Capitolo 4
W E L C O M E T
O T H E N E W
A G E
I'm waking up to ash and dust,
I wipe my brow and I sweat my rust,
I'm breathing in the chemicals.
I'm breaking in, shaping up,
Checking out on the prison bus,
This is it, the apocalypse.
Capitolo 4
Mi
svegliai poco riposato e con gli occhi umidi. Sbattei le palpebre
più volte per evitare che le lacrime cadessero, poi mi guardai
attorno. Fuori era buio. L'unica illuminazione proveniva da una lampada
da campeggio appesa alla parte opposta dell'infermeria.
Un peso mi opprimeva il petto.
Da quando Zaccaria mi aveva riportato alla realtà dopo quel
salto nel futuro, avevo riallacciato i rapporti con Sam, per paura che,
se ci fossimo allontanati, il futuro che era stato predetto si sarebbe
verificato. Poi, vedendo che le cose avevano preso una piega ben
diversa da quella pronosticata da Lucifero, non avevo più
pensato alla possibilità che la situazione potesse diventare
realtà. Invece era come se fosse stata sempre in agguato. Come
se il futuro fosse stato lì a guardare e a ridere della mia
ingenuità, pronto a rinfacciarmi il tutto con un "te l'avevo
detto" appena fosse diventato realtà.
Mi sentivo uno stupido,
imprigionato in un anno che non era il mio, circondato da persone che
non avevo mai visto prima. Nemmeno Cas sembrava più lo stesso.
Non riuscivo quasi a riconoscerlo. C'entrava forse con il fatto che era
caduto? Non ne ero totalmente sicuro, ma se gli angeli avevano la
grazia avrebbero dovuto comunque avere i loro poteri. Cas li aveva
ancora? O aveva perso la grazia? Molto probabilmente non l'aveva
più, altrimenti avrebbe già fatto il suo trucchetto di
magia per rimettermi subito in sesto. Ricordavo che nel 2014 era umano.
Quando gli avevo chiesto cosa gli fosse successo, aveva risposto: "La
vita."
Rimasi sveglio fino all'alba,
fissando il vuoto senza pensare a niente. Una lacrima che cadde sulla
mia guancia mi sorprese, ma l'asciugai e feci finta che non fosse
successo niente.
Fuori dalla tenda i rumori
aumentavano man mano che la luce del sole si rafforzava, tanto che dopo
una mezz'ora dall'alba c'era già un gran viavai. Poco dopo, Doc
venne a vedere come stavo. Bofonchiai una risposta positiva, ma lui non
diede peso alla mia poca propensione nel rispondergli. Ormai doveva
aver capito che quello era il massimo che poteva ottenere da me.
Constatò che la febbre
era scesa e che avevo ripreso un colorito quasi normale. Cambiò
il sacchetto della flebo, poi srotolò la benda per controllare
la ferita. Il ginocchio era livido e gonfio e i margini del taglio
erano incrostati di sangue. Doc pulì la ferita con della
fisiologica e strinsi i denti dal dolore quando il ginocchio si mise a
pulsare. Poi Doc si mise a fasciarmi il tutto con una garza pulita.
"Sei venuto a prendermi del sangue?" domandai con tono infastidito.
Doc ignorò il mio
umore. "No. Le ultime tre analisi hanno mostrato che sei pulito. Sono
passate dodici ore, ormai sei fuori pericolo."
Nessuno parlò per qualche minuto.
"Come va con la memoria?" domandò quando ebbe finito di bendarmi la ferita.
Scossi la testa. "Nada."
Doc si alzò,
avvicinandosi per controllare la ferita sul mio cuoio capelluto. "Spero
tu non abbia avuto una commozione celebrale," commentò.
"Una... oddio," sospirai. Che cazzo.
"Ma il più delle volte si risolve tutto da solo. Nella maggior parte dei casi la perdita di memoria è temporanea."
Grugnii una risposta indefinita.
"Qual è l'ultima cosa che ricordi?" chiese Doc.
Sbuffai. Avevo sentito quella
domanda già un paio di volte e non ero riuscito a dare una
risposta. Non volevo fare la figura dell'idiota che non sapeva nemmeno
che giorno fosse. Ma sapevo anche che dovevo affrontare la cosa e che
dovevo una risposta a Doc, che si stava prendendo cura di me nonostante
la mia ostilità. Mi sforzai di pensare. "Ehm... Sam in coma?"
dissi. Ero abbastanza sicuro che quella fosse l'ultima cosa che
ricordavo.
"Sam in coma?" ripeté Doc.
"Sì, dopo che gli angeli sono caduti," spiegai, vista l'espressione confusa di Doc.
"Ah," rispose soltanto. Poi distolse lo sguardo. Sembrava che mi nascondesse qualcosa.
"Cosa?" domandai.
Doc esitò.
"Cosa?" insistetti.
Nessuna risposta.
Ne avevo abbastanza. "Sono
stufo di essere preso per il culo!" sbraitai. "Ho fatto finta di
niente, sperando che qualcuno venisse a darmi delle spiegazioni, ma
sembra che qui non importi a nessuno di me!" Nemmeno Cas mi aveva dato
una risposta quando gli avevo chiesto di Sam. "Adesso mi dici cosa
diavolo sta succedendo, ragazzino," gridai, "o appena mi alzo da questo
letto, giuro che ti farò pentire di avermi curato!"
"Una cosa per volta," mormorò.
"Dimmi!" esclamai, ignorando le sue parole.
Passò qualche secondo prima che rispondesse. "Gli angeli sono caduti cinque anni fa."
Mi presi qualche attimo per
elaborare quell'informazione. "Cinque anni," ripetei. Feci un calcolo a
mente. Significava che mi trovavo nel... duemiladiciotto?
"Sono successe diverse cose da allora e non è il caso che te le sbattiamo in faccia tutte insieme. Una cosa per volta."
"Ho perso cinque anni della mia vita?" ruggii.
"A quanto pare."
Ricordavo il commento che lui
stesso aveva fatto il giorno prima, quando aveva riso dicendo che la TV
era sparita da tre anni. Speravo scherzasse.
La perdita di memoria non mi
aveva preoccupato, all'inizio. Avrei potuto sopportare se avessi
dimenticato gli ultimi sei mesi, come avevo creduto in un primo
momento. Ma cinque anni. No, non volevo crederci.
"Mi dispiace, Dean," disse Doc, "ma troveremo una soluzione. Si risolverà tutto."
"Vattene," mormorai, chiudendo gli occhi e massaggiandomi l'attaccatura del naso. "Voglio restare solo."
Sentii i suoi passi uscire
dalla tenda. Rimasto solo, sprofondai nei cuscini, sperando di
addormentarmi di nuovo. Improvvisamente la mia mente si era fatta
stanca ed era solo con le ultime forze che mi rimanevano che riuscivo a
tenere le palpebre semichiuse.
L'ultima cosa che vidi prima di addormentarmi era Cas che entrava in infermeria.
***
Quando mi svegliai, mi
sembrò di aver dormito per giorni. Avevo le palpebre incollate e
la bocca secca. Mi stropicciai gli occhi e mi accorsi che si era fatta
di nuovo notte.
Per quanto cazzo avevo dormito?
Sulla branda a un paio di
metri di distanza era steso qualcuno. Russava come se al posto del naso
avesse un qualche strumento musicale poco identificato. Era girato su
un fianco e mi dava le spalle, ma riconobbi Cas.
Mi allungai verso il comodino,
cercando di afferrare la bottiglietta d'acqua per berne un sorso, ma
con un gesto maldestro riuscii a farla cadere a terra. L'impatto con il
terreno provocò un colpo sordo ma distinto.
Cas grugnì e smise di
russare. Passò un minuto prima che si voltasse verso di me
respirando pesantemente. "Cos'è successo? E' arrivata la fine
del mondo?" cercò di scherzare con la voce impastata. Non risi
alla scelta poco felice delle parole.
"No, ho solo fatto cadere la
bottiglia," spiegai, scostando il lenzuolo e facendo scivolare le gambe
oltre il bordo del letto. Quando piegai le ginocchia, la ferita alla
gamba pulsò come se qualcuno ci avesse posato sopra un mattone,
ma strinsi i denti e feci finta di nulla.
"Ohi, che fai?" esclamò
Cas rizzandosi in piedi, mentre mi allungavo per cercare di afferrare
l'oggetto caduto a terra. "Devi stare sdraiato, altrimenti Doc mi
ucciderà."
"Che vada al diavolo!" mormorai. Trattenni un lamento quando, piegato com'ero, il dolore al ginocchio aumentò.
"Dai, faccio io," disse Cas.
Afferrò la bottiglia e la rimise sul comodino, poi mi
fulminò con lo sguardo. "Devi stare a riposo, altrimenti non
riprenderai mai le forze."
"Sto bene," grugnii,
puntellandomi sulle braccia e facendo forza per sollevarmi. Quando
riuscii a mettermi in piedi, trovai il viso di Castiel a pochi
centimetri dal mio. La testa si mise a girare e barcollai, ma Cas
riuscì a tenermi dritto afferrandomi sotto le ascelle come se
fossi un poppante.
"Troppo veloce," constatai. Cas mugugnò in approvazione.
Aspettai qualche secondo per
essere sicuro che la testa non girasse più. Sentivo il respiro
di Cas sul mio viso e le sue mani - calde anche se il tessuto della
maglietta le divideva dalla mia pelle - che stringevano saldamente il
mio torace. Gradualmente allentarono la presa, finché non
riuscii a reggermi in piedi da solo. Le costole che erano state a
contatto con le sue mani sembravano bruciare sotto la mia pelle.
"Il bell'addormentato si
è messo in piedi" commentò Cas, divertito. Non l'avevo
mai visto così di buon umore. Il Castiel che ricordavo era
sempre vestito di un trench e di un'espressione seria. Se Cas
sorrideva, il duemiladiciotto non poteva essere così male.
La mia gamba sinistra
sosteneva tutto il mio peso e cominciava a dolere. "Non è che ci
sono un paio di stampelle da queste parti?" domandai.
"Per fare che?" replicò
Cas, accigliato. "Non pensarci nemmeno, Dean. Stare in piedi è
il massimo che posso concederti, non te ne andrai a gironzolare con la
gamba in quello stato."
"Sono rimasto bloccato a letto
per due giorni, è molto di più di quanto sarei riuscito a
sopportare," dissi. "Ho bisogno di camminare."
Mi fissò per degli interminabili secondi, poi sbuffò, sconfitto. "E va bene, ma solo per cinque minuti!"
Trovò delle stampelle
in un armadio di metallo e con quelle mi trascinai fuori dalla tenda,
con Cas al seguito. Dei piccoli riflettori sparsi tra le costruzioni
irradiavano abbastanza luce da permettermi di vedere quel tanto che
bastava per zoppicare senza andare a sbattere contro qualcosa.
"Dove vuoi andare?" domandò Cas.
Mi strinsi nelle spalle. "Dovunque, mi basta muovermi un po'," replicai.
Fece strada nella
semioscurità, mentre le stampelle affondavano nella terra umida
e molle. Mi sentivo lento e ingombrante e non nella splendida forma in
cui avevo affermato di essere. Ma avevo davvero bisogno di quella
passeggiata, dopo essere stato immobile a letto per tanto tempo.
Vagammo per cinque minuti, in
cui percorremmo non più di un centinaio di metri a causa della
mia andatura, passando tra basse costruzioni di legno costruite a pochi
metri di distanza l'una dall'altra. Immaginai fossero le abitazioni di
chi viveva lì al campo.
All'improvviso un pensiero mi
attraversò la mente. Visto che io e Cas eravamo soli, non poteva
non rispondermi quando l'avessi affrontato. Mi fermai di punto in
bianco.
Cas si voltò, non percependomi più accanto a lui. Mi fissò nella flebile luce dei fari. "Che c'è?"
"Voglio la verità,"
dissi. Mi aspettavo che mi chiedesse a cosa mi riferissi, ma se ne
stette lì a guardarmi, aspettando che ponessi la mia domanda.
Feci un respiro profondo per prendere coraggio. "Cos'è successo
a Sam?"
Rimase a fissarmi senza
tradire alcuna emozione per parecchi secondi, poi un angolo della bocca
si contrasse per un attimo. "Come lo ricordi?" domandò. La sua
voce era piatta.
"Come... lo ricordo?" ripetei,
confuso. Non sapevo se avrei dovuto raccontargli di quando nel futuro -
ormai passato - Lucifero si era impossessato di Sam. "L'ultima cosa che
ricordo è Sam in coma," risposi infine.
La sua espressione era sorpresa ma allo stesso tempo confusa.
"Dopo che gli angeli..."
Indugiai, non sapendo come affrontare un discorso che riguardava
Castiel così da vicino. "Dopo che sono caduti."
Cas mi fissò per dei
secondi interminabili. Alzò gli occhi al cielo e si morse il
labbro, poi si voltò. I suoi piedi rivelavano il suo nervosismo.
Era come se stesse combattendo contro se stesso. Quando tornò a
voltarsi verso di me, la sua espressione era determinata. "Vieni con
me," mormorò. "Ti porto da Sam."
Note dell'autrice
Sì, sono ancora viva! Mi dispiace di aver pubblicato questo
capitolo così in ritardo, ma tra lo studio e gli esami degli
ultimi mesi non ho più avuto occasione di scrivere/pubblicare.
Ma ora sono qui! Spero di riuscire a continuare la storia al più
presto visto la maggiore quantità di tempo libero a mia
disposizione (anche se la mia ispirazione potrebbe finire e mi troverei
bloccata prima di quanto mi aspetti).
Vi ringrazio per essere così pazienti con me, vedo che la storia
è comunque seguita nonostante i miei ritardi! Quindi
graziegraziegrazie! :)
Al prossimo capitolo!
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