Amanti e Perduti
Sallustio in Cesare, 7
Marzo 44 a.C.
Il tuo Sallustio ti saluta, Cesare.
La stagione non consente alcuna attività produttiva. Non
conosco quale sia la situazione della Città, ma la campagna da ormai tre giorni
è castigata da precipitazione d’ogni genere. Non ricordo d’aver mai visto tanta
pioggia e tanta sabbia cadere dal cielo nello stesso tempo, neppure ai tempi
dell’Africa.
Ah, Cesare, non vedo alcuna speranza di passeggiare nei
giardini, almeno fino alla fine di questa settimana. I liberti sono sicuri che
la precipitazione debba ancora dare sfogo alla sua impietosa violenza. Neppure
nella storia trovo conforto, e per di più la stagione che mi obbliga a rimanere
chiuso nelle mie stanze è anche la forza misteriosa e terribile che mi priva di
ogni voglia di scrivere. No Cesare, non è più il momento di giustificare questo
lembo di vita che si protende verso un tramonto marittimo ormai più vicino alla
notte che al pomeriggio.
Credo di averti raccontato nell’ultima epistola del
piacevole dono che ho ricevuto da mio cognato. Se per caso avessi omesso di
farlo, ti dirò che mi è stato fatto dono di alcune meravigliose piante
esotiche. Ho immediatamente provveduto a farle piantare nell’angolo più
luminoso del mio giardino, tanto più che ero stato informato della rara
bellezza dei loro fiori. È ormai da molto tempo che i miei giardinieri – con
grande zelo peraltro- si affaccendano intorno ad esse nella speranza di farle
fiorire il più presto possibile. E proprio una settimana fa, ecco apparire il
primo bocciolo. Oh, Cesare, sembra una cosa tanto assurda gioire per un
bocciolo! Ma, si sa, la fortuna non concede più di quanto tolga. Così, mentre
la pianta riluce di fiori variopinti e odorosi, la pioggia ci costringe tutti
in casa.
Non di rado, Cesare, la sorte mi appare manifestamente
avversa.
La pioggia scende e si capisce, si capisce che non potrebbe
trovare spazio in una villa di campagna, a pochi passi da un mare che i
contadini ed i pescatori hanno sempre veduto placido e benevolo. Lo stesso mare
che adesso schiuma in lontananza come un cane rabbioso. Non sembrerebbe anche a
te, Cesare, che un dio stia mirando
verso la mia casa?
L’atmosfera non ha niente di naturale, ed io non sono poi
così differente da un animale.
E veniamo a te, imperator.
Non ti nascondo un velo di preoccupazione.
Quello che hai scritto nella tua ultima lettera mi ha
lasciato a dir poco turbato.
Davvero simili visioni ti tormentano? È proprio vero ciò che
mi dici, che i tuoi sogni sono lunghi e tormentati? Quanto agli indovini,
saprai certamente meglio di me quanto credito possano meritare uomini tanto
svergognati e presuntuosi.
No Cesare, non nel volo delle taccole in cielo sta scritta
la sorte di un uomo, né tanto meno nel fegato di un animale. Sono rimasto tanto
stupito nel leggere di questi tuoi dubbi che ho persino dubitato
dell’autenticità della tua lettera. Oh Cesare, è davvero questa l’asfissiante
paranoia di un dittatore? Guardatene,
Cesare: spesso nel sonno un uomo vede un dio che gli somiglia.
Ma in ogni caso, dato che sembri assai interessato
all’argomento, voglio raccontarti del sogno che stanotte mi ha visitato, ben
sapendo che lo troverai assurdo.
Sai bene quanto sia difficile riunire i pezzi di un vaso di
fine fattura che si è frantumato. Non trovi che lo stesso valga anche per i
sogni? Nel momento in cui un uomo si sveglia essi sono vasi che si frantumano:
molti pezzi vanno, ahimè, perduti. I restanti, invece, difficilmente potranno
essere riuniti in un unico elemento di senso compiuto. Eppure, Cesare, questo
sogno lo ricordo bene, nei minimi particolari.
Mi trovavo dunque nel foro, cosa già sufficiente ad
accendere in me la più viva commozione. Vi riconoscevo tutti.. tu, Catone,
Cicerone, anche Silla sedeva sul marmo bianco. Ma, Cesare, un sogno di per sé
non eccezionale lo diventava grazie alla sua presenza! Era lui, ne sono certo.
Il suo portamento incostante, i suoi occhi piccoli, la carnagione smunta..
Cesare, tra noi c’era Catilina! Mai, Cesare, mai avrei pensato di sognarlo!
Marco Tullio si alzava, mi parve allora chiaro che quella
fosse l’occasione della sua prima orazione contro Catilina. Ma , oh, mi
sbagliavo. Le parole che uscivano dalla bocca di Cicerone erano sottili e prive
di consistenza, stelle poco luminose in una volta troppo poco scura, come
quelle di un oratore non ancora abituato all’uso delle pietre. E voi non vi
muovevate, muti.
Si alzava allora Catilina, ed era grande, più grande di
tutti noi impilati! Ci sovrastava, eppure la sua altezza spropositata non
incuteva alcun terrore. Sembravamo tutti coscienti di ciò che di lì a poco
sarebbe accaduto… Il gigantesco Catilina scoppiava allora in lacrime, ed erano
gocce pesanti ed amare… Cesare, credimi se ti dico che dopo qualche minuto
l’intera Città era allagata dalle lacrime di Catilina.
Ora, riterrai questo sogno sciocco e frutto – forse- di una
notte dedicata ai piaceri. Legittimo, certo, ma io ti assicuro che su ciò che
ho visto non era calato il velo dell’ebbrezza.
Il tempo, Cesare, ha finito per cambiarci anche nel mio
sogno.
Avevamo ragione?
Sto male, Cesare.
È un male oscuro e profondo, tanto che non lascia la mia
vita libera di respirare.
Non trovo un modo, Cesare, un modo per godermi questo
tramonto al quale tendo senza speranza. Ci sono giorni in cui credo di sapere
cosa sia, altri in cui conosco a mala pena la mia immagine riflessa nello
stagno del mio giardino. Cesare, non so cosa sia, so solo che accade.
Fieri sentio et excrucior
Sì, Cesare, anche io odi et amo, lo sento accadere ed
è proprio così!
Cesare, non è Eros che scioglie le membra, sono centinaia di
tarli che mangiano la mia carne ad ogni passo che faccio. Mi rotolo nei rovi!
Ma Cesare, l’amore non mi fa schiavo di una leggiadra
fanciulla, né mi spinge a corteggiare un intonso giovinetto.. No, Cesare,
l’unico amore nella vita di questo misero Sallustio è colei che sola riesce ad
innamorare tanti uomini… Cesare, io sono perso per la Res Publica.
E sono un innamorato di poca esperienza, che per seguire una
donna più esperta e matura ha dimenticato ogni principio e si è privato di ogni
base. Ad ogni sussulto di vento tremo, e il prossimo ciclone mi porterà via per
sempre, non ho piedi che mi ancorino alla terra.
Sono un innamorato misero, che ha corteggiato la sua donna
come l’hanno corteggiata tutti, senza mai riuscire a raggiungere quel punto di
originalità che solo i grandi uomini riescono a conseguire. No, Cesare, non
sono invidioso, la mia è stata una goffa uscita dall’ignavia…
Che amore prematuro, e quanta poca dignità rimane ad un
amante quale io sono.
Non c’è offesa che non possa sopportare da parte della mia
reticente donna. Nessun tradimento è tanto grave da farmi adirare, nessun
capriccio della mia amata mi appare sciocco ed ingiustificato. No, Cesare, non
sono un uomo. Chi ci ha detto e fatto credere che siamo migliori degli animali,
si sbaglia. Noi siamo più ostinati, noi amiamo il nostro dolore, noi non
riconosciamo la nostra totale perdita della dignità, ed intravedendola siamo
noi quelli che non se ne preoccupano.
Sono pietoso, Cesare.
Corro tra gli alberi del mio giardino, come un cane che
fugge da uno sciame di calabroni furiosi. Quando trovo un albero che possa
coprirmi, mi nascondo. Ma lui, l’amore, è lì.
Non mi insegue, non è un cane da caccia che scova la sua preda anche in
capo al mondo. Lui è semplicemente lì. C’è adesso, un adesso illimitato ed
eterno. Non c’è possibilità di fuga per me, dovunque vada sono preceduto dalla
mia sfrenata passione.
È un amore indignitoso, impietoso, sfrenato. È fatto di
brevi incontri, di effusioni violente e di vasi che colpiscono i muri. Noi
poveri amanti, Cesare, siamo perduti non appena veniamo lasciati, al principio.
La nostra amata non conosce costumi, li crea e poi ne è del tutto esente. Essa
torna da noi quando ne sente il bisogno, quando – cioè- il suo letto è troppo
freddo perché possa starci lei sola. È graffiante come una tigre indiana, non
ha pietà per la carne che strazia!
Ma io la amo, Cesare, la amo! Mi lascerà altre cento, mille
volte, ma non farà differenza.
Siamo amanti politici, oh imperator?
Come mai non combattiamo la gelosia che proviamo nel vedere
la nostra amata res plublica che si
accompagna di uomini pessimi?
Forse che siamo troppo stanchi, Cesare?
Forse che invece siamo stati anche noi esattamente come
loro?
Forse che siano questi i gusti della nostra sfuggente donna?
Siamo malati, Cesare?
Siamo pensieri estraniati?
Siamo mai stati risoluti?
Dimmi, imperator, secondo te
Siamo giochi bendati
O amanti perduti?