The Truth Beneath The Rose
Cap. 1: The Request Of The Rose
Luna Lovegood era
sdraiata sul suo letto, in pigiama. Era stanca, ma qualcosa le impediva
di addormentarsi. Come se una magia la tenesse sveglia.
Quel primo giorno
di scuola era stato un fallimento totale. Dopo ben cinque anni di
permanenza nella scuola, quasi nessuno aveva imparato a rispettarla.
Erano tutti lì, a giudicare basandosi soltanto sulle
apparenze. Vedevano solo gli orecchini, le collane, gli occhiali. Non
vedevano altro.
La vedevano fuori
dal mondo, e pensavano che non li avrebbe sentiti se parlavano male di
lei. Ma lei li sentiva, eccome. Sentiva le loro parole:
“lunatica”, “strana”,
“matta” . L’espressione che
più le dava fastidio era “fuori di
testa” .
Lei era soltanto
lei. Che male c’era ad essere così? Forse sarebbe
stata lei ad avere il diritto di dire qualcosa a loro. Tutti uguali,
così noiosi. Tutti a seguire la moda del momento. Ragazze
sciocche. Ragazzi tanto idioti da far accapponare la pelle.
Beh, su questo
punto poteva anche fare un’eccezione. Perché
c’era un ragazzo, uno solo in un’intera scuola, che
avesse fatto qualcosa per farla stare meglio. Che non si fosse limitato
a quella sorta di sterile accettazione che le avevano dato Harry, Ron e
Hermione. Si erano visti durante l’estate, erano diventati
amici. Ma, anche lì, c’era una pecca. Dopo il
banchetto d’inizio anno, la sera precedente, non si era
più fatto vedere. Nulla. Non era nemmeno nella Sala Grande
per cena.
Chissà,
magari avrà avuto i suoi motivi per non farsi vedere, magari
lei nemmeno era interessata, magari….
Improvvisamente,
qualcosa attirò la sua attenzione. Un luccichio anomalo,
diverso da quello normale della luna e delle stelle, proveniva dalla
finestra.
Luna si
avvicinò, incuriosita. Man mano che la finestra era
più vicina, Luna potè vedere che sopra al
davanzale c’era qualcosa. La ragazza aprì la
finestra, per vedere cosa fosse quel qualcosa. Un leggero venticello
entrò nella stanza, scompigliandole i capelli.
In effetti, sul
davanzale c’era un oggetto. Una rosa. Luna la prese e la
avvicinò ai suoi occhi per osservarla meglio.
Era una rosa
bellissima, rossa e fresca. Era ancora ricoperta di gocce di rugiada,
nonostante fosse notte. Ed era strana. Era come se fosse ghiacciata, la
rugiada non accennava nemmeno a voler scivolare via dai petali. Era
come se la rosa fosse stata finta, con le gocce di rugiada di plastica
attaccate. Eppure, Luna non avrebbe potuto cogliere una rosa che le
fosse sembrata più reale di quella in nessun altro luogo. I
suoi petali erano incredibilmente morbidi, il suo colore uno splendido
rosso scuro che non accennava a sbiadire.
La
annusò. Il profumo che emanava era inconfondibile. Simile a
quello di una rosa normale, ma allo stesso tempo particolare.
Luna si
avvicinò al letto per immergere la rosa nella brocca
dell’acqua, chiedendosi chi mai le avesse fatto quello
splendido dono. E fu allora che si accorse del biglietto. Attaccato
alla rosa, c’era un biglietto. Forse era il nome del
mittente….
La grafia era
graziosa e ordinata, l’inchiostro nero come la pece, steso su
un pezzo di carta color pergamena.
E no, non
c’era scritto il nome del mittente misterioso.
C’era scritta soltanto una piccola parola….
“Aiutami….”
*
Il ragazzo vagava
per la foresta. E dire che non sapeva nemmeno come ci fosse entrato.
Un attimo prima,
era nel suo mondo, quello di un normale studente. Poi l’aveva
notato. Un quadro. E aveva sentito qualcosa attirarlo verso di esso. Fu
un secondo. In un battito di ciglia, si era ritrovato nel bel mezzo di
quella foresta. E in quel momento stava cercando una via
d’uscita, apparentemente inesistente.
Eppure, il posto
in cui si trovava era splendido. Un vero paradiso terrestre. Ma lui ne
aveva paura. Non era il luogo in cui sarebbe dovuto stare. Non era a
scuola, con i suoi amici. Sarebbe potuto restare lì per
sempre. Da solo.
Scacciò
il pensiero dalla sua mente. Perché ci doveva essere una via
d’uscita. Era impossibile che fosse lui l’unico ad
essere caduto nel quadro. Doveva essere successo a qualcun altro, che
con ogni probabilità aveva trovato una via
d’uscita.
Il bello era che,
apparentemente, quel quadro sembrava un ritratto. Eppure, non appena
lui vi era entrato, tutto era completamente deserto. Non era nemmeno
arrivato nella foresta che era raffigurata come sfondo.
L’aveva raggiunta camminando, dopo varie ore di viaggio.
Si sedette su una
roccia, una delle tante che si trovavano in riva al fiume nel bel mezzo
della foresta. Si tolse le scarpe, e bagnò i piedi
nell’acqua gelida. Aveva bisogno di pensare.
Doveva anzitutto
uscire dalla foresta, o si sarebbe perso ancora di più.
Poi avrebbe dovuto
cercare qualcosa, un oggetto che indicasse, magari, l’uscita.
O qualche stramba formula magica che l’avrebbe catapultato di
nuovo ad Hogwarts.
Tolse i piedi
dall’acqua, e rimase parecchio sorpreso da ciò che
vide. I suoi piedi erano rimasti colorati di blu, come se
l’acqua del fiume fosse stata acquerello.
Si
guardò intorno, e si rese conto di un particolare che,
durante lo shock iniziale, non aveva considerato.
I colori erano
strani, irreali. Il verde era troppo verde, il grigio troppo grigio.
Come poteva succedere solo in un quadro.
Si rimise le
scarpe, e corse nella foresta, come se gli alberi, così
irreali, volessero aggredirlo. Uscì in fretta dalla foresta,
per scoprire che non era affatto tornato nel punto da cui era partito.
Si trovava di fronte ad uno splendido, coloratissimo campo di fiori.
Margherite, dalie, petunie, primule… c’erano tutti
i fiori possibili e immaginabili. E tutti dai colori vivaci e vividi,
così come erano nella foresta.
Forse fu per
questo che quel cespuglio di rose saltò immediatamente ai
suoi occhi. Perché almeno quelle, in mezzo a tutti quei
fiori, sembravano reali.
Si
avvicinò al roseto, con cautela, quasi quei fiori potessero
morderlo.
Osservò
ogni singolo fiore, provando ogni volta una sensazione di ritorno alla
realtà.
Erano rose
splendide, di un magnifico rosso scuro. La rugiada le bagnava.
Il ragazzo ne
toccò i petali. Erano così morbidi sotto le sue
dita, così delicati, e così… veri.
Forse una di
quelle rose sarebbe stato il suo lasciapassare per il mondo reale.
Forse sarebbe
stata la sua salvezza dalla condanna di restare intrappolato
lì.
Si
avvicinò ancora di più al roseto, sempre
lentamente, con attenzione. Poi colse una rosa.
Improvvisamente,
una folata di vento si mosse verso il ragazzo.
La sua presa sulla
rosa appena colta non fu abbastanza salda. E lui non potè
far altro che osservarla librarsi nell’aria, e rincorrerla,
sperando che il vento si calmasse e che la rosa tornasse a terra.
Continuò
a correre, ma più si avvicinava alla rosa, più il
vento aumentava d’intensità. ,la vide librarsi
sempre di più, sempre più lontana. Infine
scomparve, nel cielo fin troppo blu, tra le nuvole fin troppo bianche.
- No! –
gridò il ragazzo, lasciandosi cadere a terra. Aveva corso
troppo. Aveva attraversato e superato il campo di fiori, ed era troppo
concentrato sulla rosa per curarsi di dove stesse andando.
Sbuffò.
Si era perso. Di nuovo.
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