Very Important People
«Mi hai davvero portata a questa festa fichissima!
Non riesco ancora a crederci!».
L'entusiasmo di Christine non stona con l'eccentricità
dell'evento, né la sua voce è più
stridula di quella di molte altre qui.
Il club più esclusivo della città. La festa
più megagalattica dell'anno.
Così dicono.
Rivolgo un sorriso alla mia amica e le dico di non preoccuparsi se
sparisco di tanto in tanto.
Non ho indossato questo abito dal colore ridicolo per il solo gusto di
prendermi una sbronza o concedermi a qualcuno in chissà
quale angolo di questo posto delirante. E' la mia prova d'esame e mi
serve concentrazione.
Armata di un registratore microscopico mantengo la calma mentre
facciamo la fila.
Sembra interminabile, ma alla fine arriviamo agli scimmioni. Sono
esseri inquietanti.
Mostro il pass e il cordone si apre dandoci libero accesso.
La mia missione ha inizio.
«OMMIODDIO!!!
Ma come hai avuto i pass?! Sei un MITO!!!». Christine non sta
più nella pelle. O forse dovrei dire nel vestito:
più succinto di così c'è soltanto il
bikini. La risposta non le interessa sul serio. Le basta essere
esattamente dov'è.
So in
partenza che non mi capiterà più un'occasione
simile e se tra tutte le persone a disposizione ho scelto di portare
con me proprio Christine è perché lei
è completamente a suo agio nella mondanità.
Reginetta della scuola, vincitrice di diversi concorsi locali,
indossatrice per un noto negozio di abbigliamento esclusivo. E' la
persona più giusta da portare in questo club. Spero solo che
non mandi a monte ogni cosa ubriacandosi. Quando si esalta mi ricorda
Nikki di Alfie, quel film con Jude Law. Un disastro.
Io, invece, sono a caccia di un'intervista. Non una vera intervista. Mi
basta registrare la mia voce insieme alla sua ed è fatta.
E' il caos qui. Siamo entrate da due ore e qualcuno ha già
il coraggio di essere sbronzo.
Ballo quando necessario. Rifiuto categoricamente ogni drink: poi chi ci
riporta a casa? Christine è scatenata.
Cerco. Cerco la mia occasione. So che è qui stasera. Ne ho
seguito i movimenti per settimane e non può non essere qui
adesso.
Tutti sanno che è qui. E' pieno di paparazzi: non
può essere un caso.
Le luci mi infastidiscono nel loro roteare impazzito. Mi fanno venire
la nausea. Mi distraggono.
Uno spintone di qua, uno di là, in qualche modo mi muovo da
un angolo all'altro del club e mi viene in mente la storia della
deliranza, quella di Alice In Wonderland di Tim Burton. Non lo so
perché.
Ci sono molti ragazzi carini e, forse, se questo non fosse il mio esame
mi lascerei andare. Oppure forse no.
Tre ore. Christine è ubriaca, ma non completamente. La
conosco bene. Ride come una pazza e si lascia palpare da chi capita.
Ogni tanto faccio la mia comparsa e la tiro fuori da una situazione
scomoda. Di lui neanche l'ombra. Mi sono convinta di averlo visto un
paio di volte, ma mi sono sempre sbagliata.
Senza preavviso si accende una rissa. Prendo Christine per un braccio e
la tiro fuori di lì.
Ho fallito. La mia occasione è persa.
Schizziamo tutti via come biglie impazzite. Qualcuno inciampa e cade
rovinosamente a terra. Altri svengono per la paura. Qualcuno
barcollando riesce ad uscire ma ride pensando che sia un nuovo gioco.
Christine appartiene a quest'ultima categoria.
Lascio perdere: è inutile parlarle dal momento che
è sbronza. Completamente andata. Solo quando smette di
ridere e inizia a sentirsi male mi preoccupo sul serio.
Le chiedo come si sente. Domanda inutile, lo so, ma è tanto
per sapere. Ho il dubbio che abbia preso qualche pasticca,
così volo con l'auto al primo Pronto Soccorso utile.
Mentre si occupano di lei mi lascio cadere su una di quelle sedie tutte
in fila tipiche delle sale d'aspetto. Una desolazione. Mi viene in
mente Lo Hobbit: La Desolazione di Smaug, il film di Peter Jackson.
Al Pronto Soccorso continua ad arrivare gente malconcia. Colpa di
quella rissa. L'unica sobria, a parte il personale, sembra che sia io.
Che sfiga.
Sto ancora aspettando che qualcuno venga a dirmi qualcosa della mia
amica quando decido di alzarmi per non cedere ad una crisi isterica. Mi
serve aria fresca. Esco.
Bella riuscita questa festa, mi dico.
«SMAUG!!!
Dove sei, maledetto di un drago?!».
Per
un attimo penso di essere impazzita o di aver preso sonno e di star
sognando. Quale essere umano sano di mente o sobrio si metterebbe a
cercare Smaug?
Mi volto e vedo la persona che ho cercato per tutta la sera. Che mi
venga un colpo!, mi dico.
«RIDAMMI
L'ARKENGEMMA!!!», insiste lui.
Mi dico che non è possibile. Qualcuno si sta divertendo alle
mie spalle, non c'è altra spiegazione.
Si accorge di me e mi chiede: «Hai visto il drago?». Proprio
così. "Hai visto il drago?". Come se fosse una cosa normale.
Lo sanno tutti, no?, che i draghi sono messi a custodia delle banche
più importanti del mondo. La Svizzera, ad esempio, ne
è piena! mi dico.
Sono impazzita, non c'è dubbio.
La mia unica preoccupazione, però, è non
scoppiare a ridergli in faccia. Non so se sia ubriaco o cos'altro. Non
sembra stare male davvero. Di sicuro è divertente.
«E'
fuggito via quando ha sentito che il Re sotto la Montagna stava
arrivando», gli rispondo. Devo essere fuori come un balcone. «Mi ha detto dov'è la pietra che
cerchi». Ma sì. Chi me li darà
più due minuti di libera conversazione con Richard Armitage,
mi dico. Certo non posso registrarlo in questo stato. Non sono
così stronza da venderlo ai media. Se altri lo faranno,
peggio per loro. Io sono diversa da quegli sciacalli.
«Codardo
di un drago!», esclama.
Poi mi guarda e comincia a
dire cose senza senso con in mezzo parole come "nani", "scassinatore",
"oro" e cose così.
Alla fine si siede e resta in silenzio per un po'. Non ce la faccio ad
andarmene, né a dirgli qualcosa.
Passano non so quanti minuti così.
«Sono
ubriaco, vero?», mi chiede ad un certo punto. Mi guarda e si
aspetta che gli risponda.
«Se
riesci a rendertene conto forse non lo sei poi così
tanto». Abbozzo un sorriso.
Lui ride e in quel momento
un'infermiera si affaccia dall'ingresso e mi chiede se sono io l'amica
di Christine. Le rispondo di sì e che rientro subito.
Consiglio ad Armitage di farsi visitare, tanto per stare sicuri. Lui fa
sì con la testa, ma intanto si gode l'aria della notte. Io
faccio per allontanarmi e lui mi chiama.
«Ehi!»,
mi fa, «Devi dirmi dov'è la pietra. Non adesso
però. Ho mal di testa». Mi caccia in mano un
biglietto e mi saluta.
Torno
all'ingresso del Pronto Soccorso, il biglietto nella scollatura del
vestito. Mi ripeto che quello che ho vissuto non è vero e
che l'aria di quel club doveva essere satura di un qualche allucinogeno.
Mi riprendo Christine e la porto a casa. Sta meglio. Torno a casa mia.
Sono improvvisamente stanca morta. Il mio esame è stato un
fallimento. Aspetto l'ondata di depressione. Mi butto sul divano e
lì provo a dormire. Qualcosa mi punge all'altezza del seno.
Uno non può neanche addormentarsi in pace, penso. Cerco
l'etichetta fastidiosa e trovo un biglietto da visita.
C'è scritto Richard Armitage e un numero di telefono.
Ah, sì, l'Arkengemma, mi dico. Ma non adesso, che ha mal di
testa. E mi addormento.
N.d.A.
Chiedo scusa per la demenzialità di questo pezzo. L'ho
sognato e non la smettevo più di ridere stamattina,
perciò ho voluto condividere quest'assurdità
arricchendola con un breve contesto. Anche per poterla rileggere un
domani e ricordare che razza di sogni mi ritrovo a fare. La storia non
ha nulla a pretendere: prendetela per quella che è.