Walking Outside
WALKING OUTSIDE
(Générique)
Sta piovendo.
E io mi sto
bagnando fino al midollo. Mi dovrei maledire. Ho scordato
l’ombrello a casa
sua. Ma non solo quello: ho lasciato lì tutta la mia vita.
Non voglio
tornarci, nemmeno per riprendermi quel fottuto ombrello. Troppi ricordi
riaffiorerebbero. Ricordi che fanno male quanto un pugnale nel cuore.
Preferisco infradiciarmi sotto la pioggia piuttosto che mettere piede
di nuovo
in quel posto.
Un’auto passa a
gran velocità su una pozzanghera, schizzando acqua
dappertutto. Ecco fatto:
adesso sì che sono proprio fradicio! Fanculo tutto!
Mi scuoto
l’acqua dai capelli e riprendo a camminare.
C’è un vecchio sotto una tettoia.
Si sta preparando per suonare la tromba. Mi avvicino, ben consapevole
che non
potrò dargli niente: anche il mio portafoglio è
in quella casa, e io non voglio
andare a riprendermelo. Tutti i passanti ignorano l’uomo, ma
io sono l’unico
fermo sul marciapiede a guardarlo. Lui si accorge di me e mi fa cenno
di
avvicinarmi.
«Ragazzo, cosa
fai sotto questa pioggia? Non vorrai mica buscarti un
raffreddore!» mi chiede
con tono paterno,
«Ho dimenticato
l’ombrello» rispondo io; il mio tono di voce sfiora
l’indifferenza. Ormai non
m’importa più un cazzo di niente.
«Capisco. Beh,
se ti va puoi stare qui con me finché non smette»
«Grazie!».
Armeggia ancora
con la tromba poi mi guarda.
«Vuoi che ti
suoni qualcosa in particolare?»
«Beh, ecco…non
so. Faccia lei. Per me non fa nessuna differenza»
«D’accordo.
Suonerò qualcosa che si addice ad una persona come
te» mi dice sorridendo. E
inizia a suonare.
Il mio cuore fa
un balzo…
Générique!
Senza nemmeno
accorgermene, lacrime sottili cominciano a rigarmi il volto. Era
proprio ciò
che non volevo. Dannazione! Preferirei non provare nulla.
Cazzo, cazzo,
cazzo, cazzo, cazzo, cazzo, cazzo e ancora cazzo!
Il suo ricordo
riaffiora alla mia mente. Le immagini si susseguono come un film in
bianco e
nero: tutti i momenti passati insieme, il suo viso dolce quando si
svegliava,
le sue labbra, la sua pelle vellutata che freme sotto il tocco delle
mie mani,
i suoi occhi blu cobalto, i suoi capelli morbidi, la sua
risata…
Il mio cuore
s’infrange in mille pezzi. Sento ancora lo stridio dei freni
sull’asfalto e il
suo grido lacerante: quell’incidente! Quel fottutissimo
incidente! Se non fosse
morto anche lui, avrei già ammazzato io quel figlio di
puttana che guidava
ubriaco. Spero con tutto me stesso che ora stia arrostendo a fuoco
lento
all’inferno. Lo spero davvero!
Générique!
Proprio la sua
canzone preferita. Colonna sonora di tutti i nostri momenti insieme.
Facevamo
l’amore ascoltandola su quel giradischi mezzo rotto, sotto
quella coperta di
lana ispida, in un appartamento che ci crollava addosso. E mentre lei
dormiva
io scrivevo su un vecchio tavolo traballante, sotto una luce fioca, per
evitare
di svegliarla.
Ma adesso è
finito tutto…
Vorrei tornare
indietro nel tempo, ma so che non posso. Sono rimasto
solo…solo con générique.
Solo con quell’appartamento in rovina. Solo con quel fottuto
tavolo fracassato.
Solo con quelle coperte fastidiose. Solo con quel vecchio giradischi.
Il vecchio
finisce di suonare e mi osserva. Un minuto? Due? Non lo so. Mi mette
una mano
sulla spalla, come se comprenda quanto dolore sto provando in questo
momento.
Non proferisce alcuna parola. Io lo guardo e sorrido. Per
l’ultima volta.
Perché oramai ho deciso. Fanculo a tutto e a tutti!
Mi asciugo gli
occhi. Riprendo a camminare. Verso quella casa. È
lì che tutto è cominciato. Ed
è lì che tutto finirà.
Mentre cammino
fischietto générique.
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