Capitolo I
Odiavo
le luci al neon, da sempre. Avrei preferito che la stanza fosse
illuminata da una misera candela, la cui fiamma avrebbe almeno
trasmesso calore, piuttosto che da questi apparecchi. Non facevano
che aumentare la freddezza della grande stanza adibita a mensa.
Sedevo al solito tavolo insieme a mia sorella Prim, che giocava
distrattamente col cibo che aveva nel piatto. Per nessuno era stato
facile abituarsi alle rigide regole della nostra nuova casa,
specialmente per i più piccoli. Nel distretto 12 non avevamo
nulla, riuscivamo appena a mettere qualcosa sotto i denti, ma
godevamo di una certa libertà, seppur apparente. Io ero
l'esempio lampante di quella situazione: da quando mio padre era
morto, avevo iniziato a scavalcare la recinzione che delimitava il
distretto per addentrarmi nei boschi e cacciare con arco e frecce.
Una parte delle prede la tenevo per me, Prim e nostra madre, ma la
maggior parte la vendevo o la barattavo al Forno. I Pacificatori
chiudevano un occhio, anche perché erano i primi a fare affari
lì dentro. Dopo l'Edizione della Memoria, pochi di noi sono
riusciti a scappare e a essere salvati dagli hovercraft mandati dal
distretto 13 a seguito dei bombardamenti da parte di Capitol City, e
di tutto ciò che conoscevamo non rimaneva più niente.
Mi capitava spesso di perdermi in quei pensieri, specialmente quando
mangiavo, e il più delle volte finivo per incupirmi più
di quanto non fossi già. Per fortuna avevo mia sorella che
riusciva sempre a strapparmi un sorriso e a farmi comportare in
maniera accettabile davanti alle altre persone. O quasi. Le porte
della mensa si aprirono ed entrarono Johanna Mason, distretto 7, e
Finnick Odair, distretto 4, entrambi vincitori degli Hunger Games e
tributi per l'Edizione della Memoria. Finnick teneva per mano Annie
Cresta, anche lei vincitrice dei Giochi; Johanna aveva la testa
rasata e uno sguardo tormentato e triste. Era stata salvata una
settimana prima da una squadra di soccorso che si era recata a
Capitol City, e di quel gruppo faceva parte anche il mio amico Gale
Hawthorne. Non lo vedevo da un paio di giorni, era sempre impegnato
nel centro di comando e non avevamo modo di stare insieme come quando
eravamo a casa. Mi mancavano le nostre giornate di caccia all'aria
aperta, il nostro rapporto profondo, senza complicazioni. La guerra
aveva cambiato anche quello purtroppo.
“Katniss?
Hai finito?”
La
voce di Prim mi riportò alla realtà e mi affrettai ad
annuire e ad alzarmi. “Sì, andiamo.”
Ci
dirigemmo verso il bancone per posare i vassoi, passando fra i
tavoli. Mentre camminavo, alzai la testa, guardandomi brevemente
intorno, e notai due occhi incredibilmente azzurri che mi fissavano.
Appena i nostri sguardi si incrociarono, il ragazzo tornò a
chinare la testa sul suo piatto, facendo finta di nulla. Si chiamava
Peeta Mellark ed era l'ultimo dei tre figli del fornaio che abitava
nel 12. Aveva la mia età e avevamo frequentato la scuola
insieme, anche se lui stava sempre con i figli dei commercianti e io
con i ragazzi del Giacimento. Non ci eravamo mai parlati, eppure
condividevamo una sorta di legame speciale e segreto: quando mio
padre morì, saremmo morte di fame se Peeta non mi avesse dato,
o meglio lanciato, due pagnotte di pane destinate ai maiali, perché
troppo bruciate per essere vendute. Quel gesto, che inizialmente
credevo di aver soltanto sognato, mi dette speranza e la forza per
rimboccarmi le maniche; avrei voluto ringraziarlo il giorno dopo a
scuola, ma non trovai le parole adatte, come al solito. Da allora lo
sorpresi più volte a guardarmi con discrezione, pronto a
distogliere lo sguardo appena me ne accorgevo. Il fatto che non
avesse perso questa strana abitudine mi rincuorava in un certo senso,
mi dava l'illusione che la vita che avevo a casa non fosse cambiata
del tutto, ma così non era. Non capivo il motivo di tutto
quell'interesse nei miei confronti, ma non mi importava più di
tanto.
“Cosa
ti dice il programma?” domandai a Prim, fermandomi per rifarmi
la treccia.
“Devo
aiutare la mamma in ospedale.” rispose lei, come se fosse la
cosa più bella che una bambina di tredici anni potesse fare.
“Tu?”
“In
teoria l'addestramento, ma credo che rimarrò a gironzolare.”
Prim
incrociò le braccia sul petto e mi guardò in tralice.
“Perché ti ostini a non voler fare quello che ti viene
detto?”
“Non
voglio diventare un soldato, lo sai.” dissi mentre passavo la
mano su una piega inesistente dell'uniforme grigia fornita dal
distretto 13. “Andiamo forza, altrimenti farai tardi
paperella.”
Le
feci il solletico e lei rise sia per quello sia per il nomignolo. Si
girò per contrattaccare, cogliendomi di sorpresa, e feci due
passi indietro per difendermi, finendo per andare a sbattere contro
qualcuno che mi afferrò per le spalle, evitando di farmi
cadere.
“Scusami,
io...” cominciai a dire voltandomi, però mi bloccai
appena riconobbi il ragazzo che continuava a stringermi le braccia.
“Non
ti preoccupare.” disse Peeta sorridendomi, mettendo poi le mani
in tasca.
“Grazie.”
Lui
annuì, ci superò e aprì la porta della mensa per
farci passare. Prim gli regalò uno di quei sorrisi che
potrebbero far sciogliere la neve, e Peeta fece altrettanto,
spostando poi lo sguardo su di me.
“Ci
vediamo Katniss.”
Io
non feci altro che un cenno con la testa per ringraziarlo e mi
incamminai verso la mia stanza, confusa da quel semplice gesto di
pura cortesia e incapace di togliermi dalla mente il suo volto che mi
sorrideva timidamente.
Buonasera!
:)
Sono
tornata con una fanfiction Everlark che spero vi piaccia. Questa
storia è nata da una mia curiosità: se nessuno dei due
fosse stato estratto per gli Hunger Games, se Katniss non fosse stata
il volto della ribellione e Peeta non fosse stato depistato, come
avrebbero potuto conoscersi? E così ho buttato giù
questo primo capitolo dove i nostri piccioncini sono due ragazzi
qualunque, sopravvissuti alla distruzione del distretto 12.
Spero
che sia di vostro gradimento, sarei contenta se me lo faceste sapere,
i vostri giudizi sono importantissimi :)
Alla
prossima ragazzi!
Sara
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