Risvegliarsi

di Rucci
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Risvegliarsi disteso, tra morbide, bianche lenzuola.
No. No.
Quel crudele sogno.
Si sarebbe alzato, gli ultimi strascichi del dolce, indolente sonno. Placidi raggi di sole l'avrebbero accarezzato, adulato; dita dorate che lo invitavano a stendere le flessuosa membra così che esse potessero accarezzarle, seducenti, e tirarlo per le vesti, allegre e divertite, come amanti in un gioco sciocco e delizioso. Tirato per le vesti dalle dita del sole, Saga si sarebbe voltato e avrebbe riempito gli occhi dell'unica, pregnante visione che il mattino gli avrebbe regalato: una statua perfetta, un Adone scolpito nel marmo più pregiato, Endimione dalle labbra piene, i riccioli composti sul viso, intrecciati di rame e legno di ciliegio. Il fiato gli si mozzava in gola ogni volta. Mai mancava di trattenerlo, ed era una piccola morte e risurrezione. Ogni mattina.
"Nobile Saga."
Verde mare, gli occhi che si aprivano. Sorridenti.

"Nobile Saga?"
"Aioros. Sei tornato."
"Sì, Saga. Sono qui. Sono sempre stato qui."


"Devi smetterla di guardarmi così. Saga!" Un riso aperto, anche se contenuto. Aioros lo scrutava indagatore, con l'aria buffamente curiosa. Si divertiva. Saga lo contemplava, adesso sorridendo a sua volta, disteso tra le lenzuola. Tutto lo accarezzava in maniera così suadente. Il lino, l'aria tiepida. Quel sole.
"Hai nuovamente fatto un sogno angoscioso. Non è così?"
Saga rise gradevolmente, con la sua voce profonda, all'aria più cupa e seria che il cavaliere aveva assunto. Già si preparava a trarne degli auspici, dall'espressione.
"Nulla di tutto questo. Tranquillo."
"Non mentirmi."
Più caldo, questa volta. Si rilassava con lui. Il sole lo graziava ed illuminava come se fosse stato un dio. Tutti quegli omaggi ultraterreni, Saga lo sapeva, erano per Aioros. Aioros che era tornato. Luce, aria, e acqua che sgorgava. E terra e germogli che fiorivano sui verdi prati lontani dal Santuario. Prati mille volte percorsi assieme, dall'erba alta e verde, lucente, fresca al tatto; l'accompagnavano i boccioli chiusi sui piccoli rami, e quelli delle siepi. Saga sapeva che tutto questo era per lui. Lo guardava incantato e rapito, la guancia appoggiata al palmo della mano.
"Non mento. Non ricordo che cos'ho sognato."
"Non ricordi?"
"Nulla. Il nero. È una bella giornata, oggi, vero?" Gli sorrise, timidamente, per poi sporgere mani più audaci. Accarezzavano Aioros sui fianchi, sfiorando gli addominali perfetti.
"Una bellissima giornata!" A lui s'illuminò lo sguardo, scalpitante di pura energia. Il sole, il sole stesso lo animava. In lui c'era quella stesso palpitante vigore di tanti anni prima, imbrigliato in redini di cuoio rosso. Il giovane al suo fianco vi s'immergeva, inebriato, riconoscendolo e conoscendolo più mitigato, reso più temperato dagli anni. Riscaldava senza rischiare di accecare, o bruciare. Come il divino Zeus al fianco dell'incosciente Semele. O come gl'irrefrenabili cavalli di Febo, folgori di luce, che avevano disarcionato Fetonte. Il cavaliere del Sagittario fremeva di pura vita - vita, vita! Saga lo strinse tra le proprie braccia, fuggendo da quel sorriso sereno, adulto, diverso ed identico al giovanile illuminarsi nel saluto, nelle passeggiate e nel dirigersi fianco a fianco nell'arena polverosa. Tanti anni prima… loro usavano…
"Mio nobile Saga."
Usavano passeggiare… moltissimo.
"Mio Saga."
Attraverso sentieri polverosi e prati verdi, lontani dal Santuario. Verso le antiche rovine. Verso le scogliere. Verso boschi. Verso colline deserte. Verso acque e soli splendenti.
"Saga."
Sentì le sue labbra, morbide e piene.
Sensuale, vi si abbandonò, fondendosi con lui.
E rami, e frasche, e canti d'uccelli, e un timido gocciolare…


Era tanto che non ripercorrevano quel sentiero. Era ormai poco battuto, e il sole preludeva dirigendo il coro di luci rosse e rosate ad un tramonto malinconico. Ma loro camminavano, infaticabili, tra l'erba alta, Aioros ed i suoi passi atletici, Saga e il suo incedere sontuoso. Camminavano da ore, parlando. Tanti anni erano stati loro negati. E fendevano nuovi sentieri, riconoscendo le prime stelle, e aspettando Venere irradiarsi bianca nel cielo. Saga lo fissava, scrutando i toni del turchese che si faceva violaceo, lungo la linea dell'orizzonte frastagliato. Venere, Stella della Sera e del Mattino, dov'era?
Parlavano di poesia.
Di guerra.
D'amore.
Di vita.
E Venere, la Stella della Sera, si era accesa per Aioros.
Di nuovo di guerra.
E di Giustizia.
E di quanto più bello potesse esistere e l'Attica vasta offriva loro. Leggende di dèi, leggende di eroi. Imprese in miti e storia, in sogni e terra, e Venere, Stella del Mattino, si era accesa per Aioros. Saga la contemplava, splendente, inferiore solo alla luna, e l'ammirava. Piano piano, tutte le stelle. Discretamente, comparendo schive, poi a gruppi, sfumate, e in crescendo di scie. Le stelle tutte fiorirono per Aioros, e poterono distinguere le costellazioni e chiamarle per nome, tra il debole frinire delle cicale.
Perché non credere alle stelle, e alle cicale?
Perché non credere ad Aioros?
Senza di lui, quale vita?
Per chi avrebbe desiderato, palpitato, vissuto, se non per lui? La stessa sua vita era fiorente testimonianza della presenza della voce limpida e profonda che al suo fianco declamava, al pari delle gemme in fiore tra rami e cespugli, rigogliosi di vita assieme a lui.
"Che qualcuno mi svegli da questo sogno" pregava silenziosamente Saga tra i sorrisi estasiati, "ora, prima che il mio animo venga rapito per sempre."
Ma nessuna mano fredda lo attanagliava alla gola, strattonandolo bruscamente all'indietro. Le uniche dita erano quelle dorate della luce del mattino. Giochi, risa, e labbra più dolci del miele. Venere, astro lucente del mattino e della sera, scintillava negli occhi di Aioros, bellissimo, rilucente Aioros. La brezza tiepida gli scompigliava ad arte i riccioli perfetti. Era troppo bello da credersi vero. Perciò lo toccava, perso nell'estasi, carezze lievi, a dita aperte, audaci i palmi sui suoi fianchi, sulle braccia muscolose, ardenti le labbra sulle sue. Ed inchiodava occhi in occhi che lo affrontavano apertamente, senza paura. Aioros l'incorruttibile. La loro limpidezza era quella che sollevava il vento e rendeva le foglie simili a violini nel fruscio della sera, che attirava il sole ed accendeva le stelle del firmamento. Verde mare, azzurro di bosco, cielo riflesso in laghi persi nel verde di querce, pini, castagni e faggi.
"Saga? A cosa stai pensando?"
Lo riscosse dai suoi pensieri. Sorrise. E tacque.
"Dimmelo, te ne prego."
"Mi sgrideresti." Allungò una mano a carezzargli il volto, mentre lo diceva, incapace di staccare gli occhi dall'amato compagno. Carezzevoli le dita che col dorso scendevano dallo zigomo al mento, il Santo di Gemini aggiunse, perso com'era nella sua contemplazione: "È tutto talmente bello da non sembrare vero."
"Nobile Saga!" La voce era un dolce rimprovero. Gli occhi si erano istantaneamente fatti più severi, fermi nel ritratto della determinazione. Voleva essere convincente, Aioros di Sagitter. Saga sorrise.
"Nobile Saga, devi scacciare la paura che alberga nel tuo cuore."
"Sono debole. Perdonami."
"Non sei affatto debole, mio splendido amico. Ma oscuri demoni lottano nel tuo cuore."
Saga sapeva che non si stava riferendo agli sciagurati avvenimenti di quella notte. Abbassò comunque lo sguardo, intrecciando le dita alle dita di Aioros. Ruvide sui polpastrelli e forti, scurite dal sole, contrapposte alle sue, più pallide, e flessuose ed eleganti. Ne saggiò il tocco e il calore. Sospirò.
"Sono qui, Saga" la voce profonda di Aioros si abbassava in un sussurro dolce, come a stemperare la gravità delle sue parole. Sussurro caldo profumato di vita. "Sono qui con te. Non me ne andrò più."
E mentre il cuore gli si spalancava verso di lui nuovamente allungava le braccia, con un che di triste che tintinnava come eco distante in tutta quella trepida gioia. Gioia di vivere. Gioia di essere vivo. E baci a cascate, e carezze, e parole d'amore. Le mormorava come qualcosa di sacro, mai ad alta voce, e come mistico canto le sentiva librarsi in cielo solo quando accompagnate dalle stesse, dolci insensatezze di quelle labbra accostate alle sue, oro, incenso e mirra. Aioros l'invincibile.
Che qualcuno…
Strascichi argento di luna non impallidivano la sua pelle di guerriero; in quella estenuante calura di notte, Saga pensò fosse dolce soffocare. L'apnea era spezzata da boccate d'aria calda come vapore. Aioros diveniva sfocato, visione appannata dietro un vetro, Aioros il magnifico, lo splendente, diletto degli dèi…








"Vostra Santità? Dormite ancora?"








Note dell’autrice ~

Epilogo:

Nessun epilogo felice, qui. Questo era puro sfogo di angst. Ma Aioros è ancora vivo, lo so, da qualche parte, tornerà e si scatenerà un'intensa storia d'amore che ai tempi bui non ebbe tempo di sbocciare, ecco. *IO CREDO NELLE FATE, LO GIURO, LO GIURO!*


Note più serie
:

1) Fanfic in due parti. La precedente riguardava Kanon e Rhadamantis. Il risveglio è il punto di partenza, loro fanno il resto. I personaggi appartengono a Masami Kurumada, non a me, ma io li amo tanto tutti quanti. E li slasho.

2) Che dite, Kanon se l'è passata meglio? Temo di sì. Ma non è colpa mia. Non so quale imperscrutabile bilancia cosmica del karma abbia deciso di ripartire in questo modo le sorti dei due fratelli, a suo modo riequilibrando disparità. Uno tanto amato rimasto completamente solo e l'altro, rinnegato, che si lega a qualcuno. Potrebbe vedersi così. Sono ignara quanto voi.

(andiamo, comunque. AiorosxSaga = Angst. Non poteva andare diversamente. Me ne scuso)

3) Questa fanfic è dedicata come sempre alle mie muse (Leryu, Kijomi, LeFleurDuMal), e a tutti coloro che hanno recensito il primo capitolo. Mi sembrerebbe ingiusto elencarvi per nome - per non dare meno importanza ai lettori che verranno dopo e che non avrò modo di ringraziare, dato che qui si conclude la fanfic XD - ma sappiate che ho dedicato a ciascuno un amoroso pensiero di gratitudine. Le recensioni fanno uno scrittore felice! >_<





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