STORIA
DI UNA SCIARPA BLU DI LANA E DELLA SERENDIPITA' CHE NE DERIVO'
Serendipità:
indica la fortuna di fare felici scoperte per puro caso e, anche,
il
trovare una cosa non cercata e imprevista mentre se ne stava cercando
un'altra.
Wikipedia
ATTO
I. COSA ACCADDE
No.
No.
No.
Non
poteva essere!
Smise
di rovistare febbrilmente nella borsa e tentò di calmarsi.
In quel
particolare frangente udiva solo le pulsazioni frenetiche del cuore
nelle orecchie mentre tutti gli altri rumori erano spariti,
inghiottiti dal panico che l'aveva avvolta come quella dannatissima
sciarpa avrebbe dovuto fare col suo collo. E invece no!
Perché
l'aveva
persa.
La
macchina parve
restringersi, comprimendo le persone sedute attorno a lei o in piedi,
attaccate a qualche sostegno per non cadere durante i bruschi
movimenti.
Pensa,
avanti!
Compì
un bel
respiro e si concentrò, mentre la metro diminuiva la
velocità e si
apprestava a fermarsi.
Come
in un film registrato su videocassetta riavvolse gli avvenimenti e
gli spostamenti della giornata partendo dall'ultima tappa: il
supermercato. Per
quanto pensasse ricordava piuttosto nitidamente il non averla avuta
addosso; se ne sarebbe accorta, altrimenti, visto che nove volte su
dieci le avrebbe impedito d'impigliarsi in giro! Perché non
si era
allarmata quando, aprendo la borsa per recuperare il portafogli, non
l'aveva scorta? Che diamine l'era passato per la testa? Assolutamente
nulla!
Gemette,
nascondendo il volto tra le mani; era inutile piangere sul latte
versato, così come era improduttivo insultarsi. Non le
avrebbe
riportato la sua cara, carissima
sciarpa.
Il mini market venne così scartato dalla lista di posti
papabili al
ritrovamento perciò non le rimase che pensare alla
biblioteca, dove
si era fermata giusto una mezz'oretta a scambiare due chiacchiere con
l'amica Jenny.
Stavolta
era piuttosto sicura di rimembrare la grossa sciarpa blu, quindi
rimaneva solo una cosa giusta da fare. Scattò in piedi
appena in
tempo per accodarsi dietro l'ultima persona uscita e, scusandosi come
mai in vita sua, riuscì in qualche modo a superare la calca
dell'ora
di punta ed imboccare le scale mobili per ritornare in superficie; si
strinse i lembi del cappotto rosso attorno al collo per ripararsi
dalle correnti d'aria dei veri treni e, dopo aver strisciato la
fedele Oyster card sui lettori ed atteso impaziente l'apertura della
barriera – il tutto durato due secondi, ma interminabili per
lei –
corse fuori.
Pregò
con tutta se stessa di non trovarsi le porte dell'edificio
già
chiuse.
Era
stato un fiasco. Un buco nell'acqua non avrebbe mai creato un
vortice, questo era risaputo, eppure non faceva altro che invocarlo
così che potesse inghiottirla. Lei e la sua sbadataggine.
Aveva
chiesto a Jenny se, per caso, avesse trovato una sciarpa blu di lana,
e si era vista prima rivolgere uno sguardo pensieroso – la
speranza
aveva brillato debolmente – seguito da uno desolato
– e qui la
speranza era morta del tutto.
L'amica
si era offerta di accompagnarla a guardare in giro perché
magari
poteva essere finita sotto i tavoli di legno, o qualche anima pia
poteva averla appesa da qualche parte o lasciatala sopra un banco, ma
niente. Dopo un'ora avevano setacciato ovunque e seccato chiunque
date le domande che, giustamente, erano state poste ai frequentatori.
Nessuno l'aveva vista, si era dissolta nel nulla. Jenny si era
mostrata dispiaciutissima per l'accaduto, assicurandole un'altra
occhiata una volta terminato l'orario d'apertura; l'aveva ringraziata
e rassicurata, dicendole di non preoccuparsi poiché dubitava
fortemente potesse spuntare fuori. Non era certo un oggettino
piccolo!
Ed
ora si trovava lì, sul pianerottolo del secondo piano, a
riflettere;
o meglio, a trattenere le lacrime. Non si era mai considerata una
persona materiale, però in quel frangente si sentiva
esattamente
così dato che quella sciarpa era stata un regalo d'addio da
parte
delle sue più care amiche italiane.
Un
prezioso ricordo di quella terra non tanto – eppure
sì –
lontana; un ricordo tangibile di amicizie speciali e sincere nate e
cresciute in un periodo della sua vita su cui non avrebbe scommesso
un centesimo, considerando un po' la naturale timidezza e un po' la
difficoltà nel trovarsi in sintonia con persone sconosciute.
Ogni
giorno passato con la compagnia rassicurante e calda della lana blu
era un dolce tuffo nei ricordi, uno sprazzo di sorriso nel riportare
a galla momenti bizzarri o più seri, un luccichio negli
occhi
marroni screziati di verde. Si sentiva a casa, con
quella sciarpa. Ora, era smarrita.
Non
vi era sicurezza, né baldanza. Solo tristezza.
E
con che coraggio raccontare l'accaduto alle ragazze? Loro avrebbero
minimizzato, prendendola anche in giro riguardo queste paranoie, ma
lei non sarebbe stata dello stesso avviso: da quando era a Londra
ogni oggetto, anche quello reputato più insignificante in
Italia e
portatolo con sé, acquisiva valore ai suoi occhi.
Perché era un
pezzo di pianura nebbiosa in inverno ed afosa in estate.
Perché le
ricordava i colori sgargianti assunti dagli alberi del lungo viale
che dal ponte l'accompagnava fino alla stazione dipinta di giallo,
per poi curvare a destra fino a casa, in primavera ed autunno.
Sospirò
a fondo, suonando il campanello dell'appartamento di fronte al suo,
le mani affondate nelle tasche del cappotto rosso; riconobbe
l'abbaiare di Lafayette e una voce gentile avvertirla di aspettare,
accompagnata dal suono di passi concitati. Non attese molto prima che
la porta si aprisse rivelando la padrona di casa, una donna sulla
settantina dal sorriso cordiale e modi affabili.
«Oh,
immaginavo fossi tu. Ti aveva riconosciuta.»
Le
sorrise, salutandola e accucciandosi quando scorse la macchietta
color champagne correrle incontro «Ciao, Lafy.
Spero si sia
comportato bene.»
«Ma
certo, deary, ci siamo
fatti compagnia a vicenda. Gradisci una tazza di tè? Hai le
dita
intirizzite.»
«Non
vorrei disturbare.»
«Non
pensarlo nemmeno» l'ammonì, sedando ogni eventuale
protesta
«altrimenti non te l'avrei chiesto. Su, togliti
il cappotto.»
Obbedì
all'istante mentre un leggero sorriso le increspò le labbra;
dopo
averlo appeso all'attaccapanni la raggiunse nella piccola cucina
calda e accogliente appena in tempo per staccare la spina del
bollitore.
La
donna nel frattempo aveva tirato fuori dalla dispensa una scatola di
biscotti con gocce di cioccolato fondente, poggiandola sulla piccola
tavola quadrata di legno chiaro, pronti per esser mangiati.
«Lasci,
mrs. Taylor» la fermò, prima che prendesse il
vassoio con le tazze
fumanti «ci penso io.»
«Ti
ringrazio molto.»
Una
volta accomodate presero una tazza, aggiungendoci un po' di latte.
Bevvero in silenzio il primo sorso, interrotto dalla donna
più
anziana.
«Ci
voleva proprio, vero? Mia nonna diceva sempre che ogni problema si
poteva risolvere con una buona tazza di tè e due abbondanti
cucchiai
di zucchero. Non ho mai capito perché dovesse metterne
così tanti,
a dirti la verità.»
Anna
strinse la tazza tra le mani, alzando gli occhi verso di lei
«E
funzionava?»
«La
maggior parte delle volte sì. Purtroppo il tuo visetto
è ancora
abbattuto, quindi deduco abbia fallito, stavolta.»
«Non
è colpa sua, né del te. E'... niente di
importante» minimizzò,
dopo una manciata di secondi di silenzio.
«Io
non penso, altrimenti ora ti staresti lamentando del freddo di
Londra. Era un accenno di sorriso?»
«Mi
conosce troppo bene.»
«Siamo
vicine da quasi un anno, ormai, e credo d'aver passato abbastanza
tempo in tua compagnia da conoscerti almeno un pochino. Non scherzavo
quando dicevo d'aver trovato in te una sorta di nipote.»
Anna
si ritrovò ad arrossire, come ogni qual volta riceveva un
apprezzamento o complimento e tentò di nasconderlo in un
sorso di tè
caldo «Grazie» mormorò,
non sapendo bene come replicare «Mi
ha aiutato così tanto, mrs. Taylor, che non saprei proprio
come
sdebitarmi.»
La
donna scosse una mano e le sorrise, intenerita da quella confessione
detta con un fil di voce «Fai anche troppo, Anna. Solo, mi
piacerebbe sapere cosa ti turba tanto questa sera.»
«Oggi
ho perso un oggetto. Una sciarpa, ad essere precise. So che
sembrerà
stupido, ma ci tenevo perché era un regalo di alcune mie
amiche
italiane, sa –»
«Aveva
un valore affettivo» terminò per lei.
«Esatto.»
Fu
il turno di mrs. Taylor di prendersi qualche secondo di tempo per
ponderare una risposta adatta; infine, sembrò pronta a
parlare «Era
un regalo prezioso, non lo nego; un ricordo davvero importante. Ma
per quanto lo sia stata... perché non inizi a creare nuove
memorie
londinesi? Qui non sei felice?»
«Certo!»
esclamò veloce, per poi rabbuiarsi «Suppongo...
suppongo di sì. Ho
pochi eppure buoni amici, in lei mi sembra di vedere una figura
famigliare, però –» si
bloccò, lasciando all'altra il compito di
intuire e tradurre i pensieri in parole.
«Non
è casa.»
«Non
è casa» ripeté Anna.
Ricacciò il fastidioso senso di colpa in
fondo al cuore supplicando internamente mrs. Taylor di capirla, anche
un minimo.
La
donna le sorrise incoraggiante e le batté qualche colpetto
affettuoso sul dorso della mano, esortandola a prendere un altro
biscotto “Perché ne hai bisogno, deary.
Fai onore alla tavola e
mi riempi di soddisfazioni!”
Chiacchierarono
del più e del meno – finendo il tè in
entrambe le tazze –
finché mrs. Taylor non si ricordò di un fatto
accaduto quel
pomeriggio.
«Ah,
oggi ho incontrato mr. Armitage, mentre tornavo dalla passeggiata con
Lafayette.»
Anna
smise all'istante di accarezzare il cagnolino, sedutole in grembo,
ascoltando il resto della frase col fiato sospeso.
«Si
è fermato a scambiare due parole e tra le tante mi ha
domandato come
mai avessi questo piccolo demonietto. Credeva fossi partita per
tornare a casa, ma gli ho spiegato che invece ti trovavi al
lavoro.»
«Capisco.»
Mrs.
Taylor osservò le sue guance tingersi di un rosa tenue,
intuendo
alcune questioni ancora all'oscuro del cuore della giovane. Non
soddisfatta della risposta concisa – e tremendamente curiosa
–
decise di sondare il terreno a piccole ed astute mosse.
«È
un uomo gentile e disponibile, nonostante i numerosi impegni. Abito
qui da moltissimi anni, ormai, e il Cielo solo sa quante persone
bizzarre abbia conosciuto – anche più famose di
lui. Eppure credo
proprio di poter contare sulle dita delle mani le più
meritevoli. E
lui è tra queste, credimi! Hai mai avuto occasione di
parlarci?»
Anna
grattò la testa e le orecchie del cane più a
lungo del previsto non
sapendo né da dove cominciare né, soprattutto, quanto
raccontare
senza innescare
inutili fraintendimenti. Quel che era certa era la totale mancanza di
pazienza nell'ascoltare assurdi consigli basati su sprazzi di
effimere conversazioni o innocenti scambi di saluti.
«Sì,
io... l'ho incontrato casualmente già due volte, mentre ero
in
cortile con Lafayette. Le mie impressioni su di lui finora sono
buone.»
Ignorò
i battiti decisamente accelerati del
cuore concentrandosi sui movimenti del cane, ora sceso per
trotterellare in giro.
«Ne
sono contenta! Credo non ci sia nessuno in questo condominio in grado
di parlarne negativamente.»
«Meglio
così.»
«Sicuro!
Eppure, sai, un po' mi è sempre dispiaciuto»
iniziò,
incuriosendola col tono basso assunto; pareva fosse in arrivo un
momento di confidenza, un pezzetto di succoso pettegolezzo.
Alzò gli
occhi nocciola dalla decorazione floreale della tazza in ceramica,
guardandole il volto rugoso alla ricerca degli occhi azzurri.
«Pur
essendo un uomo d'oro e così affascinante,
è stato piuttosto
sfortunato in amore. Mai storie serie, a quel che so.»
«Forse
è semplicemente bravo a mantenere la sua privacy. Scusi la
franchezza, ma non vedo perché dovrebbe esserne informata
dato si
tratta della sua vita.»
Mrs.
Taylor si ritrovò a ridere di cuore nel vedere con quanto
ardore lo
difendesse – benché non se ne fosse resa
pienamente conto. Il suo
sbottare era stata una prova non tanto schiacciante, quanto piuttosto
un altro piccolo tassello di un puzzle più grande. Anna,
d'altra
parte, rimase interdetta sia dalle parole pronunciate che dalla
reazione della donna.
«Mi
dispiace. Non volevo mancarle di rispetto.»
«Hai
solo espresso il tuo parere, deary. Non
c'è nulla di male» strizzò
un occhio al suo indirizzo,
strappandole un sorriso sollevato «e non crucciarti. Credo di
aver
capito cosa credi ti manchi per considerarti “a
casa”, qui a
Londra. Se mi permetti, ti consiglio di non pensarci più del
dovuto;
quando meno te lo aspetterai arriverà.»
Anna
si stupì nel sentire le identiche parole ripetute da sua
madre negli
anni precedenti, quando lei stessa le esponeva i propri dubbi. Ora
non ce n'era stato bisogno, forse perché era vero quanto
sostenevano
tutti: era un libro aperto, ogni sua espressione veniva analizzata e
compresa. Doveva considerarlo un bene o un male?
«Le
posso assicurare che non si tratta di quel che pensa»
affermò
sicura, sentendosi una completa idiota quando mrs. Taylor
alzò le
sopracciglia a dimostrare il proprio scetticismo.
«E
io sono piuttosto certa del contrario, Anna. Ti sentirai sola, a
volte, perché succede anche a me; ho perso il mio Rudolph da
molti
anni eppure sembrano passate solo poche ore, tanto è il
dolore.
Quindi posso capire bene quanto il tuo cuore brami una compagnia
diversa dalle
solite
amicizie. O da questa vecchia vedova.»
Anna
non riuscì a rispondere, limitandosi ad abbassare gli occhi.
Inevitabilmente pensò a mr. Armitage, al modo in cui si era
sentita
scossa dopo le loro brevi conversazioni e prese coscienza di
ciò che
più la spaventava. Le era entrato sottopelle riuscendo a
raggiungere
il cuore. Non sarebbe mai dovuto
accadere perché non potevano esistere persone più
diverse al mondo
di loro due; erano agli antipodi, questo lo sapeva. Lui non avrebbe
mai provato nulla all'infuori di una superficiale amicizia e lei,
d'altro canto, avrebbe dovuto farsela bastare seppellendo qualsiasi
altro sentimento. Impresa non facile, dal momento che non era mai
stata brava a mentire. E se l'uomo avesse scalfito la superficie
desiderando qualcosa di più rimanevano comunque i problemi
legati al
suo mestiere e, non meno importante, alla differenza d'età:
ben
diciassette anni. Un'enormità, anche se lei aveva sempre
affermato
che quando avrebbe amato qualcuno niente le sarebbe stato d'ostacolo.
Ora doveva rimangiarsi le sue stesse parole ed essere realista. Non
sarebbe mai accaduto niente di quel che desiderava quasi più
di ogni
altra cosa.
Per
lei era stato il classico e totale colpo di fulmine, al di
là del
fatto fosse un attore e lei una sua grande fan. E, come tale, andava
dimenticato in tutta fretta.
«La
ringrazio per il tè e la chiacchierata, ma ora devo proprio
andarmene. È stata una lunga giornata.»
«Certo,
comprendo.»
Anna
strinse le labbra e chiamò a sé il cane,
camminando fino alla porta
e attendendo fosse la padrona di casa a compiere la mossa successiva;
la salutò un'ultima volta e si lasciò
l'appartamento alle spalle
per dirigersi al suo. Non fu mai così lieta come in quel
momento,
quando chiuse la porta e ci si appoggiò esausta, sia
mentalmente sia
fisicamente. Desiderò solo buttarsi a letto e dormire fino a
dimenticare quei sentimenti che, neanche troppo lenti, divoravano
l'anima e il cuore lasciando un immenso vuoto nero. Un vuoto
rispondente al nome di Richard Armitage.
ATTO
II. COSA ACCADDE TEMPO DOPO
Natale
era passato in un lampo, trascinandosi con sé le
festività. Col
cuore gonfio di tristezza aveva salutato i parenti e la sua casa per
far ritorno alla fredda e nevosa Londra, dove si era ricongiunta con
Lafayette, rimasto ospite di mrs. Taylor. Era ritornata da poche ore
nel suo piccolo ma accogliente appartamento ed aveva già
terminato
di disfare la valigia, avviato la lavatrice, si era rinfrescata un
poco e ora aveva deciso di rilassarsi con una buona tazza di
tè ed
un libro; aveva infilato il pigiama e tolto le lenti a contatto
pensando che, data l'ora – appena le sette e mezzo di sera ma
era
stanca morta, tanto da non aver voglia di cenare – nessuno le
avrebbe fatto visita.
Dovette
ricredersi quando udì un discreto bussare alla porta invece
del
solito trillo del campanello. Aggrottò la fronte,
chiedendosi chi
potesse essere e contemporaneamente maledicendo l'ospite inatteso
perché avrebbe dovuto mostrarsi in quell'aspetto casalingo.
Era
quasi arrivata alla porta, la mano destra già sulla
maniglia, quando
udì distintamente la voce profonda.
«Anna?
Sono Richard.»
Si
bloccò, e dovette sembrare davvero una sciocca, ferma
lì con la
mano a mezz'aria. Fortuna era sola, a parte il piccolo carlino!
In
un attimo le passarono davanti agli occhi frammenti delle loro ultime
tre – ed uniche – uscite, terminate con un casto
bacio sulla
guancia; di ciò non poteva certo lamentarsi,
poiché era a
conoscenza della fortuna capitatale e di sicuro invidiatale se
l'avesse confidato a qualcuno. E il Cielo solo sapeva quanto
incontenibile fosse stata la felicità – unita ad
una buona dose di
incredulità – nel ricevere il primo invito, giorni
dopo
l'inconveniente con la sciarpa. Gli altri due si erano susseguiti un
po' più tardi, durante i mesi successivi – si era
chiesta se
avesse combinato qualcosa di grave, magari una parola fuori posto o
un gesto non appropriato! – ma infine erano giunti,
inaspettati e
graditi come non mai. Ora non avrebbe dovuto esitare ad aprire,
poiché il cuore pareva scoppiarle in petto tanta era la
gioia;
invece stava tremando da capo a piedi, lo stomaco si era annodato,
faceva fatica a deglutire e ogni pensiero era volato altrove.
Finché
la voce al di là del legno non la riportò di
nuovo coi piedi per
terra, ricordandole ch'era lì fuori ad aspettarla e che lei,
da vera
maleducata, lo stava facendo attendere sul pianerottolo gelido.
«Al
diavolo!» borbottò, stanca di tutte quelle
paranoie. Afferrò la
maniglia e aprì, ritrovandoselo davanti in tutta la sua
altezza.
«Ciao»
la salutò, con un leggero sorriso imbarazzato
«Ehm, disturbo?»
Per
un breve attimo non capì subito a cosa si riferisse, ma le
parve
tutto chiaro quando ricordò di portare quel terribile e
vecchio paio
di occhiali dalla montatura rettangolare e di indossare il pigiama
bianco a piccoli pois rossi sotto la felpa di pile color lavanda. Una
meraviglia.
«No
no, figurati!» esclamò, la voce improvvisamente
più acuta «Entra,
ti prego. Starai morendo di freddo, sei senza cappotto.»
Richard
sorrise ed entrò, scuotendo la testa ma mantenendo le
braccia dietro
la schiena «Sono appena uscito dall'appartamento, quindi il
tempo di
scendere le scale ed eccomi qui. Di certo non sto tremando»
ritornò
serio, lasciando vagare lo sguardo azzurro ovunque tranne su di lei
«Sono andate bene le vacanze?»
«Oh,
certo. Normali feste tra parenti, piene di cibo e... altro cibo. Le
tue come sono andate?» domandò, sperando di uscire
dal vortice di
imbarazzo.
«Non
male. Mia madre mi avrebbe impedito di ritornare, se avesse
potuto.»
Sorrise
«Immagino. La mia è quasi scoppiata a piangere il
giorno della
partenza.»
«Scusami,
non volevo... insomma, le mie parole non... ah, non riesco nemmeno a
spiegarmi!»
Il
sorriso si tramutò in una leggera risata di fronte allo
sbotto «Ho
capito, non preoccuparti. E non devi scusarti di niente»
sciolse le
dita ormai indolenzite dall'intreccio in cui le aveva costrette e
batté piano le mani «Ti offro qualcosa? Un
tè, un caffè...
stavolta ho la scorta, a casa mi hanno rifornita»
aprì le ante
iniziando a tirar fuori ogni sorta di bevanda o biscotti pregando nel
contempo di non far cadere nulla a causa delle dita tremanti.
Sentiva
le occhiate di Richard in ogni centimetro di corpo, e non era affatto
preparata a questo né alle
figuracce che, sicuramente, sarebbero arrivate a sbeffeggiarla
ricordandole per l'ennesima volta di non essere all'altezza
dell'attore. Un fulmine a ciel sereno le ricordò ch'era da
tanto che
non lo chiamava così; ora per lei esisteva solo l'uomo.
Esisteva solo Richard.
«Un
tè sarebbe perfetto, grazie.»
Il
cuore tornò a battere normalmente mentre annuiva e riempiva
il
bollitore; quando si girò gli lanciò un'occhiata
incuriosita nel
vederlo lì in piedi, impalato come uno stoccafisso e le mani
ancora
dietro la schiena. Sembrava aspettare qualcosa – un momento
specifico, forse. Non distolse mai lo sguardo dal suo mentre le si
avvicinava e schiudeva le labbra in procinto di parlare.
«Siccome
il mese scorso non abbiamo avuto molte occasioni e non ci siamo
visti, ne approfitto per darti il mio regalo.»
Finalmente
mostrò ciò che nascondeva, ovvero un pacchetto
avvolto in una
semplice carta rossa adornata con un nastro argentato. Anna lo
guardò, stupita e piena di vergogna, non riuscendo a frenare
il
rossore impossessatosi delle gote.
«Buon
Natale. Anche se in ritardo.»
«Non
avresti dovuto» mormorò in un soffio senza
rispondere al sorriso
dell'uomo che, d'altra parte, scrollò le spalle.
«Prima
aprilo e poi decidi se avrei dovuto o meno.»
Prese
il regalo tra le mani, soppesandolo e notandone la morbidezza;
escluse immediatamente un libro e qualsiasi oggetto duro mentre la
curiosità la divorava e un leggero sospetto iniziava a farsi
largo
nel cuore. Strappò la carta – l'unico rumore in
tutta la casa,
visto che Lafayette di sicuro stava dormendo nella sua cuccia
– e
contenne a stento una risata nel riconoscere una macchia blu.
Spostò
alternativamente gli occhi finché non si posarono su di lui,
riconoscente come poche volte in vita sua «E' praticamente
identica
a quella persa! Come sei riuscito a trovarla? Ho setacciato ogni
negozio londinese senza successo.»
Richard
si mostrò più che soddisfatto regalandole un
meraviglioso e
luminoso sorriso esteso fino allo sguardo blu «Sapevo la
volevi –
o rivolevi, in questo caso. Spero ti piaccia e no, non ho intenzione
di rivelarti niente. Il come l'ho trovata rimarrà un
segreto.»
«Certo
che mi piace, sul serio! Grazie infinite ma davvero, non dovevi
disturbarti» tornò seria, mortalmente dispiaciuta
«Io non ti ho
comprato nulla. Non ho avuto alcuna idea e –»
«Non
importa, Anna. L'ho presa perché lo desideravo, senza volere
qualcosa in cambio» se possibile, la voce bassa e roca le
provocò
alcuni brividi lungo tutta la spina dorsale e rimase leggermente
ipnotizzata osservando le lunghe dita della mano destra correre a
scompigliare i corti capelli scuri, lasciando che alcuni ciuffi gli
ricadessero sulla fronte.
Sorrise
pienamente, creando due graziose fossette ai lati delle labbra
–
prima la fossetta a sinistra e poi la destra, come Richard aveva
imparato a osservare.
Anna
sentì le dita di lui sfiorare le sue mentre si appropriava
della
sciarpa e, con gesti lenti e delicati, gliela attorcigliava al collo
una volta sola lasciando pendere le estremità sopra la
felpa. Le
sfiorò involontariamente la pelle quasi solleticandola,
facendole
abbassare le palpebre dall'imbarazzo; era così vicina da
poter
annusare il suo profumo di docciaschiuma al muschio bianco, residuo
di una doccia fatta probabilmente poco prima, forse addirittura prima
di venire da lei. A quel pensiero le si attorcigliò lo
stomaco e
venne sopraffatta da un calore innaturale, coperto parzialmente dal
tessuto blu di lana.
«Ecco,
direi che è perfetta.»
Non
accennò a spostarsi e nemmeno lei pensò di
muoversi; anzi, si
ritrovò a sperare di rimanere perennemente lì in
piedi, accanto
alla tavola in legno color panna, a bearsi della sua presenza.
«Ti
piacerebbe restare per cena?» chiese d'impulso, correggendo
il tiro
con un «Per sdebitarmi. Se non hai già
mangiato» quasi si morse la
lingua constatando con rabbia di stare balbettando.
Difetto
che, purtroppo, non si era scollata di dosso con l'età. Le
capitava
se era soprattutto nervosa o eccitata per qualcosa e, a quel punto,
doveva prendersi alcuni secondi per riordinare le idee e parlare con
più calma; eseguì anche in quel caso nascondendo
il volto fino al
naso, non accorgendosi dell'occhiata dolcemente intenerita al suo
indirizzo.
«Mi
piacerebbe tanto. E mi piacerebbe...» allungò
entrambe le mani ai
lati del viso, sfilandole piano piano gli occhiali neri sotto il suo
sguardo pienamente sconcertato.
«Non
vedo niente, sai?» brontolò incerta, cercando di
trovare una
qualsiasi ragione valida al comportamento strano.
«Non
hai bisogno di vedere, per questo.»
Si
abbassò quel tanto che bastava – lei poteva
vantare un'altezza
leggermente superiore
alla media, anche se di fronte alla sua si sentiva finalmente
bassa
– dapprima sfiorandole
il naso col suo, lento, quasi a concederle il tempo di ripensarci e
ritrarsi; poi le labbra si toccarono e si schiusero, incastrandosi
alla perfezione come fossero state create apposta per quel momento
–
e a quel punto ogni tratto del viso di Richard era talmente nitido da
confondersi, portandola a chiudere gli occhi mentre le orecchie
rimbombavano dei colpi del cuore impazzito.
Fu
un bacio senza traccia di lussuria, quasi timido e guardingo eppure
incredibilmente delicato al pari di una carezza leggera come quella
lasciatagli sulla guancia appena ispida. La estraniò da
tutto,
persino dal fuoco propagatosi dal collo ancora avvolto dalla sciarpa
– un nuovo ricordo
di Londra, il segno di una svolta tanto attesa quanto insperata
–
al viso, lambito dalla mano destra di Richard. Non riusciva a formare
alcun pensiero coerente, conscia solo delle labbra sulle sue, dei
respiri divenuti uno solo, delle lingue che iniziavano ad esplorare e
conoscersi, caute; dei corpi che si avvicinavano come attratti da una
forza invisibile volta solo a far udire all'altro il battito
frenetico del cuore e assaporare il calore della pelle attraverso gli
abiti.
Sarebbe
venuto il tempo delle spiegazioni, si disse, in cui ogni dubbio
–
ogni paura da quando era iniziata quella stramba
avventura –
avrebbe trovato pace. In cui entrambi avrebbero trovato conforto
nell'altro, in cui avrebbero affrontato tutte le sfide a testa alta e
senza timore, armati solo del loro amore.
Ma
non era questo il giorno.
Sorrise
mentalmente alla citazione, sorrise realmente sulle labbra di
Richard, tra un bacio e l'altro. E quando si staccarono gli occhi
brillarono, pieni d'un potente sentimento finalmente emerso dal mare
di timore e pessimismo.
ATTO
III. COSA ACCADE ORA
Cerca
di asciugarsi gli occhi, senza successo. Non riesce a frenare le
lacrime nemmeno volendolo e si ritrova a premere la sciarpa blu
–
con ancora addosso un lieve sentore del suo profumo
– sulla bocca, almeno per darsi un contegno e calmare i
singhiozzi.
Nel momento in cui compie respiri profondi, ed è quasi
riuscita a
riprendersi, lo sguardo si posa sullo schermo spazzando via ogni
misero tentativo.
Si
è soffiata per l'ultima volta il naso e si è
strofinata gli occhi
gonfi quando sente la chiave girare nella toppa e la porta
dell'appartamento aprirsi; non risponde al saluto – davvero,
vorrebbe – nemmeno alza la testa quando lo sente avvicinarsi,
continuando a cercare conforto nel calore della sciarpa di lana.
«Ciao.
Ma... che succede?» si sente chiedere con voce preoccupata.
Di certo
si è accorto dei fazzoletti di carta appallottolati sul
tavolino e
del suo aspetto tutt'altro che allegro. Gli occhi blu si spostano sui
titoli di coda e le orecchie riconoscono la canzone finale
comprendendo il motivo dello stato d'animo della moglie.
«E'
già la terza volta che lo rivedi in una settimana. Non
è troppo?»
Sposta
la vaschetta ormai vuota di gelato alla stracciatella – sul
serio,
proprio non capisce come riesca a mangiarlo in pieno inverno
– e le
si siede accanto, circondandole le spalle con il braccio sinistro
mentre col destro drappeggia la coperta di patchwork scozzese in modo
da coprirli entrambi. Le asciuga la scia di lacrime sulla guancia e
gliela bacia solleticandola con la barba folta, ricordo del ruolo di
Thorin Scudodiquercia.
Anna
sa bene che dovrebbe tagliarsela a causa di altri ruoli, ma proprio
non riesce a capacitarsene! Non potrebbe lasciarsela?
Si
schiarisce la voce lacrimosa, indicando il video col mento
«Perché
Tolkien ha ideato e scritto dei finali così deprimenti?
Frodo ai
Porti Grigi, per non parlare del discorso di Gandalf e ora questo! E
Peter Jackson... gli farò causa per danni morali e... e...
tu –»
non termina, puntandogli l'indice contro.
«Io?
Ho solo fatto il mio lavoro.»
«Sei
stato anche troppo bravo» piagnucola, mentre un'altra lacrima
sfugge
alle ciglia «Non potevi esserlo meno? Ora ho un bisogno
estremo di
coccole.»
Richard
sorride – di quel mezzo sorriso malizioso che le fa perdere
sempre
qualche battito.
«Vieni
qui, su» l'abbraccia più stretta, trasmettendole
consolazione e
dolcezza. Incredibile come la visione di una pellicola, per quanto
triste, possa destabilizzarla in questo modo; d'altra parte,
però,
la sua giovane, incredibile compagna di vita mostra tutta la
sensibilità di cui afferma essere sprovvista –
convinzione errata,
perché lui sa bene quanto invece lo sia – quando
decide di
guardarsi il terzo film de “Lo Hobbit”.
«Sono
proprio una stupida» mormora, l'orecchio premuto sul torace
ad
ascoltare i placidi battiti del suo cuore; in risposta, lui la
stringe appena.
«Affatto.
Dimostri solo l'attaccamento ai personaggi, in particolare a Thorin.
Non c'è nulla di male.»
Le
dita compiono piccolissimi movimenti circolari su una minuscola
porzione di petto, sa di farlo impazzire «E' orribile vederti
morire.»
«E'
solo finzione.»
«Lo
so, ma sembra tutto così reale.»
La
voce si incrina ancora, probabilmente la mente le gioca il pessimo
scherzo di farle rivedere infinite volte il fatidico momento.
«Anna,
guardami» solo quando è certo degli occhi nocciola
sui suoi allora
sorride, sorride davvero «Sono qui in carne e ossa, stanco
morto per
il sevizio di Sarah – a proposito, ti saluta – e mi
piange il
cuore nel vederti in queste condizioni. La prossima volta scegli un
film comico, così la tristezza passerà.»
Anna
sgrana gli occhi, sconcertata «Sei impazzito? Ora mi riguardo
“La
Compagnia dell'Anello”! Almeno
Aragorn non mi ha mai delusa» il tono
è molto più giocoso,
ora, perciò anche Richard si rilassa visibilmente; alza le
sopracciglia, fingendosi sorpreso.
«Ah,
davvero?» senza concederle tempo di capire si getta su di lei
iniziando a solleticarla ovunque, costringendola a tapparsi la bocca
con la sciarpa per non urlare troppo forte e vanificare tutti i
precedenti sforzi.
Il
corpo è scosso da tremiti continui e nuove lacrime si
affacciano
agli angoli degli occhi, stavolta senza portare tristezza con loro.
Gli fa cenno di smetterla e indica il corridoio, al che lui
finalmente si quieta e la bacia sulle labbra, realizzando d'aver
agognato quel momento da quando era uscito di casa quella stessa
mattina.
Gli
mordicchia il labbro inferiore e lo sente sospirare, la bocca si
schiude permettendole di iniziare un piacevole gioco con la sua
lingua. Le mani accarezzano il collo e salgono alla nuca,
graffiandogliela leggermente quando sente le mani di Richard
intrufolarsi sotto il maglione. Un gemito sfugge quando con una mossa
lenta e calcolata glielo alza, scoprendo la pelle della pancia e
dello stomaco e le lascia una catena di baci fino al minuscolo neo
appena sotto il fiocchetto verde dell'indumento intimo. E' allora che
si ferma e alza gli occhi verso il suo volto arrossato, trattenendo a
malapena un sorrisino malizioso.
«Mmh,
questo è un colpo basso, Anna» lo sfiora con la
punta del naso e
poi vi poggia le labbra, mordicchiandolo; quel reggiseno è
una vera
tentazione, così come la voglia di strapparglielo di dosso.
Pressoché incontenibile.
La
sente agitarsi, e niente è più bello di quel
momento perfetto in
cui lei è in sua totale balia.
Finché
un vagito non li raggiunge, bloccandoli.
«Vado
io.»
«Sicura?
Posso benissimo pensarci da solo» afferma, rimettendole a
posto il
maglione e spostandosi dal suo corpo.
Per
tutta risposta gli sorride e gli bacia la fronte nel punto in cui si
nota la piccola cicatrice tonda, regalo della varicella d'infanzia
«Tu riposati. Non eri distrutto, poco fa? Quando ho finito di
cambiare Peter magari potrò guardarmi quel benedetto
film.»
«O
continuare questa interessante attività.»
«Attento,
Armitage. Non vorrei mi crollassi esausto» provoca,
accennando
un'occhiata sensuale.
Oh,
quanto lo eccita sentirle pronunciare il proprio cognome con
quell'accento italiano.
La
punta della lingua guizza fuori, a bagnare le labbra «Non
vedo l'ora
di mostrarti quanto possa essere resistente, se
lo desidero. E con te è sempre un costante
desiderio,
sweetheart.»
La
vede arrossire – ancora non ha perso questa dolce
caratteristica –
e, compiaciuto, si sporge a donarle un lieve contatto a fior di
labbra seguito da una strizzatina dell'occhio destro. La segue con lo
sguardo finché non sparisce nella stanza del loro piccolo
bambino e
si permette di sospirare mentre si distende sul divano; la nuca entra
in contatto con qualcosa di morbido, non può fare a meno di
sorridere quando riconosce la sciarpa. La piega con cura e la poggia
sul tavolino ricordando come fosse accaduto ieri il momento in cui il
loro rapporto aveva intrapreso una nuova e meravigliosa strada. Tutto
era irrimediabilmente mutato da quella lontana serata d'inverno di
ben sei anni prima e non si era pentito di un singolo momento. In
primis, non si era mai pentito di lei, mai
l'avrebbe anche solo pensato. Insieme avevano lottato per i loro
sogni costruendo una famiglia a dispetto di ogni pregiudizio e di
quelle persone che fin da subito si erano dimostrate contrarie. Era
felice allora, è felice adesso. Non potrebbe chiedere di
meglio né
di più, poiché ha tutto ciò a cui
ambiva.
Quando
ritorna in salotto – ha impiegato più tempo del
previsto a
riaddormentare Peter perché proprio non voleva saperne di
chiudere
gli occhioni blu – sorride e scuote la testa, lasciando
fuoriuscire
un soffio divertito. Richard dorme un sonno profondo, il petto si
alza e si abbassa ritmicamente denotando tranquillità. La
coperta lo
copre parzialmente – forse si è mosso allungando
quelle gambe
chilometriche che si ritrova – e non può fare a
meno di
risistemargliela lasciandogli un bacio sulla fronte. Pensa che
è
davvero bello, lì sdraiato e pacificamente addormentato; le
ricorda
molto loro figlio e di nuovo ringrazia chiunque, lassù, per
averle
instillato il desiderio di abitare a Londra e averle indirizzato quel
preciso condominio dove, a sua insaputa, l'attendeva l'uomo della sua
vita.
Cammina
verso il lettore dvd e traffica un pochino, finché il dvd de
“La
Compagnia dell'Anello” non è
inserito e pronto a farle rivivere per l'ennesima volta le sue
spettacolari avventure alle quali è legata con un filo
indissolubile. Si accomoda per terra, la schiena a contatto col
divano e, con decisione e un bel sorriso sulle labbra, schiaccia il
pulsante play.
La
sciarpa rimane al suo posto poiché non ha bisogno di
conforto, se
Richard le è accanto.
CANTUCCINO
DELL'AUTRICE
Buongiorno
e ben
ritrovati! Ebbene sì, sono ancora qui e pronta a invadere il
fandom
con un'altra one-shot su Anna e Richard stavolta divisa in tre parti.
Il filo conduttore è questa sciarpa blu di lana, scoperta a
causa di
una foto in cui il nostro attore preferito la indossava. Solo che
questa sciarpa mi sembrava più “da
donna” che da uomo, e la mia
mente malata ha iniziato a partorire strane idee su questo capo
d'abbigliamento regalato ma che poi diventa praticamente “in
comune”, anche se per la maggior parte del tempo la indossa
solo
lei.
Se
devo essere
sincera non mi convince moltissimo, a parte il secondo atto.
Purtroppo è da un po' di tempo che non scrivo e, per quanto
abbia
provato molte volte a tagliare, aggiungere pezzi, cambiare
qualcosina, il risultato finale è questo. A voi la sentenza,
miei
lettori! Vi chiedo di perdonarmi e dirmi se qualcosa non è
stato di
vostro gradimento, se avete trovato errori o altro. Inutile dirvi che
Richard Armitage non mi appartiene (che amarezza) e tutto
ciò che ho
scritto non è a scopo denigratorio, di lucro, eccetera
eccetera.
Insomma, lo si fa per divertirsi ;)!
P.S.
I primi due
atti si svolgono prima che Richard interpretasse lo Hobbit,
ovviamente – circa nel 2011 –, mentre il terzo
coincide con
l'uscita dell'ultimo film.
Saluti
e buona
lettura, grazie in anticipo a tutti!
Eruanne
<3
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