Il peso della vita
“Datemi
un sogno in cui vivere, perché la realtà mi sta uccidendo.”
Jim
Morrison
Il
peso della vita
La
vita sta scivolando via, la sento.
Sta
lentamente strisciando via dal mio corpo, lasciandomi vuota.
Inspiro
ancora profondamente quella poca aria che è rimasta, ma il mio corpo
non inala molto ossigeno, poiché un peso enorme mi schiaccia da
sopra.
Voglio
morire. Adesso. Subito.
Voglio
finalmente librarmi in volo. Adesso. Subito.
Voglio
volare fino a toccare le nuvole bianche che paiono tanto morbide con
le dita. Adesso. Subito.
Non
voglio più sentire questo terribile peso sulla schiena, su tutto il
corpo.
Non
voglio più respirare a fatica per cibare il mio debole spirito che
sta ancora palpitando, ebbro di vita.
Cerco
di spostare la testa, anche solo di poco, perché questa posizione è
dolorosa, ma invano.
Desidero
solo muovere di un millimetro le dita, ma non ci riesco. Non so se
sia perché sono intorbidite o perché anche esse sono schiacciate
dalle macerie.
Non
vedo l'ora di lasciare il mio corpo e quest'effimera esistenza.
Così
non dovrò più vedere la faccia di quella donna che si fa chiamare
mamma. Non dovrò fare tutto ciò che mi ordina, guardarla farmi del
male e sentire le sue parole di rabbia.
Le
lacrime mi scivolano giù, bagnandomi il viso.
Ne
sono ancora capace. Sono ancora in grado di fare ciò che ho imparato
a fare sin da piccola.
Piangere.
Lamentarmi
in silenzio.
Voglio
morire. Morire per non sentir più quella voce, il rumore degli
schiaffi e le accuse.
Lei
mi incrimina senza alcun motivo, mi odia perché crede che sia io il
motivo della sua infelicità.
“Se
tu non fossi entrata improvvisamente nella mia vita, lui non sarebbe
scappato!” mi ripete ogni giorno.
Lui:
mio padre, il suo ex-ragazzo, l'uomo che l'ha messa incinta per poi
scomparire subito dalla sua vita, fuggendo dalle sue responsabilità.
Io
sono il loro peso e la loro condanna, loro il mio inferno.
Io
non voglio più sentirla, non voglio più vederla e soprattutto
desidero che lei non mi punti più il suo sguardo addosso.
C'è
qualcuno lassù? Esistono delle entità che su vegliano noi ragazzi?
Se
sì, vi prego, accogliete la mia preghiera e sottraetemi da questa
vita.
O,
in alternativa, datemi un sogno in cui vivere, perché la realtà mi
sta uccidendo. Letteralmente.
***
– Qui
c'è qualcuno! – sento un'acuta voce piena di entusiasmo che mi
ferisce le orecchie.
Mi
era sembrato che qualcosa o qualcuno mi stesse venendo a prendere,
eppure adesso, che sento sempre meno peso sulle spalle, non la vedo
più. Perché?
No,
ti prego, non te ne andare... no. Qualunque cosa tu sia, rimani qui
con me... per favore.
– È
ancora viva! – percepisco una mano prelevarmi lentamente dalle
macerie, portandomi fra le sue braccia.
La
luce solare mi colpisce forte e inopportuna come per dirmi “Vivi
ancora”.
Vivi
ancora... in questa realtà.
Alzo
una mano per accarezzare ciò che mi pare una nuvola, una candida
nuvola bianca.
Per
un attimo mi pare che le mie mani sfiorino per un attimo il cielo e il
sole che ti accarezza con un calore simile a quello che lui era in
grado di infondermi con la semplice vicinanza.
Lui,
il mio caro amico finito in paradiso.
Vi
prego, lasciate che io possa raggiungerlo.
Desidero
solo morire.
Angolino
mio:
ringrazio
chiunque sia arrivato a leggere fino a qua!
Come
potete ben capire la protagonista si trova sotto le macerie di un
edificio terremotato. Le macerie hanno un significato allegorico:
sono il fardello che una persona si porta sulle spalle perché vive.
A
rendere drammatica questa storia è appunto la non-morte della
protagonista.
Questa
storia partecipa al contest “Petali di lacrime” indetto da
DarkElf13 sul forumdi EFP.
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