It's elementary, Watson. The fact that I love you

di millyray
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CAPITOLO DODICI

“Dio mio, Sherlock. Che cos’hai preso?!” gridò Connie a pochi centimetri dalla faccia del fratello. “Che cos’hai preso?” Rimase a guardarlo negli occhi annebbiati, aspettando una risposta e, non ottenendola, si rivolse a John che se n’era rimasto leggermente in disparte, sconvolto e confuso. Aveva capito che cosa Sherlock avesse fatto ma non riusciva a crederci.

“Controllagli le tasche!” ordinò la ragazza all’amico, spostandosi dalla poltrona su cui era mezzo steso il detective.
John non se lo fece ripetere due volte e sfilò il cappotto al moro senza che questi opponesse alcuna resistenza. Frugò prima in una tasca, trovandola completamente vuota, poi l’altra e… tirò fuori un piccolo sacchettino trasparente, di plastica, pieno di una polvere bianca che… John spalancò gli occhi, il cuore che ora batteva all’impazzata.
Lo mostrò a Connie che però non restò particolarmente sorpresa. Abbassò lo sguardo sul fratello lanciandogli un’occhiata che trasmetteva diverse emozioni: delusione, rabbia, preoccupazione, frustrazione…

“Cos’altro hai preso?” gli chiese, questa volta in tono più tranquillo. “Che cos’altro hai preso?” Si inginocchiò di fronte a lui, le mani appoggiate sui braccioli della poltrona. Sherlock aprì gli occhi e li puntò nei suoi. Ma quello che vide in essi le fece quasi male. “Ok, allora… io ti nomino alcune droghe e tu mi fai un cenno con la testa per dirmi se le hai prese oppure no, d’accordo?”

Sherlock non rispose e nemmeno diede segno di aver capito. Restò semplicemente a guardarla come un bimbo spaurito.
Connie iniziò lo stesso. “Quella cocaina che avevi in tasca, l’hai presa?”

Sherlock lentamente annuì.

“Hai preso delle pillole?”

Sherlock annuì di nuovo.

“La marijuana l’hai fumata?”

Sherlock annuì una terza volta.

“E l’eroina?”

Il detective annuì ancora.

Connie sospirò. Si rialzò in piedi passandosi una mano tra i capelli. John teneva la fronte appoggiata alla finestra, gli occhi fissi in un punto che in realtà non vedeva. Com’era possibile? Com’era potuto succedere tutto quello? Non aveva notato comportamenti strani nell’amico in quegli ultimi giorni, forse era solo un po’ più distratto e schivo, ma nulla di più.
E invece… come diamine aveva fatto a non accorgersene?

“John?” lo chiamò Connie gentilmente. “Chiama Greg e digli di tornare. Io aiuto Sherlock a farsi un bagno. È fradicio e sporco”.

“D’accordo”, rispose il dottore, mentre la ragazza aiutava il fratello ad alzarsi. Non era molto stabile e faceva fatica a reggersi, così la sorella lo dovette sostenere finché non arrivarono in bagno. Strano però che non avesse opposto alcuna resistenza nemmeno stavolta.

John afferrò il suo cellulare e mandò un messaggio a Greg dicendogli di raggiungerli in Baker Street.
A un certo punto si sentì bussare alla porta. Di certo non era Lestrade, non poteva aver fatto così presto. E infatti, non appena l’uomo aprì la porta, si trovò la Signora Hudson in vestaglia con sguardo preoccupato.

“Che cosa sta succedendo qui? Che cos’era tutto quel chiasso?” chiese la donna, notando subito l’espressione sconvolta di John.

“Mi scusi se l’abbiamo svegliata”.

“Oh, non ha importanza. Ma è successo qualcosa?”

“No!” rispose il dottore un po’ troppo frettolosamente e l’anziana signora si insospettì ancora di più. “Cioè... uno dei soliti pasticci di Sherlock. Tutto qua. Niente di… grave”. L’uomo le sorrise per mettere più enfasi alle sue parole e tranquillizzarla. Non ricordava di aver mai sorriso in modo così falso e più che un sorriso, gli pareva che sulla sua faccia fosse dipinta una smorfia. La verità era che non gli andava di spiegare, di dire che cos’era successo. Persino lui doveva ancora digerire quella situazione e già doverla spiegare a Lestrade sarebbe stato troppo.

“Sei sicuro?”

“Sì”.

“D’accordo, allora ci vediamo domani”.

John ringraziò il cielo che la Signora Hudson non avesse voluto insistere di più, forse era troppo stanca per farlo, ma non aspettò nemmeno che scendesse la prima rampa di scale per di sbattere la porta dell’appartamento.
Ed ecco che dieci minuti dopo, forse persino meno, la dovette aprire di nuovo perché Lestrade era tornato.

“Allora? Cos’è successo?” chiese subito l’uomo, togliendosi la giacca di pelle bagnata dalla pioggia. Ancora non aveva smesso di diluviare.

“Siediti”, gli disse John, accomodandosi anche lui sulla sua poltrona. Greg si sedette sul divano quasi inconsciamente, cercando di prepararsi per la brutta notizia che avrebbe ricevuto. Perché era certo che avrebbe ricevuto una brutta notizia, la faccia di John non diceva altro. Quest’ultimo seduto di fronte all’amico, incrociò le mani sulle ginocchia. “A quanto pare…”, iniziò senza sapere come dargli la notizia. “A quanto pare Sherlock ha… ha fatto uso di droga”.
Il detective spalancò gli occhi proprio come aveva fatto lui poco prima.
“Guarda”, aggiunse il dottore, passandogli il sacchetto di cocaina che avevano trovato nel cappotto di Sherlock. “L’ho trovato nelle sue tasche”.
Lestrade prese il sacchetto, lo aprì e annusò da lontano la polvere bianca. Ma non c’era bisogno di controllare, era perfettamente chiaro di che cosa si trattasse. Il detective posò la droga sul tavolo e si pulì i palmi sulle ginocchia.

“Adesso dov’è?”

“In bagno con Connie. Era fradicio quando è tornato qui”.

Greg sospirò e si alzò in piedi andando fino in cucina. Qui si appoggiò sul tavolo da pranzo, le braccia incrociate sul petto. Sembrava che stesse cercando di controllarsi per non lasciar trapelare troppe emozioni dal viso, ma si vedeva chiaramente che anche lui era preoccupato.

“Sapevo che aveva avuto dei problemi con la droga precedentemente, ma… pensavo lo avesse superato”, mormorò l’uomo a bassa voce, quasi come se non volesse che qualcun altro udisse le sue parole, anche se lì c’erano solo lui e John.

 

Sherlock era seduto al centro del letto, in penombra, quando John entrò nella sua stanza per cercare una coperta in più nell’armadio. Il detective aveva ancora i capelli bagnati, ma questa volta non per l’acqua della pioggia bensì per quella della doccia. Indossava solo i pantaloni di una tuta e una maglietta a maniche corte, ma sembrava molto più sveglio e cosciente di prima.

“Non capisco perché tu l’abbia fatto”, sbottò John dirigendosi subito all’armadio. Aprì la prima anta quasi con violenza e si mise a scorrere con lo sguardo tra le varie camicie dell’amico. “Davvero non lo capisco. Sei sempre così cocciuto, ostinato, pensi di saper fare tutto da solo. Ma sai, a volte dovresti avere il coraggio di chiedere aiuto. Ci sono un sacco di persone che ti vogliono bene, che ci tengono a te. Non puoi semplicemente mandare a puttane tutto, fare l’egoista e comportarti come se non ti importasse. Se hai bisogno di aiuto lo chiedi”. John si girò di scatto verso Sherlock che non si era mosso di un millimetro, la testa rivolta verso il basso, le gambe incrociate e le mani che tormentavano un piede. Il dottore fu pervaso da un senso di tenerezza; gli ricordava un bambino che era appena stato scoperto ad aver detto una bugia bella grossa.
Rimase a guardarlo per un po’, insospettito dagli scatti involontari della sua schiena. Era strano che Sherlock non lo stesse guardando, di solito era sempre capace di sostenere gli sguardi.

“Sherlock?” lo chiamò, questa volta in tono più dolce. Si avvicinò al letto e poi vi salì sopra. “Sherlock?” ripeté, non ricevendo alcuna risposta. Cercò di guardarlo in viso, ma l’amico abbassò ancora di più il capo e un ciuffetto dei capelli ricci gli cadde davanti agli occhi. Allora John gli mise un dito sotto il mento e lo costrinse a girarsi verso di lui. Si scontrò con due occhi grigi resi ancora più chiari dalle lacrime che li inondavano e che scivolavano copiose lungo le sue guance, infrangendosi sul lenzuolo. “Oh, Sherlock”, sospirò John sbigottito e sconvolto. Allora lo attirò verso di sé lasciando che affondasse il viso nell’incavo del suo collo. Lo strinse forte, cullandolo tra le proprie braccia. L’amico ricambiò l’abbraccio  aggrappandosi alla maglietta dell’altro e si lasciò andare. John non disse niente, lo lasciò solo sfogare.

Dopo un po’, cercando una posizione più comoda, il dottore si stese di schiena sul letto trascinando Sherlock con sé che ancora si teneva aggrappato alla sua maglietta e non aveva smesso di versare lacrime.
Fu proprio così che li trovò Connie, entrando nella stanza. John poté leggere dello sbigottimento sul suo volto non appena li vide. Dietro di lei c’era anche Greg che rimase sulla soglia quando lei si sedette accanto ai due sul letto.
La ragazza passò una mano tra i capelli umidi del fratello, in una carezza amorevole e poi lanciò un’occhiata a John chiedendogli spiegazioni. Il dottore semplicemente scrollò le spalle senza sapere che dirle.

“Ti… ti dispiace se io e Greg restiamo qui a dormire?” chiese a bassa voce.

“No, no, fate pure. Potete prendere la mia stanza. Io resto con lui”.

“D’accordo”. Connie si alzò e raggiunse Lestrade alla porta. “Chiama se hai bisogno di qualcosa”.

“Buonanotte, ragazzi”.

John rimase da solo con Sherlock. Il detective non si era ancora addormentato, il dottore sentiva il suo respiro caldo contro la propria spalla e il suo corpo tremante spingersi contro quello dell’amico. Nel frattempo, fuori la pioggia continuava a cadere e le gocce battevano contro la finestra creando una sorta di ritmo musicale. Sembrava quasi che il cielo avesse deciso di fare compagnia a Sherlock quella notte e che stesse piangendo con lui, come a voler condividere il dolore.
Era così tremendamente romantico e poetico e… doloroso.

John afferrò un lembo delle coperte e le rovesciò sopra il proprio corpo e quello dell’amico, ormai dimentico della coperta che stava cercando. Si sarebbero tenuti al caldo da soli.
Non era certo di quanto avrebbe dormito quella notte, tuttavia era meglio almeno tentare. In un’altra situazione avrebbe gioito nel trovarsi abbracciato all’uomo che amava, ma non così, non con Sherlock in quelle condizioni.
In ogni caso, quella notte non l’avrebbe affatto dimenticata.

 

 

MILLY’S SPACE

Hola a todos!!

Lo so, il capitolo è più breve del solito, ma considerando che sono stata rapida ad aggiornare, potete anche perdonarmi ^^

Che dire? Temo che in questo capitolo Sherlock sia un po’ OOC ma questa scena ce l’avevo in mente da un po’ e avrei avuto i rimorsi di coscienza se non l’avessi messa. Lo trovo tenerissimo e voi?
Dai, ditemi qualcosa. Non abbiate timore di recensire e di dire la vostra opinione, non vi mangio mica. Non sono Sherlock xD al massimo mando Moriarty a uccidervi. Ahaha, no scherzo.

Un bacione a tutti e ricordatevi di passare sulla mia pagina facebook, Milly’s Space.

Ciaoooo.

MONKEY_D_ALYCE: spero tu non abbia rotto il computer questa volta ^^ comunque ce ne saranno tanti altri di segreti che verranno fuori, forse già nel prossimo capitolo. Ammetto che Mycroft qui non si è fatto molte belle figure, ma non preoccuparti, prima o poi si rifarà.
Un strasuperbacione anche a te.
Milly.





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