How To Be
Strong
È
notte.
O,
perlomeno, è buio.
Come sempre, del resto.
Non
potrebbe essere
diversamente, se continuo ostinatamente a tenere
l’avvolgibile abbassato,
serrandomi nella mia stanza. È bello stare al buio, sembra
quasi di fuggire dal
mondo.
Regalando
una pigra
occhiata alla sveglia, vengo a conoscenza del fatto che non
è propriamente
notte. Sono le sette del mattino, quasi ora di colazione.
Colazione.
Il
mio stomaco si contrae
dolorosamente. L’ultima cosa che ho mangiato è
stata uno spicchio di mela,
senza contare il pranzo che ho vomitato. Quanto tempo è
passato? Più di
ventiquattro ore, se non sbaglio, più di un giorno intero.
Una sensazione di
potenza si irradia in tutto il mio corpo.
Sono
riuscito a resistere
per un giorno intero. Sono orgoglioso di me.
Ma ho così fottutamente fame, dannazione.
Forse
potrei sgattaiolare
in cucina e mangiarmi un biscotto. Di quelli al cioccolato, morbidi,
che
profumano di dolce e mi fanno attorcigliare lo stomaco al solo pensiero.
Però.
Sono
al cioccolato. Il
cioccolato è cattivo.
Calorico.
Ingrassante.
Solo
uno. Un piccolo
biscotto, che male può fare? Il più piccolo che
trovo, anzi, ne mangio solo
mezzo. Solo poche briciole. Non riesco a resistere, scendo dal letto un
po’
faticosamente e scendo le scale, attento a non far rumore. Devo
reggermi forte
al corrimano, o cadrò. In questi tempi sono così
stanco, e gli scalini così
alti...
Mi
fermo un attimo. Mi si
sono appannati gli occhi, nulla di grave: mi capita spesso di recente
di
perdere momentaneamente la vista. La prima volta che è
successo mi sono spaventato
e ho mangiato un intero piatto di pasta. Tom ha ridacchiato, e ridendo
mi ha
ammonito di star attento se non volevo diventare enorme: appena mi sono
alzato
da tavola sono corso in bagno e ho vomitato.
Sono
arrivato alla
dispensa. L’armadio è grande, imponente, irradia
un magnetismo quasi
insostenibile. Punto gli occhi sulla maniglia.
Il
mio stomaco mi sta
implorando di abbassarla.
Allungo
una mano tremante
e la stringo incerto sul pomello; non so se continuare o correre di
sopra a
rintanarmi sotto le coperte, chiudendomi a riccio con le mani a
stringere la
pancia dolorante.
Ritraggo
di poco il
braccio, ma un’ennesima fitta allo stomaco mi spinge ad
aprire di scatto l’anta
dell’armadio. I miei occhi si spalancano: cibo.
Da quant’è che non mangio decentemente?
Il
mio sguardo si fissa
sul pane.
Pane.
Non
riesco nemmeno a
ricordare che sapore ha. Dio. Sono secoli che non metto in bocca un
pezzo di
pane.
No.
Non
pane. Carboidrati. Un cumulo di
carboidrati
che non aspetta altro che gonfiare il mio povero corpo.
Una
fetta.
Una
sola, piccola fetta
di pane...
Scuoto
la testa. Non
posso mandare a puttane tutto il lavoro che sto facendo.
Poi
vedo la scatola dei
biscotti. Sulla confezione sono riportati disegni che non rispecchiano
molto la
realtà, sembrano molto più appetitosi e il colore
è decisamente più invitante.
Afferro il pacco e me lo stringo al petto, possessivamente, cullandolo
tra le
braccia. Introduco
una mano pallida
nella maldestra
apertura che Tom ha
tagliato con le forbici. Frugo
un po’,
ed estraggo un frollino ricoperto di cacao; è
così dannatamente invitante. Me
lo porto alle labbra, tentennando: il profumo basta a farmi quasi
svenire dalla
fame, e il mio stomaco protesta gorgogliando. Mi torturo il labbro
inferiore, strappando
con i denti una fastidiosa pellicina. L’improvviso dolore mi
riporta alla
realtà: non posso. Non riuscirei a fermarmi, li finirei
tutti, vinto dalla fame, e
dovrei vomitare. Non mi piace vomitare, lo
odio. Spaventato da quello che stavo per fare, lascio cadere il
biscotto nella
scatola e la rimetto frettolosamente nell’armadio. Mentre
chiudo le ante, la
luce si accende ed un assonnato Tom spunta dalla porta. Si strofina gli
occhi
confuso, sorpreso di trovarmi qui.
«
Bill? Non mi dirai che
hai già fame, dopo tutto quello che hai mangiato ieri.
» ride brevemente,
prendendomi in giro. Ieri c’era il pranzo di compleanno di
Georg e ho dovuto
mangiare tutto.
Annuisco
distrattamente,
fissando gli occhi a terra.
Non
sa che appena dopo il
dolce ho vomitato tutto nel bagno.
Farfuglio
qualcosa a
proposito della bottiglia d’acqua minerale che stavo
cercando, ed esco
velocemente dalla stanza. Tom si acciglia, ma non dice nulla.
Torno
di corsa in camera,
cercando di non cadere, ma le ginocchia mi cedono e rovino in terra.
Sbatto il
gomito contro il tavolo e non riesco a non gemere di dolore.
«
Bill, tutto okay? »
vedo una mano che si allunga verso di me, e grato verso
l’inaspettato appoggio
l’afferro tirandomi in piedi. Tom deve aver sentito il
frastuono.
«
Si. » mugolo in
risposta. « Io... sono inciampato nel tappeto. »
lui cerca di dire qualcos’altro,
ma io mi scuso con un mal di testa e torno in camera. Sento che fa lo
stesso,
la sua stanza è abbastanza vicina alla mia.
Mi
stendo sul letto,
togliendomi la maglietta e rimanendo solo con i boxer. Mi accarezzo il
petto
con la mano, avvertendo con una punta di orgoglio le costole spigolose
sotto le
dita e sfiorando la pancia quasi piatta. Scivolo davanti allo specchio,
guardandomi da tutte le angolazioni. Sono un po’ dimagrito,
sulla buona strada
per avere una forma perfetta. Chissà se a Tom
piacerò.
Ho
imparato ad ignorare
la fame, tranne quando si fa più intensa. Sto diventando
sempre più forte.
Anche
la tentazione di
tornare nella dispensa lo è, ma posso controllarmi. Per una
volta non posso
essere debole.
Devo
essere forte. Devo avere
il comando su me stesso.
{ Sicuro che non sia lei
ad
avere il comando, Bill? }
Finito
*riot* avevo un
sacco di altre cose da fare ma ho fatto questo <3
È
uno spin off di
Anorexia: ai tempi della longfic non ero in grado di descrivere i
processii
mentali di Bill.
Ora
penso di essere
abbastanza informata per farlo.
Grazie
della lettura. E un
bacio a tutti coloro che mi hanno sostenuta durante Anorexia <3
PS:
nell'ultima frase lei è la malattia UU
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