Non ne faceva una giusta.
Prima la figura da imbecille nello studio del notaio.
Poi Elizabeth.
Si lasciò ricadere sul divano. Il giorno dopo, avrebbe
dovuto presenziare, insieme al notaio Wilkes, alla lettura ufficiale del
testamento davanti alla famiglia di Keith. Sperò ardentemente che non
sorgessero problemi – parenti che saltavano fuori a rivendicare la loro parte,
o chissà che altro.
Tirò fuori dalla tasca la sua copia del testamento – la stessa
copia non ufficiale che aveva fatto vedere a Nikki – e la rilesse.
L’orologio in cucina ticchettava nel silenzio, le lancette
si spostavano con suono netto, limpido.
Il suo sguardo si soffermò sulle firme dei testimoni. Chissà
chi erano, si chiese pigramente. Era stanchissimo; si stropicciò gli occhi
e si lasciò scivolare all’indietro sul divano, in una posizione semisdraiata.
Si appisolò, il foglio gli sfuggì di mano.
Quando, una mezz’ora dopo, si risvegliò, balzò in piedi di
scatto, col cuore che batteva forte: i testimoni!
Forse, dopotutto, le sue ricerche non erano arrivate al
capolinea. Decise di telefonare immediatamente al notaio, per farsi dire chi
fossero.
Se Keith li aveva scelti come testimoni, doveva aver dato
loro una spiegazione del suo gesto. Forse erano suoi amici, persone che lo
conoscevano bene…
Raccolse il testamento dal punto in cui era caduto, sperando
che la carta intestata dello studio notarile recasse anche il numero di
telefono di Wilkes.
C’era: Richard estrasse il cellulare dalla tasca e cominciò
a comporre febbrilmente il numero, le dita che formicolavano per la fretta e
l’agitazione. Aveva un presentimento, la sensazione di essere giunto a una
svolta. Mentre il telefono squillava a vuoto – la lentezza esasperante del
segnale di “libero” che gli riecheggiava nell’orecchio – Richard pregava
sottovoce che Wilkes rispondesse.
Quando infine, con un clic, la segreteria automatica
entrò in funzione – un’irritante voce femminile
Che pregava di lasciare un messaggio dopo il segnale acustico
-, Richard gettò il telefono sul divano con gesto stizzoso.
“Maledizione!”, imprecò sottovoce. “Maledizione!”
Si rese conto di tenere ancora in mano il foglio. Nella foga
del momento lo aveva stretto con le dita fino ad accartocciarlo. Lo lisciò stirandolo
col braccio sul tavolo, poi si mise ad osservare le firme, cercando di
riconoscere i due nomi.
Il primo nome poteva essere Charles Hamilton, il secondo
Jack o John Gunson. Le firme dei testimoni erano abbastanza diverse, ma Richard
notò che i due avevano lo stesso modo di tracciare la “n”, in un rapido,
nervoso segno orizzontale, come di chi avesse fretta di finire.
Se solo avesse avuto un computer! Avrebbe potuto cercare i
due nomi rapidamente, informarsi in pochi minuti di chi potessero essere quegli
uomini.
Con un sospiro, si rassegnò a scendere dalla sua padrona di
casa per chiederle un elenco telefonico. Non avendo il telefono fisso, infatti,
non gliene era mai stata consegnata una copia.
Scese in fretta le scale, suonò alla porta della donna – una
grassa, sfatta matrona, con le calze contenitive e la voce arrochita dalle
sigarette, e una tendenza a chiamare tutti dolcezza.
Impaziente, suonò una seconda volta dopo pochi secondi,
senza lasciare il tempo alla donna di venire ad aprire la porta.
“Arrivo, arrivo”, la intese dire dall’interno della
casa, la voce soffocata.
Sentì la donna ciabattare verso l’ingresso.
“Chi è?”, chiese, stridula.
“Sono Richard, il suo vicino di casa. Avrei bisogno di un
favore.”
Un suono metallico avvertì Richard che la donna stava
rimovendo la catenella di sicurezza che chiudeva la porta. Un attimo dopo, la
faccia guardinga di mrs. Benteen lo guardava dal vano della porta.
“Che vuoi, dolcezza?”
“Mi potrebbe prestare un elenco del telefono? Per favore, è
molto importante.”
La donna grugnì e richiuse la porta. Richard rimase un
attimo perplesso per quel brusco trattamento, poi la sentì ciabattare di nuovo
verso l’ingresso.
La porta si riaprì, e mrs. Benteen si appoggiò allo stipite
col fianco, l’elenco del telefono in mano.
“Ecco qui, dolcezza”, disse gioviale, ma quando Richard
allungò la mano per prendere il grosso volume, lei tirò indietro il braccio.
“A-ha!”, lo fermò lei. “Te lo do se mi prometti di non
maltrattare più in quel modo quella graziosa biondina che è venuta a trovarti
l’altro giorno. L’ho vista scendere le scale in lacrime. Non si trattano così
le signore.”
Richard si trattenne dal ribattere che se quella graziosa
biondina non si fosse autoinvitata a casa sua, facendosi dare le chiavi da
mrs. Benteen, lui non avrebbe avuto motivo di trattarla male.
“Sì, sì, d’accordo”, disse frettolosamente.
Mrs. Benteen gli porse l’elenco. Richard lo afferrò e corse
di nuovo su per le scale.
“Che modi!”, borbottò la donna; poi richiuse la porta e mise
la catena.