"Your heart's a mess
You won't admit to it
It makes no sense
But I'm desperate to connect
And you can't live like this."
Hearts
a Mess- Gotye
25. Hearts
A Mess
Gli occhi di Izaya, quella mattina, avevano qualcosa di diverso, come
se avessero visto un segreto, qualcosa che non era dato vedere a
nessuno. Jay sondò il suo sguardo per qualche istante prima
di lasciarlo andare. Lo abbracciava reggendosi dalle sue spalle,
sfiorando con le dita dei piedi il pavimento mentre l’altro
gli cingeva la vita, sollevandolo leggermente.
«Tornerai presto?»
«Prima di quanto credi.» rispose Izaya, baciandogli
la spalla «Robert mi ha prestato la sua auto, ci
metterò meno del solito.»
«Maledetto il giorno in cui hai accettato di seguire quel
caso. Ogni settimana ti portano via da me.»
protestò stringendolo di più, fino a mozzargli il
fiato.
«Jay, mi stai soffocando.» ansimò Izaya,
cercando di fargli allentare la presa.
«Scusa. Vai, non ti tratterrò!» promise
senza mettere in pratica la sua parola.
Continuò a stringerlo sempre più forte, fino a
far ridere Izaya, intrappolato nelle sue braccia «Ti stai
contraddicendo. Non puoi dire: Vai! E poi non mi lasci
andare.»
«Vai, vai, vai…» urlò Jay
legandolo di più a sé, stringendo gli occhi
più forte che poteva.
«Vuoi che usi la forza?» chiese accarezzandogli i
capelli mentre il viso del ragazzo, affondato nella spalla di Izaya,
sorrideva della sua stessa mancanza di forza d’animo.
«Tu non saresti mai in grado di usare la forza con
me.»
«Ne sei certo?» non si diede neanche il tempo di
finire la frase che già aveva letteralmente lanciato il
corpo esile di Jay sul divano, facendolo ridere tra le proteste:
«Sei un animale!»
Izaya, dopo essersi avvicinato a lui, stando attento a non farsi
imprigionare di nuovo, lo baciò teneramente solleticandogli
il viso con la barba folta «Torno presto.»
«Ok.» mormorò.
Non era mai tornato.
Jay fissò indeciso i vestitini da bambina che aveva nelle
mani, aggrottando le sopracciglia perplesso.
Nina, la figlia di Lizzie e Robert, avrebbe compiuto il suo primo anno
di età quella sera e, dopo due mesi, l’avrebbe
rivista.
Da quando era nata l’aveva vista solo cinque volte contro i
trecentosessantacinque giorni che aveva immaginato il giorno in cui
Lizzie aveva annunciato a tutti di essere incinta.
Quel giorno aveva vagato con i pensieri, aveva sognato di poter
diventare il suo punto di riferimento, il suo zio preferito ma, in
tutti quei sogni, non si era mai immaginato senza Izaya.
Per togliersi quel pensiero dalla testa, finalmente scelse il vestito
bianco adornato da piccole violette dipinte a mano, non era sicuro
della decisione presa, ma avrebbe scelto qualsiasi cosa pur di
sbrigarsi e togliersi da quella situazione.
Jay aveva smesso di andare all’università come
aveva interrotto quasi totalmente il rapporto con Lizzie e Robert. Non
aveva mai parlato con loro di Brad né del suo nuovo stile di
vita.
Agli occhi di molti poteva sembrare un semplice arrivista e
approfittatore che viveva con i soldi di un uomo ricco e ingenuo, per
altri era semplicemente una puttana.
Inizialmente aveva accettato un aiuto senza assicurare il suo corpo a
Brad, poi il rapporto diventò sempre più
complesso, fino a che Jay non divenne altro che una delle tante
proprietà di quell’uomo.
Brad, dal canto suo, credeva di aver instaurato un reale rapporto di
coppia, tralasciando il particolare che spesso, senza alcun consenso,
si prendeva il lusso di decidere della vita di Jay facendogli perdere
ogni possibile occasione lavorativa trovando scuse e argomentazioni del
tutto giustificate, anche se supportate da una buona dose di
informazioni sbagliate e falsità.
Avevano raggiunto un equilibrio, secondo Brad.
Lui pagava qualsiasi spesa, facendogli anche dei regali e Jay non
faceva altro che accontentarlo, non senza protestare.
«Scordatelo. Non ti porto al compleanno di Nina.»
decise categoricamente mentre ripiegava il vestitino per poi riporlo
nella busta firmata.
«Ma dai. Stiamo insieme, Jay. Dovrai presentarmi a loro prima
o poi» contestò Brad seduto al centro del letto
sfatto che odorava ancora dei loro corpi.
«Ancora ti illudi di essere il mio fidanzato? Io sono il tuo
giocattolino e tu lo stronzo che si diverte a giocarci.»
disse con freddezza, mentre sceglieva i vestiti da mettere per la festa
tra le camicie firmate, i vestiti pregiati e i tessuti ricchi di alta
sartoria.
Sceglieva con cura il suo vestiario, trattava con riguardo gli oggetti
che lo tenevano in ostaggio, esaminava attentamente le cose con le
quali era stato comprato.
«Non essere così cinico. Se dici così
sembra quasi che tu stia con me solo per i soldi.»
«Non c’è un motivo diverso, attualmente.
Tu mi assicuri il benessere ed io ti accontento, ma non ti illudere: ti
sto solo usando per poi mollarti senza pietà una volta
trovato un modo per mettere in ordine la mia vita.» disse con
distacco, abbottonando una delle tante camicie cucite su misura da un
prestigioso sarto di Savile Row.
Brad, dopo aver terminato la solita risatina sommessa, lo raggiunse
trascinandosi sul letto per poi afferrarlo dalla mano per avvicinarlo.
Jay lasciò fare senza protestare.
«Quando smetterai di rifiutarmi?» chiese
l’uomo cingendolo tra le braccia, insinuando le mani sotto la
camicia ancora sbottonata.
«Quando smetterò di essere così
mediocre.»
«Allora: mai!» sussurrò baciandogli le
labbra inermi «Ti sei affidato a me proprio perché
lo sei. Hai solo me, Jay. Tu non sei niente, non sei nessuno, sei un
ragazzino squallido e mi fai quasi pena, per questo ho deciso di
prendermi cura di te.»
«Sai perché ti odio, Brad?» chiese
avvolgendogli le spalle con le braccia «Perché hai
sempre ragione» concluse baciandolo avidamente come se
volesse tappargli la bocca prima che potesse infierire.
Come era arrivato a quel punto non lo sapeva neanche lui,
l’unica cosa chiara era che, ormai, si era lasciato
manipolare cadendo in un circolo vizioso dal quale difficilmente
sarebbe uscito.
Stare con Brad significava accontentarlo e concedergli il lusso di fare
tutto quello che lui voleva, in cambio avrebbe avuto il tempo di
riprendersi, di trovare il modo di ricominciare da zero, di tenere la
casa che era stata di Izaya.
Se nei primi tempi aveva categoricamente rifiutato di diventare
l’oggetto sessuale di Brad in cambio di soldi, adesso lo era
in piena regola.
Si era messo nelle mani di uomo che, lentamente, senza neanche farsene
accorgere, aveva preso possesso della sua vita, condizionandolo,
manovrandolo e la cosa che, più di tutto, accresceva la
frustrazione del ragazzo era proprio il fatto che se ne fosse reso
conto, e aveva lasciato fare senza opporsi.
***
«Dì grazie a zio Jay!»
esclamò Lizzie, reggendo sulle gambe la piccola che, con
occhi perplessi, scrutava il ragazzo seduto difronte a lei.
«Non sembra contenta, forse avrebbe preferito un
giocattolo.» asserì Jay, soffiando il fumo
dell’ultimo tiro di sigaretta.
«Certo che è contenta! Non lo vedi il suo sguardo
colmo di giubilo?» ironizzò Robert poggiato alla
porta della cucina mentre osservava in disparte la scena.
Jay rise, mentre Lizzie cercava in ogni modo di giustificare il
comportamento sarcastico di Robert.
«Lizzie, tranquilla. Non mi sono offeso. Le ho preso un
vestitino perché i giochi non piacciono a me, senza pensare
che, invece, avrebbero sicuramente fatto piacere a lei.»
«È un bellissimo vestito.» a quel punto
Robert decise di collaborare e di togliersi dal viso
l’espressione beffarda che aveva avuto per tutta la cena.
Mentre Nina stendeva le braccia per aggrapparsi a Jay,
l’atmosfera si cristallizzò.
Forse tutti in quella stanza pensarono a come sarebbe stato se ci fosse
stato ancora Izaya; molto probabilmente avrebbe adorato quella bambina,
conoscendolo.
Non appena aveva saputo che sarebbe nata, un sorriso gli aveva
illuminato la faccia tanto da attirarsi ogni tipo di battuta. Robert
aveva detto che, in fondo, anche Izaya possedeva un cuore tenero,
Lizzie l’aveva additato, dicendogli che sarebbe stata ora di
togliersi dal viso l’espressione da strafottente in favore di
qualcosa di più dolce ed amichevole; Jay, invece, lo aveva
adorato, riconoscendo quell’amore che lui comprendeva meglio
di chiunque altro. Un amore che solo in pochi avevano avuto il
privilegio di conoscere interamente.
Ma Izaya non c’era e gli occhi allegri di Nina erano gli
unici a non avere alcuna ombra di nostalgia o dolore.
Jay rimirò la pelle candida e profumata di quel piccolo
miracolo posato senza alcun peso sulle sue gambe e sorrise debolmente,
indeciso se quella vista così dolce e spensierata facesse
più male che bene.
Sospirò impercettibilmente, stanco di non riuscire a trovare
conforto in niente e, come al solito, si rese gelido, tanto che la
bambina si voltò nuovamente verso sua madre, chiedendole con
gli occhi di poter ritornare da lei.
Guardando con distacco la scena del ricongiungimento tra figlia e mamma
che non ricordava neanche più di aver vissuto in prima
persona da bambino, si poggiò svogliatamente allo schienale
del divano, accendendosi un’altra sigaretta.
«Di cosa ti occupi di preciso, Jay?» chiese a
bruciapelo Robert, osservando le iniziali del ragazzo ricamate a
metà busto sulla camicia.
«Lavoro per un agente di commercio. Diciamo che sto imparando
qualcosa da lui.»
«Ottimo! Quindi ti sei rimesso in pista!»
esclamò Robert nascondendo una punta di dubbio.
«Più o meno.»
Il fatto che Jay avesse sussurrato le ultime parole senza troppa
convinzione, sviando lo sguardo pur di sfuggire ad ulteriori domande,
avvalorò di poco le impressioni che Robert aveva formulato
dentro di sé.
Il Jay che aveva davanti non era quello che aveva conosciuto anni fa,
lo sapeva bene; in quel mese in cui l’aveva ospitato a casa
sua dopo la morte di Izaya aveva imparato a interpretarlo e a decifrare
ogni sua sfumatura.
Il ragazzo che aveva davanti era ormai un uomo e certamente la morte
del suo compagno lo aveva reso ancora più adulto, ma i
tentativi di rendersi criptico in qualche modo fallirono,
perché Robert sentiva che c’era qualcosa che non
andava ma, conoscendolo, sapeva che se avesse chiesto in modo troppo
diretto avrebbe solo ottenuto risposte evasive e, certamente, un
conseguente congedo che avrebbe avuto in pieno il sapore di
un’autentica fuga.
Rimasero in silenzio ancora un po’, concentrandosi su Nina
che a poco a poco, stretta alla sua nuova bambola, chiuse gli occhi per
poi adagiarsi lentamente sul seno della madre.
Lizzie, dopo averle dato un bacio sulla fronte, accarezzandole le gote
rosse e paffute, si alzò stringendo la bambina:
«La porto a letto. Jay, vieni con me?»
La guardò smarrito, incerto sulla riposta da darle, ma dopo
pochi secondi si alzò senza parlare, solo accennando un
sorriso, e la seguì nella stanza accanto dove una luce fioca
color ambra sfiorava i contorni di ogni cosa, compresi i loro corpi.
Guardò con curiosità i gesti dolci e materni che
Lizzie compiva silenziosamente, curando con amore la sua bambina e si
ricordò di quando, quella stessa donna, l’aveva
accolto nel suo bar, trattandolo come fosse suo figlio, con una
dolcezza che non ricordava di aver mai visto neanche negli occhi di sua
madre.
Un frammento di ricordo squarciò per un attimo il ghiaccio
che aveva permesso di rafforzarsi intorno al suo cuore, ma fece di
tutto pur di non cedere.
Chiuse la porta della stanza alle sue spalle dopo aver fatto uscire
Lizzie e raccogliendo i piatti sul tavolo e gli ultimi resti della
cena, cercò Robert senza successo.
La cosa lo rincuorò, perché ormai vedeva Robert
come un nemico dal quale doversi difendere.
Aveva timore di lui, provava imbarazzo ogni volta che i suoi occhi
indagatori cercavano di capire, di afferrare qualsiasi particolare che
potesse svelargli il perché di tante cose, prima cosa fra
tutte: la scomparsa quasi totale di Jay dalla loro vita.
«Pensavo fosse una festa. Come mai eravamo solo
noi?» chiese il ragazzo affiancandosi a Lizzie intenta a
sciacquare i piatti in cucina.
«La festa sarà domani al parco giochi. La mia
vicina ha due gemelli dell’età di Nina e ha
organizzato questa piccola festa per bambini. Saremo mamme e tanti
marmocchi chiassosi. Ho voluto organizzare questa cena di compleanno
per invitarti. Per farti vedere la bambina.»
«Hai avuto… un pensiero gentile.»
rispose sfiorato da quel piccolo senso di colpa che, normalmente,
metteva a tacere ogni volta che non rispondeva alle chiamate di Lizzie.
«Non posso pensare che la mia bambina cresca senza
conoscerti.» infierì ancora la ragazza, provocando
un sospiro afflitto di Jay che, allontanandosi da lei, cercò
forzatamente di trovare qualsiasi altra cosa sul quale spostare
l’attenzione.
Vide il vecchio jukebox all’angolo e si voltò
verso Lizzie, indicandolo ma, prima che potesse parlare, si
ritrovò davanti gli occhi in lacrime della ragazza che, in
silenzio, lo scrutava alle sue spalle.
Jay estese il suo sguardo altrove pur di non guardarla, tamburellando
le dita sul tavolo, mordendosi le labbra per non permettere alle prima
parole di uscire incautamente.
«Tu mi manchi.» mormorò lei, pregando di
sentire una risposta rassicurante, tipica del suo vecchio amico.
«Non ne hai ragione. Sono qui.»
minimizzò avvicinandosi alla finestra, dandole le spalle.
«Capisco che molte cose siano cambiate e che, quindi, il
nostro rapporto non possa essere più come quello di una
volta ma… sei tu ad essere cambiato. Una volta avresti fatto
i salti mortali pur di rimanermi accanto, pur di far parte della vita
della bambina, adesso sei distante. Non sorridi più, non mi
guardi più con tenerezza. Ricordo ancora quando ebbi minacce
d’aborto, tu mi stesti accanto, mettendo da parte i tuoi
impegni, prendendoti cura di me. Adesso sei un groviglio di sentimenti
incomprensibili e non mi permetti di avvicinarmi a te. Io ti ho amato,
Jay. Ti ho amato come amica, ti ho amato come madre e ti amo ancora ma
non so più cosa devo fare. Speravo che questa serata potesse
essere…»
«Non si possono raccogliere e mettere insieme cocci di un
qualcosa che si è rotto.»
«Ma tra noi non si è mai rotto
niente…»
«Io sì. Io mi sono fatto in mille pezzi. E sto
cercando di rimetterli insieme ma devo farlo da solo.»
rispose monocorde.
«Perché non mi guardi quando parli? Da cosa vuoi
nasconderti?» chiese avvicinandosi a lui, posandogli una mano
sulle spalle che, puntualmente, si scrollò di dosso
allontanandosi. «Non mi permetti neanche di
toccarti.» affermò sicura, con la mano ancora
sospesa a mezz’aria, impossibilitata a posarsi dove avrebbe
voluto.
Con i gomiti poggiati al davanzale, Jay guardava distrattamente i
passanti in strada, desiderando di mischiarsi a loro. Si sentiva come
un leone in gabbia; se avesse avuto la certezza di non ferire Lizzie
sarebbe scappato da quella casa, dalle domande, dalle pressioni. Scelse
di rimanere, lei meritava qualche spiegazione in più,
nonostante non potesse dargliene delle dettagliate: «Sono
cambiato, sono diverso.» sussurrò stanco, come se
stesse prendendo coscienza della cosa solo in quel momento. A forza di
rendersi totalmente indifferente a se stesso aveva quasi dimenticato
chi era stato in passato, ma Lizzie non l’aveva dimenticato,
così si accostò al muro in silenzio, in attesa di
spiegazioni.
«Quando mi chiami non mi nego perché non sei
importante o perché io non provi dei sentimenti per te. Tu
sei e sarai per sempre l’unica donna che io abbia mai amato,
a mio modo. Ma sono diverso e…» si
fermò per un istante e si voltò, dando finalmente
le spalle alla finestra e non a lei «Lizzie, il mio
cambiamento è così insopportabile anche per me
che non mi sento più di meritare la tua presenza. Sono
così patetico e disgustoso da sentirmi completamente fuori
luogo quando sto con te. Una volta ero un ragazzo capace di godere
delle tue risate, dei tuoi abbracci, adesso quelle stesse cose mi fanno
sentire vuoto dentro.» concluse digrignando i denti,
combattuto tra l’indignazione e la resa.
«Non posso più correre dietro la tua ombra, non
perché io non lo voglia, ma perché desidero
davvero riuscire a trovare un modo per tirarti fuori dal grigiore nel
quale ti sei chiuso; correrti dietro non è la soluzione.
Ciò che posso fare è dirti che io sono sempre
Lizzie, sempre la solita e che ci tengo a te.»
riuscì a sfiorargli il mento senza essere respinta e con
dolcezza gli spostò la ciocca di capelli che aveva avuto per
tutto il tempo davanti agli occhi e azzardò:
«Vorrei che tutto potesse ritornare come una
volta.».
Rimasero a guardarsi occhi negli occhi in silenzio mentre Lizzie gli
stringeva il viso, costringendolo a non spostare lo sguardo da lei.
Voleva svegliarlo, convincerlo che avrebbero potuto ricostruire
ciò che la morte di Izaya aveva distrutto, così
sorrise impercettibilmente per incoraggiarlo e per fargli capire che
non era solo, non lo era mai stato.
Lo scatto repentino di Jay, però, fece crollare ogni
speranza: ancora una volta si era sottratto alle sue mani, alle sue
parole; Lizzie sentì di non essere davvero più in
grado di consolarlo.
«Non lo capisci che non è possibile?
Ormai siamo due persone con due vite diverse, con esigenze agli
antipodi e poi… come si può tornare ad essere
come una volta adesso che Izaya non c’è
più? Come puoi pretendere questo da me?» chiese
senza l’ombra di una lacrima, ma solo con enorme rabbia negli
occhi.
«Non lo so. Non ti sto dicendo che dobbiamo farlo, ti sto
chiedendo di provarci…»
«Non posso.» la interruppe categorico, tagliando
l’aria con un gesto della mano per poi ricominciare a parlare
come un fiume in piena, ma colmo di rassegnazione: «La morte
di Izaya non è l’unica ragione. Il fatto che lui
sia morto ha dato solo il via ad un qualcosa che non riesco
più a fermare. Mi sento così indifferente nei
confronti di tutto e di tutti, nei confronti di me stesso. Non riesco
più a sentire niente, io vorrei provare qualcosa ma non
sento niente.» rimarcò con malessere, come se quel
niente lo stesse consumando dentro. «Non
c’è sorriso, non c’è
abbraccio che io riesca a vedere e ad apprezzare. Non esiste persona
che riesca a farmi sentire felice solo perché
c’è. Non mi importa più di niente e il
non riuscire a spiegarlo mi fa chiudere ancora di più in me,
perché io lo spiego ma tutti rispondono:
“È impossibile. Nessuno riesce a diventare
così insensibile, sono solo le circostanze!”. No,
cazzo!» urlò, stavolta con lo sguardo colmo di
lacrime di rabbia. Si costrinse nuovamente
all’aridità, davanti ad una Lizzie travolta dalle
sue parole impietose. Jay si asciugò le lacrime come fossero
qualcosa dal quale doversi liberare in fretta e, concludendo il suo
sfogo, si arrese: «Ad un certo punto ho deciso che mi faceva
tutto troppo male e qualcosa in me è scattato: non ho
provato più dolore, ma ho sacrificato tutto il resto.
C’è una piccola parte di me, del vecchio Jay, che
ogni tanto esce fuori ma non è abbastanza forte per imporsi
ed io non ho nessuna intenzione di permetterglielo. Se continuare a
sopravvivere significa perdere gli amici,
l’umanità e i ricordi allora rinuncio a tutto.
Voglio sopravvivere, vivere non mi interessa, non fa più per
me. Ma tranquilla: Sto bene!».
Se il silenzio avesse avuto un peso probabilmente Lizzie e Jay
sarebbero rimasti schiacciati a morte. Non c’era
più nulla da dire…
Era uscito di casa in silenzio dopo averla baciata sulle labbra, come
era solito fare. Non si dissero “addio”, ma
mollarono entrambi la presa. Si arresero, nessuno riuscì a
convincere l’altro e per non dover pentirsi di aver forzato
la mano chiusero il discorso.
***
Jay non provava più niente: non sentiva traboccare il cuore
di felicità alla sola vista della bambina, non si sentiva
più leggero con il sorriso di Lizzie, non riusciva a
rassicurarsi con la presenza di Robert e non provava più
dolore.
L’unico sentimento che riusciva a farlo sentire ancora in
vita era la rabbia, ed il solo capace di scatenargliela era Brad.
Angolo Autrice.
Ciao! Questo capitolo è un po' più lunghetto
rispetto agli ultimi postati, questo perché era importante
chiarire i rapporti che ormai si sono instaurati tra Jay e il resto dei
personaggi. Nel prossimo capitolo ci sarà un risvolto
particolare e dal prossimo ancora... (minispoiler)... qualcuno si
rifarà vivo. Dai, già so a chi sta pensando, non
fate i finti tonti. Per le fan sfegatate di un tizio in
particolare il capitolo 27 sarà importante :P
Voglio ringraziare tutti quelli che mi leggono e mi commentano.
Bijouttina che nello scorso capitolo ha tirato fuori le unghie alle
grande, Babbo Aven che amo per il suo buon cuore che, a volte, gli fa
vedere le cose migliori di quello che sono, Elsker che mi scrive sempre
cose che mi fanno commuovere, Ghost che amo enormamente,
Ally_M che sta all'inizio, quindi, finché vede questo angolo
autrice magari sono già morta (:O vi immaginate se schiatto
prima di finire la storia?? O_O).
Ringrazio Ladywolf la mia dorata fonte di risate, ispirazione e un
sacco di altre cose, Emide mia che mi manca T_T, Moloko che legge e lo
so, Oxymoros che legge e lo so, Mrs Burro che legge e lo so e tutti
quelli che leggono ed io lo so.
Ringrazio WarHamster che è meravigliosa e punto.
Grazie a DarkViolet92 per le sue recensioni che sembrano tanto
riflessioni.
Grazie a tutti quelli che leggono in silenzio e quindi tutti quelli che
hanno messo la storia nelle Preferite/Ricordate/Seguite.
Grazie di cuore a tutti.
Bloomsbury
p.s. questo capitolo è stato scritto con amore, ma quanta
sofferenza -.- Quindi mi scuso se ci dovessero essere refusi.
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