One-shot
scritta per l’anniversario di Pseudopolis Yard.
Il prompt
che ho scelto era inverno,
perché
siamo a fine giugno e mi piace fare scelte logiche.
*
L’inverno
del ‘76
Remus
Lupin, Sirius Black
1554
parole
Lo
studio in cui Orion Black aveva trascorso la maggior parte
della sua vita era probabilmente il locale più confortante
di tutta Grimmauld
Place.
Non
lo era per Sirius, che fra quelle pareti non aveva incontrato
altro che disprezzo e difficoltà, ma per Remus, tristemente
avvezzo a squallidi
appartamenti fatiscenti e a mobilie logore e tarmate, la morbida
poltrona
davanti al caminetto di marmo nero rappresentava una tentazione
irresistibile.
Aveva preso l’abitudine di chiudersi al suo interno nelle ore
che separavano
una riunione con l’Ordine da una ronda all’Ufficio
Misteri – soprattutto quando
Sirius diventava intrattabile perfino per lui, quando ogni frase
più semplice
si trasformava in un’ennesima crisi di nervi e finivano per
mandarsi al diavolo
a vicenda.
Era
la terza volta in un mese che arrivavano ai ferri corti.
Quando erano ragazzi avevano diviso lo stesso dormitorio per sette
anni,
condividendo ogni aspetto delle rispettive esistenze senza esitare, e
nonostante gli ormoni impazziti e i caratteri così
diametralmente differenti,
non avevano mai davvero litigato. Avevano iniziato solo dopo, quando il
sipario
della guerra era calato sulla scena di Hogwarts e aveva messo fine agli
anni in
cui erano solo loro due, solo due ragazzini, solo Padfoot e Moony. Il
passo per
raggiungere il collasso era stato breve.
Remus
aveva sottovalutato la fragilità della loro amicizia. Due
anni prima, quando si era fiondato nella Stamberga Strillante e se lo
era
trovato davanti, lacero e irriconoscibile, l’istinto aveva
prevalso sul suo
controllo e si era gettato fra le sue braccia, con le dita che
artigliavano il
tessuto sciupato della tunica di Azkaban e un feroce pensiero di
speranza a
martellargli nella testa. Poi le cose fra loro avevano ripreso a
traballare e
quei dodici trascorsi ai margini della vita avevano preso la
consistenza di una
parete rocciosa.
La
forzata prigionia che Sirius stava vivendo a Grimmauld Place
non aiutava nessuno dei due. Era spesso nervoso, arrabbiato,
imprevedibile,
come il fantasma tirato al limite del ragazzo che era stato ai tempi di
Hogwarts.
Il
problema era Remus: lui sì che era cambiato.
Non
era più il diciassettenne un po’ timido e
arrendevole che si
rassegnava ai colpi di testa di Sirius, non riusciva più ad
annuire, a
sopportarlo, a dargli ragione nella speranza di calmarlo. Gli ultimi
dodici
anni passati a spostarsi in totale solitudine da un angolo
all’altro della Gran
Bretagna lo avevano reso ben più ruvido e drastico di quanto
non fosse stato
quando era solo Moony, il Prefetto che scendeva a compromessi con
Padfoot.
Quel
pomeriggio avevano perso la pazienza per un motivo talmente
sciocco e ridicolo che Remus ne avrebbe riso, se solo avesse conservato
un po’
di ironia: Sirius stava parlando dell’ultimo racconto di
Mundungus su una partita
di candelabri contraffatti andata male, ridacchiando con quel sogghigno
tutto
suo che Azkaban non era riuscita a strappargli del tutto. Ma quando
Remus gli
aveva fatto notare che non trovava spiritose le imprese truffaldine di
Mundungus, Sirius lo aveva accusato di essere diventato noioso, Remus
aveva
replicato di essere semplicemente onesto e il discorso era rapidamente
degenerato in una lunga serie di “non usare quel tono
superiore con me”, “scusa
se la mia vita qui dentro non è interessante quanto la
tua” e si era concluso
con un solenne “fanculo, Remus”.
Così
si era rifugiato nello studio di Orion Black con un libro che
non aveva nemmeno aperto e si era ritrovato a fissare le fiamme
crepitanti del
camino senza vederle realmente. Quando il massiccio pendolo di quercia
lo
ridestò dai suoi pensieri, si accorse di essere
lì dentro da più di un’ora. Si
alzò dalla poltrona con l’intenzione di salire al
piano di sopra per cercare
Sirius, uscì dalla stanza e iniziò a percorrere
il corridoio con passi grevi.
Sirius
aveva sistemato Fierobecco nel sottotetto di Grimmauld
Place, un ambiente basso ma sufficientemente ampio per accogliere una
creatura
di quella stazza. Tuttavia, nonostante il pagliericcio arrangiato sotto
il
grande lucernario e le continue attenzioni, Fierobecco mostrava a
quella
forzata prigionia la stessa irrequietezza del suo padrone.
Temendo
che Sirius fosse ancora scosso da una tempesta interiore
di sentimenti negativi, Remus bussò con blanda indolenza,
piuttosto sicuro che
l’amico non gli avrebbe nemmeno risposto. Fu sollevato di
sentire la sua voce.
«Entra,
Moony».
Remus
si infilò con lentezza nella stanza e si richiuse cauto la
porta alle spalle, ma l’Ippogrifo, acciambellato in un angolo
come una grossa
tigre piumata, sollevò la testa con uno scatto nervoso. Gli
parve quasi di
sentirlo ringhiare. Si inchinò piano, prestando attenzione a
non fissare
nient’altro che non fossero le assi lerce del pavimento, ma
fu necessario
l’intervento di Sirius per tranquillizzare Fierobecco.
«Sente
che non sei umano» commentò con spietata
franchezza Sirius.
Era seduto su una vecchia cassapanca con la schiena appoggiata al muro.
«Credo
ti veda come un nemico».
«O
forse ricorda che quando ci siamo conosciuti volevo
sbranarlo».
Le
labbra di Sirius si piegarono in una secca curva sarcastica.
«Probabile.
Gli Ippogrifi non perdonano facilmente».
“Non
solo loro” pensò Remus, restando immobile al
centro della
stanza e fissando l’amico con espressione placida.
«Sei
ancora arrabbiato?» chiese Sirius con un tono di vaga stizza.
«Non
lo ero nemmeno prima».
«Sì,
invece».
Sirius
spostò lo sguardo al cielo pallido che si intravedeva
attraverso i vetri sporchi del lucernario e per un attimo rimasero in
silenzio.
Remus individuò una sedia di ebano con la seduta imbottita e
si accomodò con
calma, incrociando le lunghe gambe fra di loro.
«Quando
eravamo a Hogwarts non ti arrabbiavi così spesso»
commentò
laconico Sirius.
Remus
lo fissò per un lungo istante, soppesando il peso di
quell’affermazione. Si massaggiò distratto le
tempie, camuffando una risatina
in un soffio fra i denti che a Sirius non sfuggì del tutto.
«Cos’ho
detto di divertente?».
«Quando
eravamo a Hogwarts tu eri decisamente meno irritante».
«E
tu eri meno noioso».
«Meno
immaturo».
«Meno
arrogante».
Tacquero
di nuovo, scrutandosi entrambi con un mezzo sorriso
divertito. Fu Remus il primo a parlare.
«Siamo
ridicoli».
«Già»
sbuffò Sirius. Parve scosso da un pensiero improvvisamente
vivace. «Ehi, ricordi la nevicata del
’75?».
«Dubito
che qualcuno l’abbia scordata. Quell’anno ne scese
così
tanta che la professoressa Sprout rimase bloccata per un giorno intero
nelle
serre».
Sirius
ridacchiò sfrontato. Per un attimo sul suo volto sciupato
riapparve lo spirito scanzonato dei suoi sedici anni.
«Costruimmo
una palla di neve così grande che la si poteva vedere
perfino dalla torre di Astronomia» aggiunse con un sorriso
storto. «Cindy,
ricordi?».
«Santo
cielo» mormorò Remus. «Avevo scordato
che le avevi dato un nome…
un nome molto stupido, fra l’altro».
«La
facemmo saltare in aria con tutti i Fuochi D’Artificio di
Filibuster che i Potter avevano regalato a me e a James per
Natale».
«Solo
i Potter potevano avere la scarsa lungimiranza di regalarvi
un’intera scatola di esplosivi».
Sirius
rise.
«Cinquantacinque
punti in meno a Grifondoro e due settimane di
punizione. Minerva era davvero furiosa».
«Mi
domando per quale motivo» scherzò Remus.
«Dopotutto Cindy era
solo esplosa in centinaia di
proiettili di neve che avevano rischiato di decimare metà
degli studenti di
Hogwarts».
«Che
diavolo è un proiettile?».
Remus
nascose un sorriso beffardo nel palmo della mano.
«È
il motivo per cui quell’anno Grifondoro non vinse la Coppa
della Case».
Risero
entrambi e occuparono i successivi minuti ricordandosi a
vicenda ogni momento di quel glorioso pomeriggio di dicembre di tanti
anni
prima. Per un caso fortuito, il professor Vitious aveva appena aperto
la
finestra dell’aula di Incantesimi ed era stato sommerso da
una palla di neve
vagante grande quanto la sua testa; un tizio del quinto anno di
Tassorosso di
cui non riuscivano a ricordare il nome aveva perfino perso un dente.
Alla fine
era stata Lily a togliere loro tutti quei punti, e aveva deciso di
aggiungerne
cinque in virtù del fatto che trovava il nome Cindy
particolarmente inadatto a una gigantesca palla di neve.
«È
stato il periodo più bello della mia vita».
Remus
lo guardò. Sirius aveva ripreso a fissare il lucernario con
espressione triste e una smorfia di vago rancore sul viso. Non
riuscì a dire
nulla.
«Io,
te e James…» continuò con voce roca.
Remus si chiese quanto
gli stesse costando lo sforzo di non nominare mai Peter. «I
Malandrini con la
loro Mappa. Eravamo in gamba, vero? Eravamo davvero
in gamba. Nessuno sapeva volare come James. Era
straordinario».
Le
parole parvero mozzarsi nella sua gola. Si avvicinò le gambe
al
petto e appoggiò le braccia alle ginocchia, tenendo il capo
chino sulle mani.
Nei suoi occhi brillavano dolore e risentimento. Era piuttosto sicuro
che in
quel momento la sua espressione era la stessa dell’amico.
«Padfoot…».
Tentò
di dire qualcosa – qualunque cosa – ma non fu in
grado di
liberarsi dal peso opprimente di quel silenzio gelido che era
nuovamente
piombato fra di loro.
«Nevica»
commentò infine Sirius, indicando il lucernario.
Alzò
lo sguardo. Nonostante la patina opaca, Remus vide i primi
fiocchi di neve posarsi lenti e placidi sul vetro. Uno,
due, tre. Tentò di distrarsi contandoli uno ad
uno, ma presto
la voce di Sirius lo artigliò di nuovo alla
realtà.
«Vorrei
poter fare esplodere ogni cosa ancora una volta».
Remus
continuò a tacere.
Era
d’accordo con lui.
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