Shan-Pu non credeva
alle sue orecchie.
Sua nonna aveva appena
fatto un alzaculo epocale a lei e a Mousse sul fatto che ogni tanto
loro due… ecco, fornicavano.
Onestamente? Si poteva
aspettare sgridate per tante cose, ma questa non rientrava nel pur
ampio novero. Prima di quel momento Cologne non aveva mai detto una
sola parola in proposito, anche se era facile immaginarsi che sapeva o
quantomeno sospettava. Non che loro si fossero mai preoccupati
più di tanto nel tenerlo nascosto. No no, non andavano di
certo a urlarlo in giro ai quattro venti. Più che altro non
si facevano troppi problemi nell’essere un pochino rumorosi,
e con l’udito acuto che la nonna ancora possedeva unito al
fatto che la sua stanza era giusto accanto…
In effetti era
automatico dare per scontato che ne fosse a conoscenza.
Ed era proprio quello
a lasciarla basita di fronte alla sfuriata: non era cosa esattamente
recente, si parlava ormai di qualche mese… e appunto, non
una sola battuta caustica. Non uno sguardo di sbieco. Niente.
Quindi
perché, di punto in bianco, era diventato un problema?
“Mu-Si… in
che guaio ci siamo cacciati?” le venne istintivo
dire, pur non trovando nessuno aspetto della faccenda che potesse farla
sentire realmente in colpa o in errore di qualcosa.
Il ragazzo non si
mosse, con la testa sempre fissa verso il tetto da cui Obaba era scesa
e poi se n’era andata via dopo averli minacciati di
interrompere il loro rapporto carnale. La voce di lei sembrò
rimbalzargli addosso, costringedola a ripetere.
“Uh.
Scusa, ero distratto”.
“Ho
visto”.
“Che
cos’hai detto? Non ho sentito”.
“Ho
chiesto in che guaio ci siamo cacciati”.
“...
guaio? Non siamo in nessun guaio”.
“Hai
sentito la nonna, eh. Se ci ribecca a letto assieme ce la
farà pagare. Salata. Molto salata”.
“Faccia.
Non ho intenzione di piegarmi a un divieto tanto ridicolo”.
“Tu
sai cosa intende mia nonna con ‘ve la faccio pagare molto
salata’, vero?”.
“Intendi
forse dire…”.
“Sì.
Quello è il suo modo criptico di dire che ci
ammazza”.
Al che, con suo gran
stupore, Mousse alzò le braccia al cielo in un atto
di… ribellione? Shan-Pu si ritrovò per un istante
catapultata a due anni prima, all’inizio di tutto quel casino
galattico.
“Non
riesco a capire perché improvvisamente questo sviluppo fra
me e te sia diventato fonte di un tale dilemma. Ma qualunque sia la sua
decisione in merito… non intendo dargliela vinta. Al
diavolo! Adesso non possiamo neanche più consumare il nostro
amore? Sul serio? E solo perché a lei è venuto un
rigurgito di bigottismo? Se ne farà una ragione”.
“O ci
tirerà il collo” aggiunse lei, in
tono macabro.
“Dal
lontano giorno in cui ti ho sfidata a un duello all’ultimo
sangue io non ho più paura di morire. O almeno non la paura
folle, cieca, ingovernabile che c’era prima. E inoltre, da
qualche giorno a questa parte, siamo tutti in estremo pericolo. Se
vorrà farci del male solo perché ci piace
spassarcela ogni tanto, cosa di cui peraltro un po’ dubito
perché rimani comunque la sua nipotina
prediletta… beh, sarebbe una morte di cui potrei quasi
andare fiero”.
Che… che
cos’era quello? Doveva essere sincera, Mu-Si aveva dimostrato
nel recente passato un coraggio, fin quasi una pazzia, davvero rari. Ma
quello, nonostante tutto, riusciva comunque a stupirla.
Tu… mi ami
al punto di rischiare la tua vita pur di dimostrarmelo?
La rinnovata
consapevolezza dei suoi sentimenti per lei, che in un attimo di
lucidità acuta si rimproverò di essersi
dimenticata, la intenerirono al punto di regalargli il sorriso
più solare e splendido che avesse mai sfoggiato in vita sua.
Senza aggiungere una
sola parola, ammennicoli superflui, lo abbracciò e lo
baciò con passione.
Per un attimo, solo
per un attimo, pensò che sarebbe stato un ottimo momento per
sfidare a sua volta l’editto.
Proprio mentre stava
scacciando l’idea, bollandola come un’alternativa
piacevole ma un poco suicida, una mano audace di lui sul suo petto la
fece riconsiderare.
“Cosa…
cosa…”.
“Che
dici, mettiamo tua nonna alla prova? Vediamo se è solo
chiacchiere e distintivo?”.
“Mu-Si…
ora… dopo quello… non è il
caso…”.
“Io
dico che è sempre il caso, invece. E poi non puoi assaltarmi
con tutta quella foga senza aspettarti un contrattacco”.
“Sì,
ma…”.
“Il
tuo slancio mi ha messo addosso una voglia…”.
Shan-Pu si morse il
labbro, terrorizzata e al contempo eccitata alla prospettiva di
trasgredire alle minacce della bisnonna; la parte razionale di lei le
urlava di stare all’erta, che qualcosa non
quadrava… ma in quel momento ragionava con parti poste un
po’ più in basso, e poco le importava se
rischiavano di rimanerci: per una dichiarazione del genere poteva pure
morire felice.
“Dici che
c’è un posto dove appartarci, in questa
casa?” miagolò, avvicinandosi a
Mousse. Il ragazzo la afferrò per un polso e
cominciò a trascinarla in giro, alla ricerca di uno stanzino
qualsiasi dove potersi rinchiudere: “È enorme,
DEVE esserci!”
“Beh, se pure la cuoca
e l’uomomaialino sono riusciti a farlo
qui…” ridacchiò lei, e
Mousse ridacchiò, aumentando la velocità nella corsa.
Dopo qualche giro a
vuoto, decisero che la soffitta poteva andare bene: saltarono sul tetto
per evitare di farsi notare da qualcuno in casa e vi si intrufolarono
tramite un balcone.
“Bene, nessuno ci ha
sentiti” commentò Shan-Pu, per poi
voltarsi e sorridere, uno di quei sorrisi sensuali che mandavano Mousse
fuori di testa. “Direi
che possiamo… divertirci.”
Mousse rimase per
qualche istante a guardarla a bocca aperta, mentre la ragazza
cominciava a sbottonare la blusa con una lentezza avvilente; ma non se
ne lamentò, visto che un momento del genere, in una
situazione grave come quella che stavano vivendo, era praticamente un
regalo.
“Non me lo faccio
ripetere due volte!” trillò, pronto a
levarsi la camicia, quando si fermò a due passi da Shan-Pu.
“Cosa
aspetti, Mu-Si? Prima o poi si accorgeranno della nostra
assenza…”
“S-sì,
scusami, è che…”
balbettò lui, guardandosi attorno nella penombra della
soffitta, “ho solo avuto l’impressione che ci fosse
qualcuno, oltre noi…”
“Sarà stata
una tua impressione” rispose lei, gettandogli le
braccia al collo, “se
vuoi ci penso io a fartela passare…”
“Oh, sono tutto suo
dottoressa Shan…” cercò
di rispondere, prima di cadere di peso sulla cinesina.
“Mu-Si! Che ti
succede?” strillò lei scuotendo il
ragazzo, apparentemente privo di sensi.
“Io ve
l’avevo detto” gracchiò una
voce, e dall’ombra emerse il corpo minuscolo di Obaba.
“B-bisnonna…?”
“Questo era un
avvertimento” tuonò lei, “la prossima volta non
sarò così clemente.”
Detto questo,
sparì da dov’era venuta, lasciando Shan-Pu nel
panico più totale.
“Ouch…
quindi il vecchio ghoul non scherzava...”
“A
quanto pare no… certo che se la piantassi di chiamarla
così faciliteresti un po’ le cose.”
Mousse si
massaggiò il collo nel punto dove Obaba l’aveva
colpito: gli faceva un male cane, ma era ancora vivo, quantomeno.
“Scusami se al momento
non sono particolarmente propenso a mostrarmi educato nei sui
confronti” borbottò, scendendo le
scale di casa Tendo, “comunque
direi che siamo nei guai…”
“Ma va? Non
l’avrei mica detto” rispose Shan-Pu,
piccata. “Dai,
scendiamo giù intanto… con tutto quello che
è successo ho dimenticato quand’è stata
l’ultima volta che ho mangiato! E quest’odorino
è così invitante…”
“Oh, non è
mica una brutta idea” rispose lui, “una cena senza la
vecchia attorno sarebbe l’ideale. E magari possiamo chiedere
a qualcuno cosa ne pensano di questa…”
Le parole gli morirono
in gola quando mise piede in salotto.
“Oh, siete
arrivati giusto in tempo!” trillò Kasumi,
estasiata. “L’onorevole Obaba ci ha portato la cena
dal Neko Hanten!”
La quale onorevole
Obaba era seduta al tavolo, con gli altri, e li fissava con sguardo
omicida.
Mousse
deglutì, e sentì Shan-Pu spostarsi da lui di
qualche centimetro, probabilmente in preda all’agitazione.
Siamo fregati.
“Mu-Si… non
è che voglia avvelenarci?” gli
sussurrò, la voce tremolante.
“N-No, non
penso… non credo… lo spero. O… o forse
sì… non lo so...” le
rispose. D’altronde in certi casi essere paranoico era
preferibile all’essere morto.
“Che…
che facciamo?”.
“Non…
non possiamo restare qui… imbambolati… per
sempre… cominciamo col sederci a
tavola…”.
“Ranma!
Akane! Finitela di tirarvi i capelli come due ragazzini e venite a
cenare che si fredda tutto!” urlò gioiosa Kasumi
rivolta verso il giardino, dove i sopracitati Ranma e Akane erano
ancora immersi nei loro passatempi da asilo nido.
“Ecco
Kasumi, come mi hai chiesto ho recuperato Ukyo e Ryoga”
esclamò Nabiki entrando in salotto, fiancheggiata dalle
prede che doveva riportare al campo base.
Vennero presto
raggiunti anche da Soun e Genma.
Tutti i presenti,
sopraggiunti e non, provvidero a sedersi ai rispettivi posti. Shan-Pu e
Mousse cercarono di prendere posizione lontani da Obaba, ma per tutta
una serie di motivi risibili si trovarono uno alla sua destra e una
alla sua sinistra.
Entrambi facevano
fatica a respirare, aggrediti com’erano dalla quieta ma
imponente aura della centenaria.
Senti mummia, se
proprio uccidici velocemente ma la tortura silenziosa puoi evitarla.
“Anf,
anf. Voi ragazzine non siete affatto male, sapete?”.
Cologne
atterrò con grande grazia sul proprio bastone dopo
l’ennesimo scambio di carezze avvenuto in aria fra lei e le
sue avversarie che, a loro volta, si appollaiarono sui più
vicini lampioni.
Si trattava di quattro
guerriere della tribù, vestite di una tunica nera che
solitamente non rientrava nello stile tipico di Joketsuzoku. La nota
che più l’aveva colpita, però, erano le
maschere a coprire metà dei loro volti.
Chiunque abbia preso
le redini del villaggio dopo Wei-Zan ha un pessimo gusto.
“Lei
ci confonde, nobile Ku-Lun”.
“Mocciosa,
forse sei troppo piccola per cogliere il sarcasmo”.
“Lo
squarcio sul suo fianco non lo definirei
‘sarcasmo’, sa?”.
Ebbene sì,
quattro poppanti le cui età assommate non facevano neanche
un terzo della sua… l’avevano beccata. Era stata
pura fortuna e l’averle un po’ troppo
sottovalutate, ma il sangue non si pone simili questioni e se ha una
via di fuga esce spensierato.
Quanto tempo
è che nemici nettamente inferiori non riuscivano a colpirmi
così? L’ultima ferita degna di nota mi era stata
inferta dal Decano ormai due anni fa, e di sicuro non era affatto
inferiore a me. Altrimenti si deve tornare a parecchi decenni addietro.
Basta ciance, vecchia.
Non hai tempo per giocare alle biglie con loro, devi riferire il
messaggio.
“Come mai questo
attacco a viso aperto? Sinora avete sempre agito d’astuzia e
di vigliaccheria” si trovò a
chiedere, rimangiandosi il proposito di fare alla svelta. Ma era
genuinamente curiosa sul cambio d’andazzo.
“Presupponiamo
che lo sviluppo della rivoluzione a casa ci sia sfavorevole, visto che
non riceviamo notizie da ormai parecchi giorni. E sa
com’è, la carenza di leadership può
portare a colpi di testa da parte delle truppe”.
“Iniziativa
personale, dunque?”.
“La
si può definire così”.
“Poco
importa. La vostra compagnia è piacevole come uno spillone
conficcato in gola, pertanto mi trovo costretta a salutarvi e ad
accomiatarmi”.
“Non
sia così sbrigativa, suvvia. Abbiamo appena cominciato a
scaldarci”.
“Tu
non vuoi che io prenda la situazione sul serio, a meno che non teniate
particolarmente a ritrovarvi ridotte a un cumulo di ossa finemente
triturate”.
“...
ci avevano raccontato della sua leggendaria simpatia, ma tastarla in
prima persona fa tutt’altro effetto. E scusi se mi permetto,
ma trovo lo scenario da lei prospettato non facile da
realizzarsi”.
“Cosa
diavolo stai blaterando?”.
“Oh,
nulla. Solo che penso lei avrà un po’ di
difficoltà a muoversi per bene, d’ora in
avanti”.
Adesso ti faccio
ingoiare la tua tracotanza assieme ai denti, cucciolina. Lascia solo
che… ugh.
Tentò di
spiccare un balzo in avanti. Non ci riuscì.
Si sentì
improvvisamente pesante, come se le energie fluissero via dal suo corpo.
Non sarà
che…
“Se
n’è accorta, nobile Ku-Lun. Che dire?
L’età passa anche per le migliori e il giorno in
cui non ti avvedi di essere stata avvelenata arriva”.
“Mezzucci
da inetti”.
“Forse.
Ma se ancora ricorda quella che fino a poco tempo fa era anche la sua
filosofia di vita: la vittoria vale qualunque prezzo”.
“Indegne.
Indegne di essere definite amazzoni”.
“Ha
perso il diritto di farci la predica molto tempo fa, ormai. Adesso lei
non è altro che una traditrice che dev’essere
passata per le armi. E a noi non piacciono i giochetti lenti e
compassati del Consiglio, siamo per le punizioni più
corporali”.
Cominciò a
sentirsi sempre più debole, ma aveva ancora abbastanza forze
per fare qualcosa.
Meglio
non perdere altro tempo.
“Ah, questi
giovinastri” disse, issandosi facendo leva sul
bastone, “proprio
non avete idea di cosa sia il rispetto per i più anziani. E
va bene, vorrà dire che sarò io ad
insegnarvelo.”
Le quattro emissarie
ebbero l’ardire di scoppiare a ridere davanti a tanta
sicumera… ma quando sentirono la potenza dell’aura
di Cologne di Joketsuzoku non risero più.
“Dio
che fame…”
“Se
non ti fossi lasciato prendere dalla paranoia a quest’ora
avremmo la pancia piena, stupido Mu-Si!”
“Ahi!”
pigolò lui a causa del pizzicotto che Shan-Pu gli aveva
dato. “E
comunque con un po’ di fortuna riusciremo a mettere qualcosa
sotto i denti… spero.”
“Ehi
piccioncini, la cena è servita!”
La salvezza
arrivò, con le fattezze di Ranma e due piatti pieni di cibo;
dietro di lui c’era anche Akane e, sorpresa delle sorprese,
la premiata ditta Kuonji-Hibiki.
“Era proprio
il caso di venire a nascondervi in palestra?”
commentò Ranma, porgendo loro i piatti e sedendosi sul
parquet.
“Fosse per
me avrei cambiato stato” commentò Mousse, prima di
divorare i suoi ramen - preparati dalle sapienti manine di Kasumi,
dietro loro richiesta.
“Potresti
spiegarci il motivo?” chiese Akane. “Prima sei
stato così evasivo, ho capito solo che Obaba non-”
“Shh! Non
nominarla” disse lui, sgranando gli occhi. “Sia mai
che appaia qui dal nulla…”
“...ragazzi,
state bene? L’ultima volta che vi abbiamo visti con la
vecchia i rapporti sembravano tranquilli” chiese Ryoga, dando
voce alla domanda che tutti si stavano ponendo.
“Bisnonna
impazzita” bofonchiò Shan-Pu, con la bocca piena
di noodles “prima ci ha minacciati.”
“Minacciati?
E perché?” insistette Ranma, che stava morendo di
curiosità.
“Non lo
sappiamo” fu la risposta di Mousse, “o
meglio… lo sappiamo ma…”
“Deciditi,
lo sapete o no?”
“...ha detto
che se facciamo di nuovo sesso prima del matrimonio ci
uccide.”
Gli altri quattro li
guardarono sconvolti, come se ai due cinesi fossero spuntate delle
teste in più.
“State
scherzando? Che motivazione è?” intervenne Ukyo,
che fino a quel momento era rimasta in silenzio.
“In
effetti…” commentò Ranma. “E
poi voi… sì, insomma… va avanti da un
po’, ecco!” balbettò, in preda
all’imbarazzo.
“Saotome non
so cosa dirti, se non che è stata fin troppo chiara in
proposito.”
“Forse avete
frainteso le sue intenzioni, insomma…”
“Ha colpito
Mu-si alla testa mentre eravamo appartati in soffitta. Ha detto che era
solo avvertimento.”
“...dov’è
che eravate appartati?” disse Akane, incredula e imbarazzata.
“Ma insomma, la piantate di usare casa mia come fosse un love
hotel?!”
Tutti si volsero inevitabilmente verso Ukyo e Ryoga, e Ranma sfoderò uno dei suoi sorrisi da iena: "Il nostro audace uomomaialino, chi l'avrebbe mai detto che avrebbe battezzato lo sgabuzzino...” trillò, facendo pure una pessima rima.
“Piantala!
Piantala Saotome o
iotisotterrovivopiuttostocheraccontarticertecose!”
urlò Ryoga, rosso in viso e agitatissimo; Ukyo, dal canto
suo, si limitò a coprirsi il volto con le mani, disperata.
“Scusate se
interrompo la vostra sessione di gossip” intervenne Mousse,
“ma al momento non mi sembra proprio la cosa più
importante a cui pensare…”
“Giusto
Mousse, hai ragione” gli diede retta Akane, sperando che
anche il fidanzato e il degno compare rinsavissero. “Dicevamo
della vecchia Obaba: perché diamine vi ha minacciati a quel
modo?”
“È
quello che ci chiediamo” rispose Mousse, mogio, guardando
Shan-Pu. “Noi davamo per scontato che…
sì, insomma… lo immaginasse, ecco.”
“E invece
pare di no e ora noi rischia di morire” pigolò la
cinesina, “per questo a cena non abbiamo mangiato: Mu-Si
credeva che cibo fosse avvelenato.”
“Ma noi
abbiamo mangiato e stiamo tutti bene” puntualizzò
Ranma.
Mousse
arrossì, e distolse lo sguardo: “Magari aveva
avvelenato solo i nostri piatti, o che so io… comunque non
volevo rischiare.”
Ranma
annuì, e per qualche istante rimasero tutti in silenzio. Poi
il codinato parlò di nuovo: “E cosa intendete
fare, adesso?”
“Non ne ho
idea, Saotome” rispose Mousse, sconsolato “siamo in
trappola al momento. La cosa più logica sarebbe
non… ehm..:”
“Sì
sì, abbiamo capito, va avanti.”
“Ecco,
sì. Solo che… è difficile
trattenersi..:”
“Immagino
che la mia soffitta abbia molto da dire, in proposito” li
punzecchiò Akane, scatenando ancora rossori sui volti dei
cinesi.
“N-non
abbiamo fatto nulla! Non c’è stato il
tempo…” balbettò Mousse, massaggiandosi
la nuca vicino al punto dov’era stato colpito.
“È
tutto così strano… bisnonna sta dando di matto,
forse è l’età…”
sospirò Shan-Pu.
“Scusate se
mi intrometto…”
Tutti si voltarono
verso Ukyo.
“Magari mi
sbaglio ma… se fosse la seconda prova di Mousse?”
Gli altri rimasero in
silenzio, dapprima pieni di scetticismo. Poi, poco a poco, cominciarono
a sgranare gli occhi.
“In
effetti…”
“Di sei, uno
non ha ancora finito” recitò Mousse, ricordando la
criptica telefonata dalla Cina. “Cielo, come ho potuto essere
tanto stupido…”
“È
quello che mi chiedo anche io.”
Tutti si voltarono
verso l’entrata della palestra, dove ad osservarli
c’era Obaba. Era inusualmente priva del proprio bastone, ma
la sua statura mignon emanava un ki prepotente, arrogante, fin troppo
sicuro di sé e della propria forza.
“Che cosa
intendi, vecchia… o forse dovrei dire falsa
vecchia?” chiese Ranma con il suo solito tatto da diplomatico
consumato, con tanto di dito accusatorio puntato.
“Falsa? Mi
offendi, giovane Saotome. Io non sono falsa”.
“Mi chiedo
perché anche io e Ranma la vediamo…”
sussurrò Akane all’indirizzo dei coetanei cinesi,
i quali si trovarono sprovvisti di una risposta adeguata.
Il dubbio era
legittimo visto che fino a quel momento le illusioni o qualunque cosa
fossero avrebbero dovuto, almeno in linea teorica, essere esclusiva di
coloro ai quali erano rivolte. Akane aggiunse, sempre sottovoce, che
probabilmente lei e Mousse avevano combattuto contro l’aria.
E come loro gli altri.
Ora invece…
“Cosa vi
devo dire, ragazzacci? Sono di qualità diversa rispetto a
chi mi ha preceduto”.
“Quindi…
ammetti di non essere il vero ghoul?”.
“Ranma Ranma
Ranma. La tua maleducazione è davvero materiale per le
leggende. Ci si rivolge in questo modo a quella che poteva diventare la
tua bisbisbisbisnonna acquisita?”.
“Oh insomma! Sei lei o
no? Sto diventando scema!” proruppe Shan-Pu,
innervosita dalle risposte altalenanti
“Dimmi
perché pensi che sia davvero così importante
appurare se sono la vera Ku-Lun oppure no. Tanto quel che ho detto non
perde di valore, qualunque sia la vostra risposta”.
Il silenzio che ne
seguì fu angosciante come poche altre cose.
Mousse stava per dire
qualcosa, qualunque cosa pur di rompere quella patina…
quando alle loro spalle spuntò la figura trafelata di Kasumi.
“Ragazzi, so
che sembra strano ma… oh dio, che succede qui?”.
Tutti i restanti presenti si voltarono verso di lei, che si era portata
una mano alla bocca dall’apparente stupore.
“Kasumi?
Tutto bene?” chiese Akane.
“Non…
non è possibile…”.
“Che
succede? Che succede?!”.
“Ero…
venuta a chiamarvi… per dirvi che… la nobile
Obaba… ma no, ora che la vedo di qui…”.
“Qualunque
cosa sia diccela, per favore! Diccela!”.
“Ecco…
oh santo cielo, che situazione assurda… la nobile
Obaba… è di là, dice di…
essere appena arrivata… e di avere notizie
urgenti… ed è ferita… non sta per
niente bene… anzi, se qualcuno di voi sapesse dove si
è cacciato il dottor Tofu…”.
Sul viso della
presunta finta Cologne nacque un sorriso malvagio.
“Kasumi, va
via. Ora.” ordinò Ranma, e la ragazza non se lo
fece ripetere due volte; la falsa Obaba non mosse un dito, continuando
a sorridere: “Tranquillo, non era certo lei il mio
obiettivo.”
“Che cosa
hai fatto a bisnonna?!” urlò Shan-Pu, che
cercò di attaccare la vecchia ma venne trattenuta da Mousse.
“Lasciami, Mu-Si! Lei ha fatto qualcosa a bisnonna, io devo
andare!”
“Ma certo,
Mu-Sì, lascia pure che vada” gracchiò
la falsa Obaba, senza mai smettere di sorridere, “...non che
possa uscire di qui, sia chiaro.”
I ragazzi si
scambiarono sguardi allarmati, poi corsero verso la porta e le
finestre: anche se erano aperte era impossibile oltrepassare il
perimetro del dojo.
“Ma che
diamine…?”
“È…
è come se ci fosse un muro invisibile!”
“Lasciate
fare a me!” urlò Ryoga. “Vediamo quanto
regge davanti alla potenza del mio Shishi Hoko-dan!”
“Bravo,
Ryoga, vai! Così se è capace di trattenerlo
saltiamo tutti per aria!” lo fermò Ranma, e
l’eterno disperso per fortuna si fermò a
riflettere sulle possibili conseguenze, invece di contraddire il
codinato.
“È
inutile agitarsi tanto. Non potete uscire da qui, a meno che io non lo
voglia.”
Tornarono a voltarsi
verso la falsa Obaba, che non aveva ancora mosso un muscolo.
“Qual
è il tuo piano?” tuonò Mousse,
avanzando verso di lei. “Vuoi uccidermi qui? Fallo, che
aspetti?!”
“Ucciderti?
Per favore…” rispose lei, quasi offesa da
quell’affermazione.
“E allora
che vuoi? So perfettamente che non sei Obaba, e che non le frega niente
di cosa io e Shan-Pu facciamo a letto!” ringhiò,
esasperato.
“Questo
è vero.”
“Quindi…?
Perché maledizione siamo qui, se non vuoi
uccidermi?”
“Perché
volevo solo trattenervi.”
“Trattenerci…?”
chiese, cauto.
“Sai, giusto
il tempo di assicurarmi che per Cologne non ci sia più nulla
da fare… e a quest’ora direi che è
ormai andata, o quasi.”
A quelle parole,
Shan-Pu urlò con tutta la forza che aveva in corpo e si
lanciò verso l’uscita: non c’era
più nessun muro invisibile ad ostacolarla, e anche della
falsa Obaba non c’era più traccia.
Corse a perdifiato
fino al salotto di casa Tendo, giusto in tempo per vedere Kasumi uscire
dal salotto.
“Bisnonna!
Bisnonna!” gridò, ma Kasumi le impedì
di entrare.
“Shan-Pu!
Shan-Pu ti prego…”
“Devo
entrare! Bisnonna ha bisogno di me!”
Kasumi la
guardò per un attimo poi distolse lo sguardo.
E Shan-Pu
capì. |