Un giorno, per caso. di Toki_Doki (/viewuser.php?uid=139579)
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Cap 1. L'Oceano
L’Oceano.
Erano gli occhi più belli che avessi mai visto. Restai a
fissarli per interminabili istanti finché il suo sorriso non
attirò la mia attenzione riportandomi sulla terra.
Mi schiarii la voce e distolsi lo sguardo imbarazzata.
“Che piano?”
“Come scusa?” Chiesi non capendo.
“Io scendo al quinto piano, per te quale prenoto?”
“Ah.” Sorrisi appena goffamente.
“Anch’io scendo al quinto, grazie.”
Se volevo dire o fare qualcosa, quello era il momento giusto:
quell’occasione non sarebbe mai più ricapitata. Mi persi
nei miei pensieri cercando qualcosa da dire, anche un semplice ammiro te e il tuo lavoro ma avevo il buio
più
totale in testa. Perché la mia faccia tosta era scomparsa
lasciando posto alla timidezza?
“Che fai, non scendi?” La sua voce mi fece tremare
le ossa.
Quella voce che ritrovavo nei miei sogni, quelli che non raccontavo a
nessuno per non essere presa in giro; quei sogni in cui ero a Londra
con lui.
“Sono un po’ distratta oggi.” Mi
giustificai arrossendo.
Ridacchiò bloccandomi il cuore.
Mi maledii per aver tenuto lo sguardo basso perdendomi il suo adorabile
viso sorridente. Perché quando lui sorrideva, tutto il suo
volto
si illuminava e delle tenerissime e affascinanti rughette si formavano
sotto i suoi occhi trasmettendoti il sorriso. Quante volte avevo
desiderato esserne il motivo! Avevo perso il conto anch’io.
Scesi dall’ascensore e lo ringraziai per aver tenuto le porte
aperte.
“È stato un piacere.” Disse distaccato.
“Buona giornata.”
“Anche a te.” Sentii improvvisamente gli occhi
bruciarmi; una lacrima rigò il mio volto.
Sgranò leggermente gli occhi deglutendo.
“T-tutto bene?” Mi chiese con palese disagio. Mi
sentii morire per la pessima figura che stavo facendo.
“Sì, credo.” Risposi ridendo
nervosamente mentre col
dorso della mano asciugavo le mie lacrime. “Non so cosa mi
sia
preso!”
Mi fece una carezza sulla spalla, poi mise le mani in tasca. Era rimasto a fissarmi in silenzio con i suoi occhi meravigliosi.
“Non ho mai visto l’Oceano.” Dissi
all’improvviso pensando che avevano definito i suoi occhi del
colore dell’oceano in tempesta.
Mi guardò spiazzato poi scoppiò a ridere.
“Sei davvero strana.”
“M-mi dispiace, non sono sempre così. Anzi! Non lo
sono mai. Mi mandi in tilt.”
Fantastico! Come se non mi fossi resa abbastanza ridicola.
“Non mi piace fare questo’effetto alle
persone.”
Mi guardò in un modo che mi mise timore, quel modo che
rivedevo
spesso in alcuni scatti rubati o durante alcune interviste. Mi sentivo
nuda e impacciata: avevo rovinato un momento che sognavo da sempre.
Stavo per scoppiare a piangere ma strinsi i denti e mi costrinsi a
darmi un contegno: avevo 24 anni per la miseria!
“Non posso farci niente.” Dissi a fatica.
“Buona
giornata.” Gli augurai passandogli accanto e dirigendomi
verso lo
studio fotografico.
Ero stata una cretina; una deficiente ragazzina impacciata che insegue
i propri sogni ma non ha le palle di realizzarli.
Avevo incontrato finalmente Benedict Cumberbatch e avevo fatto la
figura di una malata di mente. Avevo immaginato quel momento in vari
modi; avevo pensato a mille e più frasi da dirgli per
esprimergli la mia ammirazione, quasi venerazione in realtà,
e
invece non avevo detto nulla. Anzi! Le poche cose che avevo pronunciato
avevano contribuito a fargli avere di me una brutta impressione.
Presi velocemente un fazzoletto dallo zaino e mi soffiai il naso
obbligandomi a smettere di piangere ed insultarmi mentalmente.
“Ehi, scusami!” Mi voltai sorpresa.
“Sì?”
“Sono stato maleducato ed indelicato. Non ho avuto un
risveglio
dei migliori e me la sto prendendo con chiunque.”
Sospirò.
“Non preoccuparti. Devo esserti sembrata una pazza quindi sei
giustificato.” Risi appena sperando di aver aggiustato un
minimo
l’idea che si era fatto di me.
“Nessun motivo può giustificare un comportamento
tanto scontroso. Ti chiedo ancora scusa.”
Sorrisi nel pensare che gli inglesi vivevano di pane e scuse.
“Ho già dimenticato tutto.”
“Lo spero.” Il suo sguardo e la sua espressione gli
davano
un’aria sempre seria e fredda. “Dove vai?”
“Sto seguendo un corso fotografico col Sig.
Miron. Mi ha voluto qui oggi per mostrarmi come si lavora ad un
servizio fotografico con un personaggio importante e di spicco del
mondo dello spettacolo.” Gli scappò un sorriso.
“Ti ha detto chi è o si giocherà la
carta dell’effetto sorpresa?”
“È rimasto sul vago dicendomi soltanto che
apprezzerò il suo invito e gli sarò riconoscente
a
vita.” Ridacchiò ancora.
“Ti sei fatta un’idea su chi possa
essere?” Feci no con la testa.
In quel momento non riuscivo a pensare a niente, sentivo solo il rumore
del cuore rimbombarmi contro il petto.
“Mi ha chiamato solo questa mattina, non ne ho avuto il tempo
materiale.” Ridacchiai pensando che, se fosse stato lui,
avrei
eretto una statua al Signor Miron al centro di Hyde Park.
“Spero per te che non resterai delusa.” Mi
guardò con uno sguardo furbetto.
“Non mi importa poi molto chi sarà: ho incontrato
te, non
può andarmi meglio.” Confessai ingenuamente.
Sentivo le
guance bruciarmi.
“Grazie.” Affermò serio. “Sto
facendo tardi, ti lascio. Buon lavoro.”
Lo salutai con un gesto della mano mentre si allontanava nel corridoio
vuoto e assolato.
“Vorrei davvero fossi tu.” Bofonchiai tra me e me
quasi fosse una preghiera.
Raggiunsi trafelata lo studio accorgendomi del ritardo
che mi si era accumulato, sperando di non essere rimproverata e punita
con l’esclusione dal servizio.
Entrai nell’ampia sala già pronta per iniziare il
lavoro;
rimasi sbalordita dallo sfondo e dagli attrezzi che riempivano la sala.
C’erano un sacco di persone che camminavano svelte per
sistemare
chi una cosa chi un’altra. Era la prima volta che mi ritrovavo sul campo; seguivo i corsi serali
di Miron dopo il lavoro ma poi, rimasto sorpreso dalle mie
qualità durante
un’uscita, si era deciso a chiamarmi quella mattina per
mostrarmi
come si lavora in modo professionale e per premiare il mio impegno e le
mie doti. Ne ero davvero felice e poi, grazie a lui, avevo incontrato
anche Ben-
“Monica!” Interruppe il flusso dei miei pensieri
chiamandomi.
“Signor Miron.” Gli sorrisi. “Grazie per
avermi dato quest’opportunità!”
“Ringraziami quando avremo finito.” Mi fece
l’occhiolino e, posandomi una mano sulla schiena, mi fece
strada
verso il centro del set.
Mi illustrò minuziosamente il programma; il motivo di quel
servizio fotografico e lo scopo delle foto.
“Quindi dobbiamo fare degli scatti che
accompagneranno l’intervista.”
“Esattamente. Se te la senti, puoi girare il video backstage
da
allegare alle foto. Con i moderni siti, le riviste amano pubblicare
questo genere di cose per invogliare a comprare la rivista.”
Mi illuminai e ne fui orgogliosa.
“Se lei si fida delle mie capacità, accetto
volentieri.”
“Di te mi fido, ma è la prima volta che lavori con
un
attore di questo livello e il tuo sangue freddo verrà messo
a
dura prova. Se le tue mani tremeranno, il tuo lavoro sarà
una
merda e totalmente inutile.”
“Ne sono consapevole.”
“Ti presenterò a lui poco prima di iniziare il
servizio quindi avrai poco tempo per smaltire la cosa.”
“È solo un attore, non è un
dio!” Risi per il suo discorso ridicolo.
Mi guardò sbieco, rimproverandomi con i suoi occhi neri
profondi.
“Sono costretto a farti questo discorso per prepararti e non
vanificare il tuo lavoro. Sei alle prime armi e non hai mai lavorato in
questo campo. Non sopravvalutarti: resti pur sempre un essere
umano.”
“Mi scusi, ha perfettamente ragione.”
Mi invitò a lasciare la borsa su un divanetto e mi diede una
piccola telecamera; mi spiegò le funzionalità per
usarla
al meglio e fare un buon lavoro per soddisfare a pieno le richieste del
direttore della rivista.
Dopo una decina di minuti, un assistente annunciò a Miron
che
l’attore era pronto e stava raggiungendo il set. In un attimo
la
stanza si svuotò e restarono soltanto Miron e
l’addetto
alle luci.
Il mio cuore accelerò i battiti: iniziavo a rendermi conto
di
cosa stava per accadere. Ripetei tra me e me le parole di Miron per
darmi una calmata. Chiusi gli occhi per qualche secondo, poi li riaprii
sentendo il mio insegnante salutare qualcuno.
Quasi mi mancò il respiro: la mia preghiera era stata
esaudita.
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