NdA:
Questa
storia partecipa
al contest della pagina Facebook “Io
scrivo su
EFP”,
FORSE, ovvero:
se la giudice, Lara Zarina
Nemainn,
non mi caccia via perché ho sforato di ben quindici pagine
il limite
massimo; in caso contrario sarà solo una minilong di tre
capitoli,
ma spero comunque che vi piaccia. Una recensione può salvare
la
vita, “sapevatelo” (cit)! Mi sento sempre a disagio
quando scrivo
di Star Trek, e questo è sostanzialmente il motivo per cui
ho una
mezza dozzina di storie cominciate sul pc e mai finite. A voi posteri
l'ardua sentenza!
Disclaimer:
I personaggi, per loro fortuna, non sono di mia proprietà,
ma
appartengono ai loro rispettivi proprietari, che il cielo li abbia in
gloria per questo!
Auguro
a tutti una buona lettura e vi ringrazio, parandomi il vulcaniano
sedere rubando le parole al folletto Puck,:
«Se
noi ombre vi siamo dispiaciuti,
immaginate
come se veduti
ci
aveste in sogno, e come una visione
di
fantasia la nostra apparizione.»
-William
Shakespeare-
Il
gioco delle parti:
di
Rosebud Secret
“Ama
tutti, credi a pochi e non far male a nessuno.”
-William
Shakespeare-
“Sicuro
di non voler venir con me, Spock?”
Il
vulcaniano distolse lo sguardo e Jim poté quasi percepire il
suo
imbarazzo, al di là dell'apatica facciata.
“Non
vedo che piacere potrei trarre dal “cavalcare”
un'onda. La
ringrazio per l'invito, capitano, ma mi vedo costretto a declinare
ancora una volta. Approfitterò di questa breve licenza per
ultimare
i miei aggiornamenti sulle recenti istallazioni del computer di
bordo.”
Jim
scosse la testa con un sorrisino sconsolato. Avrebbe voluto dirgli
che non sarebbe riuscito a sfuggire per sempre a quella ed ad altre
conversazioni, ma si limitò ad un neutro:
“Dovresti
davvero imparare a divertirti un po'.”
Gli
diede una pacca sulla spalla, poi montò sulla piattaforma di
teletrasporto.
“Energia,
signor Chekov.”
“Siamo
soli, siniore.”, commentò il giovane
guardiamarina, rivolgendosi
al primo ufficiale, “L'Enterprise è nave fantasma,
adesso.”
Spock
non commentò e uscì dalla sala teletrasporto.
Benché il capitano
non gliene avesse fatto una colpa, si sentiva responsabile per il
crash del computer che aveva costretto
la nave
a rientrare dopo appena tredici giorni dalla partenza per la missione
quinquennale. Avrebbe dovuto prevedere che l'esplosione di quella
stella avrebbe comportato una pioggia quantica pericolosa, eppure
aveva insistito perché si avvicinassero per fare
rilevamenti. Era
stato avventato e stupido. La sua distrazione aveva raggiunto vette
imperdonabili. Khan aveva cambiato ogni cosa, andando a peggiorare il
suo già instabile equilibrio emozionale. Tutto era
cominciato con la
distruzione di Vulcano e con la morte della madre. Eventi dai quali,
nonostante tutti i suoi sforzi, non si era mai ripreso. Ed altri
incubi si erano aggiunti ai suoi tormenti notturni di seguito alla
morte di Jim, per quanto non definitiva. Per oltre due settimane
aveva vegliato su di lui senza chiudere occhio all'ospedale,
rifiutando di allontanarsi dal capezzale nonostante le minacce del
dottor McCoy. Ed era stato in quel terribile periodo che aveva
accettato l'ineluttabile verità di provare per il capitano
dolorosi
e confusi sentimenti che, suo malgrado, non era riuscito a tenere per
sé.
I
tecnici, ad ogni modo, avevano impiegato poche ore a reinstallare il
sistema, ma Jim aveva comunque insistito perché si
fermassero
qualche giorno per permettere al dottor McCoy di festeggiare il
compleanno di sua figlia. Benché Spock non comprendesse il
bisogno
umano di onorare tale ricorrenza, si era sentito in un certo qual
modo rassicurato dal tempo guadagnato: avrebbe studiato nel dettaglio
ogni procedimento del computer, così da non incorrere
nuovamente in
una tanto imperdonabile svista.
Lavorò
per tutta la giornata e, a sera fatta, dopo aver cenato con Chekov,
si era ritirato nel suo alloggio con l'intento di studiare ancora.
“Guarda
cosa ti stai perdendo!”, esclamò Jim nel
video registrato che
gli aveva mandato quel pomeriggio.
Grazie
al cambio di inquadratura, Spock poté vedere la spiaggia
assolata,
gremita di gente, e le alte onde su cui molti stavano facendo surf.
Per quanto nessuna di quelle attività lo interessasse,
provò
davvero la pungente sensazione di starsi perdendo qualcosa,
per dirlo alla maniera terrestre. Jim aveva davvero molto insistito
perché lo accompagnasse... Probabilmente,
rifletté, ciò era dovuto
al suo tentativo di non farlo sentire in colpa per quel pasticcio col
computer; o forse per risollevare un discorso che, in cuor suo, il
primo ufficiale non avrebbe mai voluto aver intrapreso. Quel che,
tuttavia, il capitano non aveva capito era che non esisteva forza
nell'universo che potesse strappare un vulcaniano al proprio dovere.
Ascoltò
l'altro ripetergli le coordinate della spiaggia per la tredicesima
volta da quando gli aveva mosso il primo invito, due giorni prima,
poi una ragazza comparve nell'inquadratura. Era davvero graziosa, con
i capelli scuri ed una vivace fascia rossa che le copriva la parte
superiore del capo. Questo fu in grado di procurargli un sordo quanto
inopportuno fastidio.
“A
chi lo mandi, alla tua ragazza? Ciaooo, ragazza di Jim!”,
esclamò.
“Ad
un dannato cocciuto.”
Lei
annuì risoluta e avvicinò ancora di
più il viso alla camera.
“Se
sei carino almeno la metà di lui, devi assolutamente venire
qui!”,
sentenziò per poi rivolgersi al capitano: “E'
carino?”
“E'
vulcaniano...”
“Questa
non è una risposta!”
“Concordo.”,
si ritrovò a commentare Spock.
“E'
un tipo. Posso riavere la telecamera, adesso?”
L'apparente
non risposta parve bastare alla ragazza, e Jim tornò ad
inquadrarsi.
Sogghignava, come se immaginasse perfettamente la
perplessità sul
volto del suo primo ufficiale.
“Allora,
ti ho convinto?”
Il
video si concluse con un movimento brusco e qualche risata. Spock si
ritrovò a scuotere leggermente il capo, incredulo.
Guardò
la tabella di marcia che aveva preparato sul suo PADD e
constatò
che, in base alle tempistiche schedate, avrebbe potuto raggiungere
Jim da lì a cinque giorni con una probabilità del
83% salvo
imprevisti.
Forse
lo avrebbe fatto, quanto meno per metterlo a tacere.
Si
sorprese quando notò una chiamata in arrivo.
“Capitano...”,
cominciò a dire, premendo il tasto di ricezione senza
guardare, ma
si corresse subito dopo, quando sentì l'intenso vociare di
un numero
imprecisato di bambini: “Dottore,
cosa posso fare per lei?”
“Ha
sentito Jim? Doveva passare alla festa di Jo per darmi una mano. E'
cominciata già da un'ora e non risponde al comunicatore,
quel
bastardo!”
Bones
si grattò la nuca.
“So
che non lo capirà, ma, insomma... ho davvero bisogno di
qualcuno che
mi copra le spalle, qui! EHI, TU! SCENDI DA QUELL'ALBERO!”
“Ho
ricevuto un suo messaggio alle 15.23.37 di questo pomeriggio. Non ci
sono state altre comunicazioni, ma ho ragione di credere che fosse in
compagnia, e potrebbe esserlo tutt'ora.”, fu la fredda
risposta di
Spock.
“Mi
sta dicendo che mi ha mollato?! Ma io lo ammazzo! Oh, per la miseria,
sono un dottore, non Mary Poppins! VIENI GIU' DA LI', PRIMA DI
ROMPERTI IL COLLO!”
McCoy
chiuse la comunicazione senza neanche salutare, lasciando il
vulcaniano fermo a fissare lo schermo, perplesso: era inusuale che il
capitano non mantenesse la sua parola, quindi perché non era
andato?
Un'ombra
di sospetto gli suggerì che quella fosse tutta un'oculata
manovra
orchestrata per farlo sbarcare, volente o nolente. Nonostante questo
non venne meno ai suoi compiti e cercò di mettersi in
contatto con
il capitano. Provò più volte, ad intervalli
regolari di cinque
minuti, senza ottenere risposta.
“Chekov.”,
chiamò.
“Sì,
siniore?”
“Devo
scendere a terra a sincerarmi delle condizioni del capitano. Reputo
che non sia accaduto nulla di grave, ma è opportuno
controllare.
Sarò di ritorno entro tre ore da adesso,
approssimativamente. Spock
chiude.”
Raggiunse
la sala teletrasporto e si assicurò di avere con
sé il
comunicatore, prima di impostare le coordinate sulla consolle e
scendere in quella spiaggia di Miami.
Il
sole era tramontato da poco e l'orizzonte era ancora tinto da una
striscia violacea. Si guardò intorno per qualche istante:
alcuni
ragazzi stavano preparando un barbecue sulla spiaggia; qualcuno
faceva jogging con il cane; qualche coppietta passeggiava; e in molti
stavano prendendo un aperitivo nelle depandance dei locali al di
là
della strada. Jim non era in vista, per cui si diresse subito verso
l'albergo dove lo sapeva alloggiato.
Una
volta ottenuto il numero di camera alla reception, salì al
ventitreesimo piano. Bussò alla camera 2487, ma non
ricevette alcuna
risposta. Provò quindi ad abbassare la maniglia e la porta,
con sua
sorpresa, si aprì.
“Capitano?”,
chiamò, entrando, esitante.
“Adesso?!
Ti presenti ADESSO?!”, esclamò Bones, furibondo,
spalancando la
porta della casa dell'ex-moglie.
Jim
gli rivolse un sorrisino colpevole.
“Non
ti avevo promesso di aiutarti con la festicciola. Comunque sia
c'è
stato un piccolo guasto con la piattaforma di teletrasporto a Miami.
L'hanno sbloccata solo poco fa.”
“Zio
Jim!”, esclamò la piccola Joanna, sgusciando fuori
da dietro al
padre.
Il
capitano posò a terra l'ingombrante pacco regalo e la
sollevò tra
le braccia, permettendole di dargli un bacio sulla guancia.
“Ciao,
principessa! Mi perdoni per il ritardo?”
“Solo
se mi hai fatto un bel regalo!”
Bones
si guardò bene dal rimproverarla per la sua impudenza, e Jim
rise di
gusto.
“Il
più bello di tutti, parola!”, garantì,
“Coraggio, aprilo.”
La
bambina sollevò il coperchio forato della scatola, e un
musetto fece
subito capolino.
“Mamma!
Mamma! Lo zio mi ha regalato un cagnolino!”,
gridò, elettrizzata,
prendendo in braccio la bestiolina e correndo dentro.
“Mi
sembrava di averti detto che Jocelyn odia i cani.”,
commentò il
dottore.
“Oh,
ops! Devo aver capito male...”
Ridacchiarono
insieme, e finalmente McCoy lo invitò dentro per una birra.
“Un
cane?!?”, li aggredì immediatamente la donna,
arrivando in cucina
come una furia, “Leonard, vuoi spiegarmi?”
Bones
si limitò a scrollare le spalle.
“Jo
lo voleva da tanto. Dev'essermi scappato detto con lui. Mi dispiace
tanto.”, rispose, affatto contrito.
“Voglio
quella bestia fuori da casa mia!”
“Il
cane resta. Guardala.”, rispose il dottore, indicando la
figlioletta al di là della portafinestra che dava sul
salotto.
“Della tua serenità me ne frego, Jocelyn. Te lo
farai piacere.”
“Vattene
tu, almeno.”, gli sibilò lei, ostile, e
consapevole che dati i
mirabolanti sviluppi dell'Enterprise, se Leonard avesse voluto
levargli Joanna, avrebbe facilmente potuto vincere una causa.
“Adesso
non...”, tentò Jim.
“Tu
sta' zitto. Leonard, potrai rivedere Jo domani. Sempre che t'importi,
dato che hai deciso di sparire per cinque anni!”
McCoy
le rivolse un'occhiata furibonda, ma trattenne la lingua per non
rovinare il compleanno della figlia. La raggiunse in salotto, e
l'abbracciò, salutandola. Jim lo seguì poco dopo,
e in meno di
dieci minuti furono fuori dalla villetta.
“Scusami,
Bones, non volevo...”
“Tu
non c'entri. Ce ne andiamo in Florida, allora?”
Il
capitano sorrise.
“Ho
chiesto all'autista del taxi di aspettarci.”
“Che
giornata infernale! Mi serve una sbronza...”,
commentò l'altro,
“Com'è che non mi hai risposto alle
chiamate?”
“Ho
scordato il comunicatore in camera, ma col traffico che c'era non me
la sono sentita di tornare indietro a prenderlo.”
“Spock
farà i salti di gioia...”, ironizzò
Bones, salendo sul taxi.
“Oh
beh, al limite sarà sceso a controllare e lo troveremo
lì. Due
piccioni con una fava.”
“Che
sta succedendo tra te e il folletto?”
Jim
trasalì.
“Niente,
perché?”
“Non
sono nato ieri, ragazzino.”
L'altro
si grattò la nuca.
“E'
complicato. Appena ci sarà qualcosa di definitivo, te lo
farò
sapere.”
“O
anche no, se vuoi preservare quel poco di sanità mentale che
mi è
rimasta...”
Jim
rise, imbarazzato ma non sorpreso. Bones sapeva, forse aveva
sempre saputo.
Guardò
fuori dal finestrino, pensieroso.
Era
successo il giorno della sua dimissione dall'ospedale, dopo la
vicenda di Khan. Spock si era offerto di accompagnarlo a casa,
avevano cenato insieme, e fatto una partita a scacchi, pessima da
parte di entrambi, che si era protratta per quasi quattro ore ed era
terminata in un misero stallo.
“Avresti
dovuto dormire un po' in queste settimane.”, aveva
poi buttato
lì Jim, messo prontamente al corrente da Bones.
Spock
aveva distolto lo sguardo.
“Anche
se avessi voluto, non ci sarei riuscito.”
“Di
nuovo gli incubi? Pensavo che dopo quella faccenda di April 1
si fossero un po' attenuati... Da quanto sei sveglio?”
“Approssimativamente
diciotto giorni, tredici ore e ventun minuti.2”
“E
non hai neanche le occhiaie!”, aveva scherzato Jim,
solo per
dissimulare la sua preoccupazione, “Hai almeno
provato a
dormire?”
“No.”
Aveva
sospirato e scosso il capo.
“Almeno
è chiaro perché giochi da schifo.”
“Resto
comunque imbattuto.”, aveva commentato il
vulcaniano.
“Questo
assomiglia molto al pavoneggiarsi, Spock!”
C'era
stato un lungo silenzio, poi il comandante aveva parlato di nuovo:
“Avrei
dovuto esserci io nel reattore di curvatura. Ero... pronto per farlo.
E non lo ero per quel che è accaduto. Avrei davvero ucciso
Khan. Non
è mai stato nelle mie intenzioni catturarlo.”
“Spock...”
“No.
Ero fuori controllo, ed è qualcosa che non deve
più accadere. È
mia intenzione chiedere un trasferimento, se vorrà accettare
le mie
dimissioni.”
“Vaffanculo.”
L'altro
aveva sollevato un sopracciglio, sorpreso.
“Esattamente
come dovrei interpretare tale risposta?”
“Se
pensi che non avrei inseguito Khan fino all'altro capo dell'universo
per ammazzarlo, qualora ci fossi stato tu in quel reattore, allora
sei un idiota!”
“La
vendetta non riporta in vita i morti, né reca alcun sollievo.”
“Niente
moralismi da quattro soldi. Sarebbe stato giusto. Io ho salvato quel
bastardo, dopo Pike, e...”
“E,
per quanto abbia portato ad esiti tragici a livello personale, quella
era la corretta via da seguire: il generale Marcus doveva essere
fermato. Quel che sto cercando di dire, capitano, è che
qualora si
presentasse una situazione analoga non posso e non potrei garantire
di essere in grado di prendere quel tipo di decisione. E se lei
è
animato dallo stesso dubbio nei miei riguardi, allora abbiamo un
problema che può risolversi solo attraverso il nostro
allontanamento.”
“Tu
non andrai da nessuna parte, questo non è in discussione.”
“Non
ho altro da dire, allora. Prendo atto della sua decisione, ma sappia
che non è dettata dal buon senso.”
Il
tono di Spock era uscito profondamente risentito.
“Problema
risolto.”
“Nulla
è risolto, Jim! Lasciare che i sentimenti prevarichino il
raziocinio
è sbagliato.”
“Ma
finiscila! Pensavo che avessimo sorpassato il fatto che ti avessi
salvato da quel dannato vulcano!”
“Infatti
non è a quell'evento che mi sto riferendo! Non sono pronto
ad
accettare che lei possa sacrificarsi per il bene dell'equipaggio, per
quanto sia logico e doveroso.”
Jim
aveva sospirato, e il suo tono si era un poco addolcito.
“Spock,
non incontreremo Khan tutti i giorni...”
“Sta
minimizzando.”
“No,
sei tu che la stai ingigantendo! Non fraintendermi, apprezzo che tu
mi sia così amico...”
“Sta
ancora minimizzando.”
“E
questo che vorrebbe dire?”
“Lei
non vuole davvero che io chiarifichi l'ovvio, vero? Il rapporto che
si sta creando tra noi è sbagliato e pericoloso.
È pertanto mia
ferma intenzione fermarlo ancor prima che nasca.”
A
questo era seguito un pippone di quarantacinque minuti,
infiocchettato di statistiche, su quanto avessero sbagliato tutto, e
quanto questo avrebbe potuto compromettere la missione quinquennale.
Jim
ne era uscito rimbambito, con un'emicrania terribile e con la
radicata convinzione che i vulcaniani facessero davvero schifo nelle
dichiarazioni.
Spock
alla fine se n'era andato dandogli la garanzia che, una volta ripreso
servizio, non si sarebbe mai più lasciato andare in quel
modo. Da
quella volta si erano rivisti esclusivamente per i resoconti sulle
riparazioni dell'Enterprise, senza mai ricadere sull'argomento, a
discapito dei numerosi tentativi di Jim.
Mentalmente,
il capitano, si era ritrovato a smontare ogni elemento che l'altro
aveva posto come contrario ad un'ipotetica relazione tra capitano e
primo ufficiale; da lì ad immaginare come sarebbe stato il
passo era
stato breve. Sfortunatamente, Spock non gli aveva mai dato modo di
riparlarne, né di esprimergli in modo accurato quali fossero
i suoi
di sentimenti, apparentemente irrilevanti per quel testardo
vulcaniano. Per questo aveva tanto insistito affinché lo
accompagnasse durante quella licenza, VOLEVA chiarire le cose e
arrivare ad un punto che non fosse quello di gelida indifferenza
messo in piedi da Spock.
E
invece lo avrebbe visto con Bones, sempre che fosse sbarcato.
“Capitano?”,
ripeté Spock, entrando nella stanza.
Tutto
era in ordine, e il borsone che Jim aveva portato con sé
giaceva in
un angolo tra l'armadio e il letto. Il comunicatore, invece, era sul
comodino. Lo sollevò e la semplice idea che l'altro fosse
uscito,
fregandosene di ogni cosa, gli provocò un moto di illogico
fastidio.
Probabilmente era nella camera di qualche sconosciuta. La gelosia era
una sensazione nuova per lui, e gli ci volle qualche istante di
concentrazione per riuscire a scacciarla.
“Oh,
sei arrivato!”
Si
voltò verso la porta aperta e riconobbe la ragazza della
spiaggia.
“Se
sta cercando il capitano Kirk, devo informarla che non si trova
qui.”
Lei
sorrise, avvicinandoglisi e lasciando che l'uscio le si chiudesse
alle spalle.
“Non
temere, è te che voglio.”
Il
pensiero che gli stesse muovendo delle avance si estinse quando la
vide estrarre un phaser dalla borsa e fare fuoco.
Quando
riprese conoscenza riconobbe di essere disteso nella vasca da bagno,
imbavagliato e con le braccia e gambe ammanettate da bracciali
magnetici.
Era
ancora nell'alloggio di Jim, con tutta probabilità. La
ragazza che
lo aveva stordito sedeva sul bordo della vasca e parlava a bassa voce
al comunicatore. Riconobbe l'idioma e riuscì persino a
cogliere
qualche parola di romulano: presto; arrivare; carrello.
Una
parte di lui sperò che Jim arrivasse; l'altra, invece, non
voleva
che corresse ancora pericoli. Non dopo tutto quel che era successo.
Non avrebbe saputo definire quale delle due fosse più
logica. In fin
dei conti, in qualità di primo ufficiale, era suo dovere
proteggere
il capitano.
Cercò
di sollevarsi, ma la romulana fu più rapida di lui. Lo
colpì in
faccia, facendolo ricrollare miseramente sulla fondo di ceramica.
“Ma
guarda! Già sveglio... e dire che quella scarica avrebbe
dovuto
metterti al tappeto per ore! Rimediamo subito.”
Gli
sparò una seconda volta, un istante prima di udire Jim
rientrare.
Imprecò a bassa voce e chiuse la tenda sopra alla vasca,
prima di
tirare lo sciacquone e uscire dal bagno.
“Jimmy!”,
esclamò.
Il
capitano trasalì e Bones incrociò le braccia al
petto, sbuffando di
disappunto.
“Sei
incorreggibile! Poi non meravigliarti se con Spock è un
casino...”,
sbuffò.
“Come
hai fatto a entrare, Trisha?”
“La
porta era aperta. Volevo solo lasciarti un biglietto per dirti che
domani non posso. Il mio ex è tornato in città e,
bhe...”
“Tranquilla,
capisco perfettamente.”
“Scusa
se ho usato il tuo bagno...”
Jim
le fece un cenno.
“Non
c'è problema. Senti, hai detto che la porta era aperta: hai
per caso
visto Spock? Quel vulcaniano di cui ti ho parlato...”
Lei
scosse il capo, e qualcuno bussò alla porta. Un cameriere in
divisa
rossa e cappellino entrò con un grosso carrello per la
biancheria.
“Mi
scusi, signore, ma pare che in questa stanza il personale abbia
dimenticato di cambiare gli asciugamani. Me ne occupo immediatamente
e le porgo le scuse del direttore. L'albergo provvederà a
farle uno
sconto per il disturbo.”, detto questo, sparì in
bagno.
“Bhe,
Jimmy, è stato un vero piacere conoscerti. Grazie per il bel
pomeriggio. Spero che vada tutto bene con Spock.”
Trisha
gli si avvicinò e gli diede un bacio sulla guancia, prima di
andarsene.
“Ed
ecco il premio di consolazione che se ne va.”,
commentò McCoy.
“Scherzi?
Mi è stata attaccata tutto il santo giorno. È
solo una liberazione!
Ancora dieci minuti e avrebbe cominciato a ipotizzare il colore degli
occhi dei nostri futuri figli...”
“Solo
tu puoi rimorchiare parlando di quanto ti interessi qualcun
altro...”, ridacchiò il dottore.
Sentirono
un tonfo provenire dal bagno.
“Ehi,
tutto bene lì dentro?"
Il
cameriere ricomparve, sorridente.
“Nessun
problema, signore. Ora è tutto come deve essere, le auguro
un buon
soggiorno.”, rispose, spingendo, quasi con fatica, il
carrello
fuori dalla camera.
Jim
si chinò a raccogliere il comunicatore abbandonato sulla
moquette,
stranito: ricordava perfettamente di averlo lasciato sul comodino.
Scrollò le spalle: forse era caduto a Spock.
Provò
a chiamarlo, ma senza esito.
“Sarà
qui fuori a chiedere se qualcuno ti ha visto.”, intervenne
Bones.
“Vado un attimo in bagno, tu non andarmi in
paranoia.”
Il
capitano si sincerò con la nave che Spock fosse
effettivamente
sceso, e si era appena affacciato al corridoio, quando:
“JIM!”
Raggiunse
il dottore di volata, e trasalì: il fondo della vasca era
sporco di
sangue. Sangue verde.
Spock
socchiuse gli occhi e constatò immediatamente di trovarsi a
bordo di
una navetta. L'avevano chiuso dentro una cassa d'acciaio per
l'attrezzatura. Maldestramente cercò di raggiungere la tasca
dei
pantaloni, solo per scoprire che, come prevedibile, gli avevano tolto
il comunicatore.
Il
perché dei romulani avessero rapito un ufficiale della
flotta era
piuttosto evidente: volevano delle informazioni, ma come fossero
arrivati sulla Terra, come avessero saputo dove trovare il capitano,
o lui, e perché avessero compiuto un gesto tanto azzardato
erano
tutte domande a cui non riusciva a trovare una risposta logica.
Lo
scossone dovuto ad un brusco attracco lo fece finire contro il bordo
della cassa, lasciandolo senza fiato. Due romulani lo tirarono in
piedi malamente, e uno gli disattivò le manette magnetiche
alle
caviglie.
“Cammina!”
Venne
scortato sin dentro la nave principale, dove altri due romulani
stavano discutendo animatamente. Da quel che riuscì a
capire, l'uomo
a bordo stava rimproverando il pilota per via di quell'attracco
maldestro. Li superarono entrando in un malandato turboascensore. Tutto
su quella nave appariva vecchio e fatiscente, dati che
comunicarono a Spock che quell'azione, probabilmente, non era stata
orchestrata sotto ordine diretto dell'Impero. Forse i suoi rapitori
cercavano qualcosa di specifico, non la guerra.
Scesero
verso il basso per lunghi minuti in completo silenzio, sino a quando
le porte non si aprirono in una stiva di carico adibita a hangar di
detenzione. Spock poté contare cinque celle, una delle quali
sembrava esser stata usata da poco, ma fu sulla donna romulana che
concentrò la sua attenzione. Si era tolta il travestimento
ed ora
non appariva più tanto graziosa e accomodante. Aveva
un'espressione
dura, volutamente minacciosa.
Una
volta avvicinatasi gli strappò il nastro adesivo con cui gli
avevano
tappato la bocca.
“Benvenuto
a bordo, comandante Spock. Spero che l'ambiente sia di tuo
gusto.”
“E'
un po' troppo freddo.”
Pagò
quel tentativo d'ironia ricevendo una sberla in faccia. Decisamente
l'influenza di Jim nella sua vita non aveva portato solo giovamenti.
“Pensavo
che i vulcaniani fossero privi di senso dell'umorismo.”
“Non
siamo immuni da contaminazioni ambientali. Posso sapere con chi sto
parlando?”
“Perché
no? Mi chiamo Rhiana 3.
Ricordatelo, potrebbe
servirti quando implorerai pietà.”
“I
vulcaniani non implorano.”
“Allora
lo faranno le tue contaminazioni ambientali.”,
gli rispose
seccamente, per poi ordinare ai suoi uomini di chiuderlo in cella.
“Non
temere, ci rivedremo tra pochi minuti.”
Spock
si accucciò ad esaminare la parete. Come aveva
già notato, quello
era un mercantile molto vecchio, approssimativamente di
sessanta/settant'anni prima, forse anche di più. La cella,
invece,
era robusta, messa a punto con cura. Ad un primo sguardo gli apparve
impossibile da evadere.
Si
sedette, cercando di riflettere: con tutta probabilità, date
le
parole di Rhiana, il capitano non era stato catturato, quindi era
probabile che si fosse già accorto della sua assenza.
Questo,
tuttavia, lo portava ad un vicolo cieco; stando ai dati di cui
disponeva, non c'erano infatti possibilità che Jim capisse
ch'era
stato rapito, men che meno da chi.
Era
solo.
Un
pallido sentimento d'angoscia si affacciò nella sua mente e
il
comandante impiegò diverso tempo per placarlo. C'era
qualcosa che
non andava nelle sue percezioni, era più che mai evidente,
ma anche
in tal senso non sapeva circoscriverne la causa.
La
porta dell'hangar si spalancò e tre romulani trascinarono
dentro un
uomo seminudo e bagnato fradicio. Aveva numerose ferite sul corpo da
cui colava copioso sangue verde. Lo sbatterono nella cella di fronte
alla sua, poi si avvicinarono. Ad un minimo cenno di uno di loro la
serratura si sbloccò.
“Puoi
seguirci sulle tue gambe, oppure no. A te la scelta.”
Spock
decise ancora una volta di collaborare e, lanciando un ultimo sguardo
all'altro prigioniero, seguì i sequestratori. Salirono di un
livello
e si fermarono di fronte ad un imponente porta di acciaio rinforzato
dove Rhiana li stava attendendo.
“E
io che pensavo che i vulcaniani fossero incapaci di provare
paura...”, l'udì commentare.
Avrebbe
voluto risponderle che si stava illudendo, ma la romulana aveva
ragione: aveva paura; non abbastanza da lasciarsi andare al panico,
ma in modo sufficiente a scalfire la sua disciplinata sicurezza.
“Bene,
comandante Spock, possiamo risolverla pacificamente senza versare una
sola goccia di sangue: voglio che tu mi riferisca le corrette
posizioni di ogni singolo avamposto federale al limitare della zona
neutrale.”
Spock
scosse il capo.
“Questa
è una risposta che non posso dare.”
Rhiana
sorrise.
“Speravo
tanto che tu lo dicessi!”
Bastò
un cenno e gli altri uomini gli furono addosso. Tentò di
ripararsi
con le braccia ancora fissate dalle manette, ma valse a poco sotto i
colpi implacabili dei loro manganelli. Le percosse si susseguirono
con violenza più e più volte, sino a lasciarlo a
terra in un lago
di sangue.
Rhiana
si avvicinò e gli sollevò il capo tenendolo per
la frangia.
“Questo
era ancora il modo gentile di chiedertelo, vulcaniano. Allora, dove
sono quegli avamposti?”
“Non
lo so.”
Era
un'esagerazione della verità: conosceva, infatti, solo
alcuni di
quei siti, non più di una decina su trentasette.
“BUGIARDO!
Basta carezze, portatelo dentro.”, ordinò lei.
Si
sentì sollevare e trascinare nella stanza attigua. Di nuovo
non fece
resistenza, ma si scosse dal torpore quando sentì il tanfo
nauseante
di quel luogo; un fetore di sangue, di carne bruciata, putrefatta e
di morte che fu in grado di risvegliare in lui il più
primitivo
degli istinti: quello di sopravvivenza. Ora era nel panico, e non
poteva fare nulla per arginarlo. Puntò i piedi e, con una
forza che
neanche credeva di possedere, spintonò lontano gli uomini
che lo
stavano trascinando. Corse alla porta e cercò di aprirla,
agghiacciato dallo stesso terrore che coglie le bestie di fronte al
macello.
La
punizione per quella ribellione fu repentina ed efficace. Senza
neanche capire come fosse finito di nuovo a terra, si ritrovo ancora
crivellato da violente manganellate.
“Basta,
mettetelo sulla sedia.”
Rhiana
fermò i suoi uomini che, con prontezza, obbedirono
all'ordine: Spock
venne legato su un trono d'acciaio con delle robuste cinghie.
“Se
credi che qualche bastonata sia tutto quel che ho in mente, Spock,
sei in errore. E, credimi, più resisti, più mi
darai soddisfazione.
Alla fine ti strapperò lo stesso quelle coordinate. Comunque
la
metti, io vinco, quindi fa' l'unica cosa logica...”
“Non
le conosco.”
“Come
preferisci.”
Gli
strattonò indietro il capo e gli infilò un maglio
metallico in
bocca per bloccarlo in quella posizione.
“Sai?
Ero una donna normale, prima che mio marito venisse ucciso. Lavoravo
come bibliotecaria a Ki Bataran, ma negli ultimi anni ho scoperto di
avere talenti inaspettati.”, gli disse, agitando tre lunghi
aghi di
fronte ai suoi occhi, “Sono davvero brava nel far soffrire il
prossimo.”
Li
conficcò sul suo viso con una rapidità e una
precisione chirurgica,
prima di fissarli a dei sottili fili d'oro, a loro volta collegati ad
un macchinario.
Abbassò
la leva.
L'elettricità
corse sui conduttori, raggiungendo i punti di pressione di Spock in
pochi decimi di secondo. Il grido del vulcaniano scosse l'intero
hangar, acuto e straziante; non si sarebbe mai aspettato una tortura
del genere.
Non
riusciva a respirare. Il dolore era atroce, insopportabile, talmente
assoluto da fargli perdere del tutto il controllo della propria mente
e delle proprie funzioni corporali. Sentì Rhiana ridere e
dire
qualcosa, ma non riuscì a cogliere le sue parole.
Si
afflosciò sulla sedia, ansante e madido di sudore, quando il
contatto venne interrotto.
“Ti
è venuta voglia di parlare?”
Spock
boccheggiò versi incomprensibili, cercando disperatamente di
riprendere il controllo per far cessare la sofferenza, ma ogni suo
tentativo risultò fallimentare. La testa gli bruciava, la
sentiva
pulsare come fosse sul punto di esplodere. Il dolore delle sue
innumerabili ferite rimbalzava da una sinapsi all'altra senza
interruzione e senza che lui potesse, in alcun modo, porvi rimedio.
Chiuse gli occhi e ruotò appena il capo. Una striscia di
saliva gli
scivolò dalla bocca e colò sul pavimento,
già lercio della sua
urina.
La
romulana lo colpì al volto con un pugno che, in quella
rapsodia di
atrocità, Spock percepì appena.
“Perché
tu lo sappia: sono pronta a scaricare le gondole di questa carretta
fino a consumare anche il più piccolo frammento di dilitio,
pur di
farti parlare.”, lo minacciò con tono
assolutamente calmo.
“Ho
sovraccaricato le tue sinapsi,”, riprese, “ci
vorranno giorni
prima che tu riesca a spegnere il dolore, come fate
voi
vulcaniani. Va' da sé che non ti lascerò mai
tutto questo tempo per
riprenderti. Non finirà finché non mi darai le
risposte che
voglio.”
Spock
dischiuse le palpebre, gli occhi umidi di lacrime.
-
I-io... n-non..-, furono le uniche parole che riuscì a
mettere
insieme con estrema fatica.
Rhiana
gli rificcò il maglio in bocca ed abbassò la leva
una seconda
volta.
“Aumenta
il voltaggio.”, ordinò.
“Ma,
signora...”
“E'
più forte di quel che sembra.
Sopravviverà.”
Il
vulcaniano finì con l'aprirsi profonde piaghe a polsi e
caviglie nel
violento sussultare per via delle scariche; quando il voltaggio venne
di nuovo interrotto, era appena cosciente. Crollò indietro,
e
sarebbe soffocato nel suo stesso vomito, se la romulana non l'avesse
afferrato prontamente e costretto ad afflosciarsi in avanti. Espulse
quel che aveva nello stomaco sul proprio petto, prima di perdere,
finalmente, i sensi.
“E'
andato, signora...”
Rhiana
gli colpì le gambe con un calcio, urlando di frustrazione.
Si passò
una mano sul viso, cercando di ricomporsi.
“Portatelo
in gabbia. Riprenderemo quando si sveglierà!”
“Jim...”
“Prova
un'altra volta a dirmi che dovrei dormire, Bones, e ti sbatto fuori
dalla nave!”, lo ammonì il capitano con uno
sguardo di ghiaccio.
Era
in plancia da ormai diciotto ore, intento a fare la spola tra la
poltrona e le diverse postazioni alla disperata ricerca di
aggiornamenti sulla situazione. Il sangue nella vasca da bagno era
risultato essere quello di Spock, quindi Jim aveva diramato una
richiesta di cattura per Trisha e per il cameriere. Senza esiti
soddisfacenti. Era presto venuto fuori che quell'uomo, chiunque
fosse, non facesse parte del personale dell'albergo. In seguito,
grazie alle registrazioni delle telecamere di servizio avevano
appreso che Spock era stato trasportato su quel carrello sino ai
magazzini, e poi fuori. Lì il cameriere aveva raggiunto
Trisha,
avevano caricato il primo ufficiale su un furgone e si erano
dileguati.
Lanciò
uno sguardo a Nyota che, pallida e preoccupata quanto lui, non aveva
lasciato la sua postazione da quando era stata richiamata a bordo in
tutta fretta, insieme a buona parte dell'equipaggio. La storia tra
lei e il comandante era finita pacificamente, nonostante tutto, e lei
provava ancora profondi sentimenti.
“Hanno
trovato il furgone, signore!”, esclamò
all'improvviso, “Ci
stanno inviando i dati dei primi rilevamenti.”
“Sullo
schermo.”
Jim
avviò una ricerca incrociata nel database federale e,
nonostante
l'assenza di un riscontro specifico, quella risposta parziale gli
gelò il sangue nelle vene: quelle impronte digitali erano
romulane.
“Chekov,
una linea diretta con il comando di flotta. Immediatamente.”
Spiegò
l'accaduto ad un accigliato ammiraglio Archer, che diramò
un'ormai
tardivo blocco dei voli in un raggio di cento chilometri da Miami, e
predispose un controllo a posteriori di tutte le navette che avevano
lasciato il pianeta in quella zona nelle passate diciotto ore,
lasciando Kirk in attesa di ordini.
“Hai
bisogno di una pausa.”, tornò alla carica il
dottore, “Non
cambierà nulla ad aspettare notizie nel mio ufficio
piuttosto che in
plancia.”
Jim
annuì e una volta nello studio dell'amico accettò
del whisky.
“Parlami.
Che ti frulla in testa?”
Il
capitano si stropicciò il volto con le mani, prima di finire
la
bevanda in un sol sorso.
“Eravamo
lì!”
“Non
è colpa tua. Non è colpa di nessuno...”
“Volevano
me e hanno preso lui! Se non mi fossi dimenticato quel dannato
comunicatore, se non avessi così tanto insistito per farlo
scendere...”
“Jim,
basta. Lo riporteremo indietro.”
“Indietro
da dove?! Non abbiamo idea di dove sia, a quest'ora potrebbero essere
ovunque! E non guardarmi in quel modo! Non mi leverai il
comando!”
“Certo,
perché l'ultima volta è andata alla grande, vero?
Non lascerò che
ti ammazzi di nuovo. Per il momento non te lo levo, ma è una
condizione che potrebbe cambiare, sappilo.”
Il
capitano non gli rispose e uscì dall'ufficio per tornarsene
in
plancia. Litigare con Bones era l'ultima cosa che gli serviva.
Avrebbe trovato Spock in qualsiasi modo.
“Ce
ne hai messo di tempo...”
Spock
sollevò appena lo sguardo, rimanendo prono sul pavimento. La
testa
gli lanciava insopportabili fitte di dolore ad intermittenza, e aveva
freddo. L'avevano lavato, ed ora era completamente fradicio.
Il
suo compagno di prigionia era in piedi nella cella di fronte, intento
a tamponarsi una ferita al torace con un pezzo di stoffa strappato
dai suoi logori pantaloni.
“C-chi
sei?”, si rese conto con suo stesso raccapriccio che la voce
gli
era uscita incerta e tremolante.
“Desus5,
proconsole di Shira. Non che questo conti granché al
momento.”
“Comandante
Spock.”
“Oh,
il bastardo! Rhiana ha proprio avuto una gran botta di fortuna,
pensavo di ritrovarmi un qualche capitano, sarebbe stato meglio, ma
tu... Bhe, era destino che la faccenda si risolvesse tra
cugini.”
“E
questo cosa vorrebbe dire?”
Desus
gli rivolse un lungo sguardo, prima di sbirciare oltre le grate.
“La
guerra sarà inevitabile, una volta che avrai parlato. E,
fidati, lo
farai.”
“Tu
lo hai fatto?”
“Nah,
quella puttana può mettermi sulla sedia quanto vuole. Potrei
quasi
riuscire a farmela piacere. Tu hai ben altri problemi,
vulcaniano.”
Sbirciò
ancora verso il punto di osservazione, poi si avvicinò con
noncuranza all'unico angolo cieco della sua cella, intinse un dito
nel suo stesso sangue e scrisse una parola sul muro: TRELLIUM-D6.
Spock
sbarrò gli occhi e poi li chiuse.
“Capisco.”
Desus
cancellò la scritta con una manata e si sedette a terra.
“Una
vera sfortuna che questo catorcio sia un vecchio mercantile stanziato
nella Distesa Delfica. La nave ne è piena. È solo
questione di
tempo, comandante. Una settimana, due al massimo, prima che il tuo
decadimento diventi davvero invalidante. Un mese e non ci
sarà più
nulla da fare per salvarti dalla pazzia. C'è solo da sperare
che una
polmonite ti stronchi prima.”
“Sei
un medico?”
“Sapere
le cose è il mio mestiere.”, fu la vaga risposta
del romulano.
“Cosa
dovrei fare?”
Desus
scrollò le spalle.
“Suicidarti
prima di parlare sarebbe un ottimo punto di partenza. No, farei
proprio schifo come dottore.”
Spock
gli rivolse uno sguardo gelido.
“Tra
due settimane prenderò in considerazione
l'ipotesi.”
“Oh,
vuoi scappare... Buona fortuna, potrebbe quasi venirmi voglia di
aiutarti.”
Note:
1)
Jim si riferisce al capitano Robert April (ex capitano
dell'Enterprise prePike), che l'equipaggio incontra nel fumetto Star
Trek Before Darkness. Tralasciando la trama generale dei fumetti in
questione, è in quelle circostanze che si apprende
dell'instabilità
emotiva di Spock, che, già lì, mostra
comportamenti inappropriati,
cercando di risolvere diverse situazioni attraverso il proprio
sacrificio personale (come farà, all'inizio del dodicesimo
film,
nella sequenza del vulcano).
2)
E' provato che i vulcaniani possano restare svegli anche per diverse
settimane, per cui diciotto giorni non sono un'esagerazione.
3)
Tutti i nomi romulani sono presi da un elenco scovato in rete, non
sono di mia invenzione. Pertanto ogni riferimento a
personaggi
presenti, passati, futuri e quant'altro è puramente casuale.
La precisione è una brutta malattia, si può
morire, sapete?
4)
Desus non è un nuovo personaggio. Viene, infatti, dal libro
Black
Fire di Sonni Cooper. Non so quanto io sia riuscita a mantenerlo IC,
ma ho comunque cercato di usarlo con il rispetto che meritava. I
riferimenti alla trama del libro saranno minimi anche perché
la mia
storia è ambientata in tempi ed ambiti molto diversi. Quindi
anche
se non l'avete letto, non c'è problema.
5)
Da Wikipedia, perché la pigrizia regna: È una
immaginaria sostanza
utilizzata per schermare le navi stellari dagli effetti negativi
della Distesa Delfica. È reperibile come
minerale su alcuni
asteroidi, e può venire sintetizzato in forma liquida
attraverso una
procedura molto complessa e pericolosa, dopodiché si
solidifica per
formare una lega normale.
Il
trellium D agisce sui Vulcaniani come una potente neurotossina che
compromette i percorsi sinaptici utilizzati per controllare le
emozioni, causando manifestazioni anche violente dei loro sentimenti.
Preso in dose massiccia, provoca una degenerazione cerebrale
irreversibile cumulabile che compromette la capacità dei
Vulcaniani
di sopprimere le loro emozioni, conducendoli dopo un uso troppo
prolungato alla pazzia.
|