Questi personaggi non mi appartengono, ma sono
proprietà di sir A.C.Doyle, Moffatt Gatiss BBC ecc.; questa
storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro per il
mio puro divertimento
Angolo autrice:
Vorrei fare una premessa, non sono una psicologa e non ho studiato
psicologia ma ne sono appassionata a livello "amatoriale" ,
per cui prendete tutto come finzione e senza pretese.
La storia si svolge dopo la 3x03 per cui, se non l'avete ancora vista,
fermatevi prima che sia troppo tardi :-P!
Cap.
1 - Terapia
- Sociopatico iperattivo, Mycroft! - affermò pigramente
Sherlock, distendendosi sul divano, ignorando la presenza ingombrante del fratello
ancora in piedi nella stanza.
- Smettila, non sei così! - ribatté Mycroft, non
potendo fare a meno di alzare gli occhi al cielo. Era l'ennesima
discussione degli ultimi tempi, sembrava che ormai non
facessero altro.
Sherlock continuò a non guardarlo ed anzi si
allungò fino al tavolino per prendere il suo portatile e
continuare l'articolo che avrebbe pubblicato sul suo sito non appena il
fratello l'avesse lasciato in pace.
- Sherlock - cantilenò Mycroft.
- Ho ucciso un uomo, sociopatico si adatta eccome -
- Lo hai ucciso per John Watson, non per sociopatia - quasi
gridò Mycroft. Sherlock si voltò a guardarlo, il
volto del fratello ancora più stanco e pallido del solito
che lo fissava preoccupato.
- Ho parlato con uno psicologo, come ti ho detto non sei un
sociopatico, quasi sicuramente il tuo è un disturbo
schizoide con una punta di paranoide e vorrei che ne parlassi con
questo dottore - continuò Mycroft.
Sherlock non poteva credere che il fratello continuasse ad annoiarlo
con proposte di quel tipo. Il mese prima voleva mandarlo in
riabilitazione, il mese prima ancora gli aveva consigliato di andare a
vivere lontano da Londra, magari cambiare addirittura Stato per
ricominciare da zero, come se in un altro luogo avrebbe smesso di
pensare agli ultimi quattro anni della sua vita.
- Sai benissimo che non lo farò, perché sprechi
fiato? - si ritrovò a rispondere senza neanche rendersene
conto.
- Se non sei in prigione o in una missione suicida nell'Europa dell'est
è solo grazie a me - precisò Mycroft.
- Pensavo al provvidenziale ritorno di Moriarty -
- Un caso chiuso ormai e la spada di Damocle dell'esilio pende ancora
sulla tua testa. -
- Mi stai minacciando Mycroft? Adesso, ogni cosa che mi ordinerai,
dovrò farla perché altrimenti mi spedirai in
esilio? Non ho intenzione di vivere così -
Mycroft prese a camminare per la stanza, il soggiorno era un caos
totale, la cucina era completamente inguardabile. Quel posto non era
mai sembrata una discarica come in quel momento, sembrava che Sherlock
nemmeno ci vivesse. Guardandosi attorno non potè non notare
che la poltrona di John era nuovamente sparita. Si chiese se l'avesse
semplicemente spostata nella vecchia camera del dottor Watson o se
l'avesse donata ai poveri o gettata direttamente in strada.
- D'accordo, facciamo un patto, vai a dieci sedute e poi non ti
chiederò più niente sotto minaccia -
Sherlock storse il naso e si mise seduto ad ascoltare il fratello.
Mycroft capì che doveva giocare sporco se voleva
convincere il fratello ad andare in terapia. In realtà
nemmeno lui pensava che potesse essere risolutivo ma il silenzio in cui
si era chiuso cominciava a durare da troppo tempo. Non era
più lo Sherlock che viveva solo e si eccitava risolvendo i
casi, era un'altra persona, che soffriva e che era arrivata al punto di
uccidere un uomo a sangue freddo solo per proteggere John. Decisamente
non era più il vecchio Sherlock, il brillante detective che
avrebbe messo Magnussen in un angolo senza bisogno della violenza.
Qualcosa in lui si era rotto e l'unica cosa che gli veniva in mente per
ripararlo era mandarlo da uno psicologo.
- Sherlock, ti è mai venuto il dubbio che se tu non fossi
come sei non avresti allontanato John? Da quanto tempo non vi parlate?
- esclamò freddamente, sapendo di affondare in una ferita
aperta. Sherlock mantenne il controllo, non voleva dare a Mycroft la
soddisfazione di fargli vedere che aveva colpito nel segno.
- Non sono affari tuoi - rispose seccato Sherlock. Era vero, non
sentiva John da quanto lo aveva aiutato a risolvere il caso del ritorno
di Moriarty. John lo aveva cercato all'inizio ma poi Sherlock aveva
smesso di rispondere ai suoi messaggi o aveva inventato scuse patetiche
per non vederlo e alla fine, dopo una discussione, anche John aveva
smesso di farsi vivo.
- Non sei obbligato a vivere così, il muro che hai tirato su
per proteggerti si sta sgretolando e io sono preoccupato. Sinceramente
preferirei tu stessi lontano da John visto come sono andate le cose
ma.. -
- Non ti preoccupare, ha una moglie, ha un figlio, game over - lo
interruppe Sherlock rassegnato.
- Credevo che il gioco non finisse mai - fece Mycroft.
- A volte si perdono dei giocatori - affermò cupamente
Sherlock. Era sempre stato l'unico giocatore finché non era
arrivato John e gli sembrava strano adesso essere solo contro il mondo.
Mycroft lo guardò addolorato, aveva sempre saputo che John
sarebbe stata la salvezza o la rovina definitiva ma di certo non
pensava che suo fratello si sarebbe spinto tanto in là. Si
sentiva stupido ad aver ignorato il legame profondo che univa Sherlock
a John e a non aver pensato come sarebbe precipitata la situazione al ritorno del
fratello dopo la finta morte.
- Potresti comunque avere altri amici - buttò lì
Mycroft.
Sherlock rimase stranito, Mycroft si stava proprio sforzando per dire
quelle cose - Detto da te, fa abbastanza ridere -
- A me non servono amici - rispose.
- Nemmeno a me - "se non
hai amici non puoi essere ferito" pensò tra
sé.
Mycroft sapeva che al fratello non servivano amici al plurale, aveva
bisogno soltanto di uno, ma ormai o andava avanti o trovava un modo per
convivere con la nuova situazione, indietro non poteva tornare.
Finché John abitava a Baker Street si sentiva tranquillo sapendo che il buon dottore teneva d'occhio Sherlock e che
non avrebbe lasciato che passasse il tempo a drogarsi e nemmeno
il fratello sembrava interessato a farlo durante il periodo trascorso con John, ma
giusto qualche giorno dopo il matrimonio aveva ricominciato con
l'eroina, "è per un caso Mycroft" aveva affermato per
giustificarsi e poi non aveva mai più smesso del tutto.
- Non voglio passare a Baker Street un giorno e trovarti in overdose -
affermò tristemente il maggiore degli Holmes.
Sherlock era stufo della presenza bacchettona del fratello che, come
sempre, gli indicava cosa poteva o non poteva fare e soprattutto cosa
dovesse fare, come se Mycroft effettivamente sapesse cosa lo faceva
sentire meglio. Lo stesso Mycroft che lo aveva piantato in asso al
matrimonio di John, l'unica volta che Sherlock lo aveva chiamato per un
supporto, per non essere l'unico alieno al matrimonio del suo migliore
amico; Lo stesso Mycroft che gli aveva detto di non farsi coinvolgere e
subito dopo aveva rincarato la dose ricordandogli di Barbarossa. Su
quali basi credeva di potergli dire come doveva vivere? Sherlock
sentiva un enorme vuoto dentro e la voglia di colpire suo fratello. Non
era fatto in quel momento ma gli avrebbe comunque spezzato un braccio
volentieri.
- Questa conversazioni mi sta annoiando, se ti dico che accetto le
condizioni, te ne vai Mycroft? - rispose per liberarsi di lui.
- Il dottore ti aspetta domani alle 16 -
E se ne andò, pregando che Sherlock per una volta lo
ascoltasse.
***** *****
Il giorno dopo Sherlock si era alzato presto ed era andato direttamente
da Lestrade, sperando avesse un caso per le mani. Anche con l'ispettore
si comportava in maniera distaccata e più fredda del solito
e Lestrade cominciava ad essere preoccupato quanto Mycroft, al punto
che aveva deciso che non gli avrebbe affidato alcun caso
finché non si fosse ripreso da qualunque cosa avesse.
Così, nonostante le richieste sprezzanti ma quasi
supplichevoli di affidargli un caso, anche banale, Sherlock
dovette andarsene a mani vuote. Dopo aver passato altre ore senza nulla
da fare, decise di accontentare Mycroft e recarsi all'appuntamento con
lo psicologo; se non altro il fratello non avrebbe potuto dire che non
ci aveva nemmeno provato.
Si accomodò nella sala d'aspetto. C'erano altre due persone
in attesa con lui, una signora con evidenti disturbi ossessivo
compulsivi e un uomo intorno ai 35 anni dallo sguardo vivace e
l'aspetto curato. Sherlock passò il tempo dell'attesa a
dedurre la "banale" signora, mentre aveva qualche
difficoltà a comprendere l'uomo, quando la segretaria del
dottore lo avvisò che poteva accomodarsi nello studio dello
psicologo.
- Buongiorno sig. Holmes, si accomodi - fece garbatamente l'uomo.
Sherlock lo squadrò da capo a piede prima di sedersi,
capendo subito che aveva divorziato di recente, sull'anulare sinistro
c'era ancora il segno dell'anello, che non aveva figli e che aveva un
gatto.
- So che non ha alcuna fiducia nella terapia - affermò il
dottore in maniera comprensiva.
- Se pensa che mi metterò a parlare della mia vita con lei
quando non ne parlo nemmeno con... - e Sherlock si bloccò,
quale nome voleva dire?
- Non voglio forzarla a fare niente, possiamo anche stare in silenzio
un'ora ma se vuole parlare di qualcosa, qualunque cosa può
farlo. Anche se vuole parlare di qualcuno -
Sul "qualcuno" Sherlock si morse le labbra - Cosa le ha detto mio
fratello? -
- Quanto mi è bastato per capire il quadro clinico -
- Quindi, secondo lei ho un disturbo schizoide -
Il dottore sorrise e prese un libro - Secondo me lei cela ogni emozione
dietro ad una maschera, non è vero che non prova sentimenti
ma ha deciso di ignorarli, probabilmente ha sofferto in passato e non
vuole che la cosa si ripeta. Le leggo una breve introduzione al disturbo
di personalità schizoide, vediamo se le ricorda qualcuno: il soggetto schizoide ha una vita
affettiva ridotta, non manifesta i suoi sentimenti ed ogni emozione
viene catalogata e valutata attraverso il pensiero e la ragione. I
sentimenti sono valutati in maniera cinica, quasi disprezzati eppure lo
schizoide ha un ricco mondo emotivo interno. Preferisce
attività solitarie e dimostra freddezza e distacco
emozionale. Non vuole che gli altri sappiano che soffre, che ama, che
prova rabbia e per questo cela ogni sentimento dietro una maschera di
indifferenza. Non prova vero piacere in quasi nessuna
attività e ha poco o nessun interesse in relazioni ed
esperienze sessuali -.
Lo psicologo fece una pausa, dando il tempo a Sherlock di comprendere
quanto aveva letto. Il detective sembrava stesse davvero riflettendo su
quelle parole, cercando di capire quanto corrispondessero a
realtà.
- Vuole parlarmi del dott. Watson? - disse tutto ad
un tratto il dottore, con lo scopo di provocare una reazione nel suo
paziente.
Sherlock alzò lo sguardo, quasi ferito, ma non disse nulla.
- Ho letto il blog del dott. Watson. So che siete amici, che
è il suo assistente, ma è da un po' che il blog
non viene aggiornato - Continuò il dottore, cercando un modo
per penetrare le difese di Sherlock e farlo parlare e soprattutto
sfogare.
- Non lo aggiorna perché non partecipa più alle
indagini - rispose freddo Sherlock, sperando di chiudere velocemente il
capitolo John, ma lo psicologo non sembrava dello stesso avviso.
- E' perché si è sposato e ha avuto una figlia? -
- Esatto, quella vita non fa più per lui -
- E' successo qualcosa? -
Sherlock
ripensò a una sera di qualche mese prima quando un incazzato
John aveva fatto irruzione a Baker Street perchè Sherlock
aveva risolto un caso difficile e potenzialmente mortale senza
chiamarlo.
- Perché non
mi hai telefonato?! Ho dovuto leggerlo sui giornali che sei quasi
morto, di nuovo - aveva gridato John e per poco non aveva
preso a calci tutti i mobili dell'appartamento.
Sherlock si era sentito come sballottato da quello che sentiva dentro,
da una parte avrebbe voluto che John restasse con lui ma al contempo
non riusciva più a sopportare che le loro vite fossero
cambiate e che John non sarebbe mai più tornato a Baker
Street.
- Eri con Mary e tua
figlia, non volevo disturbare - aveva buttato lì, non
credendoci nemmeno lui.
- Non dire stronzate, tu
che ti preoccupi di disturbare? Da quando? -
- Non mi serviva il tuo
aiuto - aveva risposto calmo Sherlock, cercando di non farsi
coinvolgere dall'espressione ferita di John.
- Perché fai
così? Onestamente comincio a essere stufo del tuo
comportamento! - aveva gridato nuovamente, furioso.
Sherlock aveva annuito
nervosamente, come se si fosse aspettato quello sfogo, come se lo
attendesse da tempo, per potergli indicare la porta e dirgli addio.
- Cosa dice Mary del
fatto che la molli a mezzanotte per correre a casa mia a urlare? -
aveva risposto, sottolineando il "mia" riferito a quello che era stato
il loro appartamento.
- Niente, sa chi ha
sposato - "Già, quello che non lo sapeva eri tu"
aveva pensato Sherlock fra sé.
- John, ci saranno altri
casi, altri maniaci e tu non puoi rischiare di mettere in pericolo la
tua famiglia -
- Della mia famiglia me
ne occupo io -
- Allora sono io che non
ti voglio tra i piedi, ok? - "Fa troppo male" aveva aggiunto, sempre tra
sé.
John aveva stretto i
pugni, cercando di calmarsi - D'accordo Sherlock, come vuoi tu, come
sempre - ed era uscito sbattendo la porta.
- Sig. Holmes? - chiese lo psicologo
- Niente, non è successo niente di rilevante
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