FMA
Fandom:
Fullmetal
Alchemist
Rating:
Arancione
Personaggi/Pairing:
RoyEd, Un Po' Tutti
Tipologia:
Long-Fic
Genere:
Sentimentale, Malinconico,
Drammatico, Avventura
Avvertimenti:
Post-Shamballa, basata sulla prima
serie dell'anime e non su manga e/o Brotherhood.
Disclaimer:
Personaggi, luoghi, nomi e tutto ciò
che deriva dalla trama ufficiale da cui ho elaborato la seguente
storia, non mi appartengono.
Dedicata
a tutte le ragazze della divisione RoyEd. Mi dispiace, sono un po'
arrugginita ma vedrò di impegnarmi a fondo per scrivere qualcosa di
decente.
GO
THE DISTANCE
PROLOGO
La
ripresa della conoscenza fu, per Edward Elric, dolorosa.
Sentiva
il petto alzarsi ed abbassarsi nel tentativo, da parte dei suoi
polmoni, di inspirare avidamente aria e, ad ogni movimento, poteva
quasi giurare di sentire le proprie costole spaccarsi in mille
pezzettini di osso e poi rimettersi assieme come uno scherzo crudele,
pronte a farlo soffrire ancora al prossimo inspirare.
La
testa, poi, sembrava esplodergli, faticava anche solo a restare
sveglio; in bocca aveva ancora il gusto ferroso del sangue e non
sentiva più i denti, figuriamoci la faccia.
Un
pestaggio da manuale, neppure ricordava cosa fosse successo...
Aveva
discusso con due o tre avventori un po' troppo brilli nel pub in cui
lui e Al avevano pernottato sulla strada per Londra...
AL!
Come
se il nome del fratello gli avesse infuso nuove energie, Edward
scattò seduto e, gemendo per il dolore inflittogli dalle ferite,
cercò di mettere a fuoco l'ambiente che lo circondava: l'esperienza
lontana nel tempo di un soldato rimasto a lungo, fisicamente, lontano
dal campo di battaglia ma mentalmente sempre pronto alla lotta lo
spinse istintivamente a poche e semplici azioni.
Indosso
non aveva nessuno dei propri vestiti, solo una scomoda casacca
bianca.
Il
letto su cui si trovava era una semplice brandina come quelle
militari su cui tante volte si era trovato disteso in passato; Ed
fece una smorfia mentre osservava con attenzione la stanza, spoglia e
bianca.
Era
un ospedale e la sua testa doveva aver preso una bella botta se, per
un attimo, aveva estratto dai cassetti del passato un così triste
ricordo: credeva di essersi ormai abituato alla cosa.
Ormai
sarebbe stata quel mondo la loro casa... Non sarebbero mai tornati ad
Amestris e quello era un ospedale come un altro, non una struttura
militare.
Ciò
gli fece tornare in mente prepotentemente Alphonse.
Dove
diavolo era suo fratello?
La
camera era avvolta nella penombra ma il suo era l'unico giaciglio ivi
presente.
Chiunque
li avesse portati lì, sempre se avesse condotto con sé anche il
fratello minore, doveva averli messi in due ambienti separati.
Un'improvviso
giramento di testa e la mancanza di qualunque energia bastò però
per far desistere il maggiore degli Elric dal tentare di alzarsi per
andare in ricognizione: doveva essere veramente conciato male...
Istintivamente,
cercò di sollevare entrambe le braccia ma solo una rispose
all'appello.
Coprendosi
gli occhi con l'avambraccio, gemette: come diavolo avrebbe fatto
adesso?
Non
tentò neppure di muovere le gambe, la sensibilità che stava
ritornando ai suoi arti gli fece capire che, allo stesso modo del
braccio, anche l'Automail alla gamba era stato portato via: chiunque
fosse stato, voleva assicurarsi che gli fosse impossibile fuggire.
Mano
molto ben giocata, doveva ammetterlo.
Ma
non era ancora detta l'ultima parola.
All'improvviso,
udì qualcuno armeggiare con la porta e si irrigidì, imponendo al
proprio corpo una totale immobilità: doveva raccogliere quante più
informazioni possibili e non voleva farsi vedere sveglio.
Regolarizzando
il respiro come quello di una persona profondamente addormentata,
egli tese le orecchie, udendo due voci parlare a bassa voce e con
concitazione: “Le lastre sull'altro giovane sono buone, avete già
chiamato qualcuno per parlare con loro?” una donna, probabilmente
di mezza età.
“Sì,
dottoressa, abbiamo mandato una copia delle cartelle cliniche
complete di fotografie come da procedura, possiamo solo aspettare.
Purtroppo, casi del genere sono molto comuni negli ultimi tempi.”.
Casi
del genere?
“Lo
comprendo, ogni due giorni veniamo chiamati per soccorrerne un paio,
la situazione ormai sta sfuggendoci di mano. Abbiamo dovuto isolare
quest'ala dell'ospedale apposta per ricoverare tutte le vittime.”.
Isolare?
Che
avessero contratto qualche strana malattia?
E
se anche Al...?
Un
dolore improvviso al petto gli mozzò il respiro in petto e gli
strappò un gemito, udibilissimo.
“E'
sveglio?”
La
domanda inopportuna non tardò quindi ad arrivare.
Edward
sospirò, era inutile continuare a fingere.
Lentamente,
alzò le palpebre, trovandosi immerso in una tenue luce proveniente
da una piccola lampada, che prima non aveva notato, poggiata su di un
piccolo comodino alla propria sinistra.
“Mio...
fratello...” rantolò.
“L'altro
ragazzo, intende?” un viso stranamente familiare fece capolino nel
suo campo visivo e, accanto ad una donna effettivamente di mezza età,
comparve una giovane infermiera dalla cuffietta candida.
Ed
annuì, incapace di proferire verbo: la gola secca gli doleva.
“Non
si preoccupi, è nella stanza accanto e sta bene... Ora pensi solo a
riposare, presto le spiegheremo tutto.”
L'altra
donna annuì prima di fare un passo in avanti: “Ha preso una brutta
botta in seguito alla caduta e le abbiamo diagnosticato anche una
serie di fratture non imputabili alla sopracitata caduta, ha una vaga
idea di come se le sia fatte?”.
Il
giovane chiuse per un momento gli occhi, lasciando che frammenti vari
di ricordi gli tornassero alla mente: effettivamente...
“Ci
siamo accapigliati con... due persone... forse tre... ce l'avevano
con noi, erano ubriachi...” sebbene qualcosa fosse chiaro, il resto
era del tutto nebuloso...
“Abbiamo
un appuntamento a Londra... Quando posso andarmene?” chiese quindi,
stancamente: “E dove sono i miei Auto... le mie protesi?” si
corresse rapidamente.
L'occhiata
che si scambiarono, nonostante la confusione, non sfuggì a Edward.
“Senta,
la situazione è ancora piuttosto critica.” confessò la più
anziana delle due: “Ha una ferita sul volto che ha fatto infezione,
non credo che possiate venir dimessi presto. Senza contare le
fratture. E poi, i militari gradirebbero scambiare due parole con lei
e con... suo fratello, esatto?”.
I
militari?
“Non
capisco... Cosa vuole l'esercito inglese da noi...? Se temono che
siamo spie tedesche, posso assicurarle...”
“No,
no, non è nulla di tutto questo... E' solo che...”
Ora,
la pazienza non era una dote della famiglia Elric, men che meno del
loro primogenito: Edward non era stupido, capiva che c'era qualcosa
che non andava.
“Cosa
sta succedendo?” chiese, con il piglio militare di un ex Alchimista
quale era: “Ho il diritto di sapere cosa mi sia successo e per
quale motivo io e mio fratello ci troviamo in un ospedale senza
potercene andare con le nostre gambe. E dove sono state portate le
mie protesi?”
Le
due donne restarono in silenzio per alcuni secondi, poi fecero un
profondo sospiro.
“Credo
proprio che il vostro appuntamento a... Lontra debba venir spostato a
data da destinarsi. E non aveva alcun tipo di protesi addosso quando
siete stati ritrovati, devono avergliele portate via prima”
l'infermiera sembrava essere impallidita di colpo.
Okay,
storpiare il nome della propria capitale, per un inglese, era
veramente grave.
A
meno che...
Il
cuore iniziò a battergli forsennatamente nel petto, la mano gli
tremava senza controllo mentre una strana energia, lungamente
rimpianta, gli fluiva nelle vene assieme al sangue.
Gli
occhi si riempirono di lacrime.
Era
veramente possibile...
“Ora
si calmi, faremo del nostro meglio per aiutarla.” la voce
dell'infermiera sembrava sinceramente preoccupata e spaventata ma lui
non le diede retta.
Lui
non aveva bisogno di essere aiutato, se veramente la sua sensazione
era corretta.
“Dove
mi trovo?” chiese con un filo di voce, alzando i grandi occhi
dorati e puntandoli sulle due donne.
“E'
in un ospedale militare... in una città di nome Central City.”.
§§§
Il
luogotenente Falman attendeva il messo dall'Ospedale Centrale sotto
il porticato del Comando Militare di Central City fumando una
sigaretta: pioveva ed era impaziente di tornare al caldo dell'ufficio
della guardia principale e finalmente concludere quelle pratiche che
da giorni si portavano dietro.
Quella
storia era assurda.
Vato
non era un Alchimista ma aveva avuto abbastanza a che fare con
Alchimisti da capire quando le cose cominciavano ad andare male per
colpa di qualche spostato con capacità fuori dal proprio controllo.
Insomma,
ne avevano passate di tutti i colori in passato, soprattutto quando
c'erano ancora i fratelli Elric.
“Sarebbe
bello che foste qui, ragazzi.” disse, alzando gli occhi verso il
cielo: “Il vostro aiuto sarebbe prezioso.”
E
non era una bugia: da un paio di mesi a quella parte, erano scomparse
e continuavano a scomparire sempre più persone mentre ne
riapparivano altre, in stato confusionale e terrorizzate.
Dal
alcuni interrogatori, era venuto fuori che non c'era una logica in
queste scomparse e nelle successive riapparizioni: ma su di una cosa
si era certi, quelle persone non appartenevano al loro mondo.
Da
lì, il passo verso l'ipotesi che provenissero dall'altra parte del
Portale era breve.
Fin
troppo vividi erano ancora infatti i ricordi della grande crisi di
sette anni prima, durante la cui battaglia erano stati visti per
l'ultima volta Edward e Alphonse Elric.
E
la loro presenza,oltre che di conforto, sarebbe stata di notevole
aiuto per uscire da quel ginepraio senza senso; molte cose erano
cambiate, purtroppo e anche le persone lo erano: ma nonostante tutto,
come se fosse stata una promessa silenziosa ad unirli, lui e gli
altri erano rimasti fedeli a loro stessi e alla strada che avevano
intrapreso anni prima.
Lui,
Kain, Breda, Riza...
Le
truppe si sfaldano, vengono trasferite e spesso le amicizie rischiano
di inaridirsi; eppure il tempo aveva risparmiato la loro famiglia –
e una mano dall'alto aveva contribuito a non separarli – e ora
speravano di essere pronti ad affrontare questa nuova minaccia.
Lo
dovevano a troppe persone.
“Luogotenente!”
Il
filo dei suoi pensieri venne però interrotto dalla voce squillante
del messo, un ragazzotto dai capelli rossi e dalla pesante casacca
verde che correva attraverso la piazza deserta se non per qualche
raro collega che correva per non bagnarsi.
Era
una giornata relativamente tranquilla, a parte per la notizia di una
nuova comparsa repentina.
Da
quel poco che sapeva, due giovani erano precipitati giù dal cielo e
dritti nel fiume: solo l'azione rapida di un gruppo di passanti aveva
impedito che annegassero.
Vato
lanciò per terra la sigaretta ormai spenta e fece cenno al
ragazzotto di raggiungerlo all'asciutto, si era avvicinato abbastanza
da notare la voluminosa sacca che stringeva tra le braccia.
“Hai
fatto presto.” constatò il militare, passandogli una salvietta per
asciugarsi i capelli e liberandolo dall'ingombro del bagaglio.
Il
giovane ringraziò con un cenno del capo e la prese tra le mani
tremanti: “La dottoressa Grunwald è stata perentoria, mi ha detto
di portarvi queste cartelle con la massima velocità possibile. Si è
anche raccomandata di dirvi che i nuovi pazienti avranno una prognosi
discretamente lunga, non erano conciati bene.”.
“Conseguenze
della caduta?” chiese il luogotenente, estraendo il plico di fogli
dalla loro copertura.
“No,
signore. La dottoressa pensa che siano ferite derivate da un
pestaggio, ha rilevato fratture multiple, traumi di varia natura e
uno zigomo spaccato. Sono due, avranno a malapena una ventina d'anni
a testa e sembrano molto provati, dovevano essere viaggiatori, tra le
loro cose hanno rinvenuto una valigia con pochi vestiti maleodoranti
e un paio di fotografie tutte sbiadite e praticamente indecifrabili,
anche la documentazione che avevano è illeggibile. Non sappiamo
neppure i loro nomi.”.
Falman
scorse rapidamente i primi fogli, vergati nella calligrafia stretta
della dottoressa che il Comandante aveva messo a capo della divisione
sanitaria preposta a quella situazione: era una prima anamnesi delle
condizioni dei due pazienti - buttata giù alcune ore prima a seguito
della loro entrata all'Ospedale - e ricalcava in pieno il succinto
rapporto a voce del messo.
“Santi
numi,” esclamò stupito: “Ma come è possibile riportare ferite
del genere?”
“E
c'è di più, sembra che alcune fratture non siano state curate a
dovere, fratture piuttosto vecchie tra cui un serio trauma alla testa
riscontrato al più anziano. Mi creda, l'essersi ritrovati sbalzati
da questa parte non sarà mai peggio di quello che hanno vissuto.”.
“C'è
una loro fotografia?” chiese il militare.
“Certo,
è sul fondo assieme all'ultima diagnosi e alla prescrizione della
prognosi definitiva.”.
Sotto
quella pioggia battente, il cuore di Falman si fermò.
Non
riusciva a credere a ciò che i suoi occhi vedevano.
Certo,
erano diversi dall'ultima volta in cui li aveva visti – il tempo
doveva essere trascorso anche per loro, e molto dolorosamente – ma
non aveva dubbi che i visi addormentati e tumefatti che erano
raffigurati nelle fotografie fossero quelli di Edward e Alphonse
Elric.
Che
il Destino volesse beffarsi di loro ancora una volta?
“Luogotenente...
Tutto bene?” azzardò il giovane con voce preoccupata.
Falman
annuì frettolosamente e si strinse al petto i fascicoli con mano
tremante: “Torna dalla dottoressa e dille di non fare nulla sino al
nostro arrivo. Questa è una faccenda della massima importanza, mi
sono spiegato?!” gridò e, senza neppure salutare, corse
all'interno dell'edificio.
Era
tarda mattinata e tutti i colleghi di stanza all'HQ erano nei propri
uffici a compilare scartoffie quindi l'atrio era deserto quando Vato
fece irruzione con veemenza, facendo trasalire l'ufficiale alla
reception.
Ma
lui non si fermò e, anzi, cominciò a correre attraverso i corridoi
del primo piano con la mente e il cuore in subbuglio: era una
speranza flebile, certo, ma quel viso era inconfondibile anche sotto
i lividi, le cicatrici e la lieve barba incolta, le occhiaie e l'aria
sperduta.
“Ragazzi!
Ci sono grandi novità!” gridò trafelato, spalancando senza troppe
cerimonie la porta dell'ufficio comune: “Devo parlare con il
Comandante!”.
Quattro
paia di occhi si voltarono verso di lui, confusi e sorpresi: “Che
succede?” chiese Kain, raccogliendo da terra i fogli che gli erano
caduti per lo spavento, “Amico, non ti fa bene correre così.” lo
rimproverò Breda, inginocchiandosi ad aiutare il compagno più
giovane.
Riza
Hawkeye, da parte sua, gli rivolse un'occhiata di fuoco mentre Havoc,
con passo lento e cadenzato, lo raggiungeva: “Che ti prende? Il
Comandante è fuori ufficio per una riunione, lo sai.”.
“Dobbiamo
contattarlo e farlo tornare subito qui!” esclamò con gli occhi
spalancati: “Sono loro! Sono tornati!”.
Le
facce dei suoi colleghi e amici di sempre rimasero con la stessa
sfumatura di confusione di poco prima.
“Cosa
stai blaterando?” lo apostrofò Riza, alla quale gli ultimi anni
avevano donato un viso ancora più affilato.
Per
tutta risposta, Vato estrasse le fotografie dai fascicoli e le lanciò
in mezzo alla stanza: “Voglio dire,” disse, prima di inspirare
profondamente, “Che le ultime vittime di queste misteriose comparse
potrebbero essere due nostre vecchie conoscenze. Ora possiamo andare
a chiamare il Comandante Mustang?!”
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