Breathe on me (prima
parte)
Breathe on me, breathe
on me
Light my way, bring me
back to life
Breathe on me, breathe
on me
Fill me up, make me
feel alive.
My heart is black, my
soul is bleeding
Give me something to
believe in
Breathe on me
Tonight.
(“Breathe on me” –
Delain)
Steve era stato agitato tutto il
giorno, fin dal mattino, quando Tony Stark gli aveva fatto recapitare il nuovo maxischermo
sul quale guardare i filmati girati durante la Seconda Guerra Mondiale e
ritrovati tra le cose di suo padre. Alcuni di quei filmati li aveva già visti
allo Smithsonian mesi prima, quando ancora non sapeva che Bucky era vivo e che
lo avevano trasformato nel Soldato d’Inverno; allora li aveva guardati
sentendosi lacerare il cuore dalla nostalgia e dal senso di colpa… ma anche
adesso si chiedeva cosa avrebbe provato rivedendo il Bucky allegro e scanzonato
che conosceva così bene con la terribile consapevolezza di ciò che gli era
stato fatto e che, forse, lo aveva distrutto per sempre.
Perciò, durante quella fatidica giornata,
Steve Rogers aveva, nell’ordine: bruciato la colazione, versato il caffè sulla
T-shirt bianca, rotto un bicchiere e rovesciato un tavolino con relativa
collezione di porcellane francesi sopra.
Bucky lo aveva guardato storto,
in silenzio, ma la carneficina delle porcellane aveva strappato un commento
perfino a lui.
“Il tuo amico Stark tiene conto
dei danni che stiamo provocando? Pensa di addebitarteli nell’affitto?”
“Tony non mi fa pagare per stare
qui” aveva risposto Steve, rosso fino alle orecchie, mentre spazzava e gettava
nella spazzatura i vari pezzetti della ormai ex collezione di porcellane
francesi…
“Forse adesso lo farà” aveva
infierito Bucky.
“Tony è molto ricco, può
permetterselo… almeno spero!”
Bucky aveva seguito Steve in
cucina, dove il Capitano aveva rovesciato i frammenti di porcellana nella
pattumiera. Lo aveva osservato in silenzio per qualche minuto, poi si era
deciso a fargli la domanda che si teneva dentro da un po’.
“Sei così nervoso per quello che
abbiamo visto ieri sera o per la mia reazione?”
“No, davvero, Bucky, io…” aveva
balbettato Steve, preso alla sprovvista. Sinceramente, a quello non aveva più
pensato.
“E allora per cosa?”
Steve si chiese vagamente se
quell’ostinazione era una caratteristica del Bucky che aveva conosciuto o un
retaggio dei condizionamenti subiti: quando Bucky Barnes si metteva in testa
una cosa, non c’era verso di farlo recedere dalla sua posizione.
“Tony Stark mi ha dato un’altra
chiavetta con dei filmati” si decise a spiegare Steve. “No, non fare quella
faccia, questi sono filmati della Seconda Guerra Mondiale, di me e di… te.
Cioè, di te… prima.”
“Tipo quelli dello Smithsonian?”
“Proprio quelli, solo che questi,
a quanto ho capito, li ha girati suo padre e sembra che ci abbia ripresi nei
momenti di relax, quando eravamo a chiacchierare e a scherzare, con gli altri
della compagnia, cose del genere, insomma” rispose Steve. “Io spero… beh,
sarebbe bello se tu, vedendo quelle scene, riuscissi a ricordare qualcosa di
quei tempi. E’ per questo che sono agitato, ecco.”
Bucky annuì, rimanendo serio e
pensoso. Anche a lui sarebbe piaciuto ricordare i vecchi tempi e capire
finalmente quale profondo rapporto lo legasse a quel ragazzo così dolce e
gentile, ma in tutta sincerità non ci sperava troppo.
“Quando pensi di guardarli?”
“Anche subito!” rispose Steve con
entusiasmo. “Abbiamo tutto il pomeriggio a disposizione.”
Pochi minuti dopo, il nuovo
maxischermo del computer mostrava le immagini ormai datate di un gruppo di
soldati che parlavano e scherzavano tra di loro, evidentemente in un momento di
pausa. Sembrava un bel gruppo, affiatato, e una grande nostalgia riempì
nuovamente il cuore di Steve. Quelli erano stati i suoi amici e adesso non
c’erano più, non avrebbe più scherzato e riso con loro… Steve trasalì quando
l’inquadratura si soffermò su di lui…e su Bucky, ovvio, solitamente non si
trovavano mai a più di dieci passi di distanza l’uno dall’altro… e Bucky si
voltava verso di lui, gli diceva qualcosa ed entrambi ridevano. Il sorriso di
Bucky e la sua risata fresca e spontanea, mancavano così tanto a Steve da
fargli salire le lacrime agli occhi.
“Quello sarei io?” l’improvvisa e
singolare domanda di Bucky interruppe il momento di tristezza.
“Sì, certo” rispose Steve. “Ma lo
sapevi già, no? Perché me lo chiedi?”
“Perché… quel ragazzo…” il
giovane fissava il se stesso dello schermo con sguardo trasognato, quasi
incredulo, “sembra così felice. E
quando guarda te è come se s’illuminasse. Ha una luce che gli viene da dentro,
non so se riesco a spiegarlo…”
Steve non aveva bisogno di
guardare il filmato per ricordare: era vero, Bucky era sempre stato la luce
della sua vita, la sua stella, il suo raggio di sole.
Quei bastardi dell’Hydra non
erano riusciti a spezzare il sergente Barnes, ma avevano spento la luce che era
in lui…
“Quella luce ritornerà, Bucky”
dichiarò con veemenza Steve, come se volesse convincere prima di tutto se
stesso. “Faceva parte di te e la ritroverai, non appena comincerai a ricordare
qualcosa in più.”
Le scene si susseguivano, piene
di momenti felici, di risate e complicità. Chi l’avrebbe detto che si trattava
di giovani in guerra? Evidentemente Stark aveva scelto di imprimere nella
pellicola le scene più serene e gioiose per conservare i ricordi felici, ma
adesso queste memorie straziavano il cuore di Steve, dilaniato dalla nostalgia
e dal rimpianto. Ecco un gruppo di commilitoni che giocava a carte, altri due
amici che ascoltavano musica da una radio, e poi… Peggy Carter, giovanissima e
radiosa, era un tormento vederla così dopo la visita che Steve le aveva fatto
nella casa di riposo. E di nuovo… Bucky, Bucky era quasi sempre presente in
quelle immagini e non c’era da stupirsene, visto il suo carattere brillante e
estroverso.
“Doveva essere un ragazzo
simpatico” mormorò Bucky, con una nota di amarezza nella voce. “Capisco perché
ti manca tanto.”
“Non devi parlare così, Bucky,
quello sei tu!” protestò Steve, turbato. “E’ vero, quando ho creduto che fossi
morto ho sentito tantissimo la tua mancanza, mi pareva di non avere più niente
per cui valesse la pena di andare avanti… ma adesso ti ho ritrovato, sei qui e
devo solo starti vicino in attesa che ti riprenda del tutto e che recuperi i
tuoi ricordi.”
Ma Bucky non l’aveva ascoltato e
continuava a guardare fisso il ragazzo allegro e solare di settant’anni prima.
“Non immaginava neanche cosa
l’aspettava…Nessuno avrebbe potuto neanche lontanamente immaginare una tale
mostruosità” mormorò appena.
“Adesso basta, Bucky, se la devi
vivere così, è meglio che smettiamo di vedere il filmato” reagì Steve. Lo
preoccupava vedere come Bucky si demoralizzasse e continuasse a parlare di sé
in terza persona… era quasi allucinante. Fece per alzarsi e andare a spegnere
il computer, ma la scena successiva lo bloccò al suo posto.
Erano lui e Bucky, di nuovo.
Stark doveva essersela goduta un mondo a spiarli in quella scena: senza neanche
sospettare di essere ripresi da una telecamera, i due giovani si erano recati
in un boschetto vicino all’accampamento e lì, al riparo (o così credevano) da
occhi indiscreti, Bucky stava chiaramente dando… lezioni di ballo a Steve!
Il ricordo tornò immediato, quasi
folgorando il Capitano per la fitta acuta di nostalgia che portava con sé.
“Hai invitato la bella Peggy a ballare, ma bravo, finalmente ti sei
svegliato” aveva commentato Bucky. “Ma, perlomeno, tu sai ballare?”
Steve era arrossito.
“No, vero? Beh, dovevo immaginarlo. Hai idea della figura che farai
quando lei lo scoprirà?”
“Non potevo certo dirglielo!” protestò Steve.
“Ma lei lo scoprirà lo stesso.”
“Non è detto…”
“Ah, no, no, non pensarci nemmeno, sei impazzito?” aveva esclamato
Bucky, fingendosi scandalizzato ma ridendo di cuore. “Io non t’insegno di
certo!”
“E dai, Bucky, che ti costa? Mi hai sempre aiutato, vuoi abbandonarmi
ora?”
“Non mi farai sentire in colpa, proprio no, non ci contare!”
“Non sarà difficilissimo, no?” Steve sapeva essere molto insistente e
convincente quando ci si metteva d’impegno. “Basterà una volta o due…”
“Se mi presto a una cosa del genere, poi sarai in debito con me per il
resto dei tuoi giorni, ricordalo!”
Steve e Bucky credevano di aver
trovato un posto sicuro, ma non
avevano fatto i conti con Howard Stark, che non si era certo perso l’occasione
per un filmato da far girare tra i soldati: il grande Captain America che
faceva… la ballerina!
La ripresa documentava che
l’iniziazione di Steve ai segreti della danza non era stata né semplice né
indolore: il Capitano era piuttosto imbranato e in pochi minuti era riuscito a
pestare almeno tre volte i piedi al suo compagno, prima di inciampare sui
propri e cadere a terra, tirando giù anche Bucky. La pellicola non aveva il
sonoro, ma per Steve non era difficile ricordare…
“Sei proprio negato, Steve, arrenditi!” aveva riso Bucky, divertito
nonostante la caduta. “La povera Peggy non merita una simile sofferenza…”
“E’ stata colpa della buca nel terreno. Dai, Bucky, so che posso
farcela!”
“La buca nel terreno, sì… Tu le buche ce le hai in testa!”
E Steve ricordava con altrettanta
chiarezza l’emozione provata in quei momenti, la gioia e il batticuore quando
Bucky lo stringeva a sé… era per quello che insisteva tanto, il ballo con Peggy
Carter era solo una scusa, in realtà aveva trovato il modo per stare tra le
braccia di Bucky senza destare sospetti!
Il filmato comprendeva un’altra
scena di gruppo e poi si concludeva.
Steve era commosso, addolorato e
allo stesso tempo provava una certa eccitazione nel rivivere quei momenti;
Bucky era rimasto a fissare lo schermo anche dopo la fine delle immagini e il
suo sguardo era particolarmente perplesso.
“Senti, Steve” chiese dopo un po’,
facendo sobbalzare il Capitano. Era la prima volta che lo chiamava per nome in
tutte quelle settimane… almeno a qualcosa il filmato sembrava essere servito!
“Rispondi sinceramente: che rapporto c’era tra noi a quel tempo?”
Steve trasecolò e divenne tutto
rosso.
“Noi… beh, te l’ho detto, eravamo
amici fin da bambini, siamo cresciuti insieme e poi io sono rimasto solo dopo
la morte di mia madre e allora tu…”
“Eravamo amanti?” domandò molto
schiettamente, interrompendo quel fiume di parole.
“Ma no!” protestò Steve. “Erano
gli anni Quaranta, figurati, una cosa del genere sarebbe stata impensabile e…”
“Tu lo avresti voluto?” Bucky
faceva le domande esattamente come sparava: a ripetizione e senza pietà.
“Io… ecco… io…” balbettò Steve,
diventando, se possibile, ancora più rosso. Poi, però, decise di dire la
verità. Tanto Bucky non si sarebbe fermato, ormai aveva capito che non era
facile togliergli un’idea dalla testa e, ad ogni modo, prima o poi avrebbe
comunque dovuto dirglielo. “Beh, sì, io lo avrei voluto. Ero… innamorato di te
fin da quando eravamo ragazzi e per anni ho cercato di negarlo anche con me
stesso, di ripetermi che era solo una grande amicizia. Te l’ho detto, a quei
tempi era uno scandalo anche solo pensarlo, ma alla fine ho dovuto accettare
quello che provavo per te.”
“Ed io cosa ne pensavo?”
Se non lo sai tu… avrebbe voluto rispondere Steve, ma sarebbe stato
assurdo, data la situazione.
“Tu non l’hai mai saputo” affermò
il Capitano, con una punta di tristezza. “Avevo paura di allontanarti da me,
temevo che non mi avresti più voluto nemmeno come amico e non potevo sopportare
di starti lontano. Quando poi accadde… l’incidente sul treno… allora mi pentii,
mi dissi che avrei dovuto tentare… ma era troppo tardi.”
Bucky annuì, pareva immerso in una
profonda riflessione.
“E adesso?” domandò poi.
“Adesso cosa?”
“Intendo, cosa provi per me
adesso” chiarì Bucky, diretto come al solito.
Steve sospirò: a quel punto non
poteva tirarsi indietro.
“La stessa cosa di allora”
ammise, guardandolo negli occhi. “Non ho mai smesso di amarti, Bucky, mai,
neanche un istante. Quando ti ho rivisto e ho scoperto che cosa ti avevano
fatto, ho pensato solo che avrei voluto correre a salvarti, a riprenderti con
me. Durante il combattimento sull’Helicarrier ho dovuto renderti inoffensivo
per sventare il piano dell’Hydra, ma quando tutto si è sistemato ho cercato in
ogni modo di farti ricordare chi eri, anche se tu non mi ascoltavi…”
“Ti ascoltavo” ribatté Bucky, “e
in fondo sentivo che dicevi il vero, ma non volevo ammetterlo, così cercavo di
colpirti ancora più forte, per farti stare zitto. Ti ho quasi ucciso.”
Tu…Sei…La mia… Missione!
“Se avessi voluto, avrei potuto
fermarti, ma non m’importava, non avevo più niente da perdere” confessò Steve.
“Speravo che dentro di te ci fosse ancora il mio Bucky e che questo ti avrebbe
fermato… ma se ciò non fosse accaduto, allora non avevo più ragione di vivere.
Per questo ti ho lasciato fare.”
Quella rivelazione sembrò turbare
Bucky, che abbassò lo sguardo; ciocche di capelli scuri scesero a nascondergli
il viso e lui non si preoccupò di scostarle.
“Pensavo anche che fosse giusto
così” continuò Steve, con le lacrime agli occhi. “Quello che ti era successo
era tutta colpa mia e meritavo di essere punito, di soffrire come avevi
sofferto tu.”
A quelle parole Bucky trasalì,
drizzò di nuovo la testa e guardò Steve in faccia.
“Questo non è vero” affermò con
ardore. “Tu non c’entri con quello che mi hanno fatto quei bastardi!”
“Invece sì!” protestò Rogers,
sfogando un dolore che lo aveva consumato per troppo tempo. “Tu mi eri sempre
stato vicino, mi avevi sempre aiutato ed io non sono riuscito a proteggerti!”
“Steve, ricordo veramente poco
del mio passato, ma una cosa la ricordo chiaramente: tu eri lì, su quel treno,
e ti sporgevi per afferrarmi. Se la maniglia non si fosse staccata… eri lì,
talmente vicino che saresti potuto cadere anche tu.”
“Ma è stata lo stesso colpa mia!”
insisté Steve. I rimorsi, il rimpianto, i sensi di colpa trattenuti adesso
uscivano impetuosi come un torrente in piena. “Sei stato sbalzato fuori dal
treno perché ti eri messo davanti a me, per proteggermi ancora una volta! Invece
avrei dovuto essere io a proteggere te… Cristo, Bucky, sono Captain America e
non sono riuscito a salvare la persona che ho sempre amato! Ho fallito in ciò
che era più importante per me…”
Il giovane si prese il volto tra
le mani, sopraffatto dal dolore. Rimase così finché, con suo grande stupore,
non sentì la mano di Bucky posarglisi sulla spalla.
“Hai mai pensato che, se tutto
questo non fosse accaduto, ora noi non saremmo qui insieme?”
Steve sobbalzò a quelle parole e
alzò lo sguardo verso Bucky, incredulo e incapace di accettarne il profondo
significato.
“Se mi avessi salvato allora,
adesso sarei morto” spiegò con calma il Soldato, come se stesse dicendo cose
ovvie. “Invece… sono qui e possiamo ricostruirci una vita. Come dici tu? Insieme fino alla fine.”
“Bucky, non puoi dire sul serio”
mormorò Steve, sconvolto. “Vorresti farmi credere che sei felice di quello che
ti hanno fatto perché ti ha dato l’occasione di tornare qui… con me?”
“Felice è una parola grossa, comunque… a grandi linee direi di sì,
che ne è valsa la pena” affermò tranquillamente Bucky.
L’emozione e la gioia che
invasero il Capitano gli impedirono di dire altro; strinse forte a sé Bucky in
un abbraccio avvolgente e protettivo, come se volesse metterlo al riparo da
tutte le cose orribili che gli erano accadute. Bucky ricambiò l’abbraccio,
ancora confuso e stordito dall’infinita gamma di sentimenti che sentiva
scatenarglisi dentro e che non aveva ancora imparato a controllare. Non
ricordava ancora molto, non sapeva se l’irresistibile attrazione che sentiva
verso quel ragazzo buono e gentile risalisse al suo passato o fosse nata in
quelle settimane in cui erano vissuti l’uno accanto all’altro, tuttavia era
consapevole di una cosa: tra le braccia di Steve si sentiva a casa, qualunque cosa quella parola
significasse ancora per lui.
Facendosi coraggio, Steve affondò
una mano tra i capelli del giovane Soldato e lo baciò, prima timidamente e poi,
sentendo che Bucky ricambiava con impeto, sempre più profondamente, a lungo,
come se non volesse mai più staccarsi da lui; le loro bocche si fusero, i
respiri si fecero uno e per Bucky fu come se, con quel bacio, Steve gli stesse ridonando la vita, la luce, la pace e tutto
quello che l’Hydra gli aveva strappato via.
Eppure, nonostante questo, fu
Bucky il primo a staccarsi da Steve, ad allontanarsi bruscamente quasi fosse
stato scottato.
“No, no, questo non va bene, è
sbagliato, è tutto sbagliato!”
“Cosa è
sbagliato, Bucky? Io… davvero, non riesco a capirti certe
volte” disse Rogers, ancora mezzo stordito da quel bacio e deluso dalla
reazione di Bucky.
“Tu ti illudi
di rivedere in me il Bucky che volevi, ma quel ragazzo non c’è più e tu non
vuoi fartene una ragione!” replicò in tono duro il giovane. “Quando sono andato
allo Smithsonian ero curioso non solo di capire che
legame avevo avuto con te, ma anche chi fossi prima. Bene, l’ho saputo: un
bravo soldato, un eroe di guerra che si era sacrificato per la sua Patria e per
la libertà… Perfetto, peccato che nei successivi settant’anni io non abbia
fatto altro che servire proprio quelli che ero andato a combattere!”
Steve trasecolò: lui non l’aveva
mai vista sotto quell’aspetto…
“Ti obbligavano, Bucky… eri loro prigioniero e ti torturavano, ti manipolavano la
mente” tentò di protestare.
“E io
stavo buono buono a farmelo fare. Non
mi sono ribellato… Cristo, non mi sono nemmeno sparato in testa piuttosto che
diventare un killer spietato!” esclamò Bucky, lasciando per la prima volta
intravedere l’abisso di orrore e dolore che lo straziava e che andava oltre il
ricordo degli atroci esperimenti compiuti su di lui dall’Hydra. “Ecco
che razza di persona sono diventato e il Bucky che ero si vergognerebbe di me!”
“No, no, non è così, Bucky era…”
“Bravo, hai detto bene, Bucky era, perché, per tua informazione, Bucky
non è più e la cosa che sono io devo ancora capirla” concluse il Soldato con foga,
precipitandosi poi nella sua stanza e sbattendo la porta.
Steve rimase seduto sul divano, scombussolato.
In pochi attimi era passato dalla gioia profonda di aver ritrovato il suo
Bucky, di baciarlo e stringerlo tra le braccia, alla consapevolezza delle
sofferenze del suo amico, fino al dolore di non sapere più cosa fare per
aiutarlo.
Eppure sarebbe rimasto con lui e
gli avrebbe donato tutto il suo amore, quella era l’unica cosa che sapeva e
poteva fare. Sperava che, prima o poi, questo potesse
bastare…
Fine prima parte