Nuova pagina 1
12: Grazie grazie grazie a Vitani, Caro e Costy per le
vostre recensioni. Mi piace scrivere di posti che conosco bene, sono felice che
questa "milano liceale" traspaia ^_^ Emanuele, in fondo, è anche figlio della
sua città XD Voglio che l'atmosfera da liceo - un misto di cultura, serietà ma
anche di adoloscenza e superficialità - si senta molto. Perciò fatemi sapere se
continuo a centrare il bersaglio. Un bacio grande a tutti ^_^
-
La seconda mattina era sempre più difficoltosa della prima.
Chi aveva detto quella cazzata del lunedì?
Emanuele era, da sempre, convinto che il martedì fosse il
peggior giorno della settimana. Di lunedì si è tramortiti, non ci si rende ben
conto di quello che ti sta capitando. Di martedì si è già stravolti, la
settimana è lunghissima, il weekend prima un sogno dimenticato e quello a venire
un miraggio irraggiungibile.
Il secondo giorno di scuola, quindi, Emanuele era, oltre
che stanchissimo, pure incazzato nero.
Aveva il mento appoggiato alla mano e guardava fuori dalla
finestra: forse domani avrebbe fatto meglio a non venire a scuola.
La prof di filosofia già spiegava – siamo molto indietro
ragazzi, avremmo dovuto essere qui e invece siamo qua – mai nessuna che
dicesse oggi non si fa niente perché siamo avanti.
Mai.
Il cele e la Cele erano gli unici attenti, lì davanti, coi
loro occhietti stretti stretti, le loro schiene ritte sull’attenti e quelle
fastidiose pennine che scivolavano sul foglio di appunti.
“Ci fosse qualcosa da scrivere, li capirei” asserì Saverio
“Ma cazzo, la Viggiani dice solo quello che c’è sul libro”
“Ne so più io della Viggiani”
“Ora stai diventando strafottente”
“Però sai che è vero”
“In effetti…” Saverio sbuffò
Bianca lanciò un bigliettino sul loro banco:
Pizza dagli
egiziani dopo la scuola?
“Sì” Gridò Saverio
La Viggiani s’interruppe: “Ha qualcosa da aggiungere,
Cuadro?”
“Nonono” si affrettò a dire il ragazzo “Niente
d’importante!”
Lele sorrise: “Imbecille”
Si ritrovarono dall’egiziano vicino alla scuola: pizza al
trancio e una coca-cola per poi sedersi sui gradini davanti al negozio.
Bianca mangiava ogni pezzo come se stesse mangiando troppo,
Saverio era già al secondo trancio.
Il Muto ne aveva presi direttamente due.
“Sembra che le vacanze non ci siano mai state”
“A vederci qui, sembra giugno, quando progettavamo dove
andare”
Margherita sorrise, lasciando anche lei la pizza a metà.
“Tra due sabati farei la festa per i miei diciassette, voi
venite?”
“Che piccolina, diciassette anni”
“Perché, tu quanti ne hai Save?” rispose lei acida
“Diciotto a febbraio”
“Ecco, ne hai diciassette anche tu, perciò smettila!”
C’era un che di petulante in Margherita che infastidiva
Emanuele. Sempre con troppi soldi in tasca, viveva nel sogno di diventare come
Bianca. Il che era oggettivamente impossibile. Era simpatica, forse quasi
spiritosa, ma era anche una sciocca che diceva frasi da intellettuale e allo
stesso tempo cercava qualcuno che gliele spiegasse.
“Perché non leggi, Marghe?”
“Cosa?”
La domanda di Emanuele la colse impreparata.
“Perché non leggi? Perché non ascolti un po’ di musica che
non sia la commerciale?”
“Che c’entra ora cosa leggo?”
In effetti non c’entrava ed era anche inutile che lui
cercasse uno spiraglio di luce in quella mente in cui albergava il buio più
oscuro.
Bianca, che si era perfettamente resa conto dei pensieri di
Emanuele, cercò di sviare il discorso.
“Che hai fatto dopo la Sicilia?”
Lele si strinse nelle spalle: “Niente di che, montagna
dalla nonna, Irlanda con mio padre…”
Bianca battè le mani, come faceva quando era entusiasta:
“Wow, una vacanza con tuo padre, ma non ti sei rotto le palle?”
Lele fece spallucce: “A me piace stare con mio padre”
“Potevi però farti vedere una qualche sera”
“Te l’ho detto, ero via”
Bianca gli si sedette vicino:
“Ma mi avevi promesso che ti saresti fatto sentire”
“La vacanza in Irlanda è stata inaspettata. Mio padre è
così, un giorno s’è deciso per il giorno dopo. E siamo partiti” Lele sorrise
“Stava attento a quante birre bevesi, ma per il resto, è stata una bella
vacanza”
Non aveva granché voglia di parlare, né di stare lì. Non
gli dispiaceva chiacchierare con Bianca, se non altro era una mente pensante
oltre che avere quel faccino da bambola che tanto faceva impazzire Saverio. Ma
quel giorno era nato con lui di pessimo umore e Lele sapeva bene che non c’era
soluzione se non quella di starsene per i fatti suoi.
Cercò gli auricolari nelle tasche.
“Va be’, io vado”
“Già vai?” Bianca imbronciò il viso
“Sì, ho cose da fare”
“Quali cose?” s’aggiunse Margherita
“Cose” ci mancava anche dovesse dare spiegazioni.
“Però sabato sera esci con noi?”
“Ma è solo martedì” Come faceva a sapere, martedì, che cosa
avrebbe fatto sabato?
“Tu dì di sì” Bianca lo abbracciò, per dargli un bacio
sulla guancia “Mi metto carina, andiamo a prenderci da bere e a fare un giro con
gli altri…”
Lele annuì, l’importante era andarsene in quel momento.
Metropolitana molto più sgombra rispetto alla mattina,
c’era qualche speranza di trovare un posto a sedere anche a Crocetta.
Emanuele prese dalla borsa il libro che stava leggendo e
trovò la pagina che aveva piegato per tenere il segno.
“Così rovinerai tutti i libri” si sentì dire. Si girò verso
la sconosciuta che aveva parlato, che si spiegò: “Se pieghi l’angolo di ogni
pagina per tenere il segno, finirai per rovinare i libri che leggi”
Ma non poteva farsi i fatti suoi?
“Starai pensando che mi dovrei fare i fatti miei, e avresti
ragione. Ma vedi, mi dispiace proprio vedere i libri spiegazzati, è più forte di
me”
“Perdo sempre i segnalibri”
“Tieni questo, l’ho fatto io” la ragazza tirò fuori dalla
sua borsetta un libro e gli sfilò il segno. Lo appoggiò fra le pagine del libro
di Emanuele e lo fissò alla spina con un elastico. “E’ molto comodo, e non si
perde”
La ragazza gli sorrise.
“Ma così hai perso il tuo segno”
“Pagina 213. Mi ricordo sempre la pagina dove mi trovo”
“Allora perché tieni un segnalibro?”
“Non si sa mai, della mia memoria non mi fido molto”
“Hai mai sbagliato?”
“No”. La ragazza sorrise divertita e Emanuele non potè non
ridere anche lui. Quella ragazza l’aveva inspiegabilmente messo di buon umore.
“Cercherò di tenere da conto questo segnalibro, allora. Io
non mi ricordo assolutamente a che punto sono arrivato, a volte mi capita di
finire un libro quando penso di averlo appena cominciato…”
La ragazza aggrottò la fronte:” Ma come, non ti rendi conto
che la storia prosegue?”
“Se sono molto preso, mi sembra sempre troppo breve”
sorrise imbarazzato. “Dev’esserti sembrata una frase stupida. Quello che int…”
“No, ho capito” la ragazza si strinse nelle spalle “E’
così, quando qualcosa ti coinvolge, non si vorrebbe mai smettere”.
Emanuele guardò la ragazza e annuì, rimanendo in silenzio.
La guardò sistemarsi i lunghi capelli castani dietro l’orecchio, inclinando la
testa leggermente. La spessa montatura nera degli occhiali non gli permise di
vedere bene il colore di quegli occhi attenti. Si soffermò sulle labbra
disegnate perfettamente. Per non fissarla troppo, cercò qualcosa da dire, ma
l’altoparlante della metrò lo precedette
Capolinea, si prega di scendere.
“Capolinea?” Si agitò lei “O cielo, ho perso la mia
fermata” si alzò di scatto e si girò verso Emanuele.
“Ho sbagliato fermata, non mi sono accorta del tempo che
passava… Ci si vede”
E senza dargli possibilità di rispondere, uscì dalla
carrozza e corse via, verso le scale che l’avrebbero portata sulla banchina
opposta, per riprendere il treno perso.
Emanuele la guardò andarsene, stretta in un cappottino
elegante con la borsa che non voleva saperne di starle sulla spalla.
Non si mosse anche quando lei non c’era più.
Poi sospirò e sbattè gli occhi, come se si fosse appena
svegliato. Il treno dietro di lui si mosse per andare al deposito e lui di girò
di scattò, sorpreso dal rumore.
Vide lei al di là dei binari, che gli faceva ciao con la
mano. Lei che avrà avuto ventidue, ventitre anni, lei che era elegante anche in
un banale martedì pomeriggio, che diceva o cielo invece di imprecare.
Casa vuota, come sempre. Emanuele si accese una sigaretta
in cucina e prese il libro dalla borsa. Guardò attentamente quel nuovo
segnalibro avvinghiato alla copertina. Probabilmente aveva ragione lei, così non
l’avrebbe più perso. E non avrebbe neanche più dovuto piegare le pagine dei
libri, per poi sentirsi dire dal padre che i suoi libri erano stati tutti
rovinati dal figlio.
Era stato uno stronzo ad andarsene così dai ragazzi. Lo
faceva sempre, e altrettanto spesso si dispiaceva, a posteriori, di averlo
fatto.
Non perché avrebbe preferito stare lì. No. Era davvero di
malumore, quella mattina, per fingere di stare bene fuori, fra gli altri. Ma non
erano certo loro non erano certo la causa dei suoi malumori.
Non c’era causa. O almeno, Emanuele non riusciva a trovarla
e ad indicarla.
C’era un disagio di fondo in lui che non riusciva a
carpire, una lieve insoddisfazione, forse, un po’ di tristezza probabilmente.
E poi c’era una solitudine incolmabile che gli bruciava
addosso ogni volta che stava con gli altri, che gli altri lo cercavano e che
volevano la sua compagnia. Era molto più facile gestirla da solo. Era meno
dolorosa.
Quando quella solitudine, subdola e irragionevole, lo
aggrediva quand’era in compagnia, lui poteva solo scappare.
Sbuffò, infastidito da se stesso. Save, Bianca, ma così
anche il Muto, Marghe e gli altri. Quell’estate avevano passato una bella
vacanza, una birra con loro ci poteva stare…
C’era sempre quel ma a infastidirlo. Con nessuno di
loro si sentiva in sintonia, con nessuno di loro avrebbe mai parlato di se
stesso realmente. Era fin troppo adolescenziale. In fin dei conti, però, l’unica
persona che probabilmente lo conosceva davvero, era suo padre. E Saverio.
Riposò gli occhi sul libro e pensò alla ragazza della
metropolitana. Sorrise a quel pensiero: non gli aveva nemmeno chiesto il nome.
|