Trying not to love you.

di MadShipper_96
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Sono le 4 di notte ahahah e ieri sera (14 febbraio) sono andata a vedere al cinema “50 sfumature di grigio” che mi ha dato la spinta finale, diciamo, per concludere la stesura. Mi ha anche leggermente ispirata per l’ultima scena, come noterete eheh.
 
Ci saranno due canzoni legate a questo capitolo degli M83: la prima è “Wait” (simbolo à #) e la seconda è “I need you” (simbolo à *).
 
Mi scuso per l’enorme ritardo nella pubblicazione e vi lascio alla lettura!
 
 
 
 
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You call to me, and I fall at your feet
How could anyone ask for more?
And our time apart, like knives in my heart
How could anyone ask for more?”
 
 
POV COLIN
 
Non c'è un cane in giro a quest'ora, il che è molto strano ma un bene per come sto guidando. Potrei causare dei tamponamenti a catena adesso come adesso.
Sono incazzato, sì. Molto incazzato. Con chi potete intuirlo da voi. Mi sto crucciando a cercare di capire il perché della sua improvvisa freddezza: io SO che lei non pensava davvero quelle parole che mi ha sputato in faccia e che mi hanno bruciato quasi fossero intrise di acido.
 
Spengo la macchina dopo una brusca frenata. Essendo sovrappensiero neanche mi sono accorto di stare quasi per superare il palazzo dove si trova il mio appartamento.
Demente.
 
Entro in casa e mi butto con poca grazia (sono un orso certe volte) sul divano color panna che troneggia nel mio soggiorno.
La casa è spaventosamente silenziosa, dato che Helen e Evan sono rimasti in Irlanda per delle questioni del suo vecchio lavoro di insegnante da sistemare. Talmente tanto silenziosa che l'unico modo che mi viene in mente per rimediare a questo è avere al mio fianco Jennifer.
 
Perché penso a volere lei e non mia moglie? Meglio lasciare gli interrogativi a data da destinarsi, al momento ho solo bisogno di farmi una doccia, dormire e... Ho bisogno di lei, maledizione.
Ho bisogno dei suoi occhi nei miei.
Ho bisogno del suo sorriso che illumina tutto ciò che la circonda.
Ho bisogno delle sue mani che mi toccano un braccio o una guancia per consolarmi o semplicemente per dimostrarmi quanto ci tenga a me.
Ho bisogno dei suoi abbracci stritolanti e immensamente carichi di amore.
Ho bisogno delle sue labbra, della loro morbidezza, del loro sapore sulle mie.
HO BISOGNO DI LEI.
 
Non posso di certo presentarmi al suo appartamento come se poche ore fa non fosse successo niente, ma una cosa posso farla: le scriverò. Santa e benedetta tecnologia, che tu sia lodata! In questi frangenti è davvero una manna dal cielo.
Le invio tre semplici frasi ma cariche di tutte le mie paure e aspettative.
È fatta, non si torna più indietro. Probabilmente a quest'ora lei starà già dormendo (o almeno ci starà provando, a differenza mia) e li leggerà domani mattina appena sveglia.
Devo solo aspettare. Aspettare. (#)
 
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Non ho chiuso occhio come avevo sospettato e il risultato è che mi sento uno straccio, uno di quelli più e più volte strizzato e sbattuto. Che vitaccia.
 
Nonostante questo, sono ancora eccitato all'idea di ricevere presto una risposta da Jen, il motivo principale per cui non ho dormito granché.
Prendo subito il cellulare per controllare ma niente, nessun messaggio. Sono le 8:39 del mattino, forse starà ancora dormendo visto che oggi registriamo nel pomeriggio.
 
Colin, sii paziente, come Killian devi avere pazienza e devi darle la possibilità di agire come crede.
 
Nel frattempo, per non pensare a tutta questa situazione, mi metto un po' a suonare la chitarra. Me la sono portata dietro dall'ultima volta che sono tornato da casa mia, dall'Irlanda, e non l’ho mai toccata da quando l'ho poggiata in un angolo della mia camera al mio arrivo. Suono qualche accordo per scaldarmi e poi mi cimento in alcune delle canzoni del mio vecchio gruppo “The Enemies” e cavoli, quanti ricordi riaffiorano alla mente!
Mi manca un po', a dire la verità, la vita relativamente tranquilla che avevo, ma poi inevitabilmente mi viene da pensare che se fosse rimasta tale non avrei mai conosciuto quell'angelo biondo che è la mia co-star.
 
Ecco, missione fallita soldato O'Donoghue: dovevi distrarti dal pensare a lei e cosa fai? Pensi a lei! Sei proprio un genio, cazzo.
 
Meglio lasciare da parte la musica: ambito troppo sentimentale. Passo allora agli attrezzi. Nell'ultimo periodo mi sono dedicato alla palestra per cercare di definire i miei muscoli, in parte per il lavoro e in parte per risollevare il mio ego, sì. Tiro su qualche peso, faccio un po' di esercizi cardio e un po' di stretching. Passo i successivi tre quarti d'ora alternando queste tre cose e riesco in parte nel mio intento.
Poi però faccio basta e vado a rifarmi la doccia, per lo meno per togliermi il sudore di dosso. Chiudo l'acqua e sento che il telefono vibra insistentemente sul lavandino, dove lo avevo lasciato prima di entrare nella doccia, così mi precipito a rispondere senza neanche guardare il nome comparso sul display e sperando solamente che sia lei.
 
-Pronto?- nessuna risposta dall'altro capo del telefono, sento solo dei respiri accelerati e sconnessi: deve essere lei. -Jen, sei tu per caso?- dico con troppa speranza e poco cervello forse: se non dovesse essere lei avrei appena fatto la più grande figura di merda della mia vita.
 
Jen, dimmi che sei tu, ti prego! Ora oltre che essere ansioso per il fatto che possa essere tu lo sono anche per paura di essermi appena reso ridicolo per la mega cazzata fatta.
 
-...Col, sì. Sono io.- è appena un sussurro ma riesco a distinguere lo stesso quelle quattro parole e WOW. Che sollievo! Per entrambe le mie preoccupazioni.
-Ciao, buon giorno.- dico, felice come un bambino a cui hanno appena promesso di portarlo a Disneyworld dopo scuola. -Dimmi, a cosa devo questa tua chiamata mattutina?- cerco di alleggerire la tensione sia mia che sua che percepisco bene attraverso la linea telefonica.
-Be', me lo chiedi anche?- ride nervosamente, quasi da isterica. Adoro quando fa così, è un comportamento che ho notato ha solo quando ci sono io nei paraggi o si sta parlando di me. -Ho... Ho ricevuto i tuoi messaggi, quelli di questa notte e mi chiedevo se ti andasse di vederci per... parlare, ecco.-
-Oh, certo. Per me non c'è alcun problema.- rispondo subito e forse leggermente troppo a voce acuta sorridendo a 32 denti.
 
Lo sapevo in fondo che non ce l'avresti fatta ad allontanarmi da te!
Okay, non costruiamoci castelli però, ancora non so che piega possa prendere il “parlare”.
 
-Perfetto. Preferirei vederci in un posto tranquillo, senza occhi indiscreti. Casa mia o casa tua?- OKAY, ORA SONO DECISAMENTE EUFORICO.
-Ehm, possiamo fare casa tua. Tanto stavo per uscire a fare colazione. Se ti va posso prendere qualcosa anche per te e portartela. Che ne dici?-
-Va bene, allora a tra... un po'.-
-A tra poco Jen.-
 
Mi vesto in fretta e furia, prendo le chiavi della macchina e raggiungo il primo Starbucks nelle vicinanze del suo appartamento. Torno in macchina dopo aver pagato e riparto a tutta birra verso di lei. Cazzo, per poco non prendo sotto uno in bici! Okay, forse è il caso che mi calmi.
Parcheggio e vado a suonare al citofono.
-Chi è?-
-Sono Colin e ho con me la merce da lei richiesta, milady.- la sento ride.
-Sali, dai.-
 
 
 
*   *   *
 
 
 
POV JENNIFER
 
Solo adesso che ho chiuso la chiamata mi rendo conto di quello che ho appena fatto: gli ho appena detto di venire da me per parlare. Venire da me per parlare. VENIRE DA ME PER PARLARE.
 
Jen, la prossima volta è meglio se dormi invece di stare a guardare il soffitto della tua camera pensando a lui e a tutta questa enorme faccenda.
 
Troppo tardi, il danno è fatto e io avrò al massimo quindici minuti per darmi una radanata prima del suo arrivo. L'ho sentito alquanto euforico dopo la mia proposta e perciò c'è caso che stia cercando di metterci il meno tempo possibile per raggiungermi. Yeah.
 
Avanti Jen, sotto sotto ti fa piacere.
Sì, lo ammetto. Ma questo piacere deve appunto stare “sotto sotto”. Punto.
 
Mi asciugo alla bell'e meglio la bionda massa informe che mi ritrovo in testa e pesco i primi vestiti che trovo dall'armadio: un pantalone della tuta blu e un t-shirt grigia molto anonima: la chiamo “tenuta maschio-repellente”. Qualche volta nel passato ha funzionato, spero anche ora con l'irlandese.
 
Passano cinque minuti in cui controllo a intervalli di quattro secondi la finestra per vedere se arriva, quando alla fine una macchina scura entra nel vialetto sotto il mio palazzo e lui scende tenendo in mano la nostra colazione. Nostra. Nostra... NOSTRA.
 
Jennifer, sul serio? “La MIA e la SUA colazione”, ripeti con me: “la MIA e la SUA colazione”. Siete due persone ben distinte, che diamine.
 
Shhh, silenzio testa.
 
Suona al citofono e come al solito fa lo scemo.
-Chi è?-
-Sono Colin e ho con me la merce da lei richiesta, milady.- non riesco a trattenere un risata.
-Sali, dai.-
 
Apro la porta e dopo pochi secondi vedo spuntare dal pianerottolo una chioma castana famigliare e i nostri occhi si incontrano.
Non fa male come pensavo, come speravo.
 
-Vieni, entra.-
-Grazie. Spero di non aver toppato con la scelta del caffè e del dolce.- ammette sorridendo e grattandosi l'orecchio come suo solito fare quando è nervoso. É adorabile in questi momenti e io inevitabilmente sorrido come un ebete in un riflesso spontaneo.
Sono attimi di vita, istanti preziosi che non voglio per nulla al mondo perdere ma assaporare fino all'ultimo millisecondo. Sono cosa rara.
-Dove preferisci stare: divano o tavolo in cucina?- gli chiedo per cercare di allentare la palpabile tensione che si è creata.
-Per me è indifferente, fai tu: sei la padrona di casa.- alza un sopracciglio come farebbe il suo personaggio (e anche lui stesso, in effetti) e il mio cervello va in pappa.
Riesco giusto a muovermi verso il divano sicura che mi avrebbe seguito e sprofondo nel mio angolino preferito, quello a destra di fronte a una delle finestre dello spazioso e luminoso salotto. Certe volte questa casa mi sembra veramente troppo grande solo per ospitare me e anche per poche ore durante la giornata.
-Il divano è decisamente un'ottima scelta: comodo, rilassante ed è molto più agevole per...- mentre parla si avvicina sempre più pericolosamente a me e io, come per bloccarlo, mi stiracchio tutta, dalle braccia alle dita dei piedi. Ho gli occhi serrati ma riesco a sentire il suono gutturale e profondo (e maledettamente sexy, cavolo) della sua risata soffocata.
-...per schiacciare un pisolino! L'altro pomeriggio, quando abbiamo registrato solo la mattina, mi sono appoggiata qui sopra questa meraviglia per 2 minuti e BOOM, già ero tra le braccia di Morfeo.- dico tutto d'un fiato riaprendo gli occhi e me lo ritrovo seduto ad una distanza decisamente più accettabile per tenere a bada i miei poveri ormoni impazziti. Quest'uomo è peggio di una gravidanza!
-Non era proprio quello che volevo dire ma okay, dolcezza.- ridacchia lanciandomi uno sguardo carico di malizia.
Devi smetterla, non mi rendi le cose facili in questo modo!
-Va bene, basta con le battute. Ora torniamo seri...- sta mangiando il suo muffin al cioccolato come se fosse un bambino di 4 anni. Ho già detto che è adorabile? -...e parliamo.-
-D'accordo Jen, sono tutto orecchi!... e cioccolato anche.- non riesco a evitare una risata sinceramente divertita dalla scena che mi si para davanti.
 
Ora basta però, o questa faccenda non si risolverò mai. -Che fai, temporeggi? Ora silenzio, parlo io mentre ti ripulisci. Come ti avevo già detto al telefono prima, ti ho chiesto di vederci per parlare di quello che è successo e che sta succedendo tra noi. Non è facile per me, come non sarà neanche per te, ovviamente, ma dobbiamo farlo per il nostro bene e di quelli che ci sono accanto.- sorprendentemente riesco a guardarlo, per tutto il tempo in cui parlo, dritto in quei pozzi d'acqua limpida e lui ricambia il mio sguardo con un'intensità tale da stordirmi.
Con quella poca lucidità che mi resta e che non voglio assolutamente perdere continuo a parlare. -Quello che ti ho detto nella mia roulotte è tutto vero, sono stanca di negarlo, soprattutto a me stessa. Sarò il più sincera possibile: erano mesi che aspettavo di sentirti dire quelle bellissime parole. Tu... non te lo immagini neanche.-
 
 
 
*   *   *
 
 
 
POV COLIN
 
Non sono mai stato così agitato.
Salgo le scale a due a due e quando mi avvicino alla porta già aperta la vedo struccata, vestita comodamente (non tieni il reggiseno in casa, eh Jen? Okay, basta.) e sorridente. Quel sorriso che contagia anche i suoi occhioni verdi e me.
 
Mi sento molto impacciato e spero di non aver sbagliato a scegliere per lei il caffè e il dolce: dalla fretta di raggiungerla mi sono completamente dimenticato di chiederle come li volesse, così sono andato sul sicuro prendendo quello che ho notato gradisce di più.
La seguo dentro.
 
L'ultima volta che sono stato qui nel suo appartamento eravamo insieme a Josh, Ginny, Lana ed Emilie per cenare tutti insieme in occasione dell'inizio delle riprese della terza stagione. Quella sera sono stato veramente bene, lei era qualcosa di spettacolare: non l'avevo mai vista così felice e spensierata. Quando rideva reclinava la testa all'indietro e i suoi lunghi e biondi capelli si muovevano sinuosamente: è stata la prima volta in cui ho pensato che fosse veramente bella.
 
-Vieni, entra.- ci accomodiamo sul divano e dopo un malizioso battibecco emerge il motivo per cui siamo ora seduto l’uno accanto all’altra: parlare di quello che ci sta succedendo.
La vedo tesa, agitata: è un fascio di nervi. Ma io non sono da meno e comincio a grattarmi l’orecchio come mio solito fare quando mi sento a disagio. Cerca di rimanere seria mentre parla ma si distrae facilmente e non sono di certo d’aiuto visto che mi sono appena sporcato tutta la bocca di muffin al cioccolato neanche fossi un bambino di 3 anni. Però è bella veramente quando sorride, Dio se è bella…!
-Quello che ti ho detto nella mia roulotte è tutto vero, sono stanca di negarlo, soprattutto con me stessa. Sarò il più sincera possibile: erano mesi che aspettavo di sentirti dire quelle bellissime parole. Tu... non te lo immagini neanche.- la guardo sbalordito, non sapendo bene cosa fare. Che diamine, qualcosa dovrò pur dirgliela! Il punto è che proprio la voce mi si strozza in gola, non riesco ad emettere alcun suono e sicuramente sembro un pesce fuor d’acqua che boccheggia.
 
Mi fissa. Si aspetta che le risponda. Sto cominciando a sudare freddo. Mi sento come a quei quiz televisivi quando arrivi alla domanda cruciale e ti restano pochi secondi per rispondere: la tensione è decisamente quella, se non di più.
 
Sono tante le cose che vorrei dirle, forse anche troppe e inutili ed è difficile organizzarle così, su due piedi, in un discorso coerente e comprensibile. Faccio quindi l’unica cosa che mi riesce in questo momento di fare: la bacio. Sento le sue labbra tese, ha paura a lasciarsi andare, di nuovo. Ma io non demordo. La stuzzico, prima passandole la punta della lingua sul suo labbro superiore e la sua bocca si apre leggermente: Colin 1, autocontrollo di Jennifer 0. Mi concentro quindi sul labbro inferiore e delicatamente glielo mordo facendole uscire un gemito involontario al quale subito pone rimedio inchiodando i suoi occhi nei miei e richiudendo le labbra in una linea tesa.
 
Mi vuoi sfidare Jen? Bene, che sfida sia.
 
Ha la schiena dritta, lo sguardo impassibile e continua a fissarmi dritto negli occhi. So che fare così le sta costando un enorme autocontrollo e so anche di essere in grado di farlo crollare in men che non si dica. Negli ultimi tempi stare con Jennifer, provare le emozioni che provo tutt’ora, mi ha rimesso in pista, diciamo. O forse è meglio dire che mi ci ha proprio messo in pista e mi sento più affascinante che mai.
 
Provenire da una famiglia cattolica vecchio stile ha le sue conseguenze: una sola donna, matrimonio, figli e niente divorzio, ovviamente. Fino a qualche anno fa non me ne importava perché sapevo che volevo stare con Helen e passare il resto della mia vita con lei. Lei che era la mia migliore amica, quella con la quale ho condiviso un sacco di esperienze e quindi far sfociare la nostra relazione in matrimonio è stato naturale. Sentivamo di essere fatti l’uno per l’altra.
Poi ho conosciuto Jennifer Marie Morrison, questa bionda frizzante e piena di energia ed entusiasmo che mi ha rapito dal primo istante. Mi sono sentito diverso per la prima volta e questo sulle prime mi ha spaventato ma ero anche curioso di vedere a che punto mi avrebbe portato. Inutile dire che il senso di colpa abbia subito fatto capolino, pronto a sbattermi in faccia la grande cazzata che ero sul punto di fare ma… non mi importava. No.
Con Helen le cose avevano cominciato ad incrinarsi, mi stavo allontanando da lei e se n’era accorta, come non avrebbe potuto? Dopo tutto, mi conosceva meglio di chiunque altro.
Jennifer aveva messo in discussione ogni singolo fondamento della mia vita, ogni tassello che mi rendeva l’uomo che ero e che ora non sono più. Non gliene faccio assolutamente una colpa, sia chiaro, ma anzi la ringrazio, perché mi ha dato la possibilità di aprire gli occhi e di rendermi conto che io non mi conoscevo affatto. Fino a prima non avevo idea di cosa volessi realmente, ero semplicemente abbagliato dall’esempio dei miei genitori e dalla piccola realtà del mio paese, Drogheda. Cambiare città, conoscere nuove persone, nuove storie, avere altre possibilità mi ha aperto un mondo.
E io ora so cosa voglio.
 
Sfodero tutto il mio fascino alla Uncino e mi avvicino a lei ancora di più ma lentamente. Guardo le sue mani e ne prendo una. Comincio a sfiorarle le dita, a disegnare figure astratte sul dorso e poi mi porto il suo indice alla bocca e comincio a succhiarlo senza staccare mai il mio sguardo dal suo. La vedo avvampare, le sue gote si velano di rosa.
 
Bene. Alziamo un altro po’ la temperatura.
 
Ora passo ad accarezzarle il braccio con diversi movimenti casuali ma sempre lenti e questo le provoca una serie di brividi che non fanno altro che aumentare la mia voglia di lei. Le brillano gli occhi color smeraldo, due pietre in procinto di sciogliersi sotto il mio tocco. Continuo ad accarezzarla arrivando al collo dove le scosto i capelli da un lato per darmi campo libero sull’altro. Mi avvento allora con le labbra lasciando piccoli e teneri baci che le fanno piegare la testa come a dirmi in modo silenzioso di continuare. Sta cedendo, ce la sto facendo.
Mi sento leggermente stronzo, anche per il fatto che sto godendo troppo per tutto questo. Ci si sente quasi potenti quando si riesce a piegare al proprio volere una donna come Jen.
 
Passo dai baci a lasciarle delle scie piene di desiderio con la lingua lungo tutto il suo collo per un tempo indefinito (sì, ci sto prendendo gusto, lasciatemi lavorare) quando poi decido di avvicinarmi al suo orecchio per succhiarle il lobo.
-Mmm, è stato fin troppo facile, non trovi? Pensavo riuscissi a resistermi un po’ di più.- le sussurro provocandola.
-Argh, fanculo. Sei un pezzo di merda.- e con veemenza mi prende il viso tra le mani e mi bacia come se ne andasse della sua vita, come se baciandomi potesse salvarsi da un terribile malattia. La lascio fare e mi abbandono completamente a quella Venere paglierina. (*)
 
 
 
*   *   *
 
 
 
POV JENNIFER
 
Non posso più continuare a resistergli, non ce la faccio proprio: fa male fisicamente. Lo prendo allora per il viso a mi avvento sulle sue labbra facendomi trasportare dalla passione che ho recluso per troppo tempo ormai. Lui, ovviamente, mi segue e le sue mani mi esplorano in ogni lembo di pelle scoperta. Sento il suo desiderio che accresce a dismisura il mio e non resisto più.
 
-Voglio farlo. Voglio fare l’amore con te. Qui, ora. Sono stanca di preoccuparmi, ora voglio solo essere tua.- dico tra un sospiro e l’altro per riprendere fiato. Lui mi guarda e la sua bocca si allarga in uno dei sorrisi più belli che gli abbia mai visto. Azzarderei quasi paragonabile a quello che gli si dipingeva in volto nelle volte in cui lo vedevo passare del tempo con il piccolo Evan.
-Oh, tesoro, ma tu sei già mia.- e detto questo si alza dal divano e mi carica di peso per portarmi nella mia camera da letto ancora sfatto dalla nottata precedente. Mi butta tra le coperte e si posiziona sopra di me facendosi spazio tra le mie gambe e premendomi il rigonfiamento dei jeans sui miei pantaloni della tuta. Comincia una danza tra i nostri bacini mentre le nostre mani esplorano il corpo della persona davanti a loro e i vestiti volano via sparpagliandosi per il pavimento.
Prima di entrare in me mi guarda titubante, come per paura di fare qualcosa della quale poi io mi pentirei. Lo rassicuro posandogli un bacio a fior di labbra e inarcando la schiena, un chiaro invito a proseguire.
Ci uniamo e i nostri corpi sembrano combaciare alla perfezione, i nostri movimenti sono sincronizzati.
Ci stacchiamo però, non arriviamo a raggiungere l’orgasmo e questo perché prima ci concediamo di esplorarci un po’ più dettagliatamente delle semplici toccatine o carezze.
 
Mi sento su una nuvola, sono al settimo cielo e sento che il petto sta per esplodere. Sarà però una sensazione fugace e che non mi sarà permesso provare una seconda volta perché è sbagliata. Sbagliatissima. Tengo da parte il senso di colpa ancora per un po’ e lo bacio più e più volte con sempre maggior trasporto come se ne andasse della mia vita, come se baciandolo potessi salvarmi da una terribile malattia.
 
…la solitudine.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
ANGOLO DELL’AUTRICE: ragazzeeee, scusate per l’enorme ritardo! Sono pessima, lo so, ma ho avuto delle settimane di fuoco per la scuola e solo ora mi sono ridotta a finire questo benedetto capitolo. Metteci pure nel mezzo la poca ispirazione e spero che riusciate a capirmi T_T
 
Okay, basta. Vi saluto, ringrazio tutti quelli che stanno seguendo la storia, chi l’ha recensita e mi scuso ancora per il ritardo!
 
Al prossimo capitolo, Sara xoxo.




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