Profumo di libertà
Profumo di libertà
La miriade di
sensazioni umane, l’intelletto, la ragione, la coscienza.
Improvvisamente svaniscono, e l’istinto prende il sopravvento. Le mille
e più sfaccettature dell’animo umano ritornano allo stato primordiale,
il complesso meccanismo che ci rende capaci di intendere e di volere si
dilegua, così come nacque, a suo tempo.
Antiche
cicatrici cedono, cupe ferite si riaprono.
Una tenue luce illuminava
debolmente l’interno di un locale angusto e polveroso, schiarendolo con
delicatezza.
Sedie rovesciate, porte divelte,
mobili distrutti, solitudine, desolazione.
Così aliena, seducente, triste,
misteriosa, tranquillizzante e romantica, mai la Luna avrebbe scoperto
quanta sofferenza sarebbe stata in grado di infliggere, semplicemente
splendendo, al massimo della sua luminosità, nel mezzo dell’infinito
firmamento.
Lunastorta abbaiò violentemente, lo
sguardo spietato, il muso allungato, le gambe sottili e allungate, il
corpo ricoperto da ispidi peli bruni.
Poi colse accanto a sé la loro
presenza. Si calmò, controllando la sua irruenza e guardando dritto
negli occhi il cane nero che ricambiava, docile e cordiale.
Il suo amico. Uno dei suoi amici.
Nessun Lupo Mannaro ne aveva. Nessuno, tranne lui, ovviamente. Il più
fortunato di tutti.
Accoccolato tra le orecchie
sollevate dell’animale che, per definizione, è il migliore amico
dell’uomo, un topo pingue con gli occhietti acquosi vagamente impauriti
si stava a mano a mano tranquillizzando, mentre il Lupo si acclimatava
nuovamente alla loro preziosa presenza.
Sovrastandolo da sotto un imponente
palco di corna, due intensi occhi nocciola si muovevano vivaci, come
ansiosi di cominciare a giocare, sciogliendo i muscoli del corpo forte
e snello.
Eccoli là, loro tre. Chiunque
fossero, da qualsiasi luogo giungessero, ogni volta erano lì, senza
pretese, senza domande, a sua disposizione; sempre così spontanei, ma
senza esigere in cambio alcunché. E sarebbe stato loro eternamente
riconoscente, poichè erano gli unici che lo sostenevano, che lo avevano
aiutato, che lo accompagnavano, placando la sua ira distruttrice.
Era grazie a loro che riusciva a
controllarsi, per merito di quei tre che i suoi ululati non si udivano
più, sostituiti da quei rumori artificiali, originati da chissà quale
astruso miracolo.
Era passato molto tempo dalla prima
volta in cui gli erano apparsi, timidi e timorosi.
Si erano studiati con
circospezione, annusati con curiosità, avvicinati con cautela. Erano
stati all’inizio vicini silenziosi, quindi amici nel gioco, ed infine,
quando dopo svariati incontri lo avevano condotto fuori da quella sua
malvagia prigione, compagni nella corsa. Una magnifica, liberatoria,
entusiasmante corsa. Avevano scorazzato silenziosi per i verdi e
freschi prati, imperlati di piccole gocce di rugiada notturna, che
riflettevano la bianca luce lunare, si erano avventurati nella Foresta
impervia, avevano ululato insieme nella campagna sconfinata.
Forse chiunque altro avrebbe
pensato di essere stato messo in disparte, là, seduto sul lungo pelo
nero che copriva la fronte di Felpato. Eppure Codaliscia, al contrario,
si sentiva protetto e partecipe, coinvolto dai suoi amici in quel
pericoloso gioco perché, in fondo, solo così riusciva a stare alle
calcagna dello scattante cervo, del cane atletico, del rapido lupo. Gli
bastava poter essere là con loro, ospitato in quella corsa che solo in
quattro al mondo potevano assaporare. Così, fra di essi, all’apice
della spensieratezza, si sentiva membro di quella buffa, ma quanto mai
affiatata, piccola famiglia.
Di quelle notti all’insegna del
rischio, Ramoso cercava sempre di cogliere ogni istante, ciascun
magnifico momento. Quando i Malandrini, una volta al mese, tornavano a
scorrazzare di nascosto, tutte le preoccupazioni gli scivolavano rapide
e veloci giù per le spalle possenti, lasciandolo privo di problemi,
ospite di quella natura lieta che da sempre li accoglieva come parte
integrante del proprio habitat.
C’era solo una cosa che gli
regalava le stesse seducenti sensazioni: il volo, con quella morsa che
gli coglieva lo stomaco ogni volta che con abilità si librava da terra
solcando l’aria, sorvolando tutto il mondo, allontanandolo da ogni
pensiero, avvolgendolo in una libidine unica.
E mentre osservava quel Lupo, dalla
natura quanto mai feroce, facilmente domato solamente grazie alla forza
della loro presenza, si sentiva onorato che gli fosse stata concessa la
fortuna di incontrare amici come loro, i fratelli che mai aveva avuto,
e che, finalmente, gli erano stati regalati.
Felpato adorava quella sensazione.
Passo dopo passo, leggero nonostante la mole, correva spedito affianco
a Lunastorta, un fratello per lui, sia come cane, sia come uomo. Ed
ogni volta che con grazia posava il piede per darsi un nuovo slancio,
sentiva sotto le zampe la terra compatta, i sassolini solitari, i
formicai addormentati e la brina fredda, che gli inumidiva le dita
solleticandole dolcemente.
Senza guardarsi indietro, procedeva
instancabile, il vento sferzante che gli rinfrescava il muso,
rinvigorendolo col suo soffio vitale. Il topolino zompettante gli
sfrugugliava la testa, facendolo sorridere, mentre la sua lingua rosea
ballava, abbandonata fuori dalla bocca.
Quando correva, gustava con goduria
quella sensazione gentile dell’aria che gli accarezzava la pelle,
scompigliandogli il pelo con fare giocoso. Sentiva il sangue pulsargli
nelle vene, rinforzandolo; si concedeva il lusso di muovere la coda con
allegria, abbaiando in un sussurro, esprimendo uggiolii di gioia.
La sua pelle rinfrescata gli dava
una sensazione di benessere che difficilmente era riuscito a percepire
altrove e mentre i suoi amici, le persone migliori sulla faccia
dell’intero pianeta, lo seguivano, assaporava quell’unico,
inequivocabile, meraviglioso profumo di libertà.
****
Ciao carissimi lettori,
grazie mille per aver letto
questo breve stralcio della mia immaginazione ☺
Sarei ben lieta di scoprire
cosa ne pensiate!
Aggiungo due piccole note,
se vi va di leggerle! ;)
La prima è che questo pezzo
era originariamente parte di una FF sui Malandrini che non ho mai
completato (e già qua cominciamo male!) e che ultimamente ho riletto
dopo tantissimo tempo, decidendo che nel complesso non mi piaceva
affatto… Quindi l’ho cancellata, fatta eccezione che per alcuni pezzi,
come ad esempio questo, a cui ero più affezionata e che ho pensato
quindi di salvare, sia per me che per un’eventuale pubblicazione, se
ben estrapolabili dalla FF.
La seconda è che non ho idea
di quanto Remus fosse cosciente durante le sue trasformazioni, qui ho
immaginato che quando era Lupo avesse solo i ricordi del Lupo (e
viceversa), e che in realtà fossero gli altri Malandrini a raccontargli
delle loro scorribande a trasformazione terminata, anche se lui si
deliziava nell’aiutava a progettarle. Lo immagino comunque
consapevole del loro effetto benefico, perché al “risveglio” credo
dovesse stare molto molto meglio rispetto a quando era da solo
rinchiuso a mordere se stesso nella Stamberga Strillante.
Isidar
ps ovviamente la prima parte
in corsivo è la trasformazione di Remus
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