriti a concupirsi apertamente ed anche in pubblico. Non si sprecano a tentare di negarlo. Litigano moderatamente. Sono felici. Il tè preferito di Kanon è diventato il Russian Earl Grey. Ogni tanto tornano al mare. Appena si saranno un attimo organizzati con ogni probabilità formeranno un’associazione a delinquere per conquistare il mondo.
Note più serie:
1) Fanfic in due parti. La prossima, conclusiva, sarà dedicata ad Aioros e Saga. Il risveglio è il punto di partenza, loro fanno il resto. I personaggi appartengono a Masami Kurumada, non a me, ma io li amo tanto tutti quanti. E li slasho.
2) Uhm, sì. Lo so. Teoricamente Rhadamantis della Viverna e Kanon dei Gemelli non sono sopravvissuti affatto. Si sono disintegrati nell’ultimo atto di eroismo di Kanon, esplodendo fra le stelle. Non ho la pretesa di insinuare il dubbio nelle vostre anime innocenti. Ma… dite un po’. Ne avete l’assoluta CERTEZZA? °_* <3
(ahimé, nota più seria sin lì)
(tutto ciò per dire che questo capitolo è classificabile come WHAT IF. Oppure no. Dipende a cosa si decide di credere. È a libera scelta. Io dopotutto con quei due lì ci cenavo fino a tre sere fa. E c’era davvero tè ad ogni ora del giorno.)
3) Questa fanfic è dedicata come sempre alle mie muse (Leryu, Kijomi, LeFleurDuMal), ma questa volta con particolare riguardo al MADDELLAIO, che non commenta ma legge, inarcando il suo elegante monosopracciglio all’inglese, e a UFF_SAN, nel tempo libero Kanon di Gemini, che tra le altre cose ci ha recentemente deliziato di questa. Che io fossi in voi andrei a leggere. E ho l’accortezza di pubblicare questa fanfic oggi, che se non vado errata è un anno esatto che sono diventati un dolce duo, e a breve andranno a spassarsela al mare. <3 Auguri a Rhada e Kanon. ~
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