Autore: Alexiel Mihawk
| alexiel_hamona
(LJ)
Titolo:
Caffé nero e semi di melograno
Fandom: Mitologia Greca
Personaggi: Ade, Thanatos,
Persefone, Demetra
Genere: generale,
commedia, sentimentale
Rating: verde, sfw
Avvertimento:
one shot, implied!Incest, modern!AU, coffeshop!AU
Parole: 2246
Prompt: Mitologia,
Ade/Persefone, coffe
shop AU
Note: Prompt di kuma_cla,
nato da un’iniziativa
su LJ che si chiama FanFiction
Meme. Funziona così, io dò una lista
di fandom e
il mondo mi lascia dei prompt su quei fandom/quelle ship, in modo che
io possa
poi scriverci. Trovate la mia lista qui
sul mio Livejournal, se volete passare
e lasciare dei prompt sentitevi liberi di farlo
Per
le note tecniche: Euboleo, "il benevolente"; Trofonio, "colui
che rende più fertile la terra"; Aidoneo, "quello che non si
vede": sono tutti epiteti di Ade. Chloe, "Il verde germoglio"
è
un epiteto di Demetra che si ritrova in Pausania. In realtà
è anche un po’
What!If, perché mi immagino un universo in cui Demetra non
ha mai mostrato sua
figlia a nessuno e se l’è sempre scarrozzata
dietro; Ade non l’ha mai
incontrata nell’era del mito e sicuramente non
l’hai mai rapita (per ora). Parte 1 di 3.
Caffé
nero e semi di melograno
Capitolo
Primo: In cui non ci si dovrebbe fidare delle apparenze.
Chiude
con uno scatto irritato il McBook e si mette a fissare la sua tazza di
caffè
nero piena fino all’orlo: ha bisogno di una vacanza.
E
magari di riprendere a concentrarsi come dovrebbe sul lavoro,
perché
ultimamente non ci sta proprio riuscendo, certo forse aiuterebbe
lavorare in
ufficio e non al bar, ma di recente non riesce a stare lontano da quel
posto: i
tavoli in legno, il profumo di torta appena sfornata, il leggero
chiacchiericcio dei mortali e, soprattutto, lei.
Lei
che passa tra i tavoli scivolando con eleganza e che ha sempre un
sorriso per
tutti, anche per lui, nonostante la sua aria seria e le sopracciglia
perennemente corrucciate.
Ade
si passa una mano sugli occhi e si porta alla bocca la tazza fumante,
sono due
mesi che viene lì ogni giorno alla stessa ora e ci resta
quanto? Tutto il
pomeriggio? Non lo sa bene nemmeno lui, sa solo che nelle ultime due
settimane
Thanatos è dovuto venire a prenderlo quattro volte per
faccende di particolare
urgenza e la cosa l’ha urtato parecchio, perché
quando il ragazzo è entrato
tutto il bar si è girato ad ammirarlo.
Certo,
perché Thanatos non è come lui, Thanatos se ne va
in giro in giacca di pelle e
occhiali da sole e la sua carnagione olivastra assume toni color
nocciola al
minimo contatto con i raggi del sole, Thanatos tiene i capelli lunghi,
dello stesso
colore dei suoi ma infinitamente più fluenti, legati in una
coda bassa e non si
fa problemi a non farsi la barba perché tanto il suo volto
è così simmetrico e
così perfetto che nessuno ci fa caso. Ade forse è
un po’ geloso perché lui è
sempre così pallido, sempre in giacca cravatta,
perfettamente sbarbato, e i
suoi capelli sono neri come la pece e tagliati ordinati e forse,
sì, gli
piacerebbe essere più disinvolto e meno noioso, ma in fondo
il suo lavoro
richiede una certa serietà, non a caso anche suo fratello
è come lui. Zeus
ovviamente, perché Poseidone, beh lui è tutto
festini sulla spiaggia e ukulele.
«Oggi
il tuo amico non c’è?» gli domanda una
voce gentile scatenando in lui il
peggior travaso di bile degli ultimi tre giorni.
«No.
Oggi non viene».
Spera
di non essere stato troppo piccato nella risposta, perché
non ci sarebbe niente
di peggio che vederla andare via e seguire con lo sguardo la scia dei
suoi
capelli aranciati che spariscono dietro il bancone.
«Meno
male!» esclama invece la ragazza, lasciandosi cadere sul
divanetto di fronte a
lui e lanciando un’occhiata veloce al locale semivuoto.
Ade
la guarda e solleva un sopracciglio, consapevole di essersi perso un
passaggio.
«Scusa?»
«Sì,
nel senso, è sempre un po’ inquietante. E poi chi
è che tiene gli occhiali da
sole al coperto, andiamo! Solo due categorie di persone lo fanno, i
ciechi e
gli idioti. Oddio! Non è cieco, vero?»
Ade
scoppia a ridere e nonostante la sua aria austera la sua bocca si piega
in un
sorriso sincero e i suoi occhi brillano di stupore e ilarità.
«No,
no, non è cieco» dice tra i singulti
«C’è qualcosa che posso fare per
te…?»
«Persefone,
no, in realtà mi stavo solo annoiando e avevo voglia di
chiacchierare e tu sei
sempre qui, quindi mi è sembrato normale farmi un
po’ di fatti tuoi mentre sono
in pausa. Aspetta, stavi lavorando?»
Ade
ride di nuovo, perdendosi a osservare le lentiggini sparse su tutto il
suo
volto e i suoi occhi verdi, che brillano di curiosità e
preoccupazione.
«No,
ho finito» anche se, ovviamente, non è vero e
quando tornerà in ufficio avrà il
doppio di cose da fare «Posso offrirti qualcosa?»
La
giovane ride e gli fa cenno di aspettare, armeggia velocemente dietro
il
bancone e fa ritorno con due fette di torta di mele e cannella e gli
sorride.
«E
dimmi» gli domanda sedendosi nuovamente di fronte a lui
«Cosa fai nella vita,
ché ti vedo sempre in giro e sono curiosa. Aspetta, come hai
detto che ti
chiami?»
«Non
l’ho detto, mi chiamo –» e si blocca un
secondo, perché non può presentarsi
dicendo Ciao sono Ade e sono il dio degli
Inferi, tanto piacere «Mi chiamo
Aidoneo».
«E
che cosa fai nella vita?»
Ma, sai,
gestisco il
regno dei morti, rispondo alle preghiere dei mortali, ogni tanto
organizzo un
terremoto in giro e mando Thanatos a raccogliere le anime dei defunti.
«Oh,
niente di che, le solite cose noiose: bilanci, più che
altro».
«Lavori
in una compagnia che si occupa di bilancio? Non l’avrei mai
detto».
«Sì,
beh, non è esattamente così. Diciamo che sono a
capo di una grossa azienda che
gestisce vasti gruppi di persone. Tu piuttosto, lavori qui? Studi?
Insomma
quanti anni potrai avere, diciannove, venti?»
E non te lo sto
chiedendo perché mi sento un pedofilo a venire qui tutti i
giorni a guardare
una mortale che probabilmente non ha nemmeno un quarto di secolo.
Persefone
si morde un labbro e nicchia.
«Qualcosa
del genere, sì» e Ade per un terribile secondo
pensa che stia per dirgli che è
minorenne, e a quel punto chi lo sentirebbe più Thanatos?
«Ma non studio, per
lo più giro, seguo mia madre, visito posti nuovi: si
può dire che inseguiamo l’estate».
Questo
spiega perché non si fosse mai accorto di lei prima.
Persefone
rimane a chiacchierare con lui per un quarto d’ora prima di
riprendere a
lavorare, quando Ade torna al suo carro – che in
realtà assomiglia più a una volvo
– sente che quei quindici minuti sono valsi due mesi di
pomeriggi passati a
guardarla da lontano.
Decide
che tornerà anche domani.
Trascorre
una settimana e Ade cambia tavolo, passa da quello vicino alla
finestra, molto
più illuminato e perfetto per lavorare, a quello vicino alla
cassa, da cui
riesce a parlare con Persefone quando è ferma dietro al
bancone. Si diverte a
commentare con lei la clientela, e scopre che gli piace rimanere ad
ascoltarla
parlare mentre redige noiosissimi atti relativi agli ultimi decessi, a
guardarla con la coda degli occhi mentre prepara le ordinazioni; quando
Thanatos viene a portargli un plico di fogli da firmare
(perché oramai ci ha
rinunciato a farlo uscire da lì) Persefone scrolla
leggermente le spalle e si
allontana.
«Dovevi
proprio venire?» borbotta seccato il dio dei morti.
«Senti,
capo, se tu cazzeggi non è colpa mia!»
«Sì,
ma non le piaci, l’hai fatta scappare!»
Il
dio della morte assume un’espressione oltraggiata e abbassa
di poco gli
occhiali, quel tanto che basta perché il compare riesca ad
intravedere i suoi
occhi color rubino.
«Questo
è impossibile. Io piaccio a tutti, sono bello come Eros e
molto più letale di
lui».
«Come
ti pare» borbotta Ade firmando i fogli senza nemmeno leggerli.
Il
più giovane sbuffa e da dietro le lenti scure si mette a
fissare Persefone,
aggrotta le sopracciglia perplesso, perché
c’è qualcosa di strano in quella
ragazza, e, per quanto si sforzi di fare del suo meglio per vederla,
nemmeno
lui riesce a trovare il filo della vita della ragazza.
«Capo»
sussurra lentamente «Sei sicuro che sia umana?»
Ade
si blocca e di scatto gira la testa per guardarla, arrossisce vagamente
quando
lei, accorgendosi del suo sguardo, gli sorride.
«Sei
appena arrossito?»
«Oh,
per l’amore di Gea! Sparisci, Thanatos!»
È
sempre più sicuro di volersi prendere una vacanza.
Quando
sua sorella arriva Ade frequenta il bar da oramai tre mesi e mezzo ed
è
diventato un vero habitué, conosciuto sia dal proprietario
che dagli altri
clienti, che, però, mantengono una rispettosa distanza
intimiditi dal suo
portamento regale e dalla sua aria seria. L’unica che non ha
soggezione di lui
è Persefone e Ade sente di volerle un po’ bene per
questo.
Demetra
entra nel locale come una furia e va a sedersi al suo tavolo, i suoi
occhi
mandano lampi; Ade non fa un plissé, non spegne il computer,
ma continua a
lavorare imperterrito.
«E
buongiorno anche a te, sorella. Sono anni che non ti fai vedere, come
stai? Io
bene, grazie per averlo chiesto» non potrebbe essere
più sarcastico di così.
«Falla
finita, Ade. Che ci fai qui?» domanda la donna con voce
minacciosa, ma bassa,
in modo tale che solo lui possa udirla.
«Lavoro,
o almeno ci stavo provando» sospira il dio
dell’oltretomba rassegnato. Chiude il
portatile e alza lo sguardo, mentre un cameriere dall’aria
allampanata, uno di
quelli che di solito lo evitano, si avvicina al tavolo sorridendo.
«Ciao
Chloe, che ti porto?»
«Un
caffè d’orzo, grazie».
«Chloe?»
domanda l’uomo osservando il cameriere allontanarsi
«Vorrei avere io qualcuno
dei tuoi soprannomi, hai mai provato a presentarti come Euboleo, o
Trofonio? Immagino
di no».
La
donna si passa una mano tra i capelli rossi, la carnagione dorata
brilla a
contatto col sole che penetra dalle finestre, anche se Ade immagina che
per i
mortali sia solo uno strano gioco di luci.
«Seriamente,
cosa ci fai qui? Come hai fatto a trovarla?»
«A
trovare chi?» domanda seriamente perplesso
«Demetra, la pianti di parlare per
enigmi? Vengo qui perché mi rilassa stare con i
mortali».
«Per
l’amore di Urano! Tu odi i mortali!» esclama la dea
con un tono un po’ troppo
alto, perché dal retro del locale qualcuno la sente e
riconosce il timbro di
voce.
«Mamma?»
«Oh,
Kore! Scusa, cara, sono impegnata con il signore, arrivo
subito» risponde
Demetra, agitando la mano in direzione della figlia.
Ade
sbianca, o meglio ci prova, anche se diventare più pallido
di quanto già sia è
più che un’impresa.
«Kore?
Non ti chiamavi Persefone?»
La
ragazza si avvicina e arrossisce, vistosamente imbarazzata.
«Oh,
per Crono! Ancora con quel soprannome? Te l’ho detto mille
volte che non è
consono a te».
«Non
credo che ad Aidoneo interessi, madre».
«Demetra,
ho mal di testa» si lamenta il pover’uomo senza
capirci più nulla e la ragazza
nell’udire sua madre venire chiamata col suo vero nome
ammutolisce «Mi spieghi
cosa vuoi? Tu non vieni mai a trovarmi a meno che tu non voglia
qualcosa, come
l’ultima volta quando –».
Poi
si interrompe e si gira molto lentamente verso Persefone, quindi sposta
nuovamente il suo sguardo su sua sorella.
«Kore,
come tua figlia Kore. Kore, come “Ehi
ciao, mi sono fatto Demetra e ora è incinta”»
testuali parole di Zeus
millenni prima «Kore, come la dea che hai deciso di segregare
chissà dove e che
nessuno di noi ha mai visto perché avevi paura che nostro
fratello ci mettesse
le mani sopra?».
Persefone
si lascia cadere su una sedia e li guarda con gli occhi spalancati.
«Avresti
potuto essere più fine, e comunque sì. Mia figlia
Kore, e ora mi dici cosa ci
fai qui, Ade?»
«Te
l’ho detto, mi rilassa stare coi mortali, e tua figlia fa un
ottimo caffè»
borbotta l’uomo abbassando lo sguardo e sentendosi vagamente
colpevole, perché
sì, dopo tutto critica tanto Zeus, ma non è che
sia poi così diverso da lui.
«Madre?»
«Oh,
certo cara, questo è Ade, tecnicamente è tuo zio,
nonché il dio dei morti, ma
quella è una spiacevole conseguenza della divisione della
terra, in realtà non
è davvero così sgradevole».
L’uomo
alza gli occhi al cielo, non sa se essere più seccato
perché l’intuizione di Thanatos
si è rivelata corretta o per come, ogni volta, sua sorella
debba velatamente
insultare il suo operato e più o meno ogni cosa lo riguardi.
«Me
ne vado» borbotta seccato lasciando cinque dollari sul tavolo
«E stai
tranquilla, non andrò a riferire a Zeus dove hai nascosto
Pers-, Kore».
Si
incammina verso l’uscita e, mentre la sua veste emette un
leggero sbuffo di
fumo nero, che per fortuna i mortali non riescono a percepire, alle sue
orecchie giunge solo ovattato il brusio di una discussione tra madre e
figlia
che sta avvenendo alle sue spalle; raggiunge la macchina e fruga con
irritazione nelle tasche alla ricerca delle chiavi, perché
non possono usare ancora i cavalli? Sobbalza, quando sente
una mano toccargli la schiena e come si gira davanti ai suoi occhi
c’è Persefone,
con lo sguardo triste e le spalle piegate.
«Mi
dispiace» gli sussurra, e Ade sente un nodo alla bocca dello
stomaco e la voce
di quel porco di suo fratello che urla “Ehi!
Non giudico mica, ogni lasciata è persa!”.
Sospira
mentre un sorriso si fa strada sul suo viso, perché come si
può rimanere offesi
di fronte al volto corrucciato di Persefone? Le passa una mano sui
capelli mossi
e le accarezza una guancia.
«Non
preoccuparti» risponde «Non è colpa
tua».
Ma di quella
stronza
di tua madre,
questo però ritiene saggio non dirlo.
Il
sorriso mesto che gli viene rivolto non è abbasta, e il dio
sente che non ce la
può fare a rimanere lì a osservarla; apre la
portiera della macchina e vi si
infila dentro, ma quando abbassa il finestrino per salutarla lei
è sparita. Rimane
perplesso ad guardare il punto sul marciapiede in cui si trovava prima,
domandandosi dove possa essere finita, finché la portiera
dal lato del
passeggero non si spalanca e la ragazza si infila all’interno.
«Parti,
parti, prima che se ne accorga!»
Ade
impallidisce.
«Ma
non posso! È sottrazione di minore!»
«Ma
se ho più di tremila anni!» si lamenta la ragazza
con aria disperata «Ti
prego».
E
l’uomo non riesce a rifiutarsi, sbatte la testa contro il
volante un paio di
volte, ma poi si decide e mette in moto.
«Me
ne pentirò sicuramente» borbotta.
La
macchina parte e sparisce, lasciando dietro di sé solo una
scia di fumo nero.
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