2. Questione di
parallelismi
Anziché
giocare alle deduzioni più o meno in solitaria sul mio
profilo Facebook, in un universo parallelo ho un blog in cui scrivo, in
italiano e in inglese, le dettagliatissime deduzioni cui arrivo
analizzando i fatti. Fatti che possono riguardare qualsiasi cosa, ma
che prevalentemente – ispirandomi al metodo deduttivo di
Sherlock – restano nell’ambito degli avventurosi
intrecci che coinvolgono il dottor Watson e il suo amico Sherlock
Holmes. Ultimamente, ad esempio, il blog è pieno zeppo di
ragionamenti che mettono insieme gli episodi delle tre stagioni di
Sherlock BBC con gli indizi disseminati da Gatiss e compagnia bella su
Twitter.
In questo universo parallelo, naturalmente, non sono l’ultima
blogger arrivata, né il mio metodo è strettamente
legato all’attività della serie tv della BBC. Da
amante di Conan Doyle quale sono, ho deciso di avviare il blog per dar
voce alla mia ammirazione per la brillantissima mente del noto
investigatore privato e per la genialità del suo creatore,
subito dopo aver letto tutti i racconti e i romanzi a disposizione.
Nonostante io sia nient’altro che un mucchio di lettere sullo
schermo di un numero imprecisato di persone sparse nel mondo, qualcosa
in ciò che scrivo attira ogni giorno l’attenzione
e l’interesse di molti. Tutto è naturalmente molto
gratificante, ma non è per i consensi che continuo a
lavorare al mio blog: il motore del sistema è il mio
irrefrenabile bisogno di cercare, ragionare, comprendere, mettere
insieme tasselli e scrivere indipendentemente da tutto il resto.
Come i binari di una ferrovia, in un universo parallelo sono
l’identica copia di me stessa, una gemella che vive in un
altrove e che in questo altrove è riuscita ad esprimere
tutto ciò che nella vita reale io non ho il coraggio di fare.
Questione di parallelismi.
In questo universo parallelo, quando mi sveglio al mattino per andare a
svolgere un lavoro che non mi appartiene quanto vorrei, che non
è ciò che vorrei, e sbuffo perché il
bagno è occupato e il tempo è mio nemico, e mi
capita di bestemmiare perché qualcuno ha avuto la brillante
idea di non lasciarmi quasi neanche lo spazio per entrare nella mia
auto, riesco a non arrabbiarmi quanto dovrei perché so che
una volta rientrata a casa potrò accendere il pc, collegarmi
al blog e immergermi finalmente nelle cose che amo.
La differenza tra le due me parallele è piccola, ma di
fondamentale importanza.
Una delle due, più precisamente l’altra, ha
trovato una valida ragione per affrontare con positività
anche le giornate più nere e questa ragione le consente di
non prendersela troppo quando qualcosa non va come pianificato.
Nell’universo parallelo sono una persona sicura di
ciò che ha, di ciò che vuole e di ciò
che è disposta a fare per conquistare le sue mete. Sono
ciò che potenzialmente potrei essere nella mia vita reale.
Sono il binario ad alta tecnologia, quello accuratamente costruito da
persone competenti, quello ottimizzato nelle sue funzioni. E sono
appena rientrata a casa. E sto per accendere il computer.
“Ciao Zury Watson. Benvenuto”.
L’unica cosa che mi secca è che Windows dovrebbe
imparare a distinguere tra uomo e donna se proprio vuole parlare in
italiano, ma è una seccatura sopportabile tutto sommato.
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