Chiusa la porta dietro di lei, Richard si sedette sul divano
e si prese la testa fra le mani. Non riusciva a capacitarsi dell’accaduto:
aveva sentito, è vero, storielle che parlavano di gente che, appena tornata da
un funerale, si precipitava a fare l’amore con una sorta di frenesia.
Ma a lui Elizabeth neppure piaceva!
Era molto graziosa, è vero; ma lui non aveva mai provato
molta attrazione per le donne, nonostante avesse avuto qualche ragazza prima di
incontrare Keith; ed Elizabeth era proprio l’opposto del suo tipo!
Atletica, esuberante, un poco sciocca, Richard l’aveva
subito soprannominata Barbie Girl. (Quando passava, diretta ai camerini
femminili, Richard cantava sottovoce “…Life in plastic, it’s fantastic”, e i
colleghi ridacchiavano.)
C’era in lei qualcosa che lo irritava: una sorta di malizia,
mista a un’eccessiva padronanza di sé. Non che fosse arrogante, ma sapeva fin
troppo bene di essere bella.
Si sentiva terribilmente male: il giorno del funerale di
Keith lui era andato a letto con una ragazza! Gli venne la nausea, in parte
provocata dalla sbornia della sera precedente.
Bevve un bicchiere d’acqua prendendola dal rubinetto, la
mano che tremava.
Sentì che doveva uscire di casa, fare qualcosa per evitare
di pensare alla giornata precedente. Prima il funerale, Nikki che cantava con
voce limpida, poi Beth, che si affaccendava in cucina, chiacchierava senza posa
e lo faceva ubriacare. Poi il letto, il profumo dei suoi capelli…
Ma certo! Richard si diede mentalmente dell’idiota. Era
stato tutto voluto, premeditato: Beth l’aveva consolato: gli aveva passato il
braccio intorno alle spalle, sfiorandolo quasi per caso ogni volta che si
muoveva; si era messa in mostra tutta la sera, raddrizzando le spalle,
allungando le gambe snelle fasciate dalle calze di seta; si era chinata su di
lui per fargli aspirare il profumo dei suoi capelli, e l’aveva fatto bere come
una spugna.
Ebbe un subitaneo moto di collera verso di lei. L’aveva
praticamente sedotto, e lui c’era caduto come un adolescente!
Furibondo con se stesso, afferrò il cappotto e uscì, diretto
verso la Sesta strada, nel tentativo di fare qualcosa che lo facesse sentire
meno stupido: trovare quel Benjamin, per esempio, ottenere delle informazioni.
Il vento gelido lo fece rabbrividire, ma anche sentire
meglio. Si avviò a piedi, le mani in tasca, la mente schiarita dall’aria fredda
e pura.
Richard riflettè per un attimo sulla direzione da prendere.
Nikki aveva detto che Keith aveva dovuto aggirare il cantiere della
metropolitana in ristrutturazione. Dunque lo studio di quell’avvocato doveva
trovarsi quasi in fondo alla strada, andando nella direzione che avrebbe preso
lui.
Si diresse rapidamente verso la più vicina stazione della
metropolitana e prese il primo treno, scendendo alla fermata della Sesta. Il
cantiere era ancora aperto.
Salì le scale e l’aria fredda gli sferzò di nuovo il viso. Avrei
dovuto consultare un elenco telefonico, pensò Richard, troppo tardi. Ora lo
aspettavano vari chilometri di strada da percorrere, guardando ogni campanello
per vedere se corrispondesse ad uno studio legale. Fu fortunato. Aveva percorso
poche centinaia di metri quando vide una targhetta d’ottone sul grande portone
di un edificio edoardiano: sperando fosse lo studio legale che cercava, si
avvicinò; ma la scritta recitava Studio Notarile Wilkes & Sons.
Richard ne fu deluso. L’avrebbe ignorato e avrebbe continuato per la sua
strada, ma l’occhio gli cadde sui nomi accanto ai campanelli. Sotto un Wilkes, John, c’era un Wilkes,
Benjamin.
Richard sentì un flusso di adrenalina percorrergli le vene.
Forse aveva trovato quel che cercava! Non un avvocato, un notaio: ma Nikki non
era mai stata precisa coi dettagli.
Pensò di salire e inventarsi una scusa per parlare con quel
Benjamin, ma quando spinse l’elegante porta a vetri (B. Wilkes, Notaio),
la testa gli si svuotò. E se fosse stato un errore, andare lì?
Forse Wilkes non avrebbe voluto parlare con lui. Forse non
era nemmeno la persona che stava cercando.
Era in preda all’incertezza, quando una segretaria di mezza
età, l’aria gentile ed efficiente, gli chiese se poteva fare qualcosa per lui.
“Devo vedere Mr. Wilkes”, rispose Richard, meccanicamente.
“Ha un appuntamento?”
Esitò. “Non esattamente”.
“Mi spiace, signore, ma senza appuntamento non --“
“Dica a Mr.Wilkes che vorrei parlargli a proposito di Keith
Finnegan”, disse d’impulso.
La segretaria lo guardò con aria perplessa, ma si alzò e
bussò con discrezione alla porta dell’ufficio. Mise dentro la testa per qualche
secondo.
Un attimo dopo, un uomo vestito con eleganza usciva
dall’ufficio con passo tranquillo.
Parlò con voce controllata, piacevole.
“Prego, entri. Io sono Ben Wilkes, e lei deve essere
Richard”