Partecipante
al Contest “Guerra, Sesso, Invidia, Peccato”
indetto da 9dolina0
sul Forum di Efp
Nick
Forum Efp : Sasuk8
Nick
Efp : Blueorchid31
Pagina
Beta: DoubleSkin http://www.efpfanfic.net/viewuser.php?uid=183862
Titolo
: Aretè
Fandom
: Naruto
Gruppo
tematico e citazione : Peccato - “L'amore perdona tutto
ciò
che fa” Molière
Lunghezza
: 3614 parole
Genere
: Angst – Introspettivo
Rating
: Arancione
Personaggi
: Sasuke Uchiha
Avvertimenti
: Spoiler
Introduzione
: E' una one Sasuke- centric. Raccoglie delle riflessioni post-
guerra su tutta la sua vita aventi come filo conduttore i sette vizi
capitali.
Note
dell'autore: Questo chiamasi “sbrocco mentale post
fine di
Naruto”.
La
one è collocabile dopo il capitolo 699, ma molto prima del
700. Diciamo che potrebbe essere la notte prima della partenza di
Sasuke. All'inizio avevo scelto un'altra citazione, un altro ambito,
poi questa “roba” ha iniziato a prendere forma e ho
stravolto
tutti i piani. La citazione è di Molière
“ L'amore
perdona tutto ciò che fa”, invece, sul titolo
bisogna aprire
una parentesi.
Areté...
Scrivendo
Entelechia ho rispolverato Aristotele e di conseguenza la filosofia
greca (dato che mi ci trovavo perché no?) quindi, quando ho
deciso di impostare questa riflessione di Sasuke sui sette vizi
capitali, ho pensato al loro opposto, la virtù. Per il
saggio
Aristotele, infatti, “vestire l'abito” del virtuoso
consiste nel
comportarsi idoneamente, nel mezzo (“In medio stat
virtus”), tra
le virtù etiche e i vizi a cui si contrappongono. In piccole
parole povere, bisogna vivere in equilibrio. Sasuke non
diventerà
mai un Santo, avrà sempre le sue tendenze psicotiche e i
suoi
vizi, ma adesso, come adesso, ha la possibilità di vivere in
“
quel mezzo”, vestendo dei panni nuovi.
Spero
di essere stata abbastanza chiara... come sempre nella mia mente fila
tutto, ma tra il dire e il fare, c'è di mezzo Sasuke Uchiha,
quindi diventa tutto alquanto contorto.
Per
l'occasione, come avrete sicuramente notato nel frontespizio, mi sono
avvalsa di una Beta che ringrazio tantissimo... Grazie Skin! :-)
Buona
lettura.
Aretè
La
nebbia lisergica si dissolse, riattivando i suoi sensi. L'udito
captò
il ciarlare rumoroso all'esterno; la vista, ancora un po' appannata,
si perse nel soffitto di stoffa grezza; la pelle ritrovò in
quelle lenzuola pulite e profumate un benessere che neanche
più
ricordava.
I
calmanti gli avevano donato un insperato riposo fatto di sogni acidi,
confusi.
Rimase
immobile, sentendo un'improvvisa inerzia avvolgerlo.
Non
aveva fretta di alzarsi: nessuna guerra da combattere, né
vendette da soddisfare.
Un'accidia
latente si era impossessata di lui, rendendolo un corpo vuoto,
incompleto e amareggiato.
Quali
sarebbero stati i suoi progetti per il futuro?
Futuro...
Non
era diventato la personificazione dell'oscurità,
né
l'unico nemico da combattere.
Era
uno storpio, steso su una branda di una tenda medica.
"No,
non é andata proprio come previsto" pensò,
assottigliando gli occhi in uno sguardo cupo e stanco.
Sentiva
di non avere forze, desideri; provava disgusto per se stesso e per
quel moncherino che era la prova inconfutabile della sua sconfitta.
Eppure
era davvero convinto che sarebbe stato meglio per tutti, che
identificando in lui il male, il mondo ninja avrebbe vissuto in pace.
Non
era forse quello che voleva Itachi?
Aveva
elaborato la sua visione, facendo tesoro degli errori compiuti dal
suo stesso fratello e dai Kage del passato. In fondo loro non erano
riusciti, nonostante i sacrifici, a evitare che l'odio perdurasse ed
esplodesse poi in quella guerra.
Erano
stati degli inetti.
Un
unico potente nemico, un male supremo, divino, sarebbe riuscito a
incutere terrore e imporre la propria legge. Avrebbe pensato lui a
tutto... Sarebbe stato giudice ed esecutore delle pene, si sarebbe
sporcato le mani del sangue di coloro che avessero attentato alla
pace.
Solo
lui... da solo... contro tutti.
Lo
avrebbero temuto, rispettosamente odiato. Non sarebbe più
stato considerato come l'ultimo degli Uchiha, l'orfano dei traditori
di Konoha, ma come quella legge che nessuno era ancora stato in grado
di imporre.
Ma
no... Naruto si era messo in mezzo, aveva voluto farlo ragionare,
portandolo a delle conclusioni che andavano oltre l'avarizia
di sentimenti nella quale si era da sempre rifugiato.
Aveva
centellinato l'affetto, a volte negandolo completamente.
Piccole
infinitesimali stille di quell'umanità che lo rendeva
debole,
un bersaglio troppo facile da colpire.
Ne
aveva colto il significato durante l'esame dei chunin, nella foresta
della morte, quando aveva perso totalmente il controllo;
successivamente affrontando Gaara e infine quando aveva cercato di
catturare Killer Bee.
Fu
quest'ultimo episodio a convincerlo definitivamente della debolezza
insita nei legami: aveva fallito la missione, la prima come
componente dell'Akatsuki, per salvare un suo compagno di squadra - un
ultimo strascico di quel senso di partecipazione e di
solidarietà
reciproca della vita in Team.
Si
era poi ripromesso di non commettere più lo stesso errore e
lo
aveva dimostrato trafiggendo Karin per uccidere Danzo. In quel
momento aveva un unico obbiettivo ed era così chiaro, nitido
e
invitante da consentire alla più cieca ira
di appropriarsi di ogni singola cellula del suo corpo,
prevaricando quel poco di buono che vi era rimasto.
La
sentiva scorrere nelle sue vene, gli suggeriva le battute adatte a
quella scena che aveva sognato di girare tante volte dalla morte di
Itachi.
Era
finalmente diventato un vendicatore, un essere senza cuore,
né
sentimenti, disposto a togliere la vita ai propri compagni pur di
perseguire il suo scopo.
Si
era sentito stranamente orgoglioso di se stesso. Non poteva ambire ad
altro, aveva perso tutto, quindi trovava appagante sentirsi qualcuno.
Godeva nel sentire il potere dell'oscurità, lontano dal
buonismo forzato della vita dei ninja di Konoha.
Non
combatteva più per qualcun altro, ma per se stesso.
Con
quello stato d'animo avrebbe potuto davvero dichiarare guerra a tutto
il mondo e in un certo senso lo aveva fatto. Sulla scia di quel senso
di onnipotenza, aveva tentato di uccidere Sakura, la povera noiosa
Sakura, che con un impensabile slancio di coraggio si era presentata
davanti ai suoi occhi con l'intenzione di prenderlo in giro e
addirittura ucciderlo.
“Tsk”
Lei
era cosciente quanto lui che non ci sarebbe mai riuscita: i suoi
sentimenti e le sue motivazioni non erano minimamente comparabili con
quelli che provava lui.
L'odio
era sempre stato più forte dell'amore, o quantomeno rendeva
di
più.
Quali
soddisfazioni aveva avuto dall'amore? Nessuna.
Quali
dall'odio? Molte.
Allora
perché il resto dell'umanità non riusciva a
comprendere
che era l'odio a far muovere il mondo? Che persone come Naruto, non
avrebbero avuto senso di esistere senza un'antagonista.
Se
non fosse arrivato Kakashi, probabilmente l'avrebbe uccisa.
Odiava
anche lei. La sua debolezza, la sincerità che leggeva nei
suoi
occhi, la purezza dei sentimenti che non riusciva a comprendere.
Perché
lei lo amava? Cosa c'era in lui che a lei potesse piacere?
Nell'unico
istante nel quale aveva provato un minimo di amor proprio per se
stesso, che si piaceva, per così dire, lei era comparsa a
ricordargli quanto facesse schifo, quanto il suo comportamento lo
rendesse inviso a tutti.
Aveva
provato un malsano divertimento nel torturarla, mettendo alla prova
questo “Amore” di cui si riempiva la bocca. Le
aveva offerto una
possibilità, ma lei non se l'era giocata al meglio. Il suo
tentennamento le era stato fatale, perché Sakura rimaneva
fondamentalmente una persona buona.
E
lui odiava le persone buone. Lo facevano sentire così...
inappropriato.
Erano
tutti laureati nella stessa università del bene. Tutti
sapevano cosa stava passando, cosa provava, erano pronti ad
abbracciarlo, donargli affetto, aiutarlo a uscire da quel baratro in
cui era caduto.
Ma
lui non era caduto per caso. Ci si era lanciato di sua spontanea
volontà e dopo i primi, flebili, rimorsi di coscienza, aveva
trovato quel luogo estremamente confortevole.
Era
se stesso. Oscuro, vendicativo, folle.
Non
doveva più mostrare timore reverenziale verso nessuno,
neanche
al suo maestro che per l'occasione e per fargli capire l'antifona,
aveva chiamato semplicemente con il suo nome:
“Kakashi”.
Avrebbe
colpito Sakura alle spalle? Oh sì, lo avrebbe fatto.
Dopotutto
in amore e in guerra tutto era lecito e colpire con un chidori alla
schiena la tua ex compagna di Team sarebbe stato niente a confronto
delle stragi che aveva intenzione di compiere.
Era
un nukenin e per quelli della sua razza non valevano le stesse regole
degli altri. Un colpo alle spalle sarebbe stato più che
lecito... da manuale.
La
vittima colta alla sprovvista, non avrebbe avuto via di scampo.
Breve, pulito e indolore.
Kakashi
non poteva credere ai suoi occhi: il suo pupillo, il ragazzo a cui
aveva insegnato la sua tecnica segreta, stava per utilizzarla contro
una sua compagna.
Come
se lui non avesse avuto scheletri nell'armadio.
Trovandosi
nella medesima situazione, non aveva fatto lo stesso? Non si era
sporcato le mani del sangue della sua compagna di Team? Ok, le
situazioni erano diverse, ma il reato, in fondo, era pur sempre lo
stesso. Kakashi l'aveva uccisa per il bene comune, lui per l'unico
bene che adesso contava sul serio... il suo.
Quegli
occhi colmi di lacrime e incertezze, lo avevano fatto davvero
incazzare.
Cosa
aveva intenzione di ottenere? Voleva redimerlo forse? Non ci sarebbe
riuscito neanche suo fratello in quel momento, figuriamoci lei con i
suoi noiosi sogni romantici.
Non
c'era nulla di romantico nella vita. Era una guerra totale, tutti
contro tutti, in cui gli unici legami utili sono le alleanze che
consentono di ottenere la vittoria.
"Homo
homini lupus"
Quella
era la verità. Non si era mai avvicinato a un altro essere
umano solo per amore naturale. Aveva seguito Orochimaru per il
potere; si era adeguato alla presenza dei suoi compagni del Team 7
per diventare chunin e con il team Taka, la storia si era ripetuta.
Aveva stretto quei legami per necessità, non per volere.
Ogni
essere rappresentava un potenziale pericolo, un attentato alla pace,
perché l'indole umana è fondamentalmente egoista.
Si
persegue uno scopo, nobile o turpe che sia e in virtù di
questo si utilizzano gli altri come mezzi.
Era
quindi plausibile lo sdegno che potesse provare per quel sistema che
aveva mietuto solo vittime, mantenendo i carnefici sempre sopra un
piedistallo.
Lui
avrebbe rivoluzionato tutto, facendoli diventare vittime, esempi
plateali di quella corruzione che lui voleva abolire. Nessuna
gerarchia, nessuna tavola di leggi da seguire, un'unica regola,
quella dettata da lui.
Chi
meglio di lui avrebbe potuto giudicare e punire?
Aveva
provato il dolore della perdita, dell'abbandono, ormai sapeva
discernere il bene dal male perché era stato entrambe le
cose.
Se
solo Naruto lo avesse lasciato fare.
Un
incontrollabile moto di rabbia gli fece stringere il lembo delle
lenzuola con l'unica mano che aveva a disposizione.
Per
quanto avesse tentato di fuggirli, i legami lo avevano sempre
rincorso e... trovato.
Il
desiderio di voler affermare non solo a parole, ma anche a fatti, al
suo primo e unico amico, che il suo progetto fosse realmente
attuabile e si basasse su convinzioni concrete, lo aveva spinto a
volerlo affrontare.
Era
sicuro di vincere, certo che lo avrebbe ucciso - il suo cuore avrebbe
sopportato anche quel peso.
Ma,
man mano che la battaglia procedeva, la voglia di tranciare quel
rapporto, aveva iniziato a scemare sempre di più. La superbia
aveva lasciato il posto all'umiltà di colui che
si
rende improvvisamente conto di non essere in grado di fare niente da
solo, di aver bisogno degli altri, come tutto il resto
dell'umanità.
Come
aveva potuto credere di essere speciale?
Naruto
aveva risvegliato in lui il bisogno di sentirsi parte di qualcosa.
L'aveva
sempre compreso più di tutti gli altri idioti del Villaggio,
perché come lui aveva provato l'ottenebrante stretta della
solitudine, del rifiuto. Erano dei reietti ma, mentre l'Usurantonkachi
aveva
trovato un modo per farsi accettare e amare, lui era sempre stato
solo in grado di farsi odiare.
Provava
invidia. Un sentimento che non era riuscito subito a identificare,
troppo convinto di se stesso per accettare una qualsivoglia
inferiorità rispetto a un altro essere.
Lui,
la bestia, il demone, era amato e rispettato, quasi venerato. Non
c'era ninja su quel campo di battaglia che non avrebbe dato la vita
per lui. Era diventato incredibilmente potente non solo nelle arti
ninja, ma anche per l'opinione pubblica. La forza della sua luce era
talmente abbagliante da metterlo in ombra. Eppure anche lui stava
combattendo, stava salvando il mondo ninja; anche lui aveva dei
poteri incredibili che la maggior parte di quei poveracci non si
sarebbe mai sognata di avere.
Ma
tutti guardavano Naruto, sostenevano Naruto.
Non
era il protagonista, era una semplice spalla. Il sogno di diventare
Hokage, con lui sulla sua strada, rischiava di naufragare.
Non
aveva avuto altra scelta. Sapeva che lui non sarebbe mai stato
d'accordo con il suo piano e francamente non aveva minimamente messo
in conto di dargli un ruolo qualora lo avesse voluto, se non del
primo martire della sua “nuova era”. Lui sarebbe
stato il suo
primo sacrificio, poi avrebbe pensato agli altri, sciogliendo lo
Tsukuyomi Infinito e spiegando come sarebbero andate le cose da quel
momento in poi.
Un
leader, dal pugno di ferro e il cuore granitico.
Non
avendo più altri legami, non avrebbe avuto alcun tipo di
preferenza: davanti ai suoi occhi sarebbero stati tutti uguali e lui
li avrebbe giudicati equamente, avendo eliminato anche l'ultima
debolezza, relegata nella spoglie fredde del suo unico vero amico.
Invece
aveva sorriso e pianto quando il suo cuore aveva ricominciato a
battere in un modo che non credeva fosse più possibile.
Aveva
rivisitato con la mente tutti i ricordi, belli e brutti, riuscendo a
trovare in essi un unico filo conduttore che era alla base di tutta
la sua triste storia: aveva sempre avuto bisogno di amore.
Fermamente
convinto che la vita fosse fatta solo di sofferenza e odio, aveva
sottovalutato la possibilità che esistesse ancora del buono
in
lui e negli altri.
Naruto
era riuscito a fargli capire che c'era ancora una speranza e non
perché oramai non erano più in grado di
combattere e
dimostrare la loro superiorità. Lui aveva già
perso
ancor prima di iniziare e forse era stata proprio quella
consapevolezza a fargli ricercare lo scontro.
Voleva
essere salvato.
Inconsciamente
desiderava trovare anche lui quella speranza, avere qualcuno con cui
condividere il proprio male di vivere, che portasse una parte del
peso che soffocava il suo cuore e scoprire che Naruto lo avesse
sempre fatto non fu poi una grande novità.
Era
stato volutamente cieco. Si era cullato sul suo essere diverso,
pensando di non essere accettato, quando l'unico a non accettarsi era
lui.
“Buongiorno
Sasuke-kun”
La
materializzazione del suo senso di colpa entrò nella tenda.
La
guardò avvicinarsi al suo letto e desiderò
ardentemente
di riuscire a non pensare a quelle pulsioni che lo tenevano sveglio
la notte e che tentava di combattere con quel poco di buon senso che
quella faccenda dei legami ritrovati non gli aveva annebbiato.
Desiderava
toccare con mano quell'amore incondizionato che lei gli aveva sempre
riservato, tastare la morbidezza di quella promessa di
felicità
fatta in quella notte di luna piena, suggere dalle sue labbra quelle
parole ripetute tra le lacrime poco prima di venire trafitta al
petto.
Il
bisogno di cedere alla lussuria, di perdere se stesso in estenuanti e
dolci torture che avrebbe voluto infliggerle, era diventato
un'ossessione che lo stava consumando; prosciugava le sue forze e lo
rendeva più inerme di quanto già non lo fosse.
Si
rinchiudeva nel suo piccolo mondo silenzioso, celava il suo vizioso
sguardo dietro quella maschera di impassibilità che era
solito
indossare, attendendo quel breve momento in cui una medicazione o un
semplice controllo di routine la costringesse ad avvicinarsi a lui.
Nell'oblio
onirico in cui sovente cadeva, le sue labbra avevano la
saporosità
delle fragole, le prime, quelle di aprile, che allappano appena prima
di donare la dolcezza del loro cuore. Si svegliava con quell'idea di
sapore e la cercava con la lingua sul palato, sperando che fosse
reale. La salivazione aumentava tanto da costringerlo a deglutire
più
volte. Ma non vi era mai nulla di dolce in quel liquido vischioso;
era scialbo, a tratti amaro, proprio come il suo essere.
Aveva
offuscato i suoi sensi, abituando il gusto al sapore della vendetta,
l'olfatto all'odore del sangue, la vista a non scorgere altro colore
che il rosso dello sharingan, il tatto a riconoscere solo
l'impugnatura della catana e l'udito ad ascoltare le urla degli
avversari caduti per sua mano.
Desiderava
cancellare quella sciocca imposizione dovuta a anni di solitudine e
dolore in cui l'unica ragione di vita era stata la vendetta.
Voleva
vedere il mondo con occhi nuovi.
Voleva
sentire la morbida pelle di una donna tremare sotto il palmo
della sua mano.
Voleva
udire risate di bambini felici.
Voleva
riempirsi i polmoni del profumo degli alberi di ciliegio durante
l'Hanami.
Voleva
assaporare una fragola e soddisfare la sua gola.
Quei
desideri inespressi sarebbero stati forse il motore della sua
rinascita, l'inizio dell'espiazione delle sue colpe e dei suoi
peccati.
Chiedere
scusa, pronunciare un contrito “mi dispiace”, non
sempre basta
per ottenere un perdono incondizionato.
E
questo lui lo sapeva bene.
Quando
l'urgenza di rendere giustizia a suo fratello aveva assunto
connotazioni ossessive, non si sarebbe fermato davanti alle scuse di
nessuno - anche perché nessuno si era preso il disturbo di
fargliele.
Il
suo ego non era particolarmente incline al perdono e quotidianamente
si stupiva di come invece fosse una cosa naturale per tutti gli
altri. Era stato riaccolto a Konoha, non senza riserve, ma nessuno
sembrava portargli rancore... nemmeno lei.
Lei,
che con i suoi gesti imbarazzati, tentava di farlo sentire a suo
agio; che si prendeva cura di lui, gli raccontava le sue giornate, di
quello che aveva fatto in quegli anni in cui lui era mancato.
Era
ancora legata a quel passato che avevano condiviso per così
poco, stando ben attenta dal proferire parole come
“futuro” o
“domani”.
Sarebbe
stato troppo facile se lei avesse dimenticato e rimosso tutto quello
che lui aveva significato in quegli anni; se quella sofferenza che le
leggeva negli occhi, ogni qual volta si posavano su di lui, potesse
svanire come una bolla di sapone.
Aveva
peccato di superbia, pensando che lei gli fosse inferiore, che amasse
umiliarsi, quando in realtà chi faceva davvero pena era solo
lui.
L'avarizia
lo aveva spinto a tenere per sé quel poco di
umanità
che gli era rimasta, quando avrebbe potuto donarla a lei - e lei non
l'avrebbe sprecata.
Aveva
provato invidia nello scoprire che il rapporto tra lei e Naruto con
il tempo si fosse cementato, fosse cresciuto - la loro vita era
andata avanti anche senza di lui.
Le
aveva puntato un kunai alla gola spinto da quella furia cieca di chi
è cosciente di percorrere una strada sbagliata - ma
è
troppo orgoglioso per ammetterlo.
E
l'accidia, che fino a quel momento lo aveva esonerato dal compiere
gli unici due peccati di cui non si era ancora macchiato, stava
combattendo con il suo bisogno di sentire.
Alzò
lo sguardo, a fatica, temendo di riuscire a provare qualcosa.
Lei
ciarlava come sempre del più e del meno, ma riuscì
ad ascoltarla.
Udì la sua
voce cristallina, un po' agitata. Era sempre agitata al suo cospetto.
Gli
stava raccontando che Naruto si era finalmente dichiarato a Hinata e
la scena era stata così ridicola, ma allo stesso tempo
dolce,
che non sapeva se ridere o piangere.
Ebbe
come l'impressione di udirla
quella risata. Limpida come quella di quando era bambina.
Mentre
parlava, armeggiava con delle fasce e vari medicamenti posati su un
vassoio d'acciaio, senza sapere bene cosa fare.
Guardò
le sue mani, piccole e affusolate, ma capaci di abbattere una
montagna intera senza scalfirsi. Proseguì titubante lungo il
polso gracile, l'avambraccio e infine le spalle. Si soffermò
appena sulle labbra per poi incontrare i suoi occhi carichi di
imbarazzo, attesa, sofferenza e di quell'affetto incondizionato che
sapeva di non meritare. Ma li vide...
prima che lei li nascondesse dietro un ciuffo di capelli fatto
scivolare volutamente davanti al viso.
I
suoi sensi ad uno ad uno, si stavano risvegliando dal torpore,
facendo nascere in lui una sorta di frenesia che lo aveva spinto ad
allungare una mano per afferrarle il polso e costringerla ad
avvicinarsi ancora un po'.
Il
suo sguardo tradiva la sorpresa e la paura per quel gesto
inaspettato, così come il suo corpo che aveva iniziato a
tremare.
Quale
battaglia interiore stava combattendo per difendersi da lui?
Seguì
lo stesso percorso che poco prima aveva visitato con lo sguardo,
saggiando la morbidezza della sua pelle rosea con i polpastrelli.
Arrivato a stento al collo, data l'impossibilità di fare
leva
con l'altro braccio, l'aveva arpionato, costringendola ad abbassarsi
verso di lui. E lei, come un automa, aveva ubbidito. I suoi occhi ora
erano ermeticamente chiusi: sigilli per quelle lacrime che si
addossavano alla palpebra inferiore, cercando un varco. Una,
più
perseverante delle altre, era riuscita nell'intento e aveva iniziato
il suo solitario viaggio lungo la guancia.
L'aveva
raccolta con le labbra. Era salata.
La
vide stringere ancora di più gli occhi e corrugare la
fronte.
Aveva paura di lui, paura di quello che stava facendo,
perché
lei sentiva da sempre
e conosceva quali conseguenze devastanti potessero scaturirne.
“Non
voglio farti del male” le aveva sussurrato, recuperando anche
il
dono della parola che in quei giorni aveva perduto.
Con
timore aveva socchiuso leggermente le iridi, assumendo una posa
dolce, come era nella sua natura.
Aveva
preso ad accarezzarle il viso con il pollice, in una scena che aveva
dell'ironico, in quanto per una volta era lui che tentava di
rassicurare lei, mentre si metteva seduta sulla branda, martoriandosi
le mani.
Aveva
aspettato, atteso un suo cenno e per uno come lui che aveva fatto
dell'impazienza uno stile di vita, erano stati attimi della durata di
un'eternità, in cui il timore di fare qualcosa di sbagliato
gli attanagliava lo stomaco e gli toglieva quella padronanza di
spirito che non aveva mai creduto di poter perdere.
Ma
l'amore perdona tutto ciò che fa
e quello che lui stava per compiere era un gesto di amore; di quel
perduto, ormai sconosciuto sentimento, che aveva sempre bramato. Lo
stava elemosinando come un mendicante e come il diavolo che era, non
desiderava più solo perdersi nella lussuria o soddisfare la
sua gola, voleva la sua anima.
Aveva
bisogno di toccarla, di vedere la sua luce e farsi avvolgere dal suo
calore per trovare di nuovo una collocazione in quel pazzo mondo.
In
virtù di quell'amore lui e Naruto si erano scontrati; era
stato sempre quell'amore a far accettare ai suoi genitori di venire
uccisi dal loro figlio e non era stato forse l'amore a spingere
Itachi a farsi odiare?
Ma
ognuno di loro, ogni personaggio di quella triste storia che era
stata la sua vita, aveva trovato sempre in quel sentimento, il
perdono.
Perché
nella vita è lecito compiere delle scelte sbagliate, anzi
è
necessario sbagliare, soprattutto per amore, ma si deve fare tesoro
dei propri errori e cercare il perdono delle persone davvero
importanti che, amandoti, te lo concederanno.
Da
quel momento avrebbe vestito abiti diversi, cercando di non ricadere
nel peccato. Il suo nuovo obbiettivo sarebbe stato: conoscere la
virtù, in ogni sua forma. E la donna che adesso aveva
incatenato i suoi occhi in uno sguardo strabordante di comprensione,
sarebbe stata il suo punto di partenza e di arrivo.
La
sua espiazione sarebbe iniziata e finita con lei.
Le
stava promettendo amore... incondizionato, puro, eterno. Sperava che
lei non lo rifiutasse e che lo perdonasse per quello che da
lì
a poco avrebbe fatto.
La
baciò.
Finalmente
riuscì ad assaporare il gusto delle fragole.
-*-
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