Di questa storia ho scritto
solo i primi tre capitoli, che tra l'altro hanno un tempo di incubazione
allucinante, ma visto che mi piace come stanno uscendo mi si è acceso un
barlume di speranza riguardo ad una sua futura pubblicazione. Indi per cui, ho
bisogno di altri pareri, oltre a quelli positivissimi dei miei due lettori XD
aspetto stroncature o incoraggiamenti, ma soprattutto critiche negative su cosa
dovrei migliorare! XD Anche se già si avverte un notevole passo avanti rispetto
a Weiss...
Beh, vi lascio alla lettura di tewom.
Comunicatemi qualsiasi errore, a volte mi sfuggono! ;D
MEMORY #01 -
INCONTRO
Il tiepido venticello
autunnale accarezzava con delicatezza gli antichi edifici diroccati della Old
Babylon, abbandonati al loro destino da tempo immemorabile.
Da quando Dio l’aveva
maledetta, mille anni prima, nessuno aveva avuto più il coraggio di mettervi
piede, tanto da indurre gli uomini a ricostruire la città a poche centinaia di
metri di distanza - un modo per non allontanarsi troppo da quel luogo, che
racchiudeva e conservava le loro radici, e abbandonarlo al tempo stesso.
Ma nessuno poteva negare che l’antica
città in rovina avesse sempre esercitato su chiunque un certo fascino.
Forse per l’immensa mole di
leggende che vi orbitavano attorno, forse per il semplice fatto che fosse stata
maledetta da Dio - quel Dio il cui potere nessuno poteva eguagliare, ad
esclusione della Madre Terra - la rendeva il luogo ideale per le prove di
coraggio dei ragazzini, che comunque raramente osavano spingersi poco oltre il
grosso muro di mattoni rossastri sgretolati dal tempo che circondava l’intera
Old Babylon.
Capitava spesso di vedere
gruppi di bambini in un teso silenzio arrampicarsi sul muro e gettare occhiate
furtive dall’altra parte, scappando poi al primo rumore improvviso.
Zack aveva avuto più volte la
tentazione di infrangere il divieto, prendere una scala ed entrare nella “città
proibita”, ma, e gli doleva ammetterlo, gli era sempre mancato il coraggio. E
anche una buona scusa per farlo, sebbene vi fosse una curiosa leggenda che lo
attraeva particolarmente.
Quel giorno, però, si era deciso
a rischiare, anche se forse la sua parte razionale di dodicenne non la pensava
allo stesso modo, dal momento che ormai era seduto sul muro da un’ora e le sue
braccia non avevano intenzione di sollevare la scala di legno e buttarla
dall’altra parte.
Oltretutto si stava
avvicinando il tramonto, e l’ultima cosa che voleva era perdersi di notte in
una città semi-distrutta.
Sospirò, passandosi una mano
fra i folti capelli del colore dell’oro, e si insultò da solo per la sua
mancanza di coraggio.
Di cosa aveva paura? Dio non
avrebbe mai scomodato uno dei suoi Angeli per punire un bambino, nonostante si
fosse dimostrato più volte una creatura crudele e sanguinaria, e nella Old
Babylon non c’erano persone cattive che avrebbero potuto aggredirlo.
E poi, se fosse davvero
riuscito ad esaudire il suo grande desiderio… magari le cose sarebbero anche
migliorate, dato che peggio di così non potevano comunque andare.
Uno scalpiccio interruppe i
suoi pensieri e Zack si voltò, incrociando lo sguardo sconvolto di uno dei suoi
compagni di classe.
«Zack Lorraine!», esclamò il
bambino portandosi ai piedi della scaletta a pioli «Tu sei completamente
fuori!».
«Ciaao…», lo salutò Zack
agitando una mano, e girò il corpo nella sua direzione «Che ci fai qui, Ray?».
Ray lo fissò stralunato «Mi
prendi in giro?! Ti stiamo cercando da mezz’ora!».
Si arrampicò solo fino a metà
della scaletta, dato che Zack aveva posato i piedi sull’ultimo piolo, e
continuò: «Ma come ti è saltato in mente di marinare la lezione di controllo?
Ma’ ti ucciderà!».
«Che esagerato!», sdrammatizzò
Zack facendo spallucce «Che dovevo fare, rimanere a guardarvi in silenzio, come
sempre? Lo sai benissimo che sono un Ai-See, un Abbandonato. Mi annoio».
E non solo si annoiava, ma
stava anche male come un cane. Però questo non lo disse.
Ray fissò in silenzio i
particolari occhi di Zack, le cui iridi color smeraldo erano tagliate da una
strana linea nera che si trovava sempre esattamente a metà fra la pupilla e il
bordo scuro dell’iride.
Occhi da Ai-See. Poverino, in
cuor suo lo compativa.
Gli Abbandonati erano
rarissimi, tanto che, tolto Zack, nessuno degli abitanti della New Babylon ne
aveva mai visto uno, e le uniche informazioni che erano riusciti ad ottenere le
aveva fornite Ma’ traducendo un antico testo in Iri.
Al mondo, ogni essere umano
che nasceva, da qualsiasi luogo provenisse - Nord, Sud o anche il deserto -
aveva una piccola quantità di energia della Madre Terra che gli scorreva
dentro, e questa energia era comunemente chiamata “magia”. La quantità poi
variava da individuo ad individuo, ed erano pochi coloro che ne possedevano
livelli alti o comunque degni di nota.
Gli Ai-See, invece, a
differenza di tutte le persone normali, non avevano neanche una goccia di
magia; per questo erano definiti “Abbandonati”: la Madre Terra non aveva dato
loro la sua protezione, come se non li riconoscesse figli suoi.
«E comunque…», riprese Zack,
un sorrisetto saccente dipinto sulle labbra «Se tu ora scendessi mi faresti un
favore. Sai, vorrei andare dall’altra parte!».
«Scherzi?!», esclamò Ray
sconvolto, ma l’espressione sicura di Zack gli confermò che il ragazzino era
tremendamente serio. Allora saltò giù dalla scaletta e corse via, gridando che
sarebbe andato immediatamente a chiamare Ma’.
Zack lo osservò allontanarsi finché
non fu scomparso dalla sua vista, e solo allora sospirò e afferrò la scaletta.
Fece una fatica immensa per sollevarla e appoggiarla dall’altra parte, e prima
di scendere rimase ancora qualche secondo ad osservare la fatiscente città
abbandonata.
Ora o mai più.
Si voltò deciso e scese
velocemente i pioli, cercando di autoconvincersi che quella fosse la cosa
migliore.
Una delle numerose leggende
sulla Old Babylon narrava che vi fosse un luogo, all’incirca al centro della
città, talmente ricolmo dell’energia della Madre Terra che chiunque vi si fosse
avvicinato ne sarebbe stato fatalmente attratto, e avrebbe potuto attingere a
quella magia per realizzare qualsiasi desiderio. E Zack ne aveva un elenco
intero, di desideri.
Gli sarebbe piaciuto poter
rivedere sua madre e chiederle scusa, ma sapeva che questo era impossibile; gli
avevano sempre insegnato che le persone buone si reincarnavano, e sua madre era
la donna più dolce e generosa che lui avesse mai conosciuto.
Quindi, scartato questo primo
desiderio, la seconda cosa che voleva più di tutte era essere un bambino
normale, con un po’ di energia magica come tutti quanti.
Così non l’avrebbero più preso
in giro o maltrattato, e forse suo padre sarebbe stato finalmente un po’ fiero
di lui.
Scavalcando un cumulo di
terra, mosse i primi, incerti passi verso la città, notando con disappunto che
da lì gli sembrava ancora più grande di quanto non apparisse quand’era seduto
sul muro.
Strinse i pugni per infondersi
coraggio e cominciò a girare fra le vie, circondato da un silenzio assoluto,
quasi opprimente. Persino gli animali parevano temere quel luogo, tanto che il
gorgheggiare degli uccellini che aveva avvertito fino a poco prima si fece
sempre più lieve man mano che si inoltrava fra gli edifici diroccati, fino
quasi a scomparire dopo che ebbe compiuto poche centinaia di metri.
Cercando di memorizzare
l’intricato percorso che le macerie accatastate un po’ ovunque lo obbligavano a
seguire, non mancava di osservare ogni particolare con quella curiosità a
tratti così irritante che era tipica del suo carattere.
Non ne sapeva moltissimo, ma
da quel che vedeva ora poteva rendersi conto di quanto la Old Babylon fosse
stata splendida e piena di vita prima che Dio la maledisse per qualche motivo
sconosciuto. Chissà poi cos’avevano fatto gli uomini per attirare l’odio di
Dio, che nonostante il suo carattere sadico e scorbutico evitava di darsi ad
atti esagerati come addirittura maledire un’intera città. Questo era uno dei
tanti misteri di quella strana creatura dalle ali bianche.
Con un sasso chiaro Zack
lasciò un segno su un muro per ricordare il percorso che aveva imboccato e si
infilò in uno stretto vicoletto, dal momento che la strada principale era
bloccata dai resti di un’abitazione crollata; si ritrovò così in una piccola
piazza circolare con al centro quella che una volta doveva essere una fontana.
Si sedette sul bordo di questa
per riflettere qualche secondo sul da farsi, dato che il cielo stava già
cominciando a tingersi dei colori caldi del tramonto e al buio gli sarebbe
stato impossibile ritrovare la strada per tornare indietro.
Se non fosse stato messo in
punizione a vita da Ma’ o da suo padre, avrebbe dovuto provare a ritornarci di
mattina, in modo da avere più ore a disposizione.
Certo che era stato proprio
idiota. Ma purtroppo era un altro lato del suo carattere: tendeva a comportarsi
in maniera troppo impulsiva quando veniva ferito nell’orgoglio, e purtroppo Luis,
col suo solito comportamento da spaccone, durante la lezione di Controllo
l’aveva colpito profondamente per l’ennesima volta.
Lui e il suo livello di magia
che sfiorava il 5.2… quanto lo odiava. Era quasi contento che sua sorella Nina
lo superasse di gran lunga, era una sorta di vendetta.
Zack adorava la sua sorellina
minore, sebbene essere il fratello Ai-See della bimba col più alto livello di
magia in tutta New Babylon gli creasse diversi problemi, in particolare agli
occhi di suo padre. In compenso aveva più problemi a relazionarsi con Violet,
la maggiore, un giovane genietto estremamente colto e con un forte senso di
superiorità.
Chiuse gli occhi, lasciando
ciondolare la testa indietro, quando all’improvviso una sorta di suono
perforante gli attraversò le orecchie, stordendolo a tal punto che cadde dentro
l’antica fontana tenendosi la testa fra le mani.
Tu… sei qui?, mormorò una voce, anche se più che una voce a Zack
parve quasi un alito di vento.
Tu che… hai osato affrontare la maledizione di Dio…
La voce fece una pausa, dando
tempo a Zack di rimettersi in piedi e guardarsi attorno. Era solo come prima.
Chi stava parlando, allora?
Proveresti… a giungere da me?
E così, improvvisamente
com’era giunta, la voce scomparve, lasciando Zack disorientato e confuso.
Era forse questo il richiamo
del luogo pieno di magia?
Ma dove doveva andare, allora?
Si voltò, e notò alle sue
spalle l’entrata di un santuario della Madre Terra.
Entrare in un edificio
abbandonato sarebbe stato pericoloso, però… sentiva di doverci andare.
Forse sarebbe cambiato
qualcosa o forse no, ma tanto ormai era lì, quindi valeva provare.
Allora fece un respiro
profondo e senza aver tempo di ripensarci si infilò nel santuario.
L’interno dell’edificio era
spettacolare: sebbene fosse spoglio come tutti i santuari, su tutte e quattro
le pareti si aprivano vetrate meravigliose raffiguranti Dio e i sette angeli, tanto
che Zack rimase senza fiato.
La più grande, nella parete di
fronte all’ingresso, ritraeva Dio con una spada in mano.
Dio, la creatura delle
antitesi: dal carattere scostante e superbo, ma padrone di un’energia fatta
completamente di luce. Ma in fondo bastava vederlo con le ali fuori per
rendersi conto di quanto anche solo il suo aspetto fisico fosse contrastante: piume
bianche su pelle scura, a differenza degli altri angeli, che erano di
carnagione chiara.
Zack voltò la testa ed osservò
affascinato le altre sette vetrate, stupendosi per la loro conservazione
perfetta - ma del resto tutto l’edificio sembrava messo piuttosto bene.
Alla sua destra, in tre
finestre leggermente più piccole, erano raffigurati i tre angeli il cui potere
era più vicino alla luce: Costantine degli astri, biondo come le sue ali,
Narçia del cielo, dai capelli di un tenue rosa pastello, e Krista del vento,
dalla folta chioma viola.
Sulla parete sinistra invece
comparivano i tre angeli più vicini alle tenebre, ovvero Faust dell’acqua, il
cui colore era l’azzurro, Salomon della terra, dalle ali verdi, e Tala del
fuoco, la cui capigliatura era scarlatta come il suo elemento.
E alle sue spalle, proprio
sopra il portone d’ingresso, Axalariel delle ombre, l’essenza stessa
dell’oscurità, l’angelo dai capelli corvini che mille anni prima aveva osato
ribellarsi a Dio e da questi era stato sconfitto ed ucciso.
Incuriosito, Zack mosse
qualche passo verso l’immagine quest’ultimo.
Gli era capitato di
intravedere gli altri sei angeli, ma di Axalariel non aveva mai visto nemmeno
un disegno. Così ad occhio sembrava più giovane dei suoi compagni.
Chissà, forse era proprio a
causa sua che Dio aveva maledetto la Old Babylon.
«Violet sarà invidiosissima,
quando le racconterò di questo!», esclamò avanzando di qualche altro passo sul
pavimento di legno mangiato dai tarli, che scricchiolò in maniera inquietante.
Ma Zack non ebbe nemmeno il
tempo di accorgersi dello strano rumore che le tavole sotto i suoi piedi si
ruppero e lui precipitò giù.
Quando si risvegliò, non seppe
definire quanto tempo fosse passato dalla sua caduta.
La stanza sotterranea in cui
era finito era illuminata solo da alcune sfere di vetro incastonate nei muri
che emettevano una tenue luce biancastra, e quindi non riusciva a capire se,
all’esterno, il sole fosse già tramontato o meno.
Piagnucolando per il dolore si
massaggiò la testa, e quasi si prese un colpo quando vide la mano sporca di
sangue. Doveva aver dato una bella botta.
Alzò lo sguardo per capire da
dove fosse caduto, cercando una possibile via d’uscita, ma l’unica cosa che
ottenne fu farsi venire le lacrime agli occhi quando vide di essere precipitato
per un lungo cunicolo senza appigli che sbucava dal soffitto.
Era finito. Sarebbe morto di
fame lì dentro, se non fosse riuscito a trovare un’uscita.
Allora, nonostante la testa
che gli doleva e gli girava impietosamente, fece l’enorme sforzo di alzarsi in
piedi, scrollandosi i rimasugli delle travi rotte da dosso, e si guardò
attorno.
Nessuna uscita. In compenso,
però, in mezzo alla stanza c’era qualcosa simile ad una bara aperta, poggiata
sopra ad un basso altare.
Al suo interno, un bellissimo
ragazzo dai capelli del colore della pece giaceva profondamente addormentato
con le mani intrecciate sul ventre.
«E tu chi saresti?», esclamò
Zack, chinandosi su di lui per osservarlo meglio.
Fisicamente non doveva avere
più di diciotto anni, ma aveva tratti più androgini di un normale adolescente
maschio. Era tanto bello che sembrava una creatura soprannaturale.
Che fosse proprio…?
«Ehiii!» Zack allungò una mano
e lo scosse delicatamente «Ehiii! Sveglia!».
Ma non ottenne nessuna
risposta. Il ragazzo continuò a respirare tranquillamente, con un’espressione
rilassata sul viso.
«Suu, dammi una mano a uscire
da qui! Ti pregooo!», insisté Zack, schiaffeggiandogli delicatamente una
guancia «Per favoreeee… svegliati!».
Nessuna risposta nuovamente.
Sconsolato, il bambino si
lasciò ricadere a terra, poggiando la schiena contro l’altare.
«Quindi… mi tocca davvero
morire qui dentro?», continuò con le lacrime agli occhi, parlando più che altro
a se stesso «Ma non è giusto! Io non ho la minima voglia di morire!».
Si strofinò la faccia, e alzò
lo sguardo verso il soffitto «Però… tu chi sei? Sei tu che mi hai chiamato?
Assomigli molto all’immagine di Axalariel che ho appena visto. Sei… davvero
lui?».
Tacque ancora qualche istante,
poi riprese: «Axalariel, se sei proprio tu, perché non ti svegli e mi aiuti? Ti
pregooo…».
E, detto questo, tornò in
silenzio, sentendosi ancora più stupido di prima.
Era impossibile che quel
ragazzo fosse davvero Axalariel, dal momento che Dio l’aveva eliminato.
E poi, anche se lo fosse
stato? Cosa sarebbe cambiato?
«Mammaaa…», piagnucolò, e
avrebbe cominciato a singhiozzare se un respiro particolarmente profondo non
avesse attirato la sua attenzione.
Voltò la testa, e quasi
sobbalzò quando incrociò i gelidi occhi azzurro ghiaccio del misterioso ragazzo
dai capelli corvini.
«Chi… sei tu?», gli chiese
questi spaesato, sporgendosi dalla bara per fissarlo «Dove… Che posto è
questo?».
Zack rimase a guardarlo
impietrito, e ciò parve irritare molto il bel ragazzo. I suoi delicati
lineamenti si contrassero in una smorfia infastidita, mentre allungava una mano
e afferrava Zack per il gilet di pelle.
«Sei muto, moccioso? O devo farti
tornare la voce a suon di calci?», sibilò minaccioso, e il bambino scattò il
piedi per lo spavento.
Solo che, così facendo, il
ragazzo si sbilanciò e perse l’equilibrio, rovinando a terra con un urlo e
trascinandosi dietro la bara.
«Stai… stai bene?», balbettò
Zack preoccupato precipitandosi ad aiutarlo, ma l’altro riuscì a rimettersi in
piedi da solo, sebbene la bara sembrasse piuttosto pesante.
«Oh, allora ce l’hai la voce»,
riprese il ragazzo, cavandosi la polvere di dosso. Lanciò qualche rapida
occhiata alla stanza, poi tornò a fissare il bambino «Io sono… confuso. Che
razza di posto è questo?».
«Siamo nella Old Babylon»,
rispose Zack titubante. Quello strano tipo gli sembrava davvero fuori di testa
«Sono entrato in un santuario abbandonato, sono precipitato quaggiù e ti ho
trovato. Tu chi sei?».
«Old Babylon…», ripeté il
ragazzo, ignorando la seconda parte del discorso.
Mosse lentamente qualche passo
per la piccola sala, sostando di tanto in tanto ad osservare le sfere
biancastre incastonate nella parete. Dall’espressione smarrita che aveva
dipinta sul viso, sembrava quasi un bambino appena venuto al mondo.
«Moccioso…», borbottò dopo
qualche minuto di silenzio, voltandosi verso Zack con i sottili occhi azzurri
dilatati «…in che anno siamo?».
«1498 dalla comparsa di Dio.
Siamo alle soglie del nuovo secolo!».
Gli occhi del ragazzo si
fecero ancora più grandi, e istintivamente si portò una mano sulla scapola
destra. Perché, se fino a quel momento i suoi ultimi ricordi gli erano apparsi
sfocati e indistinti, ora si mostravano in tutta la loro crudele nitidezza.
«La mia ala…», mormorò
lasciandosi ricadere in ginocchio «Quel… dannato bastardo! Dannato figlio di
puttana!».
Zack lo fissò in silenzio,
senza sapere cosa dire.
Ci rimuginò a lungo, e alla
fine gli venne in mente che la cosa più sensata forse era fare le
presentazioni.
«Il mio nome è Zack Lorraine»,
disse, portandosi una mano al petto «Tu, invece? Sei davvero… il mitico angelo
decaduto Axalariel?».
L’interpellato tacque per una
manciata di secondi, senza cambiare posizione.
Poi sospirò, e rispose con un
sussurro: «Sì. Ma… non usare quel nome. Ora come ora mi innervosisce».
«Ah? E allora come devo
chiamarti?», chiese Zack perplesso, e l’angelo sbuffò.
«Axel potrebbe andare. E’… un
diminutivo».
«Va bene, Axel», gli sorrise
Zack, e mosse qualche incerto passettino verso di lui.
Tutto ciò gli sembrava
incredibile. Un angelo in carne e ossa!
Stava letteralmente morendo
dalla voglia di subissarlo di domande, ma quel sacro timore che nutrivano gli
umani nei confronti delle creature alate lo tratteneva dal farsi avanti; per
questo si limitava a fissarlo da qualche metro di distanza in assoluto
silenzio, strofinando freneticamente i piedi per terra.
Indubbiamente l’ultima cosa
che voleva era infastidirlo, e Axel sembrava già abbastanza nervoso di suo.
Però gli si presentava davanti una situazione davvero delicata: cos’avrebbe
fatto il bell’angelo dai capelli corvini? Non poteva di certo tornare da Dio -
e non sembrava nemmeno averne tanta voglia - ma allora dove avrebbe passato la
notte? O trovato da mangiare?
Fu per questo che Zack si
decise a prendere la parola, rompendo quell’insopportabile silenzio che durava
ormai da diversi minuti.
«Tu… vieni a casa con me?».
Sorpreso, Axel voltò la testa
in direzione del bambino, che gli sorrise incoraggiante e proseguì: «Sì,
insomma… non credo che tu abbia un posto dove stare, no? Mio padre gestisce una
locanda… farà un po’ di storie, ma alla fine non ti lascerà per la strada».
«Tu mi stai… offrendo
ospitalità?», osservò Axel incredulo, e Zack annuì.
«Ah, considera però che
dobbiamo uscire di qua. E non sembra un’impresa semplice».
Axel sospirò e si alzò in
piedi. Alzò poi lo sguardo verso il cunicolo verticale attraverso cui era
precipitato Zack, e non riuscì a trattenere un sorrisetto beffardo.
«Risalire non è un problema»,
sogghignò, distendendo un braccio dinnanzi a sé.
Una gran quantità di energia
scura gli si addensò attorno alla mano fino a prendere la forma di una
massiccia spada quasi più alta di lui, che si posò poi su una spalla con
disinvoltura.
«Dimmi solo una cosa,
moccioso», mormorò, portandosi la mano libera sul fianco «Per quale motivo tu
sei il primo a giungere qui? Mi sembra davvero strano che in tutto il tempo in
cui sono rimasto in questo luogo non sia arrivato nessuno».
«Dormivi da molto tempo?»,
domandò Zack, e Axel borbottò qualcosa che suonò come “all’incirca mille anni”.
Così, improvvisamente, il
bambino comprese per quale motivo Dio avesse maledetto la Old Babylon,
spingendo gli abitanti ad abbandonarla.
Voleva evitare che Axalariel
si risvegliasse, evidentemente, ma al tempo stesso anche fare in modo che gli
edifici non gli crollassero addosso uccidendolo. Ecco perché, sebbene
disabitata, la Old Babylon rimaneva in condizioni decenti.
«Mille anni fa Dio ha
maledetto la città e questa si è svuotata», spiegò brevemente Zack, e mentre
parlava fu colpito da un particolare. Se Axel aveva passato dormendo tutto quel
tempo, poteva averlo fatto solo a causa di una maledizione che ora, per qualche
misterioso motivo, si era rotta.
Ma se l’anatema che aveva
costretto l’angelo al sonno fosse stato collegato a quello che teneva in piedi
la Old Babylon?
La conferma gli venne da un
orrendo rumore proprio sopra le loro teste, tanto forte da preoccupare persino
il bell’angelo dai capelli corvini.
Con uno scatto fulmineo Axel
agguantò il bambino e se lo trasse accanto, conficcando con forza la spada nel
pavimento.
«Ma porc…! Viene giù tutto!»,
esclamò ergendo una barriera su di loro, mentre il soffitto e il santuario
sopra crollavano miseramente.
*
Harold Lorraine era famoso per
essere un modello esemplare di uomo - o almeno della tipologia di uomo che
tendeva ad essere ammirata al Sud, dal momento che al Nord la gente, affogata
com’era nella tecnologia, aveva probabilmente una mentalità diversa.
Di aspetto piacevole, dal
fisico muscoloso e ben formato, era un esempio di forza e coraggio; non c’era
nessuno, sia nella New Babylon che nelle città vicine, che non lo stimasse o
non ne avesse anche solo sentito parlare positivamente.
Inoltre, da quando la piccola
Nina Lorraine aveva mostrato appieno le sue capacità di maga ed esorcista, a
dir poco eccezionali per una bambina così piccola, la fama del padre era
aumentata a dismisura.
Era quindi comprensibile
quanto Zack, essendo oltretutto l’unico figlio maschio, si sentisse a disagio
con un genitore del genere. Aveva sempre fatto di tutto pur di compiacere il
padre, e, sebbene questi avesse mostrato in un primo momento di apprezzare
tutti gli sforzi del secondogenito, da quando Zack aveva indirettamente causato
la morte della madre, tre anni prima, Harold aveva cominciato a trattare il
figlio con un’indifferenza che spesso e volentieri sconfinava nel disprezzo.
In particolare perché Zack,
nonostante tutta la sua buona volontà, era comunque un Ai-See - e sembrava che
la comparsa di un Abbandonato fosse anche un cattivo presagio.
In ogni caso, una briciola di
amore paterno Harold la provava ancora, perché altrimenti non si sarebbe
appostato fuori dal lungo muro di mattoni che circondava la Old Babylon ad
organizzare un gruppo per ritrovare suo figlio.
Aveva lasciato passare
l’intera notte - le probabilità di trovarlo al buio erano meno che scarse,
complice anche il fatto che gli unici attrezzi di cui disponevano per
l’illuminazione erano o ingombranti fiaccole o scomode lampade ad olio, ma non
appena il sole aveva timidamente fatto capolino sulla vasta pianura si era
indaffarato freneticamente nell’organizzare un gruppo di ricerca.
Anche perché, insomma, se non
l’avesse fatto ci avrebbe rimediato una pessima figura.
Accanto a lui, con una
sigaretta serrata fra le labbra, una robusta donna di colore osservava la scena
con un’espressione strana, fra il perplesso e il preoccupato.
«Povero piccolo, spero che non
abbia patito troppo freddo. La temperatura si è abbassata notevolmente,
stanotte», disse con voce triste, soffiando una boccata di fumo nell’aria tersa
del mattino.
«Perché sei venuta anche tu,
Magdalene?», la rimbeccò Harold irritato - quella donna gli dava spesso sui
nervi «Il tuo posto è fra le scartoffie».
Ma’ rise «Cooome sei sgarbato!
È necessaria una presenza femminile, sai? Servirà qualcuno che schiaffeggi e
poi coccoli un po’ quel povero bambino».
«Quel “povero bambino” subirà
una lavata di capo senza precedenti, stanne certa», sbottò Harold, brontolando
qualcos’altro fra sé e sé.
Stava per far segno agli altri
uomini di scavalcare il muro, quando un orrendo rumore alle sue spalle lo
interruppe.
Salì velocemente su una scala,
e lo spettacolo che gli si presentò davanti agli occhi fu sconvolgente: come se
un antico equilibrio si fosse improvvisamente spezzato, la Old Babylon stava
rovinosamente crollando su se stessa.
«Oh, merda», mormorò Ma’
arrampicandosi su una scaletta per osservare la situazione «Ti scongiuro, Hii-Nieska, fa che Zack stia bene».
La donna congiunse le mani per
rivolgere una veloce preghiera alla Madre Terra - Hii-Nieska in Iri, l’idioma parlato anticamente nel mondo - ma
rifletté che obbiettivamente la Madre Terra non doveva avere Zack molto in
simpatia, visto il triste destino da Ai-See che gli aveva riservato.
Harold Lorraine, invece,
rimase immobile, senza parole. Quello che era appena accaduto era stato
talmente strano ed improvviso e sconvolgente da impedirgli di capacitarsene.
«Oh, Somma Madre…», riuscì
solo a mormorare, portandosi una mano alla testa.
Zack era sì un incapace e un
disonore, ma in fondo era anche suo figlio.
Nel contempo, con un leggero
sforzo che gli strappò un gemito di fatica, Axel allargò le braccia e dissolse
la barriera, facendo in modo che tutti i ruderi crollati su di loro gli
ricadessero attorno senza schiacciarli.
«Dannazione», borbottò poi
sostenendosi con la spada, ancora conficcata nel terreno «Che mammoletta di
merda sono diventato… mi vergogno di me stesso…».
Zack, in uno stato fra lo spaventato
per la fine che aveva rischiato di fare e l’elettrizzato per ciò che aveva
appena compiuto l’angelo, mise su un sorriso ebete ed esclamò: «Wow! Ma tu sei
grandioso!».
Axel sorrise, addolcito
dall’ingenuità del bambino.
«Mille anni fa… allora sì che
ero forte. Ho bisogno di allenarmi un po’. E poi devo anche…».
Improvvisamente sgranò gli
occhi distrutto, portando nuovamente una mano alla scapola destra.
«Dannato bastardo», sibilò a
denti stretti «Giuro che questa me la paga, fosse l’ultima cosa che faccio!».
«Ce l’hai con Dio?», gli
chiese Zack, ma Axel lo ignorò freddamente. Allora il bambino alzò lo sguardo
verso il cielo, e rimase stupito nel costatare che ore fossero.
La rivelazione non ci mise
molto a sconvolgerlo.
«Ohi ohi»,
borbottò scattando in piedi «Accidenti, papà sarà infuriato! Mi spellerà vivo,
questa volta!».
«E’ più probabile invece che
si faccia prendere dal sollievo per il fatto che tu sei vivo», rispose laconico
Axel, ma Zack dissentì con espressione triste, e ciò sorprese l’angelo.
«Non hai visto i miei occhi?
Sono un Ai-See, non ho magia. Mio padre non è proprio fiero di me…».
Axel lo fissò in silenzio.
Cominciava a vederlo sfocato, a tratti, ma non avrebbe mai ammesso di non
sentirsi bene.
Peccato che il suo fisico non
la pensasse alla stessa maniera.
La grossa spada scomparve e,
privato del suo appoggio, Axel non riuscì più a reggersi in piedi e rovinò
miseramente a terra.
L’ultima cosa che vide, prima
di svenire, fu Zack che si chinava preoccupato su di lui.