Ciao a tutti!
Eccomi di
nuovo qui, con una storia molto particolare.
Come avete
letto, qui abbiamo una ragazza che, dopo una
doccia di feromoni, diventa una calamita per chiunque si trovi a meno
di un
metro da lei. Questo scatenerà situazioni paradossali al
limite dell’assurdo.
Come
annunciato, questa sarà una storia interattiva, dove
sarete voi a suggerire avvenimenti, indicazioni, nomi e altro che man
mano vi
chiederò.
Non
inserirò i nick nella storia come ho fatto con
‘Offresi verginello’ o ‘Fidanzato in
prova’ ma, nelle note finali, cercherò di
ricordare tutti per la collaborazione.
E
ora… BUONA LETTURA!
---ooO§Ooo---
Prologo?
No, tragedia!
Tutti
i bambini adorano giocare al piccolo chimico.
Poi,
dopo aver bruciato le sopracciglia, danneggiato i vestiti, tentato di
far
esplodere la casa, ammorbato ogni essere vivente nel raggio di un
chilometro
con un puzzo che oscilla tra la fogna e direttamente una fossa settica,
i
genitori si ravvedono e cercano di indirizzare i loro virgulti ad
attività più
consone.
Che
abbia dubbi nella salute mentale dei miei nonni è dimostrato
da questo fatto:
loro erano felicissimi di vedere distrutti abiti e mobilio per lasciar
esprimere le potenzialità della loro dolce figliuola
Genziana (nome dolce…
donna? Caliamo un pietoso velo).
Sì,
mia madre è un genio della chimica. Cresciuta a provette e
fornelletti.
Se
fossimo stati nel sedicesimo secolo, l’avrebbero bruciata sul
rogo come strega,
oggi rischia di vincere il nobel. Ovviamente poteva restare sola in
questa
passione? Certo che no! A vincere il nobel dovranno essere in due,
equamente
meritevoli: i coniugi Rizzo, nella fattispecie, i miei genitori.
Avete
presente quegli scienziati pazzi, quelli con i capelli schizzati e i
camici
onnipresenti? Quelli che portano gli occhiali spessi come fondi di
damigiane?
Ecco, i miei genitori sono così. Peccato che gli stessi
capelli schizzati e gli
stessi occhiali spessi me li abbiano pure passati. Del resto, dai
genitori
prendiamo tutte le peggiori qualità, no? Questo almeno
è quello che penso
quando mi guardo allo specchio. Trovarsi bella…
un’utopia, semplicemente.
Visto
il contesto famigliare, mi sono rifiutata di dedicarmi alla chimica,
pur avendo
una naturale predisposizione, ed ho deciso di studiare informatica. La
cosa non
mi esalta, ma se riesco a stare lontano dalle provette onnipresenti
nella mia
vita, è già tutto di guadagnato.
Naturalmente,
possono i miei genitori rassegnarsi al fatto che la loro unica figlia
non segua
le orme di famiglia? Certo che no!
Quindi
mi obbligano a frequentare il loro laboratorio come volontaria, in
cambio di
una misera paghetta settimanale (non sarebbe un diritto insindacabile
per gli
adolescenti? Ho diciassette anni, perdinci! Un po’ di
autonomia!).
Comunque,
due pomeriggi la settimana, passo al laboratorio della ditta Xiol-fan e
aiuto a
sterilizzare le provette e a etichettare tutto quello che deve essere
annotato.
Più che un piccolo chimico, oscillo tra una donna delle
pulizie e una
segretaria.
Ho
scoperto che i miei genitori stanno lavorando da quasi tre anni a un
progetto
finanziato da una multinazionale sui feromoni sia umani che animali.
Stanno
facendo degli intrugli talmente impossibili e puzzolenti che
più che uno studio
chimico, mi sembra una pozione di magia nera. Nefasta! Hocus Pocus!
Vade retro
satana!
Anno
Domini 2014. 05
febbraio 2014,
mercoledì.
Una
data che resterà nella storia, per lo meno la mia.
«Tesoro»,
mia madre mi chiama sempre così, secondo me è per
evitare di sbagliare nome.
Non che abbia sorelle con le quali confondersi, ma dopo essere stata
apostrofata come Lucia (la sua assistente), Anna (la sua segretaria) e
Caterina
(l’assistente di papà), e dopo essersi scontrata
con la mia ovvia offesa, ha
virato sui teneri soprannomi tipo ‘tesoro’,
‘amore’, ‘ninu’ (?!?).
‘cucciolo’,
‘pulcino’ e altri odiosi e pulciosi animaletti.
«Tesoro,
vai a pulire nella stanza 13. Ci sono delle provette sul primo tavolo,
quelle
lasciale stare». Già solo il numero avrebbe dovuto
far scattare l’allarme nella
mia testa, ma visto che non ero superstiziosa e ci ero entrata
più volte, non
mi preoccupai più di tanto.
Andai
a raccogliere lo scopettone e mi bardai con camice, guanti in lattice e
mascherina (armatura modello base) e, naturalmente, i-pod nelle
orecchie.
Spalancai
la porta del laboratorio e mi accinsi ad entrare, quando mi voltai
spaventata
dall’urlo di Lucia che correva spaventata lungo il corridoio,
tenendo davanti a
sé una ampolla con un liquido bluastro e fumante.
«Pista! Toglietevi!».
Questa
povera donna doveva aver avuto degli antenati tedeschi, o almeno era
quello che
mi veniva in mente quando la vedevo avanzare come un Panzer,
biondissima,
grassissima e con un accento trentino che somigliava tanto a quello
usato agli
sciatori della nazionale.
All’ennesima
‘Pista!’ mi sentii scaraventare
all’interno della stanza, mentre nel corridoio
rimbombava uno ‘Scusa!’ molto sentito.
Purtroppo
ero talmente sbilanciata che ruzzolai contro il primo tavolo (quello
che non dovevo
toccare, per intenderci). Il colpo fu talmente forte che mi tenni al
tavolo, ma
questo si sollevò mandandomi gambe all’aria e una
pioggia di soluzioni più o
meno dense e colorate a farmi da doccia. I vetri piovvero intorno a me,
infrangendosi al suolo e schizzando per tutto il pavimento.
Tentai
di rialzarmi, ma il viscidume mi fece ricadere e una scheggia di vetro
tagliò
il guanto e mi penetrò nel palmo della mano. Sentivo il
dolore sordo e
fastidioso, ma non era il momento di fermarsi, dovevo uscire da
lì e farmi una
doccia.
Nelle
mie orecchie, Tiziano Ferro cantava ignaro di quello che era appena
successo.
«Tesoro,
tutto bene?» chiese mia madre raggiungendomi a causa del gran
fracasso.
«Oh
cielo! Cosa è successo qui dentro?» aggiunse non
appena mi vide immersa nel suo
lavoro.
«Lucia
mi ha spinto e non sono riuscita a fermarmi… mi spiace,
mamma. Ho fatto un
disastro» mormorai contrita. Era inutile dare la colpa agli
altri, non ero
stata attenta e quello che era andato distrutto poteva essere
importante.
Mia
madre sospirò affranta. «Non ti preoccupare,
riusciremo a recuperare, anche se
abbiamo perso il lavoro di due mesi» disse indicando il
pavimento.
«Forza,
cucciolo, vai a casa e datti una bella lavata, noi ci occuperemo dei
danni qui
dentro» e con questo venni congedata.
La
doccia fu la cosa più gradita di quel giorno, il taglio che
avevo sulla mano,
decisamente meno. Il palmo mi pulsava ed era leggermente rosso e
gonfio. Una
bella disinfettata era quello che mi ci voleva.
Quella
sera mi coricai tranquilla, con la mano fasciata e il pensiero che
avrei
saltato il servizio al laboratorio per almeno due settimane con la
scusa della
ferita.
Ore
06:30 mattino. Sveglia.
Giovedì
06 febbraio 2014. Okay, è ora di alzarsi per andare a
scuola, in quella manica
di matti.
In
bagno mi tolsi la fasciatura dalla mano e la trovai decisamente
migliorata, un
cerotto sarebbe bastato.
Colazione,
vestizione, trucco, parrucco e uscita nel giro di quaranta minuti. Il
pullman
sarebbe passato tra esattamente undici minuti e mi apprestai ad
attendere sotto
la pensilina. Non pioveva ma c’era nell’aria quella
umidità fastidiosa che ti
si appiccica addosso.
Stranamente
gli occhiali mi davano fastidio e cercai di pulire le lenti
più volte prima di
accorgermi che ci vedevo meglio senza. Lo sbigottimento era
d’obbligo! Potevo
gridare al miracolo, portavo gli occhiali da quando avevo sei anni,
avevo anche
la gobbetta sul naso a causa dell’appoggio e adesso, dopo
quasi dodici anni di
sofferenze, potevo ritirare le protesi oculari!
Mi
misi a ridere felice, prima di appuntarmi mentalmente di richiedere una
visita
all’oculista. Magari era solo un momento e poi sarebbe
tornato tutto come
prima.
Nel
dubbio, il pizzicotto che mi diedi al braccio, mi confortò
sul fatto che ero
sveglia.
In
quel momento si affiancò a me un tizio che vedevo tutte le
mattine sul bus, in
compagnia della sua ragazza. Erano una bella coppia, probabilmente
universitari, visti i libri che si portavano sempre dietro. Erano
carini lui
biondo e lei bruna con gli occhi chiari e un bel fisico.
Non
ci eravamo mai parlati e della cosa non mi importava niente.
Ad
un tratto mi sentii chiamata. «Ehi, piccola. Visto che
prendiamo sempre lo
stesso bus al mattino, ti va di andare a prendere un caffè
insieme? Sei carina
ed hai un buon profumo» mi disse il ragazzo guardandomi fisso
negli occhi.
Era
una mia impressione o aveva lo sguardo da ebete.
La
mia perplessità durò meno di un secondo,
perché subito dopo la sua dolce metà
gli aveva già tirato un potente coppino. «Cosa
vuol dire questo? Sei scemo?
Proprio davanti a me fai il cascamorto?» e detto questo si
precipitò avanti sul
marciapiede lasciando perplessi tutti e due.
La
cosa strana è che lui continuava a guardarmi,
finché non gli dissi «Allora? Sei
davvero scemo? Ma seguila!» e lo spinsi dietro la figura
della sua ragazza che
si stava allontanando.
Ero
scioccata. Era la prima volta che quel ragazzo guardava
qualcun’altra. Era
sempre stato il tipo da ‘bacio la terra dove cammina la mia
donna’.
Non
appena fece due passi, scosse la testa come se fosse uscito da una
strana
trance e iniziò a correre dietro la brunetta
«Sofia! Sofia, ti prego, aspetta!».
Avrebbe dovuto strisciare parecchio prima di ottenere il perdono.
Io
feci spallucce e mi apprestai a salire sul bus che era appena arrivato.
Chissà
cos’altro sarebbe successo oggi.
Purtroppo
per me, non ne avevo la più pallida idea, altrimenti non
sarei mai uscita di
casa.
---ooO§Ooo---
Angolino mio:
Siamo alla
fine del prologo. I capitoli non avranno una
lunghezza costante, dipenderà da quello che ci
sarà da scrivere…
Abbiamo una
protagonista che si è fatta una doccia con dei
feromoni. Nei successivi capitoli si approfondirà quello che
le è successo e si
capirà meglio quali siano state le conseguenze.
Se avete
notato non c’è il nome della protagonista, solo
il cognome. Ecco a voi, dunque, il primo suggerimento: che nome diamo
alla
protagonista?
Secondo
punto: pensate a una scena da far capitare a
scuola. Cosa potrebbe succedere? Ricordate che lei non ha ancora capito
cosa le
è successo.
Adesso
aspetto le vostre impressioni e i vostri
suggerimenti.
Il prossimo
capitolo ho intenzione di postarlo tra
quindici giorni, in modo da aver il tempo di assimilare i vostri
suggerimenti e
poterli scrivere.
Alla prossima
Baciotti
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