Rieccomi qui, dopo an unexpected poco tempo. Circa.
Sto passando un periodaccio,
ultimamente – diciamo che quest’estate non è stata il riposo e il relax che
avevo pianificato – quindi mi scuso per non aver ancora risposto alle vostre splendide
e numerose recensioni. Lo farò il prima possibile, promesso! Se riesco, entro
stanotte. È il minimo che possa fare per ringraziarvi del caloroso bentornata
che mi avete dato. Davvero, è stato commovente. :’)
E grazie a tutti coloro che continuano ad
aggiungerla tra preferiti, vari ed eventuali. Siete una gioia!
Ad ogni modo, credo che questa storia stia per
raggiungere la sua fine. Non so ancora bene quanti capitoli ancora mancheranno,
ma non saranno più di cinque, probabilmente. Ma non temete (?!), vedrete che
lascerò aperta la porta ad un altro capitolo della serie (e l’ultimo della
trilogia) – sto già lasciando qualche seme in questo capitolo. :)
Spero che questo nuovo coso vi piaccia. Insomma,
passata la guerra c’è bisogno di un po’ di inutile riempimento di trama, no?
Come al solito faccio pena, quando si tratta di
capitoli come questo.
A voi l’ardua sentenza!
Buona lettura.
E ricordatevi: vi adoro.
Marta.
Pietra
- sequel di Betulla -
25.
3 Ottobre 3019 T. E.
Continuarono a
spostare lo sguardo dai pugnali alla Nana, aprendo e richiudendo più volte la
bocca, nel vano tentativo di dire qualcosa. Ma erano troppo sorpresi dai regali
e affascinati dalla squisita manodopera di Trán, tanto da rimanere a corto di
parole. Così, scambiandosi una veloce occhiata ed un cenno del capo, le saltarono
addosso in contemporanea, stringendola in una morsa di abbracci che avrebbe
soffocato persino un Nano della stazza di Dwalin.
«Grazie, imad!»
«Sono stupendi
ed inaspettati!»
«Per quale
occasione sono? I nostri compleanni sono ancora lontani!»
«Kee, non serve un’occasione per darci un regalo. Siamo
adorabili e imad
ha visto bene di ricordarcelo.»
Trán ridacchiò,
impossibilitata a muovere le braccia per ricambiare la stretta, e Thorin,
poggiato contro lo stipite della porta d’ingresso della fucina, scosse il capo,
l’espressione seria ora rasserenata da un leggero sorriso. Non era stato facile
convincerla che quei pugnali fossero di alta fattura e che i nipoti li
avrebbero apprezzati come delle pietre preziose. Trán era una Nana piuttosto
critica, quando si trattava di qualcosa che proveniva dalle sue mani, e finché
non si convinceva che tutto fosse perfetto non ci sarebbe stato verso di farle
cambiare idea. Era esigente ed instancabile, e questo non poteva che
aggiungersi alla lista delle cose che adorava di lei.
«Ora lasciatela
andare, nipoti.» fece imperativo, rizzando la schiena e muovendo qualche passo
verso i tre. «Rischierete di romperla.»
«Oh, scusa
zia!» esclamarono in coro, allentando la presa ed allontanandosi un poco. «Ti
abbiamo fatto male?»
«No, nessuna
costola rotta, per il momento.» fece lei, con un bel sorriso sulle labbra e le gote
deliziosamente rosee – se per l’imbarazzo o per la poca aria che era riuscita a
respirare in quegli istanti, Thorin non seppe dirlo.
Con qualche
ultima poderosa pacca sulla spalla e due sonori baci sulle guance, Fili e Kili
si defilarono poco dopo, per mostrare a tutti le loro nuove e bellissime armi.
Trán osservò
distrattamente la porta oltre il quale erano spariti e sorrise. «Non è andata
male, no?»
«Temevi il
contrario?» Lei si strinse nelle spalle. «Habanuh,
non avrei saputo fare di meglio.»
«Non lo dici
per farmi contenta?»
Thorin le si
avvicinò, accarezzandole le braccia coperte dalle larghe maniche del suo abito,
ora strette da una serie di lacci, per evitarle impedimenti durante il lavoro. «Trán,
sai bene che non riesca a trattenere le parole, quando qualcosa non mi
aggrada.»
La Nana sbuffò,
fingendosi indispettita. «Oh sì, lo ricordo.»
Il Re sorrise,
chinandosi per baciarle la fronte, e lei arrossì, se possibile, ulteriormente.
Era più che sicura che nemmeno altri cento anni avrebbero potuto farla abituare
a quei gesti di affetto che raramente quel Nano mostrava. Nascose il suo
imbarazzo affondando il viso su quell’ampio e duro petto, abbracciandolo e
godendo per qualche lungo istante di quelle braccia forti che non esitarono a
stringerla. Sospirò di contentezza quando quel familiare odore di ferro e
tabacco le inebriò i sensi. Sollevò leggermente il capo, per sfiorargli il
collo con la punta del naso, e sorrise nel percepire quel corpo muscoloso
contro il suo rabbrividire quando lo baciò con audacia sul pomo d’Adamo. Thorin
inspirò con lentezza, forse per cercare di placare l’insistente desiderio di
dimenticarsi di tutto e tutti e vezzeggiarla per il resto dei suoi giorni. Ma
non poteva lasciarsi andare, non ancora. Aveva un’etichetta da seguire e non
aveva alcuna intenzione di intaccare la decenza della sua compagna.
«Quando
torneremo a casa questi momenti di pace saranno più rari.» commentò, dopo un
istante.
Un groppo alla
gola le soffocò il respiro. «Lo so bene... sei un Re.»
Thorin chinò il
capo, le sopracciglia aggrottate. «Non intendevo a causa dei miei doveri...
anche se in parte lo sono.» Sospirò, accarezzandole distrattamente la schiena.
«Mi riferivo al fatto che qui le cose sono diverse. Una volta che saremo
nuovamente in cammino verso Erebor, dovremo seguire delle regole ben precise
per... per il corteggiamento, intendo.»
«Oh.» Dopo un lungo silenzio, Trán parlò.
«Non sono un’esperta in materia, mio signore... né in vita mia ho mai avuto le
attenzioni di un nobile. Cosa devo aspettarmi?»
«Un
accompagnatore ovunque andremo, che avrà il compito di controllare che non
succeda niente di... compromettente,
ecco. Più la scorta, ovviamente. E nessun comportamento intimo in pubblico.»
La Nana si
allontanò un poco, per guardarlo meglio in viso. «Ciò vuol dire che non avremo
più un momento da soli?»
«Non se vuoi
mantenere il tuo onore intatto.» borbottò lui, ovviamente seccato all’idea. «Avremo
gli occhi di tutti addosso, Ghivashel; e molti non aspetteranno altro che un passo falso
pur di divulgare pettegolezzi. E no.»
aggiunse in fretta, vedendo l’espressione turbata della compagna. «La tua
discendenza non è il motivo per cui devi preoccuparti, per il momento; né
voglio spaventarti e farti scappare. Questo accadrebbe con qualunque femmina il
Re decidesse di corteggiare.»
Trán assimilò
quelle parole con timore. Aveva sempre odiato essere al centro dell’attenzione.
Aveva trascorso la sua vita con la sola compagnia della famiglia e raramente
aveva fatto parlare di sé – e quando ciò accadeva avrebbe preferito sparire
dalla faccia della terra, pur di doversi sentire oggetto delle attenzioni
altrui. Ma ora come avrebbe fatto? Ora che il Re in persona l’avrebbe
presentata al suo popolo come la sua compagna, probabilmente come la futura
Regina di Erebor, come avrebbe potuto far fronte agli occhi di un regno intero
che probabilmente l’avrebbe disprezzata per le sue orecchie appuntite e
l’assenza di barba? E come avrebbe potuto prendere in mano tutte le
responsabilità che quel corteggiamento avrebbe comportato?
«Thorin io...
io non sono come te.» mormorò, gli occhi fissi su una clip delle sue trecce,
con cui giocava nervosamente. Lui non parlò, attendendo che continuasse, ma lo
sentì chiaramente irrigidirsi. «Tu sei... sei un nobile dalla nascita e... e
hai dovuto prenderti la responsabilità di guidare un popolo da così giovane. E
io? Io sono solo un fabbro e–»
«Mi pare di
averne già parlato.»
«Lo so, è solo
che–»
«Ti stai
pentendo di aver accettato la mia proposta.»
Trán sollevò lo
sguardo sul Nano, che ora si era allontanato di qualche passo e la osservava
con pesantezza e... timore? «Thorin, no! Io–» S’inumidì le labbra, sapendo di
dover ponderare al meglio le sue parole per non rischiare di distruggere tutto
ciò che avevano faticosamente costruito. «Non mi sono pentita e mai lo sarò. Quello
che ti dissi è vero: hai sempre avuto il mio cuore e così sarà per il resto dei
miei giorni. Mi hai reso un grande onore e sono davvero la persona più felice
di questa terra.» gli disse, in un timido sorriso, stringendogli una mano con
la sua. «Ma devi capire che tu non sei un Nano qualunque. Tu sei il Re e non
voglio deluderti, non voglio rischiare di non essere in grado di ricoprire il
ruolo che mi stai offrendo. E... non piacerò a nessuno, Thorin. Siamo onesti.»
Il Re chiuse
gli occhi, inspirando con calma, e scosse il capo. Le accarezzò il dorso della
mano con il pollice, mentre poggiò l’altra mano sulla sua delicata nuca,
guardandola ora con serietà. «Devi piacere a me, donna testarda. A me, e a
nessun’altro.» replicò con fermezza il Re. «Credi che ti avrei voluto al mio
fianco se non fossi stata degna di una Regina? Credi che avrei osato occupare
la mia mente con pensieri frivoli come una femmina, quando il mio popolo ha più
bisogno di me, se tu fossi stata solo una Nana qualunque?» Le baciò la punta
del naso con dolcezza, ora sorridendo. «Non sarai da sola in tutto questo, te
ne rendi conto? Ci sarò io al tuo fianco; e avrai parecchio tempo per abituarti
all’idea. Direi... almeno un anno.»
«Oh.» replicò
nuovamente lei, ora perplessa. «Così
tanto?»
«Purtroppo sì.»
mormorò Thorin, baciandola sulle labbra. «E sono più preoccupato di non poter
fare questo quando più mi aggrada.»
La Nana arrossì
e si sciolse in un sorriso più sincero. «Oh, allora dovremo farne la scorta,
mio signore.»
«Come la mia
Regina comanda.» mormorò lui, prima di baciarla nuovamente e con intensità.
Nell’altra
stanza, Balin, Dwalin e Káel avevano apparecchiato per il pranzo, giacché anche
quel giorno Brethil aveva ben deciso di ignorare il buon senso di starsene a
riposo, e ora stava chiacchierando con il piccolo Trión, tentando di esaudire
la sua incredibile curiosità.
«E perché hai i
capelli corti? Adad
ci ha sempre detto di non tagliarli mai. Guarda che lunghi!» esclamò il giovane
Nano, afferrandosi una lunga ciocca ramata e mostrandogliela con orgoglio.
La donna si
accarezzò i suoi, rendendosi conto che fossero cresciuti un po’ troppo da
quando aveva iniziato la sua nuova vita a Minas Tirith. Avrebbe dovuto chiedere
a Rainiel il favore di tagliarglieli, sperando che non le svenisse ai piedi per
l’assurda richiesta. «Mi è più comodo tenerli corti, soprattutto quando devo...
insegnare le buone maniere alle persone cattive.» gli spiegò, tentando di non
essere troppo diretta. «E non sono così pratica di trecce ed acconciature, per
ritirarmeli dal viso come fate voi Nani.»
«Posso
intrecciarteli? Posso?»
«Per la barba
di Mahal, non farlo!» ridacchiò il fratello maggiore. «Non vorrei che dopo
dovessi tagliarli fino alla radice, impossibilitata a scioglierne i nodi, mia
signora.» Il solo pensiero li fece rabbrividire e Brethil abbozzò un sorriso,
divertita ed affascinata dalle loro divergenze culturali.
«Non li
tagliate davvero mai?»
«Oh, beh, i
nostri capelli sono molto spessi e crescono lentamente.» le spiegò Balin. «Così
come la barba.»
«A Kili, però,
cresce davvero troppo piano.» fece
drammaticamente Fili, mentre il diretto interessato incurvava le spalle in
segno di sconfitta.
«Tagliarsi i
capelli o la barba è un atto tremendo.» continuò Balin, nascondendo un sorriso
rivolto ai due fratelli. «Solitamente, nel caso di un grave crimine, è una
punizione peggiore persino di una condanna a morte.» Brethil corrugò la fronte,
interessata e curiosa. «Una volta che un Nano viene punito con la rasatura di
capelli e barba, tutti sapranno che si sia macchiato di un atto vergognoso e
vile; i Nani lo bandiranno, così come gli Uomini ne staranno alla larga e gli
Elfi... beh, gli Elfi non sono mai stati molto accomodanti neppure con un Nano
onorevole, quindi puoi ben immaginare.»
«Morirebbe di
fame e senza un tetto sopra la testa.» commentò Brethil. «È decisamente una
condanna peggiore della morte.»
«L’onore e
l’orgoglio di un Nano sono i tratti che ci caratterizzano, mia signora. La
vergogna ed il disonore sono la pena più grande che ci possa essere.»
La donna annuì,
ma non fu del tutto d’accordo con quella visione di cose. Ripensò a Mardil e al
suo tradimento, e si disse che non vi era stata soddisfazione più grande di
vederlo esalare l’ultimo respiro. Non avrebbe potuto sopportare l’idea di
saperlo ancora vivo, seppur imprigionato o bandito da qualsiasi casa esistente
sulla faccia della terra. Feccia come lui meritava la morte, non la grazia di
continuare a vivere.
Presto anche
Thorin e Trán li raggiunsero per il pranzo e l’allegra tavolata si riempì lo stomaco
fino a scoppiare, tra qualche boccale di birra e una bella risata. Brethil fu
sollevata nel vedere la sua piccola amica un po’ più serena, rispetto ai giorni
precedenti, e si appuntò mentalmente di ringraziare il Nano che le sedeva
protettivamente accanto per essersi preso cura di lei – forse anche troppo,
aggiunse in un mezzo sorriso. Ma il suo pensiero volò così al suo
Sovrintendente e il suo viso luminoso si rattristò un poco. Aveva creduto di
perderlo, solo pochi giorni prima, e ora che stava bene e riguadagnava le forze
avrebbe voluto averlo accanto, anche solo per trascorrere una serata in
silenzio, l’uno tra le braccia dell’altra. Ed invece non vedeva il suo bel viso
da un paio di giorni e l’idea che ne sentisse terribilmente la mancanza le fece
stringere il cucchiaio con forza per la stizza.
Da quando era
diventata così... patetica?
Boromir era il
Sovrintendente di Gondor, e ora Signore di Osgiliath. Era normale che fosse
nuovamente occupato con i suoi doveri, ora che aveva ripreso a camminare,
seppur debolmente. Eppure non poteva negarlo: le mancava.
Troppo, per una
donna che aveva imparato a vivere in solitudine.
L’averlo quasi
visto morire davanti ai suoi occhi, forse le aveva fatto capire quanto
indispensabile fosse diventato, e non sapeva bene se esserne spaventata o meno.
Il flusso dei
suoi pensieri venne bruscamente interrotto da Fili, sedutole accanto, che le
stava chiedendo quando avrebbero potuto ripetere il duello di qualche settimana
prima.
«Spero di
essere liberata dalla mia prigionia alle Case di Guarigione in pochi giorni; in
questo modo potrò riprendere gli allenamenti e sarò pronta entro un paio di
settimane.»
«Non riesci
proprio a star ferma, tu.» I Nani e la donna si voltarono immediatamente alla
nuova voce proveniente dall’ingresso e Boromir si chinò lievemente in segno di
saluto. Nonostante stesse riprendendo le forze, si era stancato parecchio dopo
tutto quel camminare, ma fece di tutto pur di non mostrare che fosse poggiato
contro lo stipite della porta per sorreggersi. «Perdonate il disturbo, ma mi è
stato detto che avrei potuto trovare Dama Brethil qui.»
«Ti è stato
detto bene.» replicò asciutta, incrociando le braccia al petto e
schiaffeggiandosi mentalmente pur di ricacciare indietro la voglia di prenderlo
a calci – o di saltargli al collo. Aveva un aspetto orribile. «Felice di
vederti in piedi, mio signore.»
Boromir corrugò
le sopracciglia, cogliendo il sarcasmo poco divertito della donna, e sospirò.
Era indispettita, era palese. E poteva persino indovinarne il motivo. Ma decise
di rimandare ogni discussione ad un momento e luogo più appropriati, e salutò
con cordialità il resto dei presenti. Káel si affrettò a prendere in braccio il
fratello minore, per assicurargli un posto, e Boromir lo ringraziò con un cenno
del capo. «Spero che la mia città vi stia trattando bene, anche se immagino che
trovarvi in mezzo ad una battaglia sia stato il peggior modo di accogliervi.»
«Non è stato
certo per vostro volere, Sovrintendente.» replicò Thorin. «Come ti senti?»
«Ammaccato.»
disse con onestà. «Ma vivo.»
Balin annuì. «E
questo è ciò che importa.»
«Anche se dallo
sguardo della Prima Guardia, qualcosa mi dice che lo sarà ancora per poco.»
sussurrò Kili al fratello.
«Ho parlato con
il Re Elessar e ho visto con i miei occhi i danni... mi rincresce dovervi
trattenere qui più del previsto. Ma sappiate che, se vorrete lasciare Gondor
entro i termini iniziali, nessuno vi obbligherà a stare.»
Thorin agitò
una mano. «Sciocchezze. È in momenti come questi che le vecchie alleanze devono
consolidarsi. Rimarremo il necessario e senza causare troppo disturbo, se il Re
di Gondor lo desidera.»
Il cenno
affermativo di Boromir fu accolto con uno simile d’intesa e, sebbene Thorin non
vedesse l’ora di rimettere piede nella sua Montagna Solitaria, non avrebbe
abbandonato gli Uomini in una situazione disastrata come quella. Dís non
sarebbe stata felice di saperli via anche durante le festività del Dì di Durin,
ormai quasi su di loro; d’altra parte, quel giorno funesto gli riportava alla
mente il migliore e peggiore momento della sua vita, quando aveva riaperto le
porte di Erebor, a discapito delle malelingue, e aveva detto addio alla sua
sanità, troppo debole per combattere la Malattia del Drago.
Una mano
piccola e calda cercò la sua, sotto il tavolo, allontanandolo dai brutti
ricordi, e ricambiò la stretta di Trán per rassicurarla che andasse tutto bene.
«Hai pranzato?»
stava domandando nel frattempo Brethil a Boromir.
Lui scosse il
capo. «Non ho avuto molto tempo... e nemmeno la voglia.»
«Oh, ma devi,
mio signore!» esclamò Trán, scattando in piedi e recuperando una ciotola di
zuppa per il nuovo arrivato. Boromir e Thorin, che sedevano l’uno di fronte
all’altro, si scambiarono un’occhiata, e Brethil non poté nascondere un
sorriso.
«Ti conviene
mangiare.» gli disse, infatti. «Sa essere persuasiva più della vecchia Ioreth.»
«Fintanto che
non mi si imbocca.» borbottò sottovoce l’Uomo, le orecchie rosse al ricordo di
quell’affronto, ancora fresco nella sua mente.
«Ad ognuno il
suo.» esclamò Dwalin, battendo una possente manata sulle spalle del proprio Re,
facendogli quasi ingoiare il cucchiaio che aveva tra le labbra.
E mentre il
resto della compagnia scoppiava a ridere, i due uomini più influenti presenti
nella stanza si domandarono tacitamente da quando fossero diventati gli
zimbelli di turno.
Brethil e
Boromir lasciarono le forge non appena lui ebbe terminato il veloce pranzo e,
con lentezza, si avviarono verso la Sesta Cerchia. Nessuno dei due osò chiedere
all’altro se avesse bisogno di sostegno, sia perché erano entrambi troppo
orgogliosi per farlo, sia perché non erano al massimo delle loro forze per
sorreggere l’altro. Non parlarono per tutta la lunghezza del quarto livello,
l’uno cercando un modo di spiegare la sua inspiegabile assenza, l’altra che
aveva tutte le intenzioni di rinfacciarglielo.
«Come ti senti?»
domandò Boromir, dopo un interminabile silenzio, e la vide irrigidirsi con la
coda dell’occhio.
«Direi bene.»
«Bene.»
Camminarono per
un altro, lungo livello senza dire una parola, e fu solo quando raggiunsero
l’ingresso del sesto ed intravvidero le Case di Guarigione, che Boromir si
lasciò sfuggire un sospiro pesante. «Credo che ti debba delle spiegazioni.»
«Sì, dovresti.»
sbottò Brethil, aprendo finalmente la porta della sua stanza e quasi
richiudendogliela in faccia, se non fosse stato per la prontezza di riflessi
dell’Uomo, che rischiò di ritrovarsela sul naso. «Così come dovrebbe darmi
qualche spiegazione anche metà Cittadella, giacché tutti sembrano avere segreti,
oltre te.»
«Brethil–» Lei si fermo accanto al letto,
voltandosi per guardarlo ed incrociando le braccia sotto il seno, in attesa.
«–ho avuto molto di cui discutere con Aragorn. Sta pianificando un contrattacco
agli Esterling e tra non molto avremo un Consiglio con tutti i Signori di
Gondor ed i nostri vicini, per decidere come e quando agire. Éomer e i suoi
uomini marceranno con noi, a quanto pare.»
«E questa è una
notizia così segreta che neppure la Prima Guardia del Re deve esserne a
conoscenza?»
«No, certo che
no! Farai parte anche tu del Consiglio, ovviamente.»
Brethil lo
scrutò con attenzione. Aveva gli occhi lucidi o stava immaginando le cose? «Ma
non è questo il motivo per cui sei stato via per tutti questi giorni... nelle
tue condizioni, per giunta!»
«Mi sto
riprendendo alla perfezione, io.»
«Hai un aspetto
tremendo, ti sei guardato in uno specchio? A mala pena riesci a reggerti in
piedi.»
«Parla quella
con un fianco lacerato.»
«Il mio fianco
sta guarendo bene, grazie tante.»
Rimasero a
fissarsi per lunghi secondi, finché entrambi non riuscirono a trattenere una
risata. Brethil si passò una mano in viso, scuotendo il capo. «Eru, siamo ridicoli.»
Lui annuì,
avvicinandosi ed accarezzandole una guancia sfregiata con un lieve ed insicuro
sorriso sulle labbra. «Non andremmo così d’accordo, se non lo fossimo.»
«Boromir...»
gli sussurrò, intercettandogli la mano e stringendola con la sua. «Non mi stai
dicendo tutto.»
Il Capitano
della Torre Bianca chinò il capo, maledicendo l’attenzione della sua donna. Era
davvero così facile leggerlo come se fosse un libro aperto? «Gli ho chiesto un parere.»
Vedendo che Brethil non accennava a rispondere – o forse temendo qualche altra
battuta sarcastica – si affrettò ad aggiungere: «Riguardo il nostro
matrimonio.»
Quegli occhi
grigi, che fino a qualche secondo prima gli stavano scavando l’anima nel
tentativo di carpire cosa gli stesse passando per la mente, ora sgranarono e un
delizioso colorito roseo le imporporò le guance solitamente pallide.
Boromir
s’inumidì le labbra, prendendo coraggio. «Giacché lui ti conosce più tempo di
me e siete nati nel Nord, mi chiedevo se ci fosse qualche tradizione differente
dalla nostra, perché...» deglutì, rizzando la schiena. «... perché voglio farti
sentire a casa.»
«Boromir, tu–
tu sei la mia casa.»
«Lo so, ma dopo
ciò che mi hai detto, riguardo la tua voglia di evadere da qui... mi ha fatto
capire che non desidero legarti a qualcosa che tu non vuoi o a cui non
appartieni. Se dovessi decidere di vivere il resto dei tuoi giorni con me,
allora sarà mio compito renderti felice e farti sentire a casa. E voglio
iniziare per bene... anche se non sono il massimo esperto in materia.» Si
strinse nelle spalle. «È per questo che sono sparito nel nulla. Ho posto delle
domande, mi sono state date delle risposte... e mi sono messo al lavoro.»
«Oh, Boromir.»
mormorò Brethil, con le lacrime agli occhi. Gli si appese al collo, affondando
il viso nell’incavo della spalla, e sentendo subito la presa cauta di lui sui
suoi fianchi, nel timore di urtarle la ferita. «Perché non ne hai parlato con
me? Credo di conoscermi meglio di Aragorn, sai?»
«Non lo dubito,
ma poi la sorpresa sarebbe rovinata.»
La donna si
scostò di qualche centimetro, per guardarlo in viso. «Boromir, sai che odio le
sorprese, sì?»
«Lo so bene. Ma
questa ti piacerà. Credo.» Si grattò la nuca, pensieroso. «Spero. Altrimenti mi macchierò di regicidio.»
La Dúnadan
ridacchiò, accoccolandosi meglio tra quelle forti e confortanti braccia,
inspirando il profumo della sua pelle e godendo del suo calore. Fu solo in quel
momento che si accorse di quanto fosse caldo. Sollevò una mano sulla fronte
dell’uomo, che sbuffò. «Boromir, stai letteralmente prendendo fuoco. Sdraiati,
ora.»
«Non ci pens–»
Con le poche
forze che le rimanevano, Brethil lo spintonò contro il letto, sorda alle sue
proteste. Gli sfilò gli stivali e la parte superiore della casacca che
indossava, coprendolo con una pesante coperta. «Dimmi se ho capito bene: ti stai riprendendo alla perfezione, uh?
Ti è risalita la febbre.»
«Sei peggio della
vecchia arpia.»
«La vecchia
arpia ti scuoierebbe vivo; ringrazia che ci sia io a prendermi cura di te,
ora.»
«Come sempre,
del resto.» mormorò in un borbottio.
Brethil fece
finta di non udirlo, ma sorrise quando gli diede le spalle per bagnare una stoffa
di acqua fresca. Gli tamponò la fronte sudata e Boromir chiuse gli occhi,
assaporandone il sollievo con un lungo respiro.
«Devo
recuperare un po’ di foglie mediche da farti bere; vedi di farti trovare,
quando tornerò.»
La stanchezza
di tutta quella lunga mattina prese il sopravvento e Boromir cadde in un
leggero sonno poco dopo che lei lasciò la stanza. Si svegliò solo quando sentì
il suo nome nelle orecchie e delle dita callose accarezzargli la guancia
ispida.
«Ti ho
preparato una tisana e ho rischiato che Ioreth mi scoprisse.» gli confidò,
aiutandolo a mettersi seduto per bere senza soffocarsi. «Ti farà bene.»
L’odore non era
dei migliori, come qualsiasi medicina dovesse mandar giù, e dovette farsi
coraggio pur di ingoiarla in pochi sorsi e terminare quella tortura. «È
disgustosa.»
«Lo so; ma non
deve piacerti.» Gli mise un paio di cuscini sotto il capo e Boromir si sdraiò
nuovamente, osservando distrattamente il soffitto in pietra. «Hai intenzione di
farti crescere la barba?»
L’Uomo spostò
lo sguardo su di lei. «No, certo che no.» S’inumidì le labbra, un po’
impacciato. «Stavo aspettando il momento per chiederti se fosse possibile
che... che fossi tu, a rasarmi il viso. Sarò pure sulle mie gambe ma... le mie
mani non sono ancora ferme abbastanza per evitarmi qualche taglio.»
«E i Valar
sanno quanto non ne voglia vedere altri, sulla tua pelle.» borbottò Brethil, in
un sospiro. «Ma aspetta un attimo e dimmi se ho capito bene: stai dicendo di
essere troppo debole e richiedi l’aiuto di una donna per farti la toeletta?»
«Mi stai
mettendo in bocca parole che non ho mai pronunciato.»
«Perché sei
troppo orgoglioso ed astuto per farlo. Ma il senso è quello. E non sono io
quella che non si regge in piedi.»
«Sei
insopportabile, lo sai?»
La donna rise
ed annuì. «E sia. Ne sarò onorata. Ma non dirlo ai Nani: dopo averli sentiti
parlare di dignità e capelli, potrebbero sentirsi male.»
*
A presto (?),
Marta.
Ps: ho aperto un blog sulle Architettura della Terra
di Mezzo, tanto per non stare con le mani in mano, che mi sta prendendo un
sacco di tempo e che
potete trovare qui. Se volete farci un salto, o avete richieste in
particolare, sapete come contattarmi!