Crossroads
– Il Bivio
In
una città dove la speranza è la prima a morire,
tutto è marcio e
la vita ti ha voltato le spalle
Hai
il coraggio di vivere senza preoccupazioni?
Hai
il coraggio di vivere credendo ancora in qualcosa?
Hai il coraggio
di andare sempre avanti e superare tutti gli ostacoli?
Hai
il coraggio di chiudere gli occhi e sperare in una nuova
realtà?
0.
Instant
Vi
siete
mai domandati quanto possa succedere in un istante?
In un istante
si può nascere e morire, si può amare e odiare.
Si più perdere
tutto o si può diventare un eroe. Si possono prendere
decisioni che
possono cambiarti la vita, migliorartela o rovinartela. E poi ci sono
quelle fatalità che te la stravolgono.
La
pioggia
era violenta quella notte di cinque anni fa quando Axel aveva deciso
che era arrivato il momento di preparare una borsa con i vestiti suoi
e di sua sorella, prendere Kairi per mano e fuggire velocemente prima
che la madre potesse accorgersi della loro assenza. Non avevano alcun
luogo in cui rifugiarsi, né l'amore di altri parenti dove
chiedere
conforto. Axel sapeva che la vita da quel momento in poi sarebbe
stata dura, ma non avrebbe potuto fare altrimenti.
Sempre
in
quella notte, su una stradina di città una cinquantina di
chilometri
più a nord, la pioggia batteva ugualmente forte. Quel giorno
Roxas
era in macchina con i suoi genitori quando capì che la vita
non era
tinta di rosa come le favole che stava leggendo in quel libro che
aveva tra le mani. La prima cosa di cui ebbe coscienza fu il riflesso
degli abbaglianti della macchina accanto a loro, l'ultima cosa che
vide fu la sua coscia staccata dal resto della gamba, sepolta sotto
le lamiere.
Quella
notte di cinque anni fa molte lacrime furono versate, di
felicità in
vista di una libertà ritrovata e di dolore per la perdita di
qualcosa che non sarebbe mai più stato possibile riavere
indietro.
Si
dice che
basta un solo istante per cambiare quello che è rimasto
fermo per
una vita intera.
1.
Change of Scenary
“Vieni,
vieni, Axel. Che te ne pare? Non è molto grande ma
è l'unica cosa
che posso offrirti”
Un
ragazzo
dai capelli rosso fuoco si ritrovò a deporre di tutta fretta
la sua
valigia sul pavimento e seguì la voce allegra che lo stava
richiamando dall'altra parte del corridoio. Un sorriso di
concitazione scappò dalle labbra dell'altro ragazzo dai
capelli
color sabbia una volta che il rosso lo ebbe raggiunto.
“Allora
che te ne pare?”
“È
perfetta” una risposta arrivata senza neanche pensarci.
“Spero
riuscirai a trovarti a tuo agio qui”
“Ti
ringrazio di tutto Dem, davvero”
“Gli
amici servono a questo, no?”
Axel
non
poté fare a meno di rispondere al caloroso sorriso
dell'amico, il
suo era debole e accennato ma pur sempre un sorriso che parve
soddisfare il biondo.
“Allora
ti lascio un po' di privacy... immagino che vorrai riposare”
disse
Demyx come preludio per annunciare il suo ritiro in camera propria e
l'altro annuì. Rimase sullo stipite giusto un momento, con
le mani
incrociate in grembo e un palese desiderio di voler dire qualcosa, ma
non lo fece.
Nel
giro di
pochi istanti, dopo qualche convenevole e qualche ultima
raccomandazione di fare come se fosse a casa sua e la disposizione
degli asciugamani in bagno, Axel si ritrovò da solo in
quella che
gli era stata presentata come la sua nuova camera. Temporanea,
ovviamente. Nonostante le proteste di Demyx riguardo al fatto che
potesse rimanere lì quanto tempo volesse, ad Axel non gli
andava di
gravare sulle spalle dell'amico. Lui aveva già fatto tanto
offrendosi di ospitarlo e di dargli un passaggio dall'aeroporto al
suo arrivo.
Il
ragazzo
si tolse le scarpe e si lasciò letteralmente cadere a peso
morto sul
letto, chiuse gli occhi giusto il tempo per riposarli e poi
passò in
rassegna la stanza. Sebbene fosse molto spartano, l'arredo non era
molto male: la stanza era stretta e allungata, di un'imbarazzante
forma rettangolare, il letto a una piazza aveva un telaio in ferro
battuto che gli conferiva un aspetto classico e romantico, le pareti
in crema si sposavano molto bene con il copriletto rosa pallido a
fiorellini - da questo dedusse che quella era la stanza destinata
alla sorella minore di Demyx. C'era poi una piccola finestrina
accanto al letto e un comò sulla parete difronte, con uno
specchio
ovale accanto ad esso. Non c'era che dire, una vera stanza da
ragazza, ma Axel non se ne lamentava perché il suo non
sarebbe stato
un soggiorno a lungo termine.
Con
un
colpo di sterno si mise a sedere sul letto e decise che non era poi
così stanco, dopotutto quello che aveva fatto fino a quel
momento
era il nulla assoluto. Aveva passato gli ultimi due mesi in una
clinica di riabilitazione alcologica, e ora che era appena uscito da
quel covo di disadattati la prima cosa che si ritrovò a
pensare era
che, adesso, si sentiva lui stesso un disadattato.
Era come se quell'allontanamento forzato l'avesse alienato dalla
realtà e ora la sua vita gli sembrava lontana anni luce,
come se
tutte quelle cose che considerava quotidiane appartenessero a
un'esistenza precedente. Come se lei
non fosse così irraggiungibile.
Come
aveva
immaginato la sua quiete non riuscì però a durare
a lungo,
dopotutto adesso viveva nella casa di Demyx, e infatti non molto
tempo dopo un paio di colpi alla porta lo riportarono alla
realtà e
vide di nuovo l'amico biondo fare capolino nella sua stanza.
“Che
ti
sei dimenticato?” chiese ricordando quanto fosse saggio
appellarsi
alla pazienza, la cui assenza in un passato piuttosto recente lo
aveva fottuto davvero malamente.
“Io...uhm...
volevo ricordarti che oggi pomeriggio hai quell'appuntamento”
biascicò tentennante. Da quando era andato a prenderlo
all'aeroporto
tra lui e Demyx si era creato uno strano imbarazzo che era non era
mai esistito in tutti quegli anni in cui erano stati amici. Era come
se ora Demyx non sapesse come comportarsi con lui.
“Quale
appuntamento?” domandò il rosso, genuinamente
perplesso di essersi
perso qualcosa. Ora stava iniziando a sperare che quell'isolamento
non lo avesse fatto diventare ritardato come tutti gli inquilini di
quella clinica di merda.
“Con
il
dottor Ansem... ricordi no? Lo psicologo al quale ti hanno
assegnato”
Axel
si
schiaffò una mano in faccia e sospirò
pesantemente. Era un mistero
come avesse già potuto dimenticare una cosa simile, eppure
in
riabilitazione non faceva null'altro dalla mattina alla sera; forse
quel vago profumo di libertà gli aveva già dato
alla testa.
Alla
mancata risposta del rosso, Demyx si sentì in dovere di
continuare
“Se non ti sbrighi farai tardi”
“Tranquillo”
mormorò l'altro portandosi una mano trai folti capelli
“Non ho
intenzione di andarci”
“Ma
Ax!”
protestò il biondo “Non puoi mancare, è
una cosa importante per
te”
“Non
più
importante di una bella dormita” affermò tornando
a stendersi sul
materasso, senza dare all'altro il tempo di continuare. Ma Demyx non
si diede per vinto, si portò le mani ai fianchi e
aggrottò la
fronte.
“È
per
il tuo benessere e ci andrai, che tu lo voglia o meno” disse
cercando di darsi un tono, cosa che non gli riuscì un
granché
perché Axel non lo degnò di uno sguardo o un
cenno. Demyx però era
conosciuto per essere un gran rompiscatole, e infatti,
afferrò con
entrambe le mani i lembi del piumone a fiori e lo alzò con
tutta la
forza di cui era dotato, così facendo il rosso cadde
rovinosamente a
terra e lo guardò in tralice.
“Non
osare” sibilò Axel.
“E
invece
lo farò eccome. Se non ti alzerai di tua spontanea
volontà ti
trascinerò io lì”
E
così,
con una buona e fornita dose di riluttanza, Axel si era ritrovato tra
le strade della città alla ricerca di un qualsiasi punto di
riferimento che gli assicurasse di essere sulla buona strada verso lo
studio. A giudicare da come c'era scritto sul foglietto che gli aveva
dato Demyx non doveva essere molto lontano, ma si trovava in un
quartiere in cui era passato solo qualche volta di rado. Ormai
seccato, sospirò pesantemente e si fermò al
semaforo prima
dell'incrocio, gettò un ultima occhiata alle indicazioni
– ormai
doveva essere vicino – e poi prese a scrutare con fare
disinteressato le persone in attesa del verde accanto a lui. C'erano
due bambini che gridavano concitatamente mentre si scambiavano delle
figurine, una donna dai capelli grigi con una busta della spesa
intenta a fumare una sigaretta e un ragazzo nero con i capelli
racchiusi in lunghe treccine e le cuffiette nelle orecchie.
Durante
tutto quel tempo di lontananza da tutto e tutto, chissà
perché si
era domandato se una volta a casa le cose fossero diverse, e invece
niente era cambiato poi così tanto. La gente che viveva in
quel
ghetto schifoso aveva sempre la stessa aria malsana, ognuno andava
avanti con la propria vita nella speranza di dissimulare il crudo
degrado in cui era inabissata quella città e chiunque ci
viveva.
E
poi il
suo sguardo fu catturato da una chioma bionda all'estremità
opposta
delle strisce pedonali. In mezzo a un gruppo di sconosciuti vi era un
ragazzino piuttosto basso e anonimo, vestito completamente di nero e
i capelli dorati che spuntavano in contrasto dal cappuccio corvino
della felpa alzato sul capo – probabilmente atto a cercare di
nascondere invano un vistoso livido che percorreva la sua tempia
destra. Masticava meccanicamente una gomma e di rado faceva qualche
palloncino, le mani erano fisse nelle tasche dei jeans, anch'essi
neri, e il suo sguardo era fisso davanti a sé. Non c'era
niente che
distinguesse quel ragazzo dal resto della massa se non per un
semplice, minuscolo, particolare: i suoi occhi blu erano vacui,
spenti. Non c'era una briciola di quella vitalità che
contraddistingue i giovani nel pieno della loro adolescenza. Il suo
sguardo era disilluso, come se avesse già conosciuto quanto
meschina
potesse essere la vita.
Il
suono
del semaforo annunciò finalmente che era scattato il verde e
quindi
Axel poté di nuovo riprendere la propria strada, distolse lo
sguardo
da quel ragazzino e prese a camminare svogliatamente sulle strisce
per arrivare dalla parte opposta. I passi suoi e di quel biondo si
incrociarono fugacemente e per un secondo, passandogli accanto, si
domandò cosa ci fosse che non andava nella vita di quel
ragazzo che
andava nella sua direzione opposta, per quale motivo non rideva e
scherzava come quei bambini che si scambiavano le figurine, quale
amarezza lo perseguitava?
“Allora,
signor...”
“Mi
chiami Axel e tagliamo la testa al toro”
“Noto
che
ha fretta di cominciare”
“Ho
fretta di finire... non ho tempo per queste stronzate. Sa, devo
ritornare alla mia vita il prima possibile” Axel si
spaparanzò
sulla poltrona davanti alla scrivania dell'uomo presentatosi come il
suo psicologo. Si chiamava Ansem, era un uomo di mezza età e
aveva
dei capelli biondo cenere tirati all'indietro e un pizzetto del
medesimo colore.
“Questo
è
giusto, ritornare alla propria vita e reinserirsi nella
società è
molto importante” annuì l'uomo studiandolo
attentamente “Ma
queste sedute non sono propriamente definibili stronzate
come dite voi giovani”
“Potranno
esserlo o non esserlo, dipende dal punto di vista” rispose
mestamente il rosso e poi abbozzò un sorrisetto impertinente
“E
secondo il mio, lo sono”
Ansem
si
sporse sulla scrivania e il suo sguardo si fece più attento
“Cosa
dice il tuo punto di vista riguardo alle altre cose?”
Axel
inarcò
un sopracciglio e, con un braccio appoggiato al bracciolo della
poltrona, si resse il capo per mettersi in una posizione più
comoda.
Boccheggiò un paio di volte in cerca delle parole
più adatte e poi
puntò di nuovo lo sguardo sull'uomo.
“Lei
è
sposato?” disse di punto in bianco.
Ansem
rimase stupito dalla domanda ma non lo lasciò notare
“Si, sono
sposato”
“E
lei ha
figli?” continuò.
“Si,
ho
un figlio di dieci anni”
“Immagino
che gli vorrà molto bene”
“Esatto,
gli voglio molto bene”
Axel
gettò
un'occhiata fuori la finestra, non si vedeva nient'altro oltre che
vecchi edifici dalla vernice scrostata e scolorita. Il suo sguardo
vagò brevemente su tutte le crepe che correvano lungo le
mura e poi
chiuse di colpo gli occhi.
“Se
suo
figlio dovesse morire, lei cosa farebbe?” sussurrò
voltandosi
lentamente di nuovo verso lo psicologo.
Sui
due
uomini cadde un lungo silenzio, spezzato solo dalle lancette
dell'orologio da parete affisso sopra la libreria e una folata di
vento scosse le foglie della pianta poggiata ai piedi della
scrivania. Ansem interruppe il continuo scribacchiare che aveva
cominciato dall'inizio della loro seduta, posò la penna e si
concentrò interamente sul suo paziente.
“Sarei
molto triste” rispose infine.
“E
basta?” Axel piegò la testa di lato
“Nient'altro? Solo triste?”
“Cosa
dovrei fare allora?” domandò Ansem completamente
attento.
“Non
dorrebbe sapere il perché
e il cosa
ha scatenato tale morte? Avere magari delle risposte, capire se
c'è
un colpevole... perché, se se lo sta domandando, il
colpevole c'è
sempre” spiegò il rosso con un gesto della mano e
l'altro scosse
il capo.
“Per
questo ci sono le forze dell'ordine, bisogna affidarsi sempre ad
esse”
“Esistono
ancora le forze dell'ordine?” l'ironia era evidente nella
risposta
dell'altro.
“È
questo il loro compito. Loro curano il male della società,
non è
lecito farsi giustizia da soli”
“Lei
dice
che non è lecito farsi giustizia da soli...” anche
Axel a questo
punto si sporse di più verso l'altro e affilò lo
sguardo su di lui
“Ma il male sta ancora flagellando la società.
Negli anni non mi
pare di aver visto tale sintomo alleviarsi ma solo peggiorare”
“Devi
crederci, Axel. Abbi fede” l'uomo afferrò la penna
e riprese a
scrivere “Abbi fede. In cosa decidilo tu: in Dio, nelle forze
dell'ordine, nella giustizia o nella speranza. Sta a te decidere ma
devi appigliarti a qualcosa”
Una
risatina roca proruppe dalle labbra del rosso e questi si
passò una
mano sulla fronte “Se tutti voi continuate a ripetermi sempre
queste cazzate prima o poi finirò per crederci”
ribadì
sarcastico.
Per
lui la
seduta era finita lì.
Prima
di
poter dire che la sua giornata fosse conclusa, Axel optò per
fare un
salto dai suoi amici di sempre. Ripercorse quei vicoli desolati come
se li avesse lasciati solo il giorno precedente, le abitazioni dai
mattoni rossi si avvicendavano con la monotonia di sempre, i muri
ricoperti completamente di graffiti erano uguali e trasudavano di
disperazione dietro quei colori sgargianti di chi li aveva creati, i
ragazzi giocavano nel campetto improvvisato in mezzo ai palazzi, e
gli adulti, seduti fuori alle verande delle proprie abitazioni,
scrutavano una ad una tutte le persone che passavano per quella
strada.
Tutti
in
quella città erano in attesa di un miracolo che non ci
sarebbe mai
stato.
Entrò
nel
vialetto della familiare villetta a un piano e si diresse
direttamente verso il garage con la saracinesca alzata. Al suo
interno Xigbar e Xaldin erano occupati a esaminare e mettere via
degli attrezzi da lavoro.
“Gente,
guardate un po' chi è tornato” Axel
annunciò la sua presenza con
un tono altisonante mentre entrava nel garage e andava a sedersi su
un divanetto mezzo distrutto a ridosso della parete. I due uomini si
voltarono ed esclamarono sorpresi.
“Non
ci
aspettavamo di rivederti così presto” Xigbar
lasciò la sua
occupazione, afferrò una pezza per pulirsi le mani e si
avvicinò
per stringere calorosamente la mano del rosso.
“Sono
felice che tu sia ritornato, fratello” lo accolse Xaldin
dandogli
delle pacche sulla schiena.
“Come
ve
la siete passata in mia assenza?” il rosso rise e
lanciò uno
sguardo esaustivo al loro piano di lavoro “Vedo che non siete
stati
con le mani in mano”
“Puoi
dirlo” Xaldin si ripulì alla meglio le mani sulla
sua canottiera,
non più bianca perché già sporca di
grasso per motori “Però gli
affari non sono andati molto bene ultimamente”
“Ultimamente
ci sono stati più controlli” spiegò
Xigbar andando a sedersi su
una sedia lì vicino e afferrò una birra dal
minifrigo “I
piedipiatti ci stanno addosso. Ti sei scampato il peggio, ragazzo
mio”
“Che
cazzo stai dicendo?” Axel si sporse verso di lui e
allungò una mano “Dammi una birra
intanto”
“Non
credo che dovresti” rise Xaldin avvicinandosi al frigobar e
prendendo pure lui una bottiglia di birra.
Il
rosso
aggottò la fronte “Dammi una birra”
abbaiò calcando il proprio
tono.
“Ma,
dicci un po'... in quella prigione in cui stavi tu, sbaglio o non ti
facevano bere?” fece Xigbar cambiando subito argomento e
Xaldin lo
corresse.
“Era
in
riabilitazione e non in prigione”
“È
sempre la stessa merda tanto” appoggiò
l'avambraccio sulla coscia
e si sporse verso Axel “Dai ascolto a me, ti sei perso tanta
roba
durante la tua piccola reclusione” poi voltò il
capo verso Xaldin
e gli fece un cenno col capo “Prendigli una birra”
“Ma
sei
pazzo? Secondo te perché l'hanno mandato in
riabilitazione?”
“Non
di
certo perché sono un alcolista. Ti pare che lo
sia?” si alzò a
quel punto Axel e lo guardò con sguardo di sfida.
“Hai
pensato che forse hai un problema?”
“Io
non
ho un problema, porca puttana, è il mondo che ce l'ha. Ha
tanti
problemi ma qui nessuno fa un cazzo!” il rosso a quel punto
alzò
la voce e si fece strada verso l'altro uomo che torreggiava davanti a
lui, era poco più alto di lui ma in compenso era molto
più robusto.
“Lo
so
ok? E so pure che tu non sei alcolizzato ma l'ultima cosa che voglio
è che ti portino di nuovo via da qui! Quegli stronzi stanno
come
avvoltoi e non ci metterebbero nulla a spedirti di nuovo
chissà
dove, anzi no te lo dico io... questa volta ti spediranno
direttamente dritto dritto in prigione come tutti gli altri”
“Xaldin
chiudi quella fogna e prendigli una fottuta birra”
sbraitò Xigbar
guardandolo torvo con l'unico occhio che gli era rimasto. Quello che
aveva perso era stato un trofeo di una battaglia vittoriosa contro
una piccola gang di sbandati.
“Fottiti
Xig, se la vuole se la prende da solo. Io non voglio essere la causa
di niente”
“A
chi è
che dici fottiti? Bada a come parli stronzo... stai in campana o mi
tocca farti il mazzo un'altra volta”
Ci
fu un
mezzo secondo in cui Axel temette davvero che tra i due sarebbe nata
una nuova disputa, e quando c'erano loro di mezzo le cose non si
risolvevano così facilmente; e dal momento che non era
andato lì
con l'intento primo di attaccar briga, si alzò dal divano
sfasciato
e andò a prendersi lui stesso una birra.
“Bell'intelligente
che sei” sputò sarcastico Xaldin una volta che
l'altro aprì la
lattina. Forse una persona normale, in un contesto normale, non
avrebbe ricominciato a bere neanche dopo aver lasciato una
riabilitazione che avrebbe dovuto insegnargli a rimanere sobrio, ma
nella loro esistenza non esisteva la normalità e non
è che Axel
aveva intenzione di ubriacarsi.
“Allora
che cazzo stavamo dicendo?” fece Xigbar agitando la sua
lattina.
“Dicevi
che le cose non sono andate bene ultimamente. Che mi sono
perso?”
“Ah
giusto! Poco più di un mesetto fa c'è stata una
guerriglia qui in
città, durante una perquisizione uno sbirro ha ucciso un
ragazzo. La
gente non ci stava, sono iniziate proteste e sommosse... chi sparava
di qua, chi brandiva la spranga di là. C'è stata
una notte di
scontri e la mattina dopo la periferia si è svegliata in
stato di
assedio”
“La
città
è ancora scossa e smaniosa di vendetta. La gente cerca
qualunque
pretesto pur di scatenare la loro rabbia” continuò
Xaldin dopo un
sorso alla sua birra “Dopo giorni e giorni i conflitti sono
stati
placati, la polizia è tornata tra le retrovie
però si fanno vivi di
tanto in tanto per dei controlli”
Axel
rimase
in silenzio per lunghi secondi per sintetizzare meglio la notizia di
cui era appena venuto a conoscenza e incrociò le braccia al
petto.
Quella situazione non gli piaceva affatto.
“Mica
per
caso hanno preso qualcun altro? Qualcuno che
avrebbero dovuto prendere,
intendo”
I
due
capirono al volo a cosa si riferiva Axel ma scossero il capo.
“Non
che
io sappia, mi dispiace”
Axel
abbassò lo sguardo e accennò un sorriso
sfiduciato. Come aveva
detto poco prima ad Ansem, la giustizia non esisteva, il mondo era
malato e non si sarebbe mai più ripreso.
“Allora
su cosa avete messo le mani?” domandò cambiando
argomento, giusto
un paio di minuti dopo per spezzare il silenzio pesante che si era
venuto a creare tra di loro. La situazione in cui versava la
città
era critica ma non era nulla di nuovo, era così da decenni
ormai e
nessuno si era mai preso la briga di fare niente.
“Non
lo
immagineresti mai. Mio fratello ha messo le mani su una Chevrolet
Caprice del 1975” esclamò Xaldin posando la sua
bottiglia vuota su
una mensola.
“Cazzo
quella roba è oro!”
“Non
lo
immagini neanche” Xigbar rise nell'alzarsi e tornò
di nuovo al suo
banco da lavoro “Abbiamo anche un potenziale acquirente, il
motore
però è andato a farsi fottere da una decina
d'anni quindi dobbiamo
vedere come rimetterla in sesto”
“Comprarlo
per intero da internet sarebbe un suicidio... però prendere
qualche
pezzo non dovrebbe essere molto dispendioso”
“Se
ci
vuoi mettere tu il capitale...”
“Io
sono
al verde Xig, tu già sai”
“Non
credere di essere l'unico, Axel” rispose Xaldin al posto
dell'altro
“Mia madre ha deciso di iscrivere mio fratello a una scuola
privata
fuori da qui perché vuole offrirgli qualcosa di meglio di
questa
fogna”
Il
rosso si
portò le mani alla fronte e prese a massaggiare le tempie
per farsi
venire un'idea “Ok ragazzi, una cosa per volta... iniziamo a
lavorarci su e poi vediamo come farla camminare. Direi di cominciare
domani, ormai sta facendo buio e non mi va di causare problemi a Dem
e sua madre”
“Allora
sei andato a stare da lui?” fece Xaldin appoggiandosi al
tavolo da
lavoro e incrociando le gambe avanti a sé.
“Già,
anche per loro le cose sono difficili però sono stati
davvero
gentili a offrirsi disponibili a farmi stare lì per un
po'”
“Dopo
tutto quello che è successo mi sembra
normale....”mormorò Xigbar
abbassando la voce “Sei già andato a trovare
Kairi?”
Il
rosso
scosse il capo e disse che ci sarebbe andato non appena se la sarebbe
sentita, gli altri due si lanciarono un'occhiata di assenso.
La
notte
era ormai scesa con la sua pungente umidità quando Axel si
congedò
da Xigbar e Xaldin e ritornò a casa di Demyx. Quando
rientrò però
non trovò nessuno in vista nonostante fossero appena le otto
di
sera, l'amico avrebbe dovuto staccare circa un'oretta prima dal
lavoro ma a quanto pare non era rincasato ancora, mentre la madre la
trovò chiusa nella sua stanza.
“Buonasera,
signora” sussurrò Axel sottovoce, mantenendosi
alla porta appena
dischiusa.
La
madre di
Demyx era una donna di mezza età, non era molto anziana ma
il peso
dei problemi e dell'afflizione avevano gravato molto sulla sua
estetica e sul suo carattere. Sembrava sciupata e invecchiata, la sua
corporatura mingherlina la faceva assomigliare a un alberello
rinsecchito e i suoi capelli biondi, più spenti di quelli di
Demyx,
erano racchiusi in uno chignon basso. In quel momento ella aveva le
mani conserte ed era rivolta verso un piccolo crocifisso.
La
donna
lanciò uno sguardo da sopra le sue spalle, in direzione di
Axel, e
gli sorrise timidamente “Buonasera a te, caro”
“Demyx
non è ancora tornato?”
“Si
sarà
fermato al negozio di alimentari, vedrai che sarà qui a
breve”
Il
rosso
annuì e lasciò la signora alle sue preghiere,
ormai pareva che
fosse l'unica cosa sapesse fare. Fino a un paio di anni fa la loro
era una famiglia quasi normale, quasi, perché vivevano pur
sempre
in quella città di merda, però si avvicinavano
alla consuetudine.
Il padre di Dem era morto sul lavoro qualche anno fa, faceva il
manovale in un cantiere o una cosa del genere, però in un
modo o in
un altro la famiglia era riuscita comunque a mantenere una parvenza
di normalità. Però, un paio d'anni fa, la sorella
minore di Demyx
scomparve nel nulla, alcuni pensarono a un allontanamento volontario
ma tutti quelli che la conoscevano sapevano con sicurezza che lei non
avrebbe mai fatto nulla del genere, non avrebbe mai lasciato sua
madre.
Con
una
mano Axel spalancò la porta della sua stanza e si
appoggiò col capo
allo stipite, passando in rassegna il mobilio e ogni piccolo
particolare.
Il
primo
pensiero degli inquirenti era stato il rapimento, ma Axel sapeva che
non era così. Che riscatto avrebbe potuto mai offrire una
modesta
famiglia come la loro? Il motivo era un altro e sebbene avesse
manifestato più volte il suo dissenso, non aveva mai avuto
il cuore
di dire a Demyx la sua ipotesi molto più agghiacciante ma
realistica.
“Le
cose
non sono state facili da quando ci hanno buttati fuori dalla nostra
precedente casa”
Axel
voltò
lo sguardo nell'udire una voce maschile fin troppo familiare, Demyx
era apparso sullo stipite della porta e aveva lo sguardo posato sul
piumone a fiori. Sul tavolo della cucina, il rosso notò che
aveva
appoggiato una busta della spesa.
Dopo
la
morte del padre, il biondo era stato costretto a lasciare gli studi
per trovarsi un lavoro e provvedere al sostentamento della famiglia.
Non era mai stato così semplice per loro.
“Questa
è
la camera di mia sorella, l'ho arredata secondo il suo gusto... La
casa ormai è diventata così vuota”
“So
cosa
significa la solitudine, Dem”
“Lo
so,
ma io non voglio perdermi d'animo. Ogni giorno mi sveglio con la
speranza di vederla tornare e sorridermi come faceva sempre... mamma
sarebbe davvero felice”
Axel
studiò
la sua espressione rilassata ma rispose con riluttanza “In
questo
mondo dove tutto è marcio e la speranza è la
prima a morire, dove
trovi tutto questo ottimismo? Dove trovi la forza di andare
avanti?”
Demyx
non
rispose alle sue domande, forse non aveva una soluzione a portata di
mano o forse ce l'aveva ma voleva che fosse Axel a trovarla per conto
proprio. Tutto quello che si limitò a fare fu dare una pacca
sulla
schiena dell'amico e abbozzò un sorriso malinconico
“Rimani pure
tutto il tempo che vuoi, per piacere” mormorò
prima di lasciarlo
ancora una volta immerso nella sua solitudine, in mezzo a quel mare
di ricordi trasudanti da quelle quattro mura.
♦----------♦----------♦
“ROXAS,
ROXAS, ROXAAAAAS!”
Una
voce
fastidiosa parve volergli rompere i timpani ma poi, finalmente, fu il
silenzio. Roxas, nel poco di coscienza che aveva guadagnato dopo
tutto quel caos, credeva che sarebbe riuscito a riaddormentarsi ma
dovette ricredersi quando udì un rumore di pesanti passi e
dei colpi
alla porta. Ovviamente lui non si sprecò a dare il permesso
di
aprire perché chiunque fosse lo stronzo che aveva voglia di
far
casino di prima mattina, aprì la porta della camera e poi la
richiuse dietro di sé.
“Oh
Rox”
“Mmmm...
fottiti... gira al largo” biascicò il biondo
girandosi dall'altro
lato, gli occhi sempre chiusi con il timore che se li avesse
dischiusi non avrebbe potuto perpetuare quel dolce riposo in cui era
stato immerso fino a poco prima.
“Ehi
fottiti a chi? Guarda che ti faccio ingoiare la lingua” la
voce
continuò a rimbombare, ci fu ancora un rumore di passi in
giro per
l'ambiente e poi sempre quel qualcuno spalancò la finestra,
in
questo modo la luce del sole accecò il biondo che cercava di
riposare.
Questi
si
passò le mani sugli occhi per proteggersi e
mugolò lamentosamente
prima di proferire parola.
“Che
cazzo vuoi Hayner?” disse aprendo un occhio ma la sua vista
era
ancora sfocata a causa del sonno.
D'improvviso
sentì un peso sul letto, proprio vicino al suo corpo e
capì che lo
scocciatore doveva essersi seduto accanto a lui.
“Ti
ricordi il torneo di struggle che era stato cancellato a causa dei
casini del mese scorso? È stata riconfermata la
data!”
“Mmmmm”
Roxas però si lamentò in risposta. Non sembrava
intenzionato a
voler connettere, la sua mente era annebbiata e tutto quello che
voleva in quel momento era stare da solo, con la finestra chiusa e il
letto tutto per sé.
Il
ragazzo
che rispondeva al nome di Hayner emise un grugnito di dissenso e fece
un movimento brusco che fece muovere anche il resto del letto
“Ohi
merdina mi stai sentendo?” sbraitò a voce alta e
iniziò a
ondeggiare sul materasso per far svegliare l'altro, e la risposta che
ricevette fu la solita.
“Ma
vaffanculo, lasciami stare”
“Svegliati.
Altrimenti ti butto giù e ti prendo a bastonate
così vediamo se mi
ascolti”
“Cazzo,
sei peggio di una sanguisuga” Roxas alla fine comprese che
l'altro
non lo avrebbe lasciato in pace tanto facilmente così
optò per
mettersi seduto e aprì gli occhi, il suo sguardo
però era di puro
astio nei confronti dell'altro“Ecco sono sveglio, che cazzo
dicevi?”
Hayner
era
il primo e unico vero amico che si era fatto in quella città
di
merda da quando si era trasferito nella nuova casa. In
realtà aveva
anche un paio di altri compagni, Pence e Olette, ma Hayner era quello
più stretto. Quello con cui si era preso a mazzate
così tante volte
che alla fine nessuno dei due sapeva dire chi era il più
forte.
Hayner era poco più alto e robusto di Roxas ma questo non
significava che fosse lui a dettare legge nel gruppo, Roxas glielo
permetteva solo perché preferiva stare per conto suo. Il
ragazzo
inoltre era biondo proprio come lui, forse qualche gradazione
più
chiara ed era di un anno più grande ma dalla sua scaltrezza
e dalla
sua familiarità con la vita di strada sembrava averne minimo
il
doppio.
“Certo
che sei proprio stizzito di prima mattina”
constatò contando il
tempo che ci metteva l'altro a svegliarsi.
“Sono
stanco” mugugnò il più giovane tra uno
sbadiglio e l'altro
“Quegli stronzi dei vicini ci hanno dato dentro tutta la
notte e a
causa loro non riuscivo a dormire”
“Allora
hanno scopato alla fine?” esclamò Hayner con
interesse.
“Ma
ti
pare? Hanno iniziato a lanciarsi i piatti addosso... se quello lo
chiami scopare...”
“Chi
è
stato dei due, eh?”
“Il
marito... l'idiota si è portato l'amante a casa”
“Ma
che
testa di cazzo. Se vuoi l'amichetta non portarla mai a casa”
Hayner
prese a ridere di gusto, alzando di proposito la voce con lo
scherzoso intento di farsi sentire dai vicini, e fu presto seguito
nella risata da Roxas, anche se questo si portò una mano
alla fronte
e scosse il capo. Dopo qualche minuto di leggerezza, Hayner si
alzò
e si portò le mani ai fianchi “Senti, bello, vuoi
una mano per
alzarti dal letto?”
“Ma
ti
pare? Non sono mica un lattante” Roxas espirò
pesantemente dal
naso e rise sarcasticamente “Vai a cazzeggiare fuori, fai
quello
che vuoi... io arrivo tra qualche minuto”
Il
più
grande fece spallucce e si avviò verso la porta
“Se lo dici tu...”
“Ah,
Hayner...” lo richiamò e l'altro si
girò “Se fai svegliare
Cloud e quello ricomincia a lamentarsi, giuro che ti prendo a
calci... con la mia gamba migliore”
“Dio
Rox,
la mattina pare che hai una mazza su per il culo”
Quel
giorno, i raggi di metà mattina facevano fatica a scaldare
la fredda
atmosfera che aveva avvolto la città ormai da giorni. In
giro si
vedevano ancora gli effetti degli scontri che avevano animato il
quartiere: cartelloni pubblicitari a terra, pezzi di strada anneriti
da incendi ormai spenti, le vetrine di alcuni negozi erano in
frantumi, reti metalliche di recinzione accartocciate e abbandonate
per strada, auto carbonizzate e macerie qui e là.
Ultimamente
qualcuno si era messo di cuore e aveva iniziato a ripulire la
città,
quello che si presentava ai loro occhi infatti non era assolutamente
nulla in confronto a come era stata lasciata la città dopo
le
guerriglie con la polizia. Ovviamente chi stava ripulendo le strade
erano volontari della comunità, non di certo il governo.
“Te
lo
giuro, me l'ha detto il leccaculo di Seifer, come si chiamava quello?
Boh chi si ricorda” Hayner parlottava animatamente mentre lui
e
Roxas camminavano per le strade desolate.
“Era
per
caso Rai?”
“Forse
sì, forse no... chi cazzo se ne frega” il ragazzo
interruppe
bruscamente il suo discorso quando intravide un paio di poliziotti
armati che facevano la ronda, si infilò le mani nelle tasche
della
felpa e abbassò lo sguardo, imitando il suo compagno
più quieto.
Una volta sorpassati i due uomini, il biondo si rigirò di
nuovo
verso Roxas e si posizionò davanti a lui mentre continuavano
a
camminare “Comunque questo mi ha detto che hanno trovato un
capannone abbandonato bello grande nella zona limitrofa più
a sud...
sai era vicino al porto e alla stazione abbandonata... li la polizia
non dovrebbe rompere le palle”
Roxas
alzò
il volto dall'asfalto e, con espressione grave, guardò negli
occhi
l'altro biondo “Quello non era un quartiere pericoloso? Mia
mamma
dice sempre che ci sono un sacco di criminali e malfattori”
Hayner
a
quel punto si fermò e aggrottò la fronte
“...e che vendono pure
la droga” aggiunse timidamente.
Ci
fu un
momento di silenzio tra i due ragazzi, in cui si squadrarono negli
occhi intensamente per poi scoppiare in una fragorosa risata che fece
voltare una donna che camminava nei paraggi.
“Che
pezzi di merda che siamo eh!” continuò Hayner
riprendendo a
camminare con la più totale naturalezza, finché i
due ragazzi non
arrivarono davanti a un imponente edificio dalle sembianze di un
capannone in disuso e abbandonato da decenni per come era combinato,
in realtà quella era la palestra di Cid distrutta dalla
guerriglia
una quindicina di giorni prima. Quella era la prima volta che vi si
poteva entrare poiché prima era stata dichiarata inagibile a
causa
delle scorie tossiche emanate dal fumo dei roghi che erano stati
appiccati.
“Ma
chi
cazzo è stato... guarda qua... no dico guarda qua! Hanno
distrutto
tutto” Hayner gesticolava animatamente mentre si faceva
strada tra
i detriti e le ferraglie. La sua faccia era sfigurata da
un'espressione di puro odio “Porca puttana se li trovo li
uccido
tutti con le mie mani”
In
tutto
quel frangente, a differenza dell'altro, Roxas era rimasto sempre in
silenzio mentre camminava e incespicava tra le macerie per
addentrarsi sempre di più nella palestra. Il suo sguardo era
serio e
sondava ogni minimo danno, ormai non c'era quasi più nulla
di
recuperabile lì in mezzo. Se fosse stato in vena di
scherzare,
avrebbe sicuramente detto che era
andato tutto in fumo.
A
un certo
punto si appoggiò con la schiena a una trave portante, le
mani
perennemente nelle tasche della felpa e studiò la figura di
un uomo
in lontananza.
Quello
era
Cid, il proprietario della palestra. Solitamente era uno dei pochi
uomini di quella città con una tale bontà,
mascherata dal suo
carattere spigoloso, a far accendere un barlume di speranza negli
animi dei giovani, lui voleva far credere che nonostante tutto le
cose sarebbero migliorate per tutti. Per questo aveva aperto la
palestra, voleva togliere i bambini e i ragazzi dalla strada. E
invece eccolo lì, seduto su una cassa di legno nel centro di
quella
che era diventata la sua casa, con un'aria afflitta e sconsolata.
Quella
vista gli faceva ribollire il sangue nelle vene.
Poco
lontano da Cid vi era un sacco da boxe e Roxas si chiese se fosse
l'unico superstite dell'attacco o se fosse stato portato in seguito
come valvola di sfogo.
“Più
che
altro” proruppe dopo il suo interminabile silenzio, placando
lo
sciame di parole e insulti di Hayner “Puoi immaginare lui
quanto
sarà incazzato? Si era fatto un culo così in
questi anni per tirare
su questa palestra e togliere i ragazzi dalla strada e ora guarda che
fine ha fatto” sussurrò a bassa voce per non farsi
sentire, poi
con uno slancio si staccò dal muro, si avvicinò
all'adulto e lo
chiamò a voce più alta “Cid”
“Ragazzi”
Cid si girò immediatamente, genuinamente sorpreso di quella
visita
inaspettata e poi assunse un tono più fermo “Che
ci fate qui? È
pericoloso”
“Non
dire
stronzate” esclamò Hayner mettendosi davanti a lui
“Noi siamo
cresciuti qua dentro, ti pare che non saremmo venuti appena
possibile?”
L'uomo
cacciò un sospiro sfiduciato e tirò fuori dalla
tasca del giubbotto
una sigaretta che si accese prontamente “Lo sai, ragazzo mio,
in un
certo senso me lo aspettavo che prima o poi sarebbe successa una cosa
del genere”
Hayner
storse il naso “Almeno sai chi è stato?”
“No
e non
ci tengo neanche a saperlo”
Roxas
abbassò lo sguardo e afferrò una mazza di legno
bruciacchiata e
prese a farla roteare tra le mani. Cid si girò verso di lui,
catturato dai suoi gesti abili e silenziosi come quelli di un gatto.
“La
gente
dice che siamo protetti dagli sbirri...” sussurrò
questo
maneggiando abilmente la mazza, poi indurì il tono
“Ma a noi chi
ci protegge da loro?”
Nessuno
proferì parola, la mazza era stata scaraventata dall'altra
parte
della stanza e finì col frantumarsi tra gli altri relitti
della
palestra.
Senza
aggiungere altro, Roxas camminò in direzione del sacco da
boxe, si
coprì i pugni con le maniche della felpa e iniziò
a sferrare colpi
uno dopo l'altro.
“Non
dovreste essere a scuola?” disse di punto in bianco l'uomo,
rivolto
ad Hayner, per cambiare argomento. Non c'era più nient'altro
da
aggiungere, Roxas aveva detto tutto. Tutto.
La
sua era
un'implicita richiesta d'aiuto dissimulata dalla disillusione della
crudele realtà.
Che
speranza poteva esistere in una società dove le forze che
dovrebbero
essere schierate dalla parte del bene e della giustizia, uccidevano
un ragazzo disarmato?
“La
scuola è bruciata...” rispose Hayner con
indifferenza e si
interruppe per sbadigliare sonoramente “Ci hanno stipati in
un
ufficio che è stato lasciato da poco meno di un annetto. Non
c'è
spazio per tutti. Per questo ci tocca ruotare, ma io non ho
intenzione di ritornarci, vero Rox?” pronunciò le
ultime parole
con voce alta, rivolto all'amico ma quest'ultimo non rispose, troppo
intento con la sua attività.
“Hayner,
cosa ti ho detto sempre riguardo alla scuola?” prese invece
parola
Cid grattandosi il capo con fare stanco.
“Che
ci
devo andare e bla bla bla. Ma secondo te che concludo in quel cesso?
Non è che diplomandomi o altro la mia vita migliorerebbe.
Noi siamo
nati qua e moriremo qua. Gli abitanti del ghetto sono la feccia della
società e nessuno vuole avere a che fare con noi”
Cid
scosse
il capo ma dalle sue labbra non fuoriuscì alcun suono,
alcuna
parola, alcun rimprovero. Si limitò a scrutare i movimenti
veloci di
Roxas che nel mentre stava scaricando tutta la sua rabbia su quel
sacco, e poi Hayner parlò ancora.
“Il
torneo di struggle è stato riconfermato”
“Ah
davvero?”
Il
biondo
annuì “Ho già iscritto Roxas. Ti pare
che possiamo perderci una
cosa del genere?”
Sul
voltò
di Cid si disegnò un mezzo sorrisetto “Quello
stronzetto sembra
tanto piccolino ma va che una bomba” ridacchiò
tornando a vedere
l'altro ragazzo che adesso aveva cominciato a sferrare potenti calci
al sacco “Oh Roxas, calmo con quella gamba che puoi farti
male”
Roxas
finalmente si voltò verso i due, e inarcò un
sopracciglio in vena
di sarcasmo “Bella battuta, nonno”
“Sono
sicuro che un giorno quel pezzo di merda finirà alle
olimpiadi”
decretò Hayner con un sorriso di soddisfazione stampato in
volto.
1.5 Let's struggle
“Un
obbiettivo?”
“Sì,
un
obbiettivo”
Axel
voltò
il capo di lato e lanciò un'occhiata al di sopra delle
spalle per
vedere se la faccia dell'altro fosse seria o meno. Lui e Demyx erano
stesi a terra, nel piccolo salotto, su un grande tappeto proprio come
facevano quando erano più piccoli e si ritrovavano a parlare
delle
cose più disparate. In quel momento Axel aveva le gambe
piegate e
aveva una pallina da baseball in mano che lanciava ritmicamente
contro la parete vuota. Demyx invece era completamente disteso, le
mani incrociate sullo stomaco e gli occhi puntati sulla luce della
lampada che si estendeva sotto al soffitto.
Fuori
era
già buio ma le temperature erano abbastanza permissive da
tenere una
finestra aperta.
“Hai
intenzione di farmi pure tu da psicologo?” il rosso
inarcò un
sopracciglio e l'altro rise.
“No
ma è
evidente che non hai intenzione di ascoltare quello che dice il tuo.
Quindi ho deciso di dirti la mia idea: trovare un obbiettivo”
“Stai
scherzando...”
“No,
sono
serio”
Axel
a quel
punto alzò il busto e si resse sui gomiti, lanciò
un'occhiata
contrariata al suo amico, ma questi non ci fece caso “Demyx
che
cazzo ti passa per la testa? Che cosa dovrei fare?”
“Non
lo
so, questo dovrai deciderlo tu”
“Non
ho
bisogno di un obbiettivo”
“E
perché
no?”
“Perché
la mia vita è vuota, non ha senso. Ho lottato e ho fatto
tutto
quello che potevo fare ma non è servito a un cazzo”
Finalmente
il biondo degnò l'altro di un cenno, rotolò su se
stesso e rimase
steso sullo stomaco, così da poterlo guardare completamente.
Poggiò
i gomiti sul tappeto e posò il capo sui palmi delle mani.
Sul voltò
invece aveva un sorriso infantile.
A
volte
Demyx sembrava non essere mai cresciuto, era rimasto il suo compagno
di avventure che aveva conosciuto a scuola.
“Vedi?”
pronunciò con tono di rimprovero “La tua vita
è vuota, l'hai
detto tu stesso, vuoi che sia sempre così? Non credo, tu in
realtà
vuoi che la tua vita decolli”
Axel
sospirò e si chiese per quale motivo gli stesse dando spago
“Ho
detto anche che tutto quello che ho fatto non è servito a un
cazzo.
Ogni tanto ascolta gli altri, porca puttana”
“Ohhh
non
iniziare con le parole” Demyx rise e gli fece la linguaccia,
proprio come se fosse un bambino, e si mise a sedere con le gambe
incrociate in stile indiano “Lo sai pure tu che ho ragione!
Devi
andare avanti...” e poi si fermò un momento, si
grattò la nuca e
scosse il capo “Non dico di dimenticare tutto, per
carità... però
devi metterci una pietra sopra, metterti l'anima in pace e farti una
nuova vita. Devi trovare un motivo per continuare a proseguire per la
tua strada... magari ti trovi un lavoro-”
“Io
ce
l'ho un lavoro” tagliò a corto Axel ormai tediato,
e iniziò a
rigirarsi la pallina tra le mani.
“Un
lavoro vero, non quello che fai tu” sottolineò
l'altro e strappò
la palla dalle mani dell'altro “Dicevo, trovi un motivo, un
obbiettivo
che ti spronerà ad andare avanti e la tua vita
migliorerà
decisamente” tirò la pallina da una mano all'altra
e poi la lanciò
contro la parete, senza però impiegarci troppa forza
“E alla fine
dirai cazzo quello stronzo di
Demyx aveva ragione!”
Axel
si
alzò per andare a riprendere la pallina che era finita
dall'altra
parte della stanza e guardò il biondo come se fosse un pazzo
“Non
ha senso quello che dici”
Demyx
si
strinse le gambe al petto e rimase una manciata di secondi in
silenzio prima di riprendere a parlare.
“Mettiamola
in termini più semplici allora” disse alzando un
indice davanti a
sé “Tu ce l'hai la ragazza?”
“Ma
che
cazzo di domande sono-”
“Rispondi
a me... tu ce l'hai la ragazza?”
“No,
non
ce l'ho”
“Fa
niente, fai finta di avercela...e magari fai finta di avere pure un
figlio” disse ridendo alla vista della faccia dell'altro.
“Cazzo
Dem, in un secondo mi hai messo a carico una ragazza madre?”
“Stai
zitto, cazzo, mi fai perdere il filo! Allora dicevo, hai una donna e
un bambino.... ovviamente tu vuoi il meglio per loro, no?”
“Ma
se
non li conosco neanche...”
“Immedesimati
nella parte!”
Axel
sospirò pesantemente e assecondò la
volontà dell'amico, sapendo
che l'altro non l'avrebbe lasciato in pace in caso contrario
“Se ce
li avessi sì, vorrei sempre il meglio”
“Descrivimi
il meglio” disse Demyx con
un sorriso a trentadue denti.
“Ma
che
ne so...” bofonchiò Axel grattandosi il capo
nervosamente, ci
pensò un attimo e diede la prima risposta che gli venne in
mente
“Una bella casa... magari con un giardino... e un cane con
cui far
giocare il bambino”
“Okay”
Demyx annuì soddisfatto e l'altro ci pensò
più a fondo.
Che
cosa
poteva essere il meglio
secondo lui?
Ovviamente
non voleva il meglio del meglio, ma si accontentava di cose semplici
che chiunque si sarebbe potuto permettere in un contesto lontano dal
loro.
“Il
meglio sarebbe lontano da questa città di merda, con un
lavoro e una
sicurezza economica... una bella casa con giardino in un quartiere
tranquillo, dove non senti di continuo le sirene della polizia che
girano per strada. Avere una persona al mio fianco che sappia amarmi
e rispettarmi così come farei io... la sicurezza di avere un
posto
in cui mi sento amato, e al quale fare ritorno... non vedere mai la
tristezza negli occhi di chi mi è davanti...”
Demyx
rimase sgomento per alcuni secondi dalla risposta così
articolata
dell'altro e per un momento non seppe più cosa dire
“Direi
che...uhm.. hai dato il meglio di te...” farfugliò
espandendo il
suo sorriso “Vedi? Quando ti ci metti sei bravo”
“Queste
sono utopie”
Il
biondo
scosse il capo e incrociò le braccia al petto “Ti
sbagli! Anche il
tuo più piccolo contributo potrebbe cambiare il mondo. Per
raggiungere la pace interiore ti serve un obbiettivo, una motivazione
che ti dia la spinta... anche una piccola azione potrebbe
esserlo”
“Una
piccola azione?” Axel ridacchiò divertito,
lanciò di nuovo la
pallina al muro e la afferrò al volo. Demyx annuì.
“Tu
hai
detto che non vorresti mai vedere la tristezza negli occhi di chi ti
è vicino... potresti partire da qui. Una buona azione, una
parola di
conforto... anche queste sono soddisfazioni, dei piccoli passi verso
la pace interiore”
Axel
studiò
l'espressione emozionata dell'altro e sospirò ma non nascose
un
debole sorrisetto “Tu sei tutto matto”
“E
tu sei
in una città che urla disperazione da tutte le direzioni!
Guardati
attorno, non c'è nessuno che ha colpito la tua
attenzione?”
“Ehm...”
il rosso fece per pensarci e tornò a stendersi con la
schiena sul
tappeto e gli occhi fissi sul soffitto “Penso... un... un
vecchio...”
“Sì,
baby, vai così!” Demyx esclamò
vittorioso e alzò un pugno in
aria per spronarlo a continuare, Axel batté le palpebre un
paio di
volte e mugugnò qualcosa prima di riprendere a parlare.
“Mentre
oggi ero sull'autobus ho visto dal finestrino un vecchio che cercava
di riparare il portone del suo negozio... uhm... magari domani potrei
fermarmi e chiedere se ha bisogno di una mano”
“Stai
andando forte fratello!”
“E
poi...” aggiunse subito senza pensarci “E poi c'era
un ragazzino
ieri...era all'incrocio prima dello studio di Ansem... sembrava non
avere più sentimenti, nessuna lacrima da versare... era
apatico...”
“O-okay,
Ax... e chi era? Cosa faceva?”
“Non
lo
so... era all'incrocio e quando è scattato il verde ci siamo
persi
di vista”
“Beh...
sarebbe stato bello se tu avessi potuto aiutarlo, ma un passante
dubito che potrai rincontrarlo”
“Già...”
Axel incrociò le braccia dietro la nuca “Senti un
po'... ma credi
che questa cosa possa avere qualche utilità?”
“Assolutamente
sì! È questo il motivo per cui riesco sempre ad
essere ottimista...
sono sicuro che vedendo le mie azioni, Dio deciderà di
premiarmi
rimandando a casa mia sorella”
Il
rosso
lanciò un'occhiata in fondo alla stanza, dove si vedeva uno
scorcio
di cucina e adocchiò la madre dell'amico intenta a lavare i
piatti e
mettere a posto. La risposta era abbastanza ovvia, conoscendoli da
anni, ma Axel decise comunque di porre quella domanda “Dem,
tu
credi in Dio?”
Il
biondo
sorrise “Fratello... non bisogna domandarsi se noi crediamo
in Dio,
ma se Dio crede in noi”
L'altro
non
rispose, alzò lo sguardo al soffitto e si
soffermò a riflettere su
quel discorso.
Un
obbiettivo, eh?
Tutte
quelle erano stronzate, ma se lo avessero aiutato davvero a non
pensare più a Kairi e tutta quella faccenda allora un
pensierino ce
l'avrebbe fatto. Per il momento aveva già trovato un guadano
sicuro
con la macchina con cui stava lavorando assieme a Xigbar e Xaldin,
per il resto ci avrebbe pensato in seguito.
Il
giorno
dopo Axel ritornò dai suoi amici, e fece lo stesso il giorno
seguente, e anche quello dopo ancora fino alla fine del mese.
La
settimana dopo si presentò anche da Ansem. E quel giorno,
allo
stesso incrocio, alla stessa ora, rivide quel ragazzino biondo
vestito completamente di nero; e lo vide anche la settimana dopo, e
quella dopo ancora, e alla fine Axel si ritrovò a
presentarsi allo
studio di quello psicologo, di cui non gliene fregava di meno,
più
che altro per la mera curiosità di rincontrare ancora quel
ragazzo
strano di cui non sapeva niente, ma che, per qualche oscura ragione,
aveva catturato il suo interesse, solitamente scarno verso tutto
ciò
che non riguardasse la sua vita privata.
Il
suo non
era definibile neanche interesse ma curiosità
più che altro. Non provava il desiderio impellente di sapere
qualcosa in più su di lui, dopotutto quel ragazzo era un
estraneo,
però ogni settimana, alla stessa ora era sempre fermo a quel
semaforo in attesa di attraversare. Sicuramente dovevano avere in
comune qualcosa.
Per
passare
il tempo durante il suo tragitto da casa di Demyx allo studio di
Ansem, Axel si era ben presto ritrovato a domandarsi se anche quel
giorno il bimbo era lì come sempre, se fosse sempre vestito
di nero
e se avesse sempre nuovi lividi in faccia. Ormai quello sconosciuto
era diventata una piacevole consuetudine ma forse, Axel si
ritrovò a
pensare, non era tanto normale fantasticare su persone che non
conosci e che non hai interesse a conoscere.
Quel
giorno, appena arrivò all'incrocio, il ragazzino era sempre
lì in
attesa solo che questa volta non aveva lo sguardo perso nel vuoto ma
era incollato a un manifesto attaccato all'angolo dell'edificio.
Una
volta
scattato il verde, Axel riprese il suo cammino come sempre e
così
fece l'altro, andando nella direzione opposta. Il rosso si
voltò per
seguire con lo sguardo il biondino finché non
sparì dalla sua
visuale e poi con un cipiglio interrogativo andò a sbirciare
il
poster affisso, e inarcò le sopracciglia.
“Ooh”
Axel
richiuse il cofano anteriore dell'auto, si tolse i guanti da lavoro e
guardò Xaldin con una punta perplessità.
“Un
torneo di struggle?”
Xigbar
emise una risatina roca mentre rientrava nel garage con il cellulare
ancora tra le mani “Da quanto tempo non vado a vederne
uno”
Vedendolo
tornare, Xaldin alzò il naso da quella scatola di pezzi di
ricambio
che stava esaminando per scartare i pezzi che non funzionavano
“Allora che ha detto il tizio?”
L'altro
alzò il pollice e ammiccò “Domani verso
mezzogiorno, pagamento in
contanti. Allora che si diceva di questo torneo di struggle?”
Xaldin
scrollò le spalle e tornò alla sua precedente
occupazione “Domani
sera al capannone vicino al porto”
“Cazzo,
lì c'è roba forte, bello. Hanno trovato una bella
sistemazione”
Mentre
ascoltava il chiacchiericcio degli altri due, Axel aprì la
portiera
della macchina e si sedette al volante “Proprio oggi ho visto
un
poster per strada...” disse provando ad accendere il motore,
questo
però tossicchiò un paio di volte prima di
spegnersi “Ma che
cazzo”
Xigbar
posò
il cellulare in tasca, aprì il vano anteriore e
armeggiò un momento
prima di sporgersi verso Axel “Yo, Prova ora” il
rosso eseguì
“Dai un po' di gas” e dopo pochi secondi l'auto si
mise in moto.
“Tu
sei
un fottuto genio” il rosso rise e uscì dalla
vettura “Le tue
sono mani strappate alla meccanica”
L'uomo
sogghignò e sprofondò nel divano sfasciato
“Quindi domani sera ce
ne usciamo, uh?” fece rivoltò all'altro amico,
questi mise a posto
lo scatolo e andò alla ricerca della sua bottiglietta
d'acqua.
“Attorno
a questi tornei gira sempre la grana... roba clandestina e soldi
riciclati però c'è sicurezza di fare
profitto”
Axel
fischiò stupito “Hai intenzione di
scommettere?”
“Ho
un
amico in quel giro, lui saprebbe chi raccomandarci”
“Ma
sarà
sicuro?”
“Ormai
scommettere sulle corse di auto modificate sta diventando
monotono”
commentò Xigbar sottintendendo l'approvazione alla proposta
di
Xaldin “E ora che ci intascheremo anche il guadagno di questo
gioiellino potremo farlo senza problemi”
♦----------♦----------♦
Proseguendo
sempre a sud ai margini della città sorgeva la zona
industriale,
dove lo stato di degrado e abbandono era talmente evidente che pareva
che Dio si fosse dimenticato della
sua esistenza. Ovunque vi erano edifici diroccati e abbandonati, erba
incolta e il manto stradale era dissestato in più punti per
questo
motivo molteplici erano le pozze di fango a seguito di un temporale,
proprio come in quel momento.
Era
il
crepuscolo quando Roxas, accompagnato da Hayner, si incontrò
con
Pence e Olette. I due ragazzi erano seduti su un muretto basso e
quando li videro arrivare, Olette scattò subito in piedi e
andò
loro incontro, agitando la mano per aria.
“Hayner,
Roxas!”
Olette
era
una ragazza molto dolce e tranquilla, con dei capelli color
cioccolato acconciati in maniera che solo le ciocche anteriori le
ricadessero sulle spalle. Anche se non sembrava, Olette era la
sorella minore di Hayner - lei era molto più fine e dedita
allo
studio rispetto al fratello – e di tanto in tanto il suo
cuore
batteva per Roxas.
“Yo
ce ne
avete messo di tempo” li salutò Pence una volta
che gli altri si
furono avvicinati.
Hayner
prese per mano il ragazzo e si diedero a vicenda una pacca sulla
schiena a mo' di saluto, Roxas invece si limitò a un cenno
del capo
rivolto a entrambi.
“Yo
bro,
lo so ma oggi Rox stava moscio” esclamò il biondo
sedendosi
anch'egli sul muretto “Dice che gli formicola il fantasma.
Come
cazzo fa a dar fastidio un fantasma io proprio non so”
“Piantala”
mormorò il ragazzo in questione affondando il più
possibile le
braccia nelle tasche dell'ennesima felpa nera. Si appoggiò
con la
schiena al muro, socchiuse gli occhi e lasciò il capo
ciondolare in
avanti “È così e basta”
Pence
guardò prima Olette e Poi Hayner e poi fece spallucce.
Pence
era
un coetaneo di Roxas e compagno di classe di Olette, o almeno poteva
dirsi tale fino a quando la scuola era stata ancora in piedi. Era un
tipo sveglio e abbastanza in carne, e, anche se bianco, aveva la
stoffa del rapper. Non erano rare infatti le sue esibizioni nei
locali. C'era una sola cosa che si poteva dire a suo vantaggio e
cioè
che, anche se era uno dei pochi bianchi che si permetteva di sfidare
i neri nella loro arte, quando rappava faceva il culo a tutti quanti.
“Allora
dove tieni l'erba?” cambiò discorso Hayner,
rivolto a Pence e
questo tirò fuori da una tasca della giacca leggera una
canna.
L'altro afferrò l'accendino dalla tasca dei suoi jeans e se
l'accese
senza tante cerimonie. Olette storse il naso ma non disse nulla, lei
non era d'accordo che suo fratello fumasse quella roba ma
più di
tanto non poteva fare.
Roxas
ignorò il chiacchiericcio degli amici, il suo sguardo si
posò sul
fiume di persone che stava camminando in in direzione di uno dei
tanti capannoni. Dai suoi occhi non traspariva alcuna emozione.
“Quindi
quello sarebbe il posto?” domandò alla fine
alzando un po' il
capo.
“Non
sembra più tanto abbandonato” Hayner rise facendo
un tiro.
“Ragazzi
avete idea di quanti palazzi abbandonati abbiamo qui?” fece
Pence a
quel punto mettendosi in piedi e affiancando il biondo vestito di
nero “Come si può essere fieri del proprio
quartiere con certe
merde intorno?...pensate che prima o poi li facciano abbattere? No,
quelli sono troppo presi a spremere soldi al popolo”
“Piantala
di fare il predicatore, tanto non se ne frega nessuno” Hayner
fu il
primo a rispondere con tono del tutto disinteressato, il suo sguardo
era fisso sulla stecca che si rigirava tra il pollice e l'indice, ma
subito si intromise un'Olette molto più impensierita.
“E
che mi
dici di quella bambina stuprata da quel tossico? Secondo te sarebbe
successo se non ci fossero state queste catapecchie
abbandonate?”
“L'hanno
preso però”
“Infatti
è per questo che gira ancora a piede libero...” fu
il commento
sarcastico di Roxas. Il ragazzo si staccò dal muro e prese a
camminare nella stessa direzione della folla “Dai
sbrighiamoci,
altrimenti si farà tardi”
Il
caos
regnava sovrano quando Axel, accompagnato dai suoi amici, mise piede
per la prima volta all'interno del capannone. C'erano così
tante
persone che erano tutti stipati come sardine e quasi non si riusciva
a camminare, non aveva mai visto così tanta gente neanche
per una
partita allo stadio. Al centro dell'enorme ambiente c'era un ring
soprelevato abbastanza ampio sul quale due uomini si stavano
fronteggiando e scontrando, entrambi muniti di una specie di mazza da
baseball, e al lato vi era un arbitro che commentava con foga ogni
movimento.
Improvvisamente
si ritrovò strattonato per un braccio e finì
addossato alla parete
dell'edificio, vicino a lui Xaldin aveva preso a conversare
allegramente con un tizio seduto su una sedia in compagnia di una
ragazza bionda e un'espressione piuttosto astiosa.
“Bella,
Mar, quanto tempo non ti vedevo” esclamò Xigbar
avvicinandosi ai
sopracitati.
“Che
cazzo ci fate qua? Pensavo che foste tutti in galera, pezzi di merda
che non siete altro, dico io che vi costa farvi vedere di tanto in
tanto?”
Il
rosso
aggrottò la fronte quando notò che l'uomo che
stava parlando aveva
i capelli rosa. Rosa?
Sperava vivamente per lui che avesse preso per errore la tinta della
sorella.
“Allora
siete qui per puntare su qualcuno?”
“C'è'
qualcosa di interessante?”
L'uomo
dai
capelli rosa, identificato come Mar,
incrociò le gambe in maniera piuttosto elegante e poi fece
un cenno
del capo “Lo vedete quel gruppetto di bimbi
laggiù?”
Tutti
noi
ci voltammo e lo seguimmo con gli sguardi nei pressi dei piedi del
palco dove c'era un ragazzetto biondo che aveva appena poggiato un
braccio sulle spalle di un altro ragazzino di spalle e gli parlava
freneticamente.
“Quel
moccioso con la felpa nera?” domandò Xigbar con
una nota di
scetticismo nella voce.
“Esattamente”
“Perché
mai dovrei puntare i miei verdoni su un lattante?”
Mar
accennò
un sorrisetto di scherno “Il mio suggerimento è
lui, se non lo
accetti fai quello che vuoi”
“Aspetta
un po'... come potrebbe avere delle speranze lui contro tutti quei
bestioni che gareggiano? È uno scherzo?”
“Adesso
vedrai, sta salendo sul ring”
Axel
rimase
in silenzio ma aguzzò la vista – si
ritrovò a ringraziare per una
volta la sua altezza fin troppo sviluppata, altrimenti non avrebbe
visto assolutamente nulla. Proprio in quel momento l'arbitro stava
chiamando i due nuovi concorrenti: Setzer, un uomo sulla trentina con
i capelli lunghi e decolorati, quando salì lui sul ring la
folla
iniziò a urlare ed esultare. L'uomo salutò la
folla e si muoveva
sul palco come se fosse una celebrità, sicuramente lui
doveva essere
il favorito. E poi subito dopo, salì Roxas, uno dei due
ragazzetti
che avevamo visto una manciata di secondi prima. Questo si
sfilò la
pesante felpa e rivelò una corporatura piuttosto mingherlina
per
quella di un adolescente, indossava una canotta sbracciata, anch'essa
nera come la felpa, e un pantalone nero leggermente più
largo forse
per permettergli una migliore libertà di movimento.
Quando
il
ragazzino si voltò verso la folla, Axel non
riuscì a trattenere
un'esclamazione di puro stupore.
“Che
ti
piglia, Ax?” fece Xaldin incrociando le braccia.
“È
il
ragazzo del bivio!” esclamò questi indicando con
un dito il
ragazzino.
“Che?”
“Il
ragazzo del bivio... quel tipo lo vedo tutte le settimane
all'incrocio che divide il settore est con quello ovest”
mugugnò
sbalordito. Come aveva fatto a non riconoscerlo prima?”
“Lo
conosci?”
“Eh?
No,
no... solo di vista”
“Fattelo
dire, amico” si intromise l'uomo dai capelli rosa con una
risatina
leggera “Adesso lo vedi qui nei bassifondi nei tornei
clandestini,
ma sono sicuro che tempo qualche anno e ci ricorderemo tutti il suo
nome”
“Roxas
eh? Chissà che ha di tanto speciale”
commentò scettico
incrociando anch'egli le braccia al petto e si voltò verso
lo
scontro ormai iniziato.
I
due
concorrenti inizialmente si erano studiati da lontano, ognuno dalla
propria parte del campo ma poi Roxas si era fatto avanti e aveva
iniziato a scagliare una serie di colpi verso Setzer, il quale
riuscì
a schivarne abilmente una gran parte. Questi parve tenersi di
più
sulla difensiva e quando i colpi sembravano diventare sempre
più
radi, contrattaccò e mandò il biondo a terra, e
tutte le sfere
azzurre che aveva nella sua sacca si riversarono sul suolo.
Ecco
come si procurava tutti quei lividi allora,
constatò Axel. Quel round era perso, ormai il ragazzino
aveva i
minuti contati, mancava solo l'ultimo colpo e sarebbe stato finito, e
invece rotolò sorprendentemente su un fianco e
riuscì a schivare
l'attacco. Balzò in piedi e si fiondò
sull'avversario, iniziò così
una lunga sequela di veloci attacchi e nel giro di pochi minuti
riuscì a disarmarlo, il bastone di Setzer era volato
dall'altra
parte del campo. L'uomo però non si diede per vinto, strinse
i pugni
davanti a sé e digrignò i denti.
“Il
bello
dei tornei di struggle clandestini è che puoi proteggere la
sacca
con le tue sfere anche a mani nude” chiarificò
Xigbar con una
risata “Adesso viene il bello”
Axel
inarcò
un sopracciglio interrogativo
e
tornò a guardare il match, anche Roxas adesso aveva lasciato
andare
la sua maglia e attendeva il suo avversario fare la prima mossa.
“Le
sfere di Roxas però sono cadute, non avrebbe già
perso?” domandò
il rosso e l'altro scosse il capo.
“Ti
pare che Setzer le abbia raccolte? Quando giochi a struggle, in
questi tornei più interessanti,
le sfere sono la cosa meno importante... quello che ci interessa a
noi è lo scontro fisico. È raccomandabile
stendere il tuo
avversario prima di raccogliere le sfere”
Più
che scettico, il rosso si riconcentrò sullo scontro. Era
ovvio chi
avesse la partita in pugno, tutte le sfere del biondo erano
già a
terra e inoltre lui era penalizzato anche fisicamente perché
era
molto più piccolo e basso. Eppure quando Roxas
scattò e sferrò un
colpo a sorpresa Axel rimase impressionato dalla sua
velocità, e lo
stesso valse per Setzer che era stato colto di sorpresa. Roxas
sfruttò quel momento per sferrare una lunga serie di
attacchi
alternando braccia e gambe.
Sicuramente
la velocità era la sua prerogativa, ma la forza con cui
riusciva a
colpire con una tale forza da mettere in ginocchio un uomo di quella
stazza era indice di un'incredibile maestria. Axel non ci mise molto
a capire che erano le gambe il punto di forza del ragazzino e in quel
momento dovette dare ragione a quel Mar, il biondino sapeva il fatto
suo.
Roxas
non ci mise molto a stendere Setzer, raccogliendo la sua sacca
contenente tutte le sfere rosse prima che l'arbitro dichiarasse il
k.o.
Il
capannone si riempì di urla concitate di assensi e dissensi,
ma poco
importava perché tutto quello che interessava ad Axel in
quel
momento era di uscire da quell'edificio e andare a prendere una
boccata d'aria altrimenti era sicuro che sarebbe morto asfissiato
lì
dentro. Avvisò gli altri e iniziò a camminare a
tentoni in cerca
dell'uscita, a metà strada vide nella folla un paio di
uomini che
stavano iniziando a creare disordini gridando e spintonando la gente,
e questa fu una buona motivazione per avanzare il passo e uscire di
lì.
Quando
Roxas scese dal ring, con la sacca di Setzer ancora tra le mani,
venne accolto come sempre dall’abbraccio caloroso di Hayner
che gli
si era letteralmente lanciato addosso e per poco i due non si
ritrovarono a terra.
“Porca
puttana, fratello, sei stato fenomenale!”esclamò
il più grande
con la voce intrisa di entusiasmo. Roxas abbozzò un sorriso
imbarazzato e si girò verso gli altri amici che gli erano
andati in
contro per complimentarsi con lui.
“Lo
sapevo che ce l'avresti fatta” disse Pence dandogli un colpo
sulla
spalla e poi gli passò un asciugamano per asciugarsi il
sudore.
Ancora
preso dalla foga, Hayner si voltò verso la folla in tumulto
e gridò
“Questo è il mio amico, stronzi. Questo pezzo di
merda l'ho
allenato io!”
Gli
altri tre non poterono trattenere un sorrisetto e poi portarono il
biondo che aveva appena gareggiato su una sedia nelle retrovie
dell'edificio per fargli riprendere aria. La prima cosa che Roxas
fece, prima ancora di sedersi, fu andare alla ricerca della borsa
frigo e si prese una lattina di té verde che aprì
e iniziò a bere
lentamente, perché ghiacciata, nonostante il caldo e la
sete. Lanciò
un'occhiata a un altro ragazzo nell'angolo più remoto della
stanza
che si stava riscaldando in vista di un prossimo round, Olette e
Pence invece stavano parlando fuori la porta con un uomo –
probabilmente riguardo alle somme delle scommesse.
Hayner
fu invece il secondo ad entrare, subito dopo l'altro biondo, e appena
lo vide con la lattina in mano storse il naso e si lasciò
cadere su
una panca di legno “Ma che cazzo, Rox, e bevitela 'na
birra”
Roxas
lo perforò con lo sguardo, il suo tono era serio come sempre
“Sai
che non bevo quella merda”
“Sai
che non bevo quella merda gne gne gne” gli fece il verso
l'altro e
andò a prendersi una lattina, ma prima di aprirla lesse
l'etichetta
“Czechvar...ma chi compra sta merda da quattro soldi?
È troppo
chiedere almeno una Budweiser?”
“Piantala”
sospirò Roxas “Dovresti ringraziarmi che
così ne rimane di più
per te”
“E
io ti ringrazio” rispose il più grande aprendo la
lattina e poi
puntò lo sguardo sull'amico “Ma voglio che impari
anche tu a
goderti le cose, cazzo. Cresci un po', diventa un uomo e piantala di
bere solo quella merda altrimenti un giorno finirai per pisciare
té”
Roxas
corrucciò la fronte “Preferisco pisciare
té piuttosto che birra.
Te l'ho detto, non voglio un briciolo di alcol nel mio corpo e tu lo
sai!”
“Finiscila
con queste stronzate, è un modo di aggregazione e poi un po'
di
alcol non ha mai ucciso nessuno. Sai cosa significa bere
in compagnia? Ops forse no
perché tu non sai neanche che significa goderti la
vita-” Hayner
aveva preso a ridere sarcasticamente mentre parlava ma poi quando si
era accorto del passo falso si bloccò immediatamente e
impallidì.
Per
Roxas quelle parole furono più affilate di un coltello
conficcatogli nello stomaco e ci mise qualche secondo per racimolare
la forza di alzarsi di nuovo in piedi. I suoi pugni erano serrati e
la mascella tremava mentre pronunciava le parole con voce intrisa di
dolore“Vaffanculo Hayner”
Forse
non lo dava a vedere abbastanza perché si comportava sempre
in
maniera fredda e distaccata, però quella situazione in cui
viveva
gli pesava non poco. E in quel caso non si riferiva solamente alla
sua condizione personale ma anche a tutti i problemi con suo padre e
alla vita in generale. Spesso e volentieri ci scherzava anche lui
stesso sopra, ma sentirsi dire delle cose del genere da una persona
come Hayner faceva male.
“Cos-
no aspetta, Rox... stavo scherzando, scusami! Giuro che non ci ho
pensato” si affrettò subito a dire Hayner. Il
biondo si alzò di
scatto e andò ad afferrare il braccio dell'altro, ma Roxas
si
divincolò violentemente
“Lasciami
stare, non voglio sentire le tue scuse del cazzo... lasciami
stare”
Proprio
in quel momento, la loro discussione fu interrotta dall'arrivo di
Olette e Pence che stavano portando in mano tutta la loro roba.
“Ehi
che succede qui?” chiese la ragazza con espressione stupita,
vedendo la faccia incazzata di Roxas.
“Dì
a quel cazzone di tuo fratello di lasciarmi in pace e di andarsene a
fanculo”
“Dove
vuoi andare Rox?” subentrò subito Pence, mettendo
a terra uno
zaino.
“Vado
a prendere un po' d'aria e a ripetermi un migliaio di volte di non
saltare addosso a quello stronzo e ucciderlo con le miei mani
perché
non ne vale la pena”
“Oh
stronzo a chi? Mi sono scusato, ti ho detto che non ci ho
pensato...”
Hayner prese ad alzare la voce dopo l'accusa dell'amico e fece per
afferrarlo di nuovo ma Olette si frappose tra i due e lasciò
andare
Roxas, che si avvicinò a Pence e gli strappò
dalle mani la sua
felpa che gli stava ancora reggendo da prima dell'incontro.
“La
prossima volta allora pensaci prima di sparare cazzate... non
è la
prima volta che lo fai!” ribadì il biondo,
voltandosi per un
ultima volta verso Hayner e gli altri, prima di uscire dalla
sgangherata porta di servizio.
“Cerca
di tornare presto, tra non molto tocca a te!” fu il grido che
Pence
tentò di lanciargli ma fu vano perché l'altro era
già scomparso.
A
quel punto Hayner mise le mani conserte e sbuffò sonoramente
mentre
tornava a sedersi, la sua birra era stata abbandonata e dimenticata
sulla panca “È sempre così
permaloso”
Sua
sorella gli lanciò un'occhiataccia.
“E
tu sei una testa di cazzo, bro” rimbeccò iniziando
a sistemare le
loro cose.
“Yo,
Xig, allora che te ne pare del ragazzino?” proruppe l'uomo
dai
capelli rosa, intento a contare una mazzetta di banconote. Xigbar si
avvicinò immediatamente a lui con l'occhio spalancato.
“Quello
era un mostro. Da dove è uscito?”
“Ho
sentito che viene dalla zona est ma non ne sono sicuro”
“Siamo
ancora in tempo per fare una puntata?” si intromise Xaldin
mentre
frugava tra le tasche “Stanotte dovrebbe disputare almeno un
altro
round”
“A
vostra disposizione” cinguettò Mar con voce
gioiosa.
D'improvviso
delle grida intrise d'ira sovrastarono quelle di consueta eccitazione
degli spettatori e i tre scorsero un tizio, seguito da altri, che
aveva appena steso un altro paio di uomini.
“Oh,
eccoli là!” grido uno di quelli e subito si
voltarono verso di
loro.
Xigbar
e Xaldin li riconobbero all'istante e imprecarono sottovoce.
Quando
Roxas uscì dall'edificio si sentì pervadere da
uno strano senso di
libertà che quel capannone claustrofobico aveva provveduto
brutalmente a estirpargli una volta che aveva messo piede al suo
interno. La luna era alta e finalmente il cielo si stava rischiarando
di tutti quei nuvoloni che avevano dominato il cielo durante il corso
della giornata.
Nei
giorni di pioggia Roxas si sentiva una vera schifezza. Nonostante
fossero passati ormai tanti anni, durante quelle giornate il suo
fantasma tornava sempre a fargli una dolorosa visitina. Non che non
lo avvertisse mai, ma in quelle occasioni si sentiva più
sensibile
che mai.
Fuori
dal capannone non c'era nessuno, ad eccezione di tre uomini stipati
all'angolo di un edificio lì vicino che con molta
probabilità
stavano assumendo delle sostante, tutto fuorché benigne, e
poi c'era
un altro ragazzo piuttosto alto e smunto che stava fumando
beatamente.
Un
passo falso e Roxas abbassò lo sguardo al suolo.
“Ma
vaffanculo, pure il fango ci voleva”
Dato
che non stava guardando la strada sotto di sé era finito in
pieno in
una pozzanghera e si era sporcato le scarpe.
“Merda,
sono proprio un genio” bofonchiò scendendo dal
marciapiede e
andando a mettersi in un punto di strada meno dissestata.
Quelle
esclamazioni pronunciate con così tanta enfasi catturarono
quasi
subito l'attenzione di Axel, che nel mentre si era fermato in un
punto poco lontano dall'edificio per fumare in tutta libertà
e aveva
lo sguardo puntato sul porto illuminato in lontananza. Questi
voltò
il capo e notò il ragazzino biondo che aveva visto poco
prima dare
il meglio di sé sul ring.
Inizialmente
inarcò un sopracciglio ma poi proruppe con una leggera
risatina e si
avvicinò all'estraneo.
“Cazzo
vuoi?” borbottò Roxas sulla difensiva, vedendo che
l'uomo che
stava fumando più in là aveva iniziato ad
avvicinarsi verso di lui.
Roxas si era inginocchiato e quando questi gli fu davanti fu
costretto ad alzare il capo.
“Io
niente. Piuttosto tu vuoi un fazzolettino per pulirti?”Axel
ridacchiò e gli porse un pacchetto di tovagliolini. Il
biondo
squadrò per un lungo momento prima l'uomo davanti a
sé e poi i
fazzolettini e infine, dopo un lungo dibattito mentale, lo
afferrò
malamente e iniziò a pulirsi alla meglio il pantalone e la
scarpa.
Axel
piegò le labbra in un sorrisetto divertito e fu
lì per ricordargli
che un grazie non gli avrebbe fatto schifo, ma evitò.
“Ho
sentito dire che sei un lottatore cazzuto” disse invece di
punto in
bianco mentre scrutava attentamente l' estrema cura con cui si puliva
l'altro.
Roxas
alzò si nuovo il naso verso l'estraneo e lo studio
attentamente, poi
si alzò e buttò a terra il fazzolettino
– dopotutto si trovavano
in una discarica a cielo aperto, un tovagliolino non avrebbe fatto
del male al mondo.
“Chi
ha detto che sono un lottatore cazzuto?” domandò
con cinismo e ,
mettendo le mani nelle tasche, riprese poi a camminare lentamente
senza una direzione precisa in mente. Axel lo segui e fece spallucce
“Un po' di gente”
Roxas
assorbì la risposta ricevuta e poi alzò lo
sguardo al cielo senza
stelle “E tu sei un tipo che non se la fa tra i tornei di
struggle”
“Chi
te l'ha detto?”
“La
tua faccia”
“Oh...
e che direbbe in più la mia faccia?”
Il
biondo accennò un sorrisetto ironico “Che il tempo
di attesa del
semaforo al bivio è troppo lunga”
“Allora
mi hai riconosciuto?” ridacchiò Axel mettendo
anche lui le mani
nelle tasche del pantalone.
“Ci
credo, stai sempre lì con un'aria da adolescente in
crisi”
“Ohi
non offendere la mia faccia... sai che mi dice invece la tua?”
“No,
voglio saperlo...”
Proprio
in quel momento però il cellulare di Axel iniziò
a suonare e il
rosso gli fece gesto di attendere un secondo. Lesse sul display il
nome di Xigbar e rispose “Oh Xig, che-”
“Axel
leva le tende, gli scagnozzi del tipo di oggi sono venuti qui per
farci il culo!” in sottofondo c'era un casino allucinante ma
Axel
riuscì comunque a capire per sommi capi cosa stava urlando
l'amico
dall'altra parte del ricevitore.
“Cos-
perché mai?”
“Il
tipo dev'essersi accorto che ho messo del mastice attorno al
bocchettone e-”
“Che
cazzo hai fatto? Ma sei pazzo?”
“Ora
non ho tempo per spiegarti, io e Xaldin siamo andati via dall'uscita
posteriore, c'era la macchina di Mar”
“Ricevuto,
io prendo la mia” esclamò attaccando e si
schiaffò una mano in
fronte, se lo sentiva che le cose con quei due non sarebbero mai
andate lisce.
“Che
ti prende?” domandò Roxas, per circostanza
più che per curiosità.
“Senti,
ragazzo, mi ha fatto piacere parlare con te
però....” non finì la
sua frase che un rumore di una moto avvicinarsi sempre di
più alla
strada principale sulla quale si erano fermati a parlare lui e Roxas.
Il rumore diventò sempre più potente e il rosso
capì ben presto
che si trattavano di due moto e non di una. C'erano degli uomini in
sella che urlavano febbrilmente e gesticolavano animatamente, rivolti
sicuramente a qualcuno o qualcosa dai quali erano appena scampati dal
vicolo dal quale stavano fuggendo a gran velocità. Uno dei
secondi
passeggeri imbracciava un kalashnikov
e sparava all'impazzata dietro di sé, mentre il guidatore
gli urlava
qualcosa.
Improvvisamente
gli uomini notarono i due ragazzi per strada e parvero riconoscere
Axel.
“È
quello là, il più alto!”
gridò uno di loro. Il tizio col fucile
si sporse sulla sella e adocchiò i due.
Immediatamente
Axel, senza aprir bocca, prese per mano Roxas e iniziò a
correre più
veloce che poté.
“Cazzo...che
succede qui?” fece il biondo mentre cercava di rimanere al
passo
dell'altro, se non più veloce. Solitamente non si sarebbe
fatto
molti problemi, ma dopo una battaglia di struggle gambe e braccia
iniziavano a essere intorpidite e non riusciva ad essere più
veloce
come prima, soprattutto con quel tempo umido e piovigginoso la sua
gamba sinistra sembrava volergli dare più problemi che altro.
“Te
lo spiegherò quando saremo al sicuro” fu l'unica
risposta che gli
diede Axel.
Tutto
quello che dovevano fare loro era raggiungere la macchina e
allontanarsi il prima possibile sia da quei pazzi che da quel luogo.
Sicuramente a breve sarebbero arrivati gli sbirri, a giudicare da
come fuggivano veloci quegli scagnozzi.
Axel
lanciò un'occhiata dietro di sé e il mondo
andò per un istante a
rallentatore.
I
tizi in moto li stavano raggiungendo, quello col kalashnikov stava
prendendo la mira per sparare, gli occhi di Roxas che incespicava
dietro di sé erano intrisi di terrore ma erano vivi rispetto
a come
li aveva sempre visti. La macchina era sempre più vicina,
solo pochi
passi e sarebbero stati salvi.
E
poi ci fu lo sparo.
Bang.
Vi
siete mai domandati quanto possa succedere in un istante?
In
un
istante si può nascere e morire, si può amare e
odiare. Si più
perdere tutto o si può diventare un eroe. Si possono
prendere
decisioni che possono cambiarti la vita, migliorartela o rovinartela.
E poi ci sono quelle fatalità che te la stravolgono.
Si
dice che ci sono istanti nella vita in cui cambia tutto. Istanti in
cui succede qualcosa che modifica radicalmente tutto quello che
è
esistito fino all'attimo che li ha preceduti.
Quando
Axel riaprì gli occhi si era ritrovato al suolo in mezzo
alle
erbacce e alle sterpaglie, la testa gli pulsava nel punto in cui
aveva colpito terra ma a parte quel pungente dolore alla tempia non
sentiva nient'altro o almeno questa era la sua impressione.
Non
sentiva alcun buco o corpo estraneo nel suo corpo, così dopo
un
secondo per riprendersi si mise a sedere e rimise a fuoco la vista.
Accanto a lui, Roxas era accovacciato su un lato e si esaminava la
gamba sinistra con estrema parsimonia.
Il
rosso sgranò gli occhi e per un secondo il mondo
sembrò congelarsi.
“Roxas...
la tua gamba” farfugliò preso dall'ansia,
gattonò verso
l'adolescente e notò un buco che perforava la stoffa del suo
pantalone. I suoi movimenti erano incerti e tremanti mentre cercava
di afferrare la coscia dell'altro. Ormai la sua mente non faceva
altro che gridargli di sbrigarsi, Roxas
si è preso la pallottola che era destinata a te.
“Devo...devo
portarti in ospedale”
Il
biondo per la prima volta alzò lo sguardo verso il ragazzo
dai
capelli fiammeggianti e lo guardò con i suoi occhi blu,
più freddi
del profondo oceano. Nessuna emozione trasparì dal suo
volto,
l'unico accenno di stanchezza era il respiro accelerato dovuto alla
corsa, ma a parte quello nient'altro. Sembrava essere diventato
improvvisamente una bambola di ceramica, fredda ed eterea.
Axel
provò a chiamarlo un'altra volta, dal momento che l'altro
non gli
aveva mostrato ancora alcun cenno, ma alla fine Roxas piegò
le
labbra in un mezzo sorrisetto e la risata che uscì dalle sue
labbra
gli raggelò le vene. Il biondo con le mani prese a tirarsi
su la
stoffa del pantalone e gli mostrò la gamba, una bagliore
grottesco
che ora animava la sua voce sconcertò non poco il
più grande.
“Ti
pare che con una gamba in titanio io abbia bisogno di un
dottore?”
Si
dice che l'istante occupa un minuscolo spazio fra la speranza e il
rimpianto.
Lo
spazio della vita.
Hai
il coraggio di vivere senza preoccupazioni?
Hai
il coraggio di vivere credendo ancora in qualcosa?
Hai il coraggio
di andare sempre avanti e superare tutti gli ostacoli?
Hai
il coraggio di chiudere gli occhi e sperare in una nuova
realtà?
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Ehilà!
Da quant'è che non pubblicavo niente? Una decina di giorni?
Purtroppo sono fatta così, o svanisco per mesi o sono sempre
presente e pubblico mille cose alla volta. Vi aspettavate questa nuova
storia? No? Neanche io.
Prima di tutto complimenti a tutti quelli che hanno avuto lo stomaco di
ferro di arrivare fin qua giù, seconda cosa non ho idea di
che pieghe potrà prendere la storia quindi il rating
potrà cambiare di conseguenza.
Il titolo della storia, così come i sottotitoli, hanno un
doppio significato ossia immediato e metaforico.
Crossroads
significa incrocio, bivio; ma ho scelto di abbinare anche la traduzione
di 'bivio' perché in questo contesto sta a significare non
solo il luogo in cui si incrociano le vite di Axel e Roxas, ma anche il
fatto che metaforicamente indica la scelta di una strada da
intraprendere.
Che dire, penso che 21 pagine di storia non abbiano bisogno di una
spiegazione no? xD Ovviamente i background di Axel e Roxas verranno
chiarificati in seguito.
Prima di lasciarci vorrei ringraziare Kronohunter25
perché senza di lui questa storia non avrebbe mai preso
vita, mi ha seguito passo passo dagli albori della prima riga, e alla
fine sempre lui mi ha dato l'ok per la pubblicazione. Quindi grazie per
tutto il lavoro che fai vicino alle mie storie ogni volta :3
In ultimo ringrazio tutti quelli che leggeranno questo primo capitolo e
vi prego, lasciate un segno... potete anche dirmi "fai schifo, non sai
scrivere, torna a studiare", mi va bene pure questo però per
piacere non mettete solo la storia tra le seguite come molti di voi
sono soliti fare. Datemi un parere anche perché è
proprio da voi che dipenderà se ci sarà un
secondo capitolo o no.
Riguardo agli aggiornamenti, rispetto la volontà di chi mi
ha risposto in Summer Paradise e quindi il prossimo capitolo
sarà su One Day.
Au revoir.
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