30. Winter
Prayers
Come un corso d’acqua in piena lasciò scorrere le
sue memorie, infrangendo gli argini, e Brad, seduto sulla riva di quel
fiume di ricordi, ascoltò in silenzio ogni cosa sperando di
non essere arrivato troppo tardi.
Aveva ascoltato la storia di un Jay diverso e che gli eventi avevano
mutato in una versione decisamente più anaffettiva e
distaccata: avrebbe voluto conoscere il vecchio ragazzo che solo le
parole avevano ricostruito in quelle ore. Capì di essere
stato anche lui la causa di tanta insofferenza nei confronti della vita
e volle fare qualcosa per rimediare; innanzitutto fece attenzione a
carpire da ogni parola il giusto significato, poi si lasciò
andare alle sue reazioni, le più sincere. Parlarono tutta la
notte di Izaya e di cosa la vita aveva riservato a Jay prima e dopo la
sua morte. Brad lo accarezzò, lo consolò per ore,
lo sostenne con tutto l’amore di cui era capace e solo
allora, quando fu chiaro che quell’uomo si fosse realmente
reso conto di quanto male aveva fatto, Jay si affidò alle
sue mani.
Fecero l’amore, per la prima volta, con una tenerezza che
gradualmente riuscì ad accomodare ogni ferita aperta. Non lo
guarì del tutto ma lo fece sentire meno solo e lacerato.
Brad aveva apertamente dichiarato il suo più profondo amore,
chiedendo perdono e offrendosi come spalla: voleva aiutarlo e prendersi
cura di lui, stavolta per davvero.
Si svegliò sentendosi più leggero e il fatto che
Brad l’avesse toccato non suscitò alcun disgusto
e, soprattutto, non pensò mai di voler scappare come invece
aveva fatto dal primo giorno in cui gli aveva messo le mani addosso.
Si alzò con una vaga sensazione di serenità e
sorrise pensando a quanto la vita potesse mettere in atto giochi
davvero strani ed incomprensibili. Fino al giorno prima aveva odiato
Brad con ogni cellula del suo corpo ed erano bastate poche ore per
scoprire un uomo diverso, dedito all’ascolto, alla
comprensione.
Udì rumori inconfondibili in cucina e capì che
Brad stava preparando la colazione; una morsa allo stomaco lo
incatenò al letto poiché provò la
distinta sensazione che Izaya fosse ancora vivo. Non era più
abituato a sentire rumori in casa ma cercò disperatamente di
infilarsi in testa che quello in cucina non era il suo uomo, il suo
amore.
«Buongiorno.» lo salutò imbarazzato una
volta raggiunto e Brad, sorridente e stranamente a suo agio, lo
omaggiò del suo sorriso più aperto:
«Buongiorno a te, piccolo.».
Ancora non riusciva ad accettare di essere il suo
“piccolo”, ma evitò di darlo a vedere
troppo. «Come mai prepari la colazione?» chiese
sedendosi sullo sgabello in prossimità della penisola.
«Tra poco vado a lavoro e non volevo svegliarti,
così avevo pensato di lasciarti qualcosa di
pronto.». Piazzò davanti a Jay un piatto con una
colazione assai carbonizzata ma lo ringraziò ugualmente.
È il pensiero quello che conta.
«Sono stato bene con te, stanotte.» disse Brad con
tono gentile. Dopo aver percepito una sorta di fastidio nei riguardi di
tale esternazione, preferì cambiare discorso:
«Puoi venire a cena a casa mia se vuoi. Immagino quanto possa
essere doloroso per te stare in questa casa e, soprattutto, con un
altro uomo.».
Brad artefice di tanta delicatezza sembrava più uno scherzo.
«D’accordo.»
«Dì la verità! Izaya era in grado di
prepararti una colazione del genere?» chiese con una
leggerezza tale da infastidirlo.
Per quasi due anni il nome di Izaya non era mai stato pronunciato con
così tanta superficialità e provò
rabbia nei confronti di Brad che osava tirarlo in ballo per sciocchezze
del genere: «Lui faceva molto di meglio, ma ti chiedo di
evitare di tirarlo fuori per cose così futili o anche solo
per fare stupide battute.» fu lapidario.
«Credo che continuare a dargli questa importanza sia
deleterio, Jay. Non voglio affatto deprezzarlo ma è morto,
non c’è più e conoscendo il
tipo…»
«Tu non sai niente di lui. “Conoscendo il
tipo” un corno!» lo rimproverò.
«Mi hai parlato di lui per ore e ad ogni parola ho sentito il
peso del confronto. Certamente era un bravo ragazzo ma temo che tu
l’abbia idealizzato troppo.»
«Ma come cazzo ti permetti a dire certe cose?»
sbottò alzandosi dallo sgabello: «Non provare
neanche per un attimo a metterti a confronto, non hai neanche un
mignolo degno di Izaya. Se avesse conosciuto uno come te
l’avrebbe messo al tappeto dopo un nano secondo.»
continuò avvicinandosi a lui, accrescendo il volume della
sua voce che, sempre più adirata, lo mise
all’angolo: «Quelli come te per sentirsi migliori
tendono a distruggere ogni cosa buona intorno. È facile per
una merda mettersi a confronto con la merda, riduci ogni cosa in niente
pur di sentirti superiore. Izaya è una spanna sopra
te…» non riuscì a finire lo sproloquio
perché Brad sentendosi sotto pressione lo costrinse a
tacere, piazzandogli uno schiaffo in pieno viso.
Dopo un primo momento di smarrimento il ragazzo lo fissò con
odio, reggendosi la guancia dolorante: «Questa me la
paghi.»
«Smettila di fare il bambino viziato. Se ci fosse stato qui
Izaya…»
«Izaya non c’è e non nominarlo,
cazzo!» urlò con le lacrime agli occhi.
Brad, fomentato dalla sua stessa frustrazione, prese Jay dal colletto
della T-shirt e lo trascinò con forza fino al salotto per
poi spingerlo a terra: «Hai detto bene, Jay: Izaya non
c’è. Sei tu che ti ostini a rievocarlo ogni volta
facendo sproloqui di mezz’ora sulle sue elevate doti morali.
Parli al presente, lo difendi come se ne avesse bisogno ed io mi sono
stancato. Se vuoi che io cambi veramente, se davvero, come mi hai
promesso, vuoi aiutarmi ad essere migliore devi cambiare atteggiamento.
Azzera ciò che c’è stato prima di
questa notte una volta per tutte e guardami per come sono adesso. E
smettila di provare rancore nei miei confronti, abbassa la voce quando
parli con me.» lo intimò sovrastandolo.
Jay rimase inerme sul pavimento, fissando il vuoto: aveva esagerato.
L’argomento Izaya aveva letteralmente annullato ogni sua
capacità di giudizio, si era adirato per niente e
capì di aver sbagliato ancora. Si era ripromesso di non
giudicare più così duramente Brad, ma
l’aveva fatto.
«Hai… ragione.» ammise con vergogna,
placando l’ira che ad ogni respiro si trasformò in
senso di colpa: «Non meriti questo. Ti chiedo di
perdonarmi.»
«Non posso risponderti adesso. Sono troppo incazzato e
sì, Jay: sono ferito!» ammise per la prima volta.
Con estrema fretta indossò la camicia mentre Jay si alzava
dal pavimento, afferrò la giacca e senza parlare
uscì di casa, lasciandolo solo e macchiato dalla colpa.
***
Era un mercoledì come tanti, tranquillo e senza grandi
programmi da mettere in pratica. La serata, stranamente priva di
nuvole, continuava a procedere senza alcun affanno, ma sotto lo stesso
cielo si consumano eventi diametralmente opposti e nonostante la calma
di quel mercoledì, una ragazza sola si avvicinava
all’Escape bar con aria imbronciata e a momenti incerta. Era
vestita elegante, effettivamente sembrava adatta a quel luogo, ma nei
suoi grandi occhi neri non vi era nulla di appropriato: nessuno
scintillio d’impazienza tipico di chi era lì per
divertirsi.
Mise piede nel locale trovando un ambiente particolarmente sereno e
guardando la locandina che preannunciava la festa imminente del sabato
e l’esibizione di Lulù, la drag queen
più famosa di Soho, sospirò afflitta: le sarebbe
certamente servita una serata come quella per dimenticare.
Fece una veloce panoramica del luogo e pensò di essere nel
posto più giusto.
Thomas, il suo ragazzo, l’aveva lasciata in tronco
costringendola ad uscire dall’auto; il suo ragazzo
l’aveva abbandonata a Soho, di notte, senza più
interessarsi a lei.
Inizialmente pensò che fosse stato solo un gesto di stizza e
l’aveva aspettato nello stesso punto per quasi
mezz’ora, ma non vedendolo tornare si era rassegnata.
Guardò le coppiette scambiarsi tenere effusioni sui
divanetti illuminati da una fioca luce blu e decise di andare verso il
bar. Forse avrebbe bevuto facendo una chiacchierata con il barista
sperando fosse un tipo affabile ma non appena la sua attenzione fu
catturata da altro, i suoi progetti cambiarono.
Vide un ragazzo con l’aria imbronciata, seduto su uno
sgabello, intento a bere una vodka. Aveva un’aria strana,
quasi malinconica, sembrava fosse costantemente sul punto di piangere;
guardava davanti a sé, dando le spalle al resto, come se
vedesse chissà cosa tra le bottiglie allineate sulla mensola
in cristallo del bar.
La ragazza lo squadrò per minuti trovando nei suoi occhi
qualcosa di irresistibile e di sorprendentemente genuino: appariva come
un essere puro incastrato in un contesto del tutto inadatto.
Cercò di mettere a tacere quei pensieri così
smielati e si avvicinò a lui adagio sperando di poterci
parlare.
Sedutasi allo sgabello accanto a lui, inizialmente fece finta di niente
incoraggiata dalla disattenzione del ragazzo che, con le labbra
arrossate attaccate al bicchiere, persisteva nell’ignorare
ciò che gli stava intorno.
Passò al setaccio ogni minimo dettaglio di lui: i bracciali
ai polsi, l’anello raffigurante una carpa koi al pollice, i
jeans stretti sulle cosce che terminavano a sigaretta, incastrati nelle
sneakers nere con la cerniera al lato: era giovane e ogni dettaglio
glielo suggeriva.
Lei aveva ventotto anni e lui sembrava un diciannovenne ma la cosa che
più di tutto la colpiva era quel meraviglioso sguardo che
indossava come fosse un indumento.
Guardò più di una volta il punto che rapiva
l’attenzione di quel ragazzo non trovandoci niente di
interessante, vedeva solo bottiglie di liquori.
«Scusa!» richiamò la sua attenzione.
Il giovane voltò lo sguardo verso di lei, senza muovere la
testa. Lasciò solo all’occhio destro il compito di
fissarla attraverso quel ciuffo che si ostinava a sfiorargli le ciglia
nere e lunghe; rimase in silenzio, si limitò a scrutarla con
le labbra porpora attaccate al suo bicchiere.
«Sono Beatrix…»
«Come La
Sposa!» esclamò lui, interrompendo la
sua presentazione.
Beatix non capì esattamente cosa volesse dirle e lo
guardò come inebetita per qualche minuto. Il ragazzo non si
scompose più di tanto e non ricevendo alcuna risposta
puntò nuovamente il suo sguardo verso quel mondo immaginario
che aveva il privilegio di vedere solo lui. Sentendosi frustrata dal
fatto che ci fosse qualcosa di più interessante di lei,
smise di parlare.
«Che ci fa una ragazza etero qui?» le rivolse
finalmente la parola, facendola sobbalzare sulla sedia come una bambina
alle prime armi.
Anche lei si fece la stessa domanda: Cosa ci fa un ragazzo etero qui?
La risposta fu ovvia: non era un ragazzo etero ed ecco spiegato tanto
disinteresse.
«Ero triste, non sapevo dove andare e mi sono infilata nel
primo locale che mi sono vista davanti! Diciamo che passavo di qua con
la macchina e, d’un tratto, mi sono ritrovata fuori, contro
la mia volontà.»
«Il tuo ragazzo ti ha mollata? Non fa sul serio,
tranquilla!» disse con certezza.
Cosa lo rendesse così sicuro non fu chiaro, così
glielo chiese direttamente: «Come puoi saperlo?».
Lui si voltò, per la prima volta, completamente, esibendo
uno sguardo del tutto nuovo, non più triste, era sicuro di
sé.
«Se avesse fatto sul serio non ti avrebbe lasciata davanti ad
un locale per omosessuali.»
«Non capisco che vuoi dire.»
«È noto che una donna per consolarsi tende a
cercare nuove avventure. Qui sarebbe impossibile.»
affermò lui con convinzione.
«Non tutte le donne!» rispose infastidita ma, prima
che potesse continuare, il ragazzo si avvicinò a lei con
fare ammiccante, provocatorio, cosa che la imbarazzò tanto
da costringerla a spostare gli occhi da lui.
«Visto?» concluse divertito.
«Cosa ti fa credere che io ci stessi provando con
te?»
«Intuito femminile.»
«Sei un uomo!»
«Certo! Ma sono un uomo dotato di intuito femminile. Per
questo penso che gli omosessuali siano evoluti: hanno i pregi di
entrambi i sessi.» desunse con scherzosa supponenza.
Beatrix non trovò molto altro da dire, anche
perché in qualche modo credeva che lui avesse ragione e,
poco dopo, si ritrovò davanti il suo sorriso solare, mentre
le porgeva la mano: «Mi chiamo Jay. Jay Hahn.»
Lei l’afferrò senza accorgersi che, nel frattempo,
l’attenzione di Jay si era già spostata altrove.
Stringendogli ancora la mano si voltò per vedere chi fosse
il destinatario di quello sguardo e scorse un uomo ben vestito
all’entrata.
Jay inchiodò quell’uomo e Beatrix poté
intravedere nei suoi occhi un misto di malizia e rassegnazione.
«Perdonami, Sposa. È
stato un piacere conoscerti.» si congedò senza
darle modo né tempo di replicare.
Lo ammirò allontanarsi tra la folla e sbirciò
l’incontro tra i due con curiosità. Li vide
abbracciarsi come due innamorati, osservando il contatto tra i due che
diventava sempre più intimo e una sorta di delusione mista
ad amarezza la pervase.
Vide “l’uomo ben vestito” toccare la
pelle di Jay sotto la camicia e, poco dopo, come era arrivato, se ne
andò portandoselo dietro docilmente.
Così Beatrix si voltò verso il bar e si
ritrovò a guardare lo stesso punto che pocanzi aveva
attratto così tanto il ragazzo che aveva appena conosciuto e
in quel momento vide la stessa cosa che, probabilmente, anche Jay aveva
visto per tutto il tempo: i propri pensieri materializzarsi come sogni.
Angolo Autrice.
Insisto nello scrivere angoli autrice brevi. Non perché non
voglio ringraziarvi, ma perché mancano quattro capitoli alla
fine di Jay e vorrei ringraziarvi tutti, per bene, nell'ultimo capitolo.
Vi ringrazio tanto per il sostegno, per le recensioni e un bacio a
tutti quelli che hanno inserito la storia nelle
Seguite/Preferite/Ricordate.
Spero vi sia piaciuto questo capitolo.
Al prossimo.
Un abbraccio.
Bloomsbury
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