Introduzione: Un
grave incidente sul campo spinge Reid fuori dalla realtà.
Sarà costretto ad immergersi nel buio di ricordi che non
può cancellare, per ritrovare la strada verso un nuovo
futuro.
Nota: Il corsivo indica i flashback, ed è
inserito per evitare confusione. Non so da dove sia uscito questo
testo, forse da una notte di nostalgia. Ci sono affezionata, per
ragioni che vanno oltre la mia comprensione. In ogni caso, buona
lettura!
Il buio oltre noi
Le pale dell'elicottero frantumano l'aria: può quasi vedere
il vento solidificarsi e, nell'impatto, disintegrarsi in schegge di
folate. Può vederlo dietro le palpebre pesanti, incollate
dal sangue e dallo sfinimento. Sente le braccia raffreddarsi e i piedi
perdere calore; ogni parte del suo corpo sta spirando. Di colpo un
lieve tepore si diffonde sul suo viso: il fiato, che non è
più dell'elicottero o della morte, ma di Morgan, trasporta
parole accorate che depositano sulle sue labbra il sapore del pianto.
Spencer. Spencer. Ehi, ragazzino, su!
Prova a contare, a ricordare, ad esercitare una qualunque
facoltà mentale, ma le sinapsi faticano a lavorare.
Disperatamente, cerca di ancorare la propria vita a quella voce, alle
mani che caute ma decise si posano sul suo petto, alle sirene e alle
urla... ma tutto si disperde nell'aria insieme al suo ultimo respiro.
Una piccola e
funzionale camera d'albergo.
Morgan spegne
le luci e tu ti racchiudi sotto le coperte, anche se fa decisamente
caldo a Miami. Ti agiti perché non trovi una posizione
consona, perché dovresti trovarla per la tua mente e il
subbiglio delle emozioni. Non è così semplice.
Riesci quasi a sentire il respiro regolare del tuo collega e,
voltandoti, vedi la sua sagoma nel chiarore lunare e l'ombra che si
espande deformata sulla parete. Non riesci davvero ad abituarti alla
presenza di qualcuno in un momento così intimo. Hai sempre
dormito da solo, da buon figlio unico e cattivo animale sociale.
«Vuoi smetterla di fissarmi?» senti quasi la sua
voce nella testa, ma lui dorme inconsapevole. Malgrado ciò,
ti volti colpevole e imbarazzato, stringendo un pugno alle labbra per
il timore di dire qualcosa senza accorgertene. In fondo, come fai a
sapere di non parlare durante il sonno? Chi avrebbe potuto fartelo
notare?
Il
ricordo della tua prima polluzione notturna si impone nella mente. Non
hai provato vergogna o confusione: sapevi che sarebbe accaduto. Ti sei
limitato a prendere le lenzuola e a depositarle nella lavatrice insieme
a tutto il resto, mentre tua madre dormiva fino a mezzogiorno. Il sacro
terrore che possa avvenire proprio questa notte ti assale in modo
bizzaro.
In fondo, nel
buio tutto è possibile, nell'oscurità che acuizza
tutti i sensi, compresa la vista interiore. Ti senti travolto e stringi
inutilmente le palpebre, incapace di dare la schiena sia alla finestra
rischiarata sia al viso addormentato di Morgan.
Una nottata
d'inferno.
Le voci tornano, i sensi riemergono dall'abisso.
«Hei, ragazzino, non mollare.»
Spencer prova ad aprire gli occhi, ma una nebbia
lattigionosa ricopre ogni cosa. Distingue a malapena il volto di
Morgan, confuso, distorto. Le dita irrigidite e sbiancate si stringono
debolmente intorno alla mano dell'agente, chino su di lui.
«Quanto ci vuole ancora?» lo sente
sbraitare.
Una voce intimorita risponde: «Circa cinque
minuti.»
«Tre» intima il ragazzo, prima di
tornare a rivolgergli parole di conforto. «Saremo in ospedale
tra poco, sta tranquillo. Resisti.»
Vorrebbe parlare, ma i suoi farfugliamenti vengono attutiti
dalla maschera che gli comprime il viso e che lui non ha la forza di
togliere. Aria artificiale gli viene pompata nei polmoni, liquidi
sconosciuti nelle vene, sangue lento nel cuore. La testa gira
vorticosamente, strappandolo a questa folle realtà e
risucchiandolo nel buco nero dei ricordi.
Un campo
scuro. Tobias Henkel.
L'erba ti
fascia le gambe mentre corri a grosse falcate, cercando di tenere i
nervi fermi e l'attenzione vigile. Tutt'intorno ciuffi irti come
piccoli soldati che, in fila, si schierano fino all'orizzonte, divorati
dall'oscurità. Quando senti lo sparo qualcosa si gela nelle
tua mente, si paralizza, torna a uno stadio d'attività
così primordiale da esserti irriconoscibile. Prima di
riuscire a nominare il nome di JJ un'assurda speranza ti sorge dal
profondo: qualcuno è giunto a prendere in mano la situazione.
Poi il duro
colpo, la consapevolezza del terrore, l'orrore della consapevolezza.
Cadi a terra e, prima che tutto diventi ancora oblio, ti senti
nuovamente abbandonato.
La fine.
Luci al neon lo strappano dalle lande della sua mente, per
riportarlo in una realtà che non è certo sia
tale. Lampade feroci sfrecciano sulla sua testa, mentre il corpo
disteso sorvola le corsie. Sente voci concitate, altre più
calme e cliniche. Qualcuno prosegue al suo fianco, mentre un'ombra
continua ad emergere per la sua chiara agitazione.
«Signore, deve allontanarsi» qualcuno
dice all'ombra, che non vuole saperne e continua a chiedere di lui.
«Morgan, basta» e l'ombra se ne va.
Porte pesanti si aprono e i suoi colleghi vengono lasciati
indietro. Confusamente Spencer comprende di essere in una sala
operatoria. Vorrebbe ricordare perché, ma nelle orecchie
sente solo il rumore di spari, l'eco debole di qualcosa di grave che
è avvenuto.
Non vuole che questa desolante sensazione di obnubilamento
sia l'ultima della sua vita, ma non ha né forza
né coraggio per credere il contrario. Chiude gli occhi
mentre il faro viene puntato sul suo corpo denudato. Sente solo un
freddo atroce e un terrifante alito sulla sua testa, quello di un
cerbero pronto a divorarlo.
Sirene in
lontananza.
Ti stringi
nel cappotto, cercando calore dove non c'è. Ti sembra che le
ossa sfreghino l'una con l'altra, come per accenderti dentro piccoli
fuochi. Le mani si agitano nelle tasche e la lingua non si stacca
più dal palato. Finalmente vedi un'ombra avanzare, schivando
i raggi dei lampioni. È giovane, ricco, in un altro contesto
magari anche educato; ma qui non c'è tempo e non
c'è spazio.
Il
tutto è molto veloce: gli dai i soldi e ti da una busta di
carta appallottolata, come quelle che si danno in panetteria. Alzi lo
sguardo e lui è già scomparso, non hai avuto
neanche modo di sapere di che colore avesse gli occhi. Magari neri,
come i tuoi. Tutti, alla fine, li hanno neri.
Sentendoti nudo come un serpente, strisci via, quasi correndo fino a
casa, mentre le boccette di Dilaudid tintinnano nella busta del
panetteriere.
Bip.
Bip.
Il rumore familiare si insinua nella mente e l'afferra con
forza, strappandolo via dal buio. Deve fare più di un
tentativo per sollevare finalmente le palpebre e trovarsi costretto a
stringerle: c'è troppa luce, troppa nitidezza. Qualcuno
accosta le tendine e una dolce ombra si deposita sul suo viso.
Occhi neri lo scrutano, apprensivi. Vorrebbe sorridere, ma
non è certo che il corpo gli risponda. Dopo diversi
tentativi vede il viso di Morgan illuminarsi.
«Ehi, ragazzino, ce l'hai fatta!» gli
dice chino su di lui.
La bocca è impastata, sembra piena di miele e
zucchero, eppure ha in gola un sapore amaro che teme non
andrà più via.
«Tranquillo, andrà tutto bene. Ti hanno sparato,
ora sei in ospedale. Ti hanno operato e...»
Morgan parla incessantemente, medici vengono a
controllare le sue funzioni vitali, i monitor continuano a cinguettare
come uccelli metallici...tutto scorre, ma confondendosi in un alone di
sfondo. Chiude gli occhi e attende, finché non sente accanto
a sé il calore di un corpo abituato ad essere portato al
limite, di un cuore che batte per molte persone, ma che lui ha potuto
ascoltare così da vicino.
Morgan.
Senza rendersene conto, si lascia cullare da quel tepore,
fino a sentirsi liquido e a scivolare via.
La tua prima crisi
d'astinenza.
Tremi con forza. Non
avresti mai creduto di poter racchiudere nella tua cassa toracica un
tale terremoto. Tutto, di te, sembra sconquassato. Vorresti piangere,
ma le lacrime si sono fossilizzate negli occhi. Nel buio, ti sembra
tutto infinito, senza limite. L'assenza di distrazioni ti costringe a
concentrarti completamente sul tuo corpo e sulla sua sofferenza. Speri
che questo basti come redenzione e come deterrente. Ti scopri a
chiederti se lui lo creda.
«Va
tutto bene.»
È
quello che continua a ripeterti, stringendoti con braccia che ora
sembrano poterti uccidere, ma che vogliono solo racchiudere il tuo
dolore. Ti posa un bacio sulla nuca bagnata dal sudore e ti scosta un
ciuffo dalla fronte. Il suo respiro è caldo.
Oh, Morgan...
Non credevi
di riuscire ancora a produrre lacrime, perciò ti chiedi da
dove venga l'umidità che bagna la tua guancia.
Solo quando
senti le sue ciglia sulla pelle, ti rendi conto che è lui a
piangere.
«Mi dispiace» farfuglia Spencer, ad
occhi chiusi. Una lacrima scivola placidamente fino a tuffarsi tra le
lenzuola.
Derek gli stringe una mano e sorride appena.
«Va tutto bene, ragazzo.»
Quando finalmente Spencer riapre gli occhi, sono rossi come
due soli su una terra arida. Derek gli carezza i capelli,
scostandoglieli dalla fronte.
Le labbra del dottore si muovono, ma non esce alcuna parola.
«Ti riprenderai in fretta. Non sentirai dolore,
per ora, ma ci sono io» gli dice, ma Spencer non lo sta
davvero ascoltando.
Lui deve dirlo.
«Non lasciarmi al buio» mormora prima di
sprofondare nel sonno.
Derek sorride e sa che il dottore negherà quelle
ultime parole, non appena tornerà in sé, ma ora
non gli importa. Tutto sembra troppo piccolo, perfino i problemi
fondamentali, ora che il suo mondo ha ripreso a girare.
Gli viene quasi da ridere, guardando il suo dottore
riprendere colore. Gli sembra che nessun dramma, neanche il buio
più assoluto, possa realmente uccidere quella piccola,
incredibile e luminosa mente.
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