FF 7
Il mio nome è Marcus Demiel Lintres (la T è
muta). Ma,
per quasi trent'anni, il mio unico nome è stato Ravenant.
La prima volta che successe ero appena alla mia terza missione. Non
c'erano ancora i Seed, e quella fu una delle pochissime cose legali che
feci in quanto Phalanx. Una povera demente era entrata nella Tomba del
Re senza Nome senza segnalatore e si era persa. Era una studentessa di
Deling City, niente di eccezionale né di corpo né
di
cervello. Una persona invisibile, di quelle che se le incontri per
strada neanche ti rendi conto che esistano. Ma anche lei aveva dei
genitori, qualcuno che voleva che tornasse a casa. Una missione di
salvataggio, niente di difficile. Fummo inviati in due.
Fortuna volle che incrociassimo tale Minotaur sulla strada. Gli tirammo
addosso tutto quello che era umanamente possibile tirare, ma eravamo
lì per salvare una persona, non per lottare contro GF: non
eravamo equipaggiati. Nella fuga, io e il mio compagno ci separammo.
Era lui ad avere il segnalatore di posizione e la mappa. Ero solo, nel
buio, senza mappa. Avete presente la Tomba del Re senza nome? E' tutto
uguale lì dentro.
Il mio partner tornò alla base e consegnò il suo
rapporto. Attesero due giorni e poi, sapendo che avevo poche munizioni, mi dichiararono
Disperso in azione, presunto morto.
Al quarto giorno, uscì dalla Tomba con la ragazza tra le
braccia. Non so come, arrivai al centro e da lì
riuscì a
tornare indietro.
La seconda volta fu a causa di un'esplosione su una barca. Dovevamo
uccidere un trafficante di droga per conto di un suo rivale, ma era una
trappola e trovammo panetti di C4 lì dove avremmo dovuto
trovare
la merce. Ustioni di secondo e terzo grado e timpani lacerati. Quasi
annegato.
"Sei un figlio di puttana fortunato" mi dissero quando mi trovarono su
una spiaggia a masticare la pinna di un Focaral (esperienza che non
consiglio).
La terza volta, il mio partner era Crisis Eiroda. La quarta, ero con
Storm e con Reaper, il giorno in cui lasciò i Phalanx
fingendo
la sua morte. Le ultime tre volte...neanche le ricordo.
Ma una cosa ricordo. Io sono un figlio di puttana fortunato. Sono uno
che non si ammazza facilmente.
Per cui, anche se mi hanno spezzato le costole e tagliato due dita, mi
viene da ridere. Avrebbero dovuto ammazzarmi subito. O almeno avrebbero
dovuto rompermi tutti i denti. O farmi un full body scan.
Perché non si diventa Ravenant, quello che ritorna dalla
tomba,
solo perché si è fortunati o perché si
è di
bell'aspetto.
"cos'hai da ridere?" mi domanda
la cosa bella è che risponderei comunque anche se non fossi
costretto a farlo dallo schifo che mi hanno iniettato.
"Dieci anni fa passai un brutto momento, quando il cane di mia figlia
sparì da casa. Lei era disperata. E una bambina disperata
rende
il papà ancora più disperato. Amava quel cane.
Comunque
lo trovammo. Grazie al chip che il veterinario gli aveva messo
sottopelle. In quel momento mi ricordo di aver pensato: Diavolo, quest'affare funziona."
Quelli si guardano in faccia. Forse hanno capito dove voglio andare a
parare. Mi arriva un pugno in piena faccia, una botta tale da farmi
sputare un altro dente. Hanno scarsa inventiva.
"Ci stai dicendo che hai un localizzatore su di te?" chiede uno
"Meglio, così i phalanx verranno a cercare lui,
risparmiandoci la fatica di cacciarli uno per volta." dice l'altro
"Ho più di un localizzatore. E ho più di un
ricevitore. Qualcosa che m'informa con una leggera vibrazione."
"T'informa di cosa?" mi chiede, ancora una volta, quello che sembra
essere il capo.
Mi appoggiò allo schienale della sedia e inspiro
profondamente.
"I phalanx non esistono più. Ma il chip m'informa che una
katana
blu sta per abbattersi sulle vostre teste. Siete già morti."
Tira fuori una pistola e me la punta in testa. Come se fosse la prima
volta!
"Allora ti ammazzerò e basta." mi dice.
Sorrido.
"Ecco, questa sarebbe stata una magnifica idea. Ma avete preferito
giocare a fare i cattivi dei fumetti e hai perso la tua occasione."
Un lampo azzurro e la mano, lentamente, si stacca dal polso,
tagliata via di netto.
Quello urla, l'altro prende la pistola e spara al muro di cartongesso
squarciato da un fendente di quest'edificio abbandonato. Svuota quasi
l'intero caricatore sparando alla cieca prima di nascondersi dietro una
scrivania impolverata e malridotta. Lo vedo mentre controlla i colpi,
prende anche una seconda pistola.
Si sporge dalla scrivania, pronto a riaprire il fuoco, quando una
katana dall'elsa blu gli si conficca tra gli occhi.
"Scusa il ritardo, Rev."
Sorrido mentre incrocio l'occhio di questa prode donna che, Hyne
l'aiuti, non riesce a non vestire di blu. Si è conservata
bene
devo dire. I capelli argentati legati in una treccia che le arriva fino
a metà schiena, un para-spalla d'acciaio e un gilet blu che
le
lascia scoperte le braccia. Slanciata e scattante.
"Mi dispiace averti dovuto coinvolgere, Fujin."
***
Ho pianto poche volte nella mia vita. Questa era una di quelle.
Storm e Fujin erano lì, erano davanti a me, mano nella mano
tra
le rovine di Galbadia. Privi di vita. Ero arrivato troppo tardi. Avevo
fallito.
Crisis, Storm, Ray, Ross...erano tutti morti. Ero rimasto solo.
Urlai contro Hyne, contro Storm per essere stato Storm, contro Crisis
che si era fatto coinvolgere. Maledissi ogni giorno della mia vita.
Poi, qualcosa successe. Fujin respirava.
Storm era privo di vita, gli occhi vacui come quelli di un pesce
rimasto troppo a lungo sul banco del pescivendolo. Ma non aveva subito
nessuna ferita letale.
Ma Fujin, che aveva un buco nel fegato, lei era viva.
Storm era riuscito a scindersi dal suo Guardian Force. Erano diventati
un'entità unica, due menti in un solo corpo, vincolati a
dannarsi entrambi per l'eternità. Eppure, in qualche modo,
si
era separato da ZERO. Ed era riuscito a trasferire il suo GF a Fujin.
Quei raggi rossi e neri, filiformi, che mi era sembrato di vedere,
erano parti di ZERO che lasciava il corpo da clone che Storm aveva
occupato per entrare in Fujin.
Storm era già morto. Il suo corpo, il suo vero corpo, era
già polvere. Aveva vissuto un pezzo di
quell'eternità da
GF perché, nella sua ultima battaglia all'inferno, si era
vincolato a ZERO. Ma, adesso che lui e ZERO erano di nuovo
entità separate, il suo spirito proseguì per la
strada
che gli era stata preclusa.
Ma Fujin non era più quella di prima. Fujin voleva uscire da
quel mondo fatto di SeeD, di Phalanx, di mostri e Morte.
Falsificai un paio di rapporti, roba da poco per uno come me e cremai
un corpo non reclamato all'obitorio.
Quella fu la mia ultima missione da Phalanx. Ravenant andò
in pensione.
***
Con un netto colpo di spada, Fujin mi libera dalle catena e mi guarda
le mani, storcendo il volto in una smorfia malinconica quando vede le
dita mancanti.
"non preoccuparti. Due dita in meno non sono niente. Come uscire da
qui, questo mi preoccupa di più.."
"scendiamo al piano terra, lì recupereremo un passaggio. Poi
ti porteremo da un dottore."
Si avvia verso le scale, tenendo la spada davanti a sé, in
guardia. Non c'è nessuno sotto, probabilmente ha
già
fatto fuori tutti. Si guarda intorno e rinfodera.
Da lontano, un rumore di motore. Un camion. Sempre più
vicino, sempre più velocemente.
"Fujin, che diavolo?"
Ma lei non risponde.
Rumore di frenata, ruote che stridono e poi l'impatto. Il frastuono di
lamiere che si scontrano tra loro, il violento rumore del metallo che
si schianta sul cemento. Fujin sbuffa, si passa una mano tra i capelli.
Borbotta qualcosa che non riesco a capire ed esce.
La seguo, e fuori mi aspetta uno spettacolo estremamente curioso. Un
autocarro ha travolto una macchina e l'ha schiacciata contro il muro.
Tra le lamiere e i calcinacci si nota la figura di un uomo, seduto come
se non fosse successo niente a mangiare un sostanzioso panino.
La lunga giacca viola con il colletto rosso e i pantaloni di quello
stesso colore sono la prima cosa che noto. Tratti taglienti, un paio di
occhiali da sole gli coprono gli occhi e i capelli argentati sono
legati in una lunga coda di cavallo che stride con le sopracciglia e la
barba, che invece sono del nero più scuro che abbia mai
visto.
Ci fa un segno con la mano e poi rientra nella cabina di guida,
mettendo la retromarcia
"e tu gli permetti di conciarsi in quel modo? era un orecchino quello
che ho visto?"
Si stringe nelle spalle
"Gale è troppo grande perché gli dica come
vestirsi."
"Che ragionamento è? Sei sua madre, Fujin. E' tuo sacro
dovere impedire che si vesta come un carro di carnevale".
La sua voce squillante si fa sentire
"Se avete finito di parlar male di me, io andrei. Tra non molto avremo
gente alle calcagna."
Fottuto udito draconico.
***
All'interno di una stanza del garden di Balamb, Rinoa stava accendendo
delle candele profumate. Aveva scoperto che questo la aiutava a
concentrarsi.
La necromanzia è un branca della magia afflitta da tanti
preconcetti e leggende prive di fondamento. Non devi sacrificare
niente, non devi spargere sangue. Chi ammazza un uomo o un animale con
la scusa della magia nera in realtà cerca solo una scusa per
giustificare la propria sete di sangue. Ma la stessa definizione "magia
nera" era errata e Rinoa lo sapeva.
La magia, aveva scoperto, era come una pistola carica a cui non puoi
mettere la sicura. E' pericolosa e richiede molta attenzione, ma non
è in sé buona o cattiva. E' uno strumento, uno
strumento
pericoloso e con cui non bisogna giocare.
La magia non aveva niente a che fare con la posizione delle stelle e
dei pianeti, la magia era una rete di fili tutta intorno a loro. Per
lanciare una magia di tale portata serviva un focus, un oggetto
su cui concentrare le energie degli evocatori. Tre elementi compongono
la vera magia: evocatore, focus, effetto.
E per potenziare una magia bisogna lavorare in scala di tre; ecco
perchè Rinoa aveva chiesto aiuto a due persone.
Selphie e Shu l'avrebbero aiutata. Erano le due col maggior potere
magico.
"mi dispiace d'avervi coinvolto. Ma ho davvero bisogno di aiuto."
Selphie squittì, dicendo a Rinoa di non preoccuparsi. Le
borse
sotto gli occhi e le rughe di chi ha sofferto troppo fecero la loro
comparso sul sorridente viso di Selphie, che da tempo non aveva ragione
di sorridere. Selphie non aveva avuto vita facile.
Era stato un trauma quando la relazione con Irvine era finita. Si erano
trasferiti a Trabia da pochi anni, sembravano felici. Poi, un giorno,
Squall aveva accolto Irvine che si era presentato al Garden con pochi
bagagli e ancor meno parole. Trabia era la terra
di Selphie, non di Irvine. E per quanto lui facesse, era sempre uno
straniero. Ogni volta che gli veniva data una posizione al Garden di
Trabia, nessuno si chiedeva se gli fosse stata perché fosse
il
migliore, ma tutti davano per scontato che gli fosse stata data solo
per Selphie. Lui aveva combattuto, certo. Aveva studiato, aveva
conseguito tutta una serie di certificati, ma l'aria intorno a lui era
sempre ostile: se gli veniva dato il compito di insegnare ai cecchini,
si poteva stare certi che la classe avrebbe boicottato il corso.
Irvine era un galbadiano, d'altra parte. E l'astio verso Galbadia si
era radicato così tanto a Trabia da diventarne parte
integrante.
E poi, la notizia.
Selphie non poteva avere figli. Era stata la magia Apocalisse di
Artemisia. O anni di GF e combattimenti. O era semplicemente
così che doveva essere, chissà. La distanza tra i
due non
si era più colmata. Senza rispetto, senza famiglia, senza la
possibilità di tenersi un lavoro, Irvine era andato via.
"a volte l'amore non basta" furono le poche parole che
pronunciò quel giorno, nella Hall del Garden di Balamb
Ed anche se adesso Selphie sorrideva e Irvine
diceva che andava tutto bene, era chiaro che le cose non erano
esattamente così. Per questo motivo, Rinoa aveva colto
l'occasione per coinvolgere Selphie e tenerla lontana da Irvine.
Ma il fatto che avesse bisogno d'aiuto non era una bugia.
"Non si entra fisicamente dove sto andando" spiegò loro
Rinoa
"Solo la propria proiezione può passare i cancelli, e anche
allora può solo raggiungere l'anticamera, se vogliamo
chiamarla
così. Voi sarete la mia ancora. Al minimo segnale di
problemi,
dovrete proferire insieme una parola di comando"
"Che parola?" chiese Shu
"Torna."
"oh....un po' anticlimatico, non trovi? Non possiamo dire qualcosa di
più...magicoso?"
Shu nascose a fatica il suo fastidio; questa parte di Selphie poteva
essere divertente quando la ragazza aveva vent'anni. A quaranta, era
semplicemente stupida.
Rinoa disegnò un cerchio con del sale, per tenere fuori
eventuali energie estranee, e controllò svariate volte che
il cerchio fosse perfetto. Al centro fu collocata una bacinella piena
d'acqua in cui Rinoa immerse le mani. Shu e Selphie misero le mani
sulle spalle di Rinoa.
Lei chiuse gli occhi. Si rivestì dell'aura magica,
spalancando le ali per attingere a quanto più potere
possibile.
S'immagino lontano dal mondo, oltre il mondo.
Era nello spazio. Stava galleggiando nello spazio. La tuta la aiutava a
sopravvivere, ma l'ossigeno stava finendo. Vide il suo respiro
condensarsi e venne colta dal panico. Attorno a lei solo stelli,
crudeli e fredde e lontane. Nessuno vicino che potesse aiutarla. Era
sola, e lì sarebbe morta.
(No, ferma tutto. Io non sono
morta. C'era Squall lì con me)
Una cupola di ghiaccio, da lei generata, teneva lei e suo
padre separati dal mondo esterno. La fenice era vulnerabile. Scatto,
fendente, falciata, parata. Muoveva il suo Gunblade rapidamente per
superare le difese di suo padre, ma Caraway era uno spadaccino assai
superiore. Fu la sua lama a farsi invece largo tra le difese di sua
figlia, un affondo elegante e letale che le raggiunse il cuore.
Sentì la vita scorrere via, un altro attimo e sarebbe morta.
(Non è andata
così. Caraway non ha mai trovato il coraggio di affondare
con determinazione la spada)
Squall era a terra, Storm stava lentamente morendo dissanguato. Lei
aveva interrotto il trasferimento del potere alla sua cagnolina per
mantenere la propria simbiosi più a lungo. Restava solo lei
a combattere contro quest'essere infernale, ma la manifestazione del
male era assai più potente di quanto immaginasse. Rinoa
usò i suoi poteri per evocare una barriera, ma
andò in mille pezzi e decine di dardi neri....
(Ne ho abbastanza. Basta
così.)
Un lampo di luce e tutto andò in pezzi come vetro.
Immaginò sé stesse attingere dal potere di
Alexander per evocare una magia Sancta che illuminò l'oscuro
vuoto in cui la sua mente galleggiava. Si trovava sotto il chocobosco
sacro, nello stesso luogo in cui, tanti anni prima, avevano lottato
contro un antico nemico e avevo vinto. Una vittoria amara, di cui non
avevano ancora finito di pagare il prezzo.
Ma non c'era lava, non c'erano fumi maligni questa volta. Era al centro
della piazza in cui si era tenuto lo scontro, e intorno a lei c'era
solo un mare di pietra lavica.
Realizzò di essere nuda. Istantaneamente, si
coprì il seno e l'inguine e la sua vista vacillò.
(Calma. Devo restare calma.)
I vestiti comparvero non appena li visualizzò.
Già che c'era, decise di immaginarsi con quell'ultimo abito
disegnato da un famoso stilista, un sogno proibito visto che
quell'affare era troppo anche per le loro tasche. Meno male che non lo
aveva comprato: non le stava così bene come immaginava.
Si avviò verso il centro della piattaforma e, poco per
volta, attorno a lei si costruì la stanza in cui aveva
affrontato Artemisia. Ma era strana. Era come se qualcuno avesse
dipinto sul vetro usando colori troppo annacquati per poter far presa.
La struttura era quasi trasparente, incompleta.
Richiamò alla mente ogni dettagli di quella stanza, ogni
tratto somatico di Artemisia, ma non comparve nulla.
"Lei non è qui. Non integralmente, almeno."
Dietro di lei c'era il pallido cavaliere nero. Camminava verso di lei
e, dove poggiava i piedi, la terra bruciava nuovamente.
"Cosa vuol dire?"
"Vuol dire, strega, che colei che cerchi è spezzata. Pezzi
di lei sono ancora qui. Strane cose capitano a chi crede che la magia
sia un giocattolo. Non alteri l'ordine naturale delle cose senza
pagarne un prezzo. Non fai un viaggio all'inferno come se fosse una
passeggiata al parco.
I vestiti di Rinoa presero fuoco e divennero cenere. Anche se era solo
una proiezione astrale, Rinoa provava sulla sua pelle il dolore del
fuoco che le consumava avidamente la carne. La sua pelle si
annerì, si spaccò e sparì, e le fiamme
le consumarono i muscoli, le ossa.
Si oppose con tutte le sue forze. I muscoli tornarono a crescere, la
pelle ricomparve in pallide chiazze sul corpo...ma solo per poco. Il
dolore le impediva di pensare. Stava cedendo.
Ma adesso era nella sua stanza. Col fiato mozzo e le mani ustionate.
L'intervento paramagico di Selphie fu immediato, mentre Shu
contattò immediatamente l'infermeria. L'acqua nella
bacinella era evaporata, la plastica si era fusa.
Ma aveva una risposta. O, almeno, pezzi di una risposta.
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angolo dell'autore:
avendo avuto solo due voti, perdipiù diversi, ho deciso di
accontentare entrambi. Non ci saranno scelte per questa tornata, ma vi
incoraggio più che mai a dirmi cosa pensate della storia,
nel bene e nel male.
un paio di note:
- Gale. Il nome indica un forte vento. Ho scelto il colore
viola come dominante in quanto commistione di blu e rosso, i colori che
caratterizzavano i genitori di Gale nelle precedenti storie. Ovviamente
il nome si collega a Fujin che, come sapete, deriva dal Dio nipponico
del Vento e si collega alla tradizione dei nomi "meteorologici" della
famiglia.
- Fujin non è mai stata morta, non è
una RetCon. Nel capitolo XXI si vede C/Storm eseguire il trasferimento
di Junction, solo non se ne vedono gli effetti. Quanto a lui,
è morto. Morto-morto che più morto non si
può.
- Rinoa rivive i suoi ricordi alterati durante la
fase iniziale della proiezione astrale. Tali ricordi sono presi, in
ordine, dal videogioco (Squall la salva dallo spazio), dalla terza
storia di questa saga "il Viaggio della Vendetta" (capitolo XXI) e
dalla seconda storia, "la Profezia" (Capitolo XII)
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