glasgow2
Glasgow, parte seconda.
Sono le due e mezza e ho da poco terminato la mia pausa pranzo. Io e
mio padre abbiamo quasi finito di togliere i vecchi strati di vernice
ingiallita dalle pareti: ora sono più spoglie e tristi di prima, ma almeno la
puzza di fumo si è ridotta.
Dio, il vecchio proprietario di
questa cazzo di villa doveva essere l’equivalente di una ciminiera... e a
giudicare da una macchia di liquore che ho dovuto scrostare dal muro,
probabilmente era anche matto da legare. Riesco quasi a immaginarmi la scena:
il tipico scozzese ubriacone di mezza età che, dopo aver perso l’ennesima
partita a poker o a biliardo, scaglia il suo bicchiere di brandy attraverso la
stanza e lo manda in frantumi sul muro.
La casa è stata silenziosa per
quasi tutta la mattina: il padrone di casa è uscito verso le nove per andare al
lavoro e visto che è giovedì, immagino che la sua bella ed imbranata figlia sia
andata a scuola.
“Robert, tu prendi il rullo e
inizia a dare una prima mano di bianco alle pareti, io intanto vado fuori a
fumarmi una sigaretta... Vedi di sbrigarti, che quando torno ti do una mano a
fare il soffitto.” Detto questo, sparisce con la sua solita velocità: se lo
conosco (e cazzo, certo che lo conosco) ci metterà molto più di cinque minuti
per fumarsi una sigaretta... probabilmente farà anche un salto al pub più
vicino per bere qualcosa. Certo, non potrebbe farlo in orario di lavoro, ma se
l’uomo-tricheco è abbastanza stupido da lasciarci da soli in casa sua, allora
vuol dire che può permettersi di pagarci qualche sterlina in più.
Inizio col sistemare la carta di
giornale sul pavimento, per evitare di macchiarlo troppo, poi apro il secchio di
vernice e ci intingo il rullo e comincio il mio lavoro... Dopo poco più di
cinque minuti sento dei passi in corridoio: come cazzo ha fatto mio padre a
tornare così presto? Forse non ha trovato bar decenti nei paraggi... se è così,
probabilmente sarà incazzato come una biscia. Non mi volto e non interrompo il
mio lavoro, neanche quando sento i passi fermarsi davanti alla porta, ma intanto
mi preparo ad una valanga di insulti gratuiti ed immotivati.
“Hei, ciao!” La voce che sento, decisamente non è quella che mi
aspettavo. Mi volto di scatto e un po’ di vernice bianca mi schizza sui
capelli, ma non ci faccio troppo caso, ci sono abituato.
La figlia del padrone di casa
invece, sembra piuttosto divertita: è seduta sulla poltrona e mi guarda
sorridendo.
“Hei...” E’ tutto ciò che riesco
a dire ...dopodiché per evitare di stare ancora fermo a fissarla come un
idiota, mi volto verso la parete e continuo a lavorare.
Dopo trenta secondi di silenzio,
sento di nuovo la sua voce e decisamente, le parole che pronuncia mi spiazzano.
“Posso darti una mano?”
Non può aver detto veramente una
cosa del genere. Appoggio il rullo e la guardo “Cosa scusa?”
“Ti serve aiuto? Posso darti una
mano a verniciare se mi insegni...” Giuro su Dio, non ci sta provando con me,
non è una frase detta con malizia... vuole semplicemente... essermi d’aiuto,
come se io fossi lì per farle un favore e non perché sono costretto.
Non posso ancora credere di aver
capito bene “Vuoi... Aiutarmi a fare una cosa per la quale sono pagato?”
Annuisce “Si.”
“Perché?” Almeno ci deve essere
una ragione, vuole qualcosa in cambio: e se non è sesso(mi sembra fin troppo
ingenua per quello), allora è per forza qualcos’altro.
Lei è stupita dalla mia domanda, sembra
quasi che per lei la risposta sia ovvia “Voglio imparare come si fa.”
Questo è da non credere,
veramente: una ragazzina della Glasgow-Bene che vuole imparare a fare un lavoro
da operaio? E’ una storia da tramandare ai propri figli, una di quelle a cui
non crede mai nessuno.
“Come hai detto che ti chiami?”
Intanto mi rivolto verso la parete e riprendo in mano il rullo.
“Te l’ho già detto stamattina.”
Sembra un po’ offesa dalla mia mancanza di considerazione. “Non te lo ricordi?”
“Secondo te ti chiedo le cose che
già so?” La mia voce è tagliente: non capisco perché è qui e la cosa mi mette a
disagio.
Lei tace per qualche secondo “Tu
invece, non mi hai mai detto il tuo nome.”
Prendo un respiro profondo e
conto fino a dieci. Calma Robert, continua
a comportarti gentilmente. E’ la figlia del capo e la devi trattare bene.
Quando sono certo che non mi scapperanno parolacce fra una frase e l’altra,
rispondo. “Mi chiamo Robert. Robert Gold.”
La sento alzasi dalla poltrona e un attimo dopo, è di fianco a me: mi
guarda in faccia, ma io non ho intenzione di distogliere lo sguardo dalla
parete e dal movimento del rullo.
Però non posso fare a meno di
guardarla con la coda dell’occhio: mi sembra che stia sorridendo. “Piacere di
conoscerti Robert, io mi chiamo Emilie. Emilie Belle French.”
Mi scappa uno sbuffo dalle
labbra. Sempre con la coda dell’occhio, vedo che mi osserva attentamente:
“Per cosa ridi?” Non sembra
offesa, solo curiosa. Ma comunque è meglio non rischiare.
“Per nulla.”
“Puoi dirmelo.” Cazzo, ma questa
ragazzina non molla la presa neanche per un secondo?
“E’ un nome molto... prezioso,
ecco.” Non so se è la parola giusta per dire quello che penso, ma al momento è
l’unica che mi viene in mente.
Scorgo le sue sopracciglia
sottili sollevarsi scettiche “Prezioso?”
Mi volto esasperato verso di lei.
Questa Emilie è insopportabile “Appena mi viene in mente un altro aggettivo più
colto e adatto, vengo a dirtelo ok? Adesso però devo lavorare, perciò ti sarei grato se mi lasciassi in pace.”
Sono quasi fiero di me, per essermi perfino espresso senza imprecazioni
...anche se le sento fremere sulla punta della lingua. Trattieniti Robert, puoi farcela.
Lei arrossisce e io non posso
fare a meno di sentirmi un po’ in colpa per averla trattata male. “Scusa, mi
dispiace, non volevo... Prezioso va benissimo, è appropriato perché mi hai
fatto capire quello che intendevi.” Mi dice quasi sussurrando, mentre si guarda
la punta delle scarpe.
Adesso che la sto guardando, non
posso fare a meno di notare la sua mano fasciata. “È uscito tanto sangue?”
“Oh... nono, ma mio padre è un
tipo iperprotettivo e ha voluto che la fasciassi bene per evitare che si
infettasse... È stato parecchio difficile oggi, scrivere con la mano fasciata.”
Non dovrei conversare con lei
mentre sto lavorando, se papà torna e ci scopre stasera mi becco uno di quei
cazziatoni che continuano fino alla mattina del giorno dopo... uno di quelli
della serie Ci farai finire entrambi in
banca rotta, con le tue cazzate. Quindi non dovrei proprio continuare a
parlare. Non dovrei, ma lo faccio comunque.
“Che classe fai?” Intanto
riprendo a passare il rullo, almeno se papà mi dovrà urlare contro, non potrà
dire che stavo trascurando i miei compiti.
“Sono in quinta superiore.”
La prima cosa che mi viene in
mente è ‘18 anni!’e l’immagine che
segue a quel pensiero è il ricordo delle gambe snelle di Emilie. No, basta così Robert. Ma l’hai guardata?
Avrà anche 18 anni ma è decisamente molto ingenua, pura... e poi vuoi davvero
rischiare di essere linciato dal’uomo-tricheco per aver compromesso la sua
giovane figlia? No, meglio di no.
“A cosa pensi?” Mi rendo conto
che mentre io stavo sorridendo durante tutti i miei ragionamenti, lei non aveva
smesso un attimo di guardarmi. Merda, ora cosa le rispondo?
“Oh, a nulla di importante... una
cosa divertente.”
“Non hai voglia di raccontarla
anche a me?” Dio, ma perché questa ragazzina è così maledettamente insistente?
Giuro che adesso do di matto... e ora che le racconto? Forza, Robert, fatti venire un’idea, una qualsiasi.
“Ecco... c’è quest’uomo che entra
in un caffè...” Non ci credo, le sto davvero raccontando una barzelletta.
“e...SPLASH!”
Lei ride sinceramente e sul serio,
io non riesco a capire cosa ci trovi di così divertente. Però allo stesso tempo,
mi viene da sorridere, perché Emilie ha un sorriso contagioso... Dio, ma che ho
in testa oggi? Prima mi vengono pensieri da pedofilo e poi inizio a fare lo
stucchevole per una che conosco da mezza giornata?
In un modo o nell’altro, sono
arrivato alla fine della parete. Appoggio il rullo e do uno sguardo soddisfatto
al mio lavoro: ora manca solo il soffitto e decido di cominciarlo senza mio
padre. Tanto meno lavoro ha da fare, più è contento. Afferro la scala e la
posiziono, poi comincio a versare ancora un po’ di bianco nella ciotola.
“Non hai intenzione di insegnarmi
allora?” Mi accorgo che Emilie mi ha fissato per praticamente tutto il tempo e
adesso, ha la faccia di una bambina a cui hanno appena rubato una merendina.
“Senti, mi dispiace ma è il mio
lavoro... e se mio padre scopre che te l’ho fatto fare al posto mio, mia
ammazza.”
Lei annuisce “Quindi il tuo capo
è anche tuo padre?”
“Già.” Rispondo atono.
“Deve essere bello lavorare a
stretto contatto con i propri genitori.”
Non può essere seria. E invece
si: l’ha detto sul serio. Ok, non mi aspettavo molto di più da una ragazzina
che vive in un villino bianco con un giardino perfetto, e un padre adorante e
iperprotettivo... ma questo no. Emilie non è solo ingenua: praticamente vive su
una nuvola di zucchero filato. “Mio padre gestisce un’azienda che importa tulipani
e altri fiori dalla Francia, ed ogni tanto lo aiuto con la contabilità, ma non
è la stessa cosa: di solito lui sta in un ufficio ed io in un altro.”
E chi te l’ha chiesto? È la prima cosa che penso. Poi però vedo il
suo sorriso e i suoi occhi luminosi e pieni di vita, e mi ritrovo a desiderare
di sentirla parlare ancora di sé, solo per poter vedere ancora quello sguardo
nei suoi occhi.
Le chiedo la prima cosa che mi
passa per la testa “Ti piacciono i fiori?”
“Oh, si! Mi piacciono tutti i
tipi di fiori, ma i miei preferiti sono i cactus e le rose rosse!”
Ok, non devo ridere, potrebbe
prenderla come un’offesa... Cazzo Robert,
controllati. Cazzo, non ce la posso fare, questo è veramente troppo. La mia
risata è fragorosa, lei mi guarda un po’ stupita e spaventata dalla mia
esplosione, ma non m’importa. Cerco di controllarmi e mi asciugo le lacrime: “Ahah...
ok, scusa... non volevo, adesso la smetto. Solo non capisco... cosa centrano in
cactus con le rose?”
“Beh, tutti e due hanno le spine,
no?” La sua risposta è di un ovvietà talmente disarmante, che mi fa sentire un
perfetto idiota. Eppure non posso fare a meno di vederci un doppio senso... sono
incuriosito da questa ragazza: mi avvicino di un passo, per guardarla attentamente
in faccia.
“Ti piacciono le cose che
provocano dolore, Emilie?”
Lei scuote la testa e cerca di
spiegarsi meglio “Non è solo per le spine, infatti non mi piacciono i cactus
che hanno solo le spine, ma quelli
che ogni tanto fioriscono anche ...e questi quasi sempre fanno dei fiori dai
colori vivaci. Allo stesso modo, le rose sembrano pericolose perché hanno le
spine, ma poi in realtà fanno dei fiori stupendi, delicatissimi e profumati. A
me piacciono le cose che non sono mai come sembrano.”
Cosa dovrei rispondere ad una
cosa del genere? Questa ragazzina sarà anche un po’ ingenua, ma perfino io sono
in grado di capire che è dannatamente intelligente: non mi sento in grado di
sostenere una conversazione a questi livelli. Afferrò il pennello con la
vernice e salgo sulla scala.
“Tu hai un fiore preferito?” mi
chiede spostandosi più vicina alla scala.
“No... non lo so, non ci ho mai
pensato.” Come accidenti fa a mettermi
così in difficoltà con una semplice domanda? Sto per dare di matto.
In quel momento, arriva mio
padre. Hallelujah.
“Oh, bene ragazzo, hai già
cominciato senza di me! Ora scendi e riposati un po’, qui continuo io.” Sta
facendo il carino perché c’è anche Emilie, ne sono certo ...ma va benissimo
così, qualunque cosa pur di prendermi dieci minuti di pausa. Papà si volta
verso Emilie sorpreso, come se l’avesse appena notata: “Oh, salve signorina
French! Non dovrebbe stare qui, rischia di sporcarsi la divisa di vernice!”
“Salve! Volevo solo sapere se
fosse possibile per lei insegnarmi a dipingere, poi se la disturbo me ne
vado...” Accidenti, è davvero cocciuta la ragazza.
Perfino mio padre che è nato
dissimulatore, fatica a nascondere lo stupore per la sua richiesta
“Nessunissimo disturbo signorina, io lo dicevo per lei... ma purtroppo, temo
non sia possibile, lei non è ...assicurata
e se le succedesse qualcosa, dovrei risponderne io.”
Ma quale cazzo di assicurazione,
papà? Non so se esiste un’assicurazione per gli imbianchini, ma di sicuro,
noi non ne abbiamo mai avuta una: è già tanto se facciamo la fattura ai clienti!
Mentre scendo dalla scala e passo
il pennello a mio padre, osservo attentamente Emilie: è ovvio che sta facendo
solo finta di crederci, ma non insiste.
“ ‘Pà, allora io esco a fumarmi
una sigaretta.” Approfitto della disponibilità di mio padre, mentre Emilie è
ancora qui.
Lui annuisce “Vai pure, ragazzo
mio.”
Esco in fretta e intanto tiro
fuori le sigarette e l’accendino. Dietro di me sento Emilie che saluta
educatamente mio padre ed esce dalla stanza. Evidentemente, perfino lei ha
capito subito quanto sia viscido e poco raccomandabile Robert Senior Gold.
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