Gorgoglìo.

di hiccup
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Trenta giugno: fuso orario.
 
 
(Non ne ho memoria)
(Eh, io sì, invece. Ed è questo che conta.)
(Ma contestualizza.)
(…)
Ok, forse ho capito… Giulia!
(Perché scriviamo tra parentesi?)
(Io avevo smesso, ma in effetti è una droga.
Penso che tutto questo sia una parentesi
dal discorso principale che era ... … …)
(Fa molto mainstream tutto questo, sai?)
(Un sacco.)
 
 
Persino il caffè questa mattina è insapore;
l’aroma amaro sbiadito e slavato da un cielo
grigio e vuoto
– afono tanto quanto il profondo silenzio notturno;
lo zucchero raffinato annega insalubre nei
piccoli gorghi esangui di un volto devastato dalla malattia,
da lontani ricordi putrefatti, dall’inconsapevolezza.
 
La notte però scorre in un sussulto che proviene
da un tenue e pallido futuro contemporaneo;
scaturisce un sorriso e qualche parola riesci a masticarla
persino tu, sebbene la bocca impastata e la lingua gonfia di sogni.
 
Cosa non fa la lontananza;
se possibile porta ancora più vicini.
Ironicamente è un ossimoro azzardato.
Ma è la realtà che si percepisce, questa,
e va bene così; non c’è altro da afferrare.
 
Siamo così labili: arranchiamo per porre
la nostra impronta nel mondo; ma subito
giunge l’alta marea – brilla la luna in angoscia –
e bacia il nostro mondo violentemente
cancellandone ogni traccia. È un addio.
 
Tuttavia, nonostante tutto,
- sebbene questo caffè sia davvero disgustoso,
io rimango qui
a farmi accarezzare dalle onde.
 


 
*




 




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