Gorgoglìo.

di hiccup
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Ventinove settembre: tre tazze.

 
E l’aroma del caffè s’infrange contro il palato,
una volta ancora, una volta in più – alcune azioni
non si smentiscono mai; parole un po’ casuali ed
un po’ importanti, superficiali e profonde insieme;
il cielo è piegato su se stesso, timido e dolorante,
lazo lo sguardo e l’irripetibilità e la mancanza mi
colpiscono violentemente, in modo brusco, quasi
mi fanno annaspare.
Ho tra le mani una tazza candida e pura, calda e non
so fare altro che sospirare, nascondendo la punta del
naso nella sciarpa morbida e profumata – mentre il
mattino si srotola e inizia a crescere e s’accorciano
le ombre – il viale profuma d’autunno.
Ho di nuovo un’altra tazza bollente contro un palmo,
l’altro è impegnato a sfogliare pagine e pagine stracolme
di termini nella lingua della tragedia; traduco ed assaporo
la sintassi altra, la scardino e la ricompongo nuovamente:
i polpastrelli sussultano e lacrimano per la perfezione del
pensiero mutato, scomposto, frammentato eppure così
integro.
Ho ancora una tazza tra le mani anche la sera e la bevo,
sorseggiandola con piccoli sorsi da bambina, temo che
finisca presto e con essa anche l’incanto della giornata;
ed intanto mi rinchiudo in me stessa; il cielo si apre e
rigurgita costellazioni e nuvole suadenti.
 
*




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