Richard scese dalla Smart davanti alla porta di casa sua e
salutò Nikki con la mano.
Mentre saliva le scale e infilava la chiave nella toppa, non
si accorse della musica soffocata che proveniva dal suo appartamento. Ma,
appena la porta si aprì, riconobbe immediatamente le note del brano di Riccardo
Drigo che faceva da colonna sonora al pas de deux.
Una ragazza in body e scaldamuscoli neri gli dava la
schiena; i capelli biondi raccolti in una coda di cavallo, provava un arabesque
appoggiata allo schienale di una sedia, nel salotto. Ai piedi portava
scarpette dalla punta di gesso.
“Elizabeth!”
Richard era allibito.
Vedendolo, lei sorrise, gli fece un cenno e andò a spegnere
lo stereo.
Gli corse incontro, con grazia, sulla punta dei piedi.
“Ciao, Richard!”, gli disse con calore, il sorriso che le
formava due fossette sulle guance.
“La tua padrona di casa mi ha fatto entrare.” Cinguettò. “Ho
pensato che un po’ di esercizio ti avrebbe fatto bene, sai, per distrarti. E
poi la prima è fra poche settimane, non possiamo permetterci di perdere tempo!”
Sorrideva in modo affettato, il tono brioso.
Richard la guardava, senza riuscire a capacitarsi della sua
sfacciataggine. La sua presenza, subitanea, fragorosa, era troppo da
sopportare.
Come si permetteva di presentarsi di nuovo a casa sua,
dopo quella sera?, si chiese.
Pensava forse di piacergli, solo perché lui si era
lasciato sedurre in un momento di sconforto?
“Elizabeth”, ripetè, freddamente.
Lei lo guardò, gli occhi pieni di ingenua sorpresa.
“Qualcosa non va?”, chiese.
Piccola ipocrita, pensò Richard. “Va’ via.” Disse.
“Subito.”
Il sorriso le si spense sul volto. “Come, prego?”
“Vattene da casa mia!”
“Ma, Richard, io --”
“Va’ via, via, via!” Le urlò Richard. Staccò il suo
cappotto, la sciarpa, il borsone dall’appendiabiti e glieli gettò addosso, con
malgarbo.
“Fuori di qui, adesso!”
La afferrò e cominciò a strattonarla verso la porta.
“Aspetta, aspetta, aspetta, non posso uscire così.”
Gridò allora lei, improvvisamente spaurita, comprendendo che faceva sul serio.
Puntò i piedi, si aggrappò al suo braccio.
“Ti prego, Richard! Congelerò, non posso camminare nella
neve con queste scarpette…” La voce le si era fatta piagnucolosa, uno stridulo
falsetto.
Richard la lasciò andare, d’improvviso. Tenne le braccia
ostentatamente lontano dal corpo di lei, come se bruciasse.
“Va’ in bagno a cambiarti.” Disse, duro. “E fai presto,
altrimenti ti butto nella neve così come sei.”
Elizabeth raccolse le sue cose e corse in bagno, spaventata,
la coda di cavallo che dondolava sulla sua schiena. Richard la sentì chiudere a
chiave la porta, gettare le scarpette sul pavimento.
Si lasciò cadere sul divano, la testa fra le mani.
Non poteva permettersi di farla arrabbiare. Era stato un
gesto da sciocco.
La sua posizione non era stabile come quella della ragazza;
era un novellino, e sapeva che, se Elizabeth avesse deciso di non ballare
con lui, la compagnia avrebbe messo qualcun altro al suo posto, piuttosto che
perdere lei.
Richard sussultò nel sentire la porta del bagno che si
apriva. Alzò gli occhi.
Elizabeth uscì con gli occhi bassi, rivestita, tenendo in
mano le scarpette di raso. Si era sciolta i capelli, che ora ricadevano a
nasconderle il viso.
“Beth, perdonami, io…” La voce risuonò sorda e innaturale
alle sue stesse orecchie.
“Non fa niente. Scusa se ti ho disturbato.” Mormorò
Elizabeth; la voce quieta, smorzata, non sembrava la sua. Gli passò accanto
senza guardarlo, strascicando i piedi.
“Elizabeth…”
Lei aprì la porta d’ingresso. Si girò e sembrò sul punto di
dire qualcosa, ma poi uscì dalla casa, senza una parola, chiudendosi la porta
alle spalle.