ChocoCat
Il ragazzo
di Edimburgo
«Ora
noi siamo già più vicini
Io vorrei, non vorrei, ma se vuoi…»
Dana lo osservava di sghembo con curiosità; lui era una di quelle
persone che riempiono una stanza senza dire una parola, e il vagone ferroviario
in cui si trovavano rimpiccioliva per la sua stazza. Sembrava un atleta, o
forse un contadino? Eppure, così distinto, non poteva essere un uomo qualunque.
Aveva i capelli biondo scuro pettinati di lato,
corti, ordinati. Le chiese scusa per sedersi, e lei si sentì obbligata a
spostare tutto sul sedile di fronte al suo. Il bagaglio a mano era pesante, lo usò per riposarci le caviglie. Lui si sedette nel posto
libero vicino al suo, urtandola appena al primo scossone del treno in partenza.
Dana non ci mise molto ad accettare il contatto spalla contro spalla, perché quella di lui era francamente robusta e anche
con tutta la buona volontà lui non ci entrava in quel posto a sedere.
Non si curò del suo sguardo né delle sue mani che trafficavano nelle
tasche di un grosso giaccone in cuoio biondo. Era concentrata, con gli occhi
chiusi, tesa a chiedersi che genere di uomo fosse. Poté sentire il suo profumo
per il resto del viaggio, e tutto sommato non era
sgradevole, in confronto all’odore di stantio che emanavano i sedili di feltro.
Anzi, non lo era per niente. Si sentì leggera come su una nuvola.
Non erano ancora le sei del mattino e dal finestrino il cielo cupo
andava schiarendosi – in una scala di grigi - nonostante la pioggia; si
strofinò gli occhi cercando di non agitarsi troppo per non bruscare il suo
compagno di viaggio. Si sentiva così vicina a lui, e al contempo così agitata,
che tratteneva i pensieri nel timore che andassero a solleticare quelli di lui.
Fu felice di constatare che lui reagiva con un
malcelato sbadiglio. Si strofinò nuovamente gli occhi, stropicciandosi il viso.
Cosa avrebbe pensato, lui, di una donna così poco aggraziata? No, non aveva grazia e per
giunta era vestita di lana grezza e indossava i suoi stivali più pesanti. Nonostante tutto, in barba a qualsiasi proposito di non lasciar
correre troppo l’immaginazione, prese a fantasticare.
Quale donna non l’avrebbe fatto al posto suo? Lui era molto bello, aveva
dei lineamenti adulti e ben definiti, la linea delle tempie si armonizzava con
il naso diritto e largo e con l’angolo della mandibola; sulla spalla
s’incastrava una tracolla che appesa a lui sembrava minuta; le piacque ogni
particolare: i capelli chiari e ordinati vicino alle orecchie, la forma del
collo fra i lembi della camicia; un insieme coerente, solido e affascinante.
Barba, poca e chiara.
Aveva il mento appoggiato su una borsa di cuoio da dottore, doveva
essere molto costosa, e in mano reggeva un libro.
Perché allora indossava quella camicia a quadri smunta? Sembrava tuttavia un personaggio
distinto; forse era uno di quegli intellettuali che non si curano
del proprio abito? Ne era ineluttabilmente affascinata. Continuò ad osservarlo di sbieco, con spensieratezza perché poté
vederlo addormentarsi e cedere al sonno con una velocità impressionante, degna
del suo cane Buck quando arrivava fradicio e sfiancato sulla veranda dopo aver
lavorato nei pascoli.
Lo sconosciuto accennava ad appoggiarsi sul mento, ciondolava col
deragliare del treno, socchiudeva gli occhi, ma resistette ovviamente più che
poté. Una battaglia persa contro le palpebre ed
un’altra, clandestina, vinta contro
il suo cuore; quelle ciglia di grano scuro erano esteticamente irreprensibili, folte
e arricciate, affusolate sulle estremità; si scoprì a pensare che erano proprio graziose, che richiamavano in un gioco di colori le lentiggini
spruzzate qua e là sullo zigomo e sull’ala del naso che le era concesso
sbirciare. Più che pensarlo, lo sentì, nell’accelerare del respiro, nell’arrestarsi del cuore. Le
sudavano le mani, ed erano fredde, così fredde e
bagnate da far paura.
Incontrare un bell’uomo sul treno agli albori era più unico che raro, e
trovarselo accanto profondamente sopito era
assolutamente delizioso. Sperò con tutto il cuore, in preda a un fervore
indegno del mondo reale, che non si svegliasse, che facesse il resto del
viaggio con lei, ma era piuttosto difficile. Scendeva all’ultima fermata. Proprio
quella mattina aveva ricevuto una chiamata da un allevatore appena fuori dalla
periferia di Blackrock* che aveva una vacca, una
primipara di razza Dexter in procinto di partorire.
Dana era una veterinaria coi fiocchi, la
migliore, a sentire il suo maestro, il signor Berkeley. A pochi inverni dalla
laurea aveva già salvato un numero notevole di vitelli con poche probabilità di
sopravvivenza, e la sua fama aveva schiacciato l’ormai astruso principio secondo
il quale una donna non poteva essere portata per la buiatria.
Si impose di dormire, il parto di una bovina non era di certo
una di quelle faccende facili da sbrigare – ricordava ancora l’ultimo
stagiaire ingenuo che aveva osato peccare di presunzione: “Dovrebbe lasciare spazio ai professionisti” le aveva detto; gli
aveva concesso il tempo di inciampare nel secchio d’acqua bollente mentre indietreggiava
tronfio di misoginia senza essersi voltato una volta indietro, per
controbattere, prima di prendere in mano la situazione: “stavo per dire la stessa cosa” - ; per giunta richiedeva una
notevole forza fisica, e lei era ancora stanca dalla precedente notte passata
in clinica.
Proprio in quel momento, però, notò le mani pendule dell’uomo: non
reggeva più il libro, stava per cadere. Era in bilico, e presto sarebbe
scivolato via. E se non si fosse svegliato in tempo? Sarebbe stato meglio non
intromettersi e lasciarli fare una figura barbina oppure scuoterlo con garbo e
rendergli il libro? E se avesse pensato male di lei? Era possibile farlo? Pensare male di lei? Dana arrossì e s’imbarazzò al solo pensiero ma si decise a
schiarirsi la gola un paio di volte. Non ebbe nessun
effetto, lui dormiva profondamente, ne avvertiva il respiro profondo malgrado il fracasso delle rotaie. Nell’imbarazzo e
nell’agitazione, non poté non provare un senso di profonda tenerezza per quello
sconosciuto addormentato; nel modo in cui chiudeva gli occhi e spingeva in
fuori il labbro inferiore era del tutto simile a suo
fratello minore, Calhoun. Il treno stava frenando,
erano vicini alla penultima fermata.
Presto, presto.
Cosa dovrei fare?
Il libro cadde.
Il giovane si svegliò con un singhiozzo, e lei trattenne a stento un
sorriso. Lo sconosciuto aveva due grandi occhi grigi
nei quali sostò prima di recuperare il libro fra le sue ginocchia. Si chinò più
rapida di lui. I loro sguardi s’incontrarono di nuovo, più vicini, mentre gli
tendeva il libro. Nonostante le guance calde non riuscì a distogliere lo
sguardo. Si passarono il libro molto lentamente,
indugiando uno sul viso dell’altro, quando intravide il lampeggiare del titolo
argentato sulla copertina di cuoio. Lasciò andare il libro e si ritrasse sul
suo sedile, ruotando il busto verso di lui per non apparire scortese. Balle. Desiderava conoscerlo, scoprire
chi fosse, scartarlo come una ** truffe
– di quelle buone, che costano molto più di cinquanta pence-
e assaporarlo come se fosse l’unico nella confezione.
“Grazie”
Esordì lui, con l’aria buffa e turbata di chi si è svegliato in
agitazione.
“Non c’è di che”
“Che fermata è questa?”
“La penultima”
“Grazie”
Dana
quasi non ci credette, un attimo dopo, ma le parole uscirono da sole senza
passare per il filtro. Si sentì suo malgrado sfrontata, e questo l’accese ancora di più. Era la prima volta che si rivolgeva
di sua iniziativa ad uno sconosciuto.
“Una strada ben indicata che non
porta da nessuna parte. Che libro è?”
“Oh, nulla. Un saggio satirico. Ho promesso a un amico che l’avrei
letto, ma non fa per niente ridere, o forse abbiamo gusti dissimili”
“Capisco”
“Lei è di queste parti?”
“Si, sono nata e cresciuta a Blackrock. Lei invece non è di qui,
sbaglio?”
“Non sbaglia, vengo da Edimburgo per un colloquio di lavoro.”
“A Blackrock?”
“Così pare”
Si
prendeva gioco di lei? Blackrock, per quanto lei la
amasse, era la provincia più piccola e insignificante di Dublino. Cosa ci
faceva uno scozzese a spasso per l’Irlanda?
“Gradisce
uno shortbread?”
Dana
accettò il biscotto avvertendo un improvviso languore.
“Che
brutto tempo, la fuori”
Non ci posso credere, stiamo parlando del
tempo!
“Si
rischiarerà. Succede sempre, vede il mare dietro quelle colline verdi? Il vento
che proviene dal mare spinge via le nuvole”
“Lei
come si chiama?”
“Dana
Doherty, signore”
“Piacere,
Miss Doherty. Io sono Ian Spark”
“Piacere
mio”
Nonostante
il respiro concitato e i numerosi tentativi interrotti a mezz’aria, non riuscirono
più a dirsi una parola. Chi passava nel vagone aveva la tentazione di alzare
gli occhi al cielo. Dana si torceva le mani, sbirciando lateralmente per
indovinare le intenzioni del signor Spark. Il
giovanotto nascondeva il mento nel palmo mentre abbracciava la valigia, e
sembrava agitarsi sul sedile minuscolo come preda di un dialogo interiore. Quando
sembrava che stesse per ricominciare a parlare, non disse nulla e le offrì un
altro biscotto.
Erano
ormai arrivati al capolinea, il panorama verdeggiante andava definendosi sempre
meglio al rallentare del treno e il cielo di un pallore grigiastro pareva
essere al culmine del suo personalissimo, irlandese chiarore.
Dana Doherty e Ian Spark
esitavano a parlarsi nuovamente; parevano entrambi irrimediabilmente scottati,
in un modo del tutto innocente e un po’ infantile; ma dopotutto cos’era il loro
se non un incontro in totale confusione dovuto all’ora e alla stanchezza?
Probabilmente non si sarebbero rivisti mai più. Ne sarebbe valsa la pena?
Dana sentiva che avrebbe perso qualcosa, se non avesse almeno tentato di
ottenere il suo indirizzo, o il suo numero di telefono - se lo aveva.
Entrambi rovistavano nella mente alla ricerca di una qualsiasi scusa per
ristabilire la conversazione, e ogni scusa veniva
accantonata come banale, inadeguata, impresentabile. È troppo imponente. È troppo arguta. È così intrigante. È così seriosa. Vorrei più tempo per
parlargli e dimostrargli che vale la pena conoscermi. Vorrei più tempo, per poterle mostrare che i miei abiti smunti hanno un
significato e che non sono uno qualunque. Vorrei lui. La sua presenza qui mi mortifica, mi abbruttisce.
Mi piace da impazzire. Mi piace da
impazzire.
Il treno prese a frenare inesorabilmente, i due raccolsero i loro
effetti personali senza alzarsi, ancora turbati.
Finalmente il vagone si fermò davanti a una stazione provvisoria, priva di indicazioni, in aperta campagna.
“È
stato un piacere, Ian Spark”
- “Miss Doherty, posso chiederle il suo numero di
telefono?”
“Certamente,
mi dia una penna per favore” – “Piacere mio… cioè, volevo dire, eccola!”
Ian le tese una penna stilografica con un marchio inciso che
conosceva molto bene. Era della Pfizer, una grande società farmaceutica da cui
si riforniva regolarmente per i vaccini e alcuni farmaci di nuova generazione.
“Il
suo lavoro qui, se non sono indiscreta, quale sarebbe?”
“Lei
non è affatto indiscreta,”
Disse lui mentre portava le valigie di entrambi sul binario.
“Benedetto
il... ma che posto è questo? Mi avevano detto che ci sarebbe stato qualcuno di
riconoscibile, io… accidenti, temo di aver perso la fermata”
“Se
ha bisogno conosco numerosi contadini della regione,
c’è una fattoria qua dietro alla quale devo recarmi per lavoro, l’accompagno e
sono sicura che le faranno fare una telefonata”
“Lei
è molto gentile. Mi faccia almeno controllare che la cabina telefonica non sia
guasta. Mi scusi per il contrattempo, davvero, se lei ha necessità di andare vada pure, anzi vada subito!”
“Si
calmi, io l’aspetto qui fuori. Ce l’ha
un gettone?”
“Ne
ho uno, Miss Doherty, grazie. Dio,
sta cominciando a piovere! Cosa le avevo
detto? Pronto, Signor Berkeley? Ah, salve Mrs
Berkeley, scusi, sì. Io sono… sì, d’accordo, ma gli
dica chi sono, perché mi aveva chiesto di venire per questa data e io sono arrivato appena ho potuto. No, in questo momento
chiamo da una cabina telefonica. Sì, gli dica che ha chiamato Spark, d’accordo? Gr.. grazie,
grazie. Arrivederci. ARRIVEDERCI”
Ian Spark riappese la cornetta con
disappunto, e subito uscì dalla cabina calcandosi un berretto in tweed sui
capelli. Dana non poté fare a meno di pensare che era una
buffa coincidenza la loro; si decise a parlagli dopo essersi rischiarata
la voce.
“Ha
chiamato un certo signor Walter J. Berkeley, medico
veterinario e professore associato dell’University
College di Dublino?”
“Esattamente,
lei come ha fatto a saperlo?”
“Sono
la sua collaboratrice a tempo pieno”
“Collaboratrice?
Lei?”
L’espressione gioviale, divertita dell’uomo le bruscò
l’animo.
Stava per
misurare le sue sciocche romanticherie con la realtà dura e cruda.
Avrebbe retto
alla delusione?
Che Dio me la mandi buona, fa che non sia
uno di quei veterinari maschilisti ti prego, ti prego,
ti prego.
“Sì,
io. Problemi?”
“Assolutamente no, assolutamente no. Che strana...
coincidenza…! Ora però non so che fare, il dottore ha avuto un contrattempo e
pare non possa liberarsi fino a stasera sul tardi. Può indicarmi un ostello?”
“Oh,
no Signor Spark. Se è lei lo stagiaire di cui parlava il Signor Berkeley, credo proprio che sia
il caso di visitare la piccola Dexter insieme. Venga,
venga. Il Signor Sullivan ci aspetta dalle tre di
stanotte!”
*Blackrock è in provincia di Dublino, Irlanda.
** truffe: in francese, cioccolatini “tartufo”
di crema al cioccolato cosparsi di cacao in polvere; nella stessa frase, il pence è la moneta irlandese prima dell’euro.